La delibera di quantificazione del compenso all’amministratore adottata con il voto determinante dell’amministratore stesso non è invalida per conflitto di interessi

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10889.

La delibera di quantificazione del compenso all’amministratore adottata con il voto determinante dell’amministratore stesso non è invalida per conflitto di interessi

In tema di società di capitali, la delibera di quantificazione del compenso all’amministratore non è invalida per conflitto di interessi, ancorché adottata con il voto determinante dell’amministratore stesso, che abbia partecipato all’assemblea in veste di socio, poiché essa, pur consentendogli di conseguire un suo interesse personale, non comporta, di per sé, un pregiudizio all’interesse sociale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, nonostante il voto determinante del socio-amministratore, non aveva ravvisato alcuna incompatibilità tra l’interesse personale e quello della società, trattandosi di delibera che aveva ridotto il suo compenso a causa delle difficoltà economiche della società).

Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10889. La delibera di quantificazione del compenso all’amministratore adottata con il voto determinante dell’amministratore stesso non è invalida per conflitto di interessi

Data udienza 8 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Societa’ – Di capitali – Societa’ per azioni (nozione, caratteri, distinzioni) – Organi sociali – Assemblea dei soci – Diritto di intervento – Conflitto di interessi società di capitali – Compenso dell’amministratore – Deliberazione assembleare di determinazione – Impugnazione – Conflitto di interessi – Presupposti – Ammissibilità – Esclusione – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta da

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28285/2020 R.G. proposto da

Comune di Adelfia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Fe.Lo., con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, (…)

– ricorrente –

contro

Farmacia (…) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Ni.Da. ed Eu.Da.

– controricorrente –

(…) Snc dei dott.ri Pi.Ci. e Ro.Gi.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1458/2020, depositata il 3 agosto 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2024 dal Consigliere Paolo Catallozzi

La delibera di quantificazione del compenso all’amministratore adottata con il voto determinante dell’amministratore stesso non è invalida per conflitto di interessi

RILEVATO CHE:

– il Comune di Adelfia propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, depositata il 3 agosto 2020, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda di annullamento delle delibere adottate dall’assemblea ordinaria e straordinaria dei soci della Farmacia (…) Srl in data 28 aprile 2015, impugnate per conflitto di interesse dei soci ex art. 2479-ter cod. civ.;

– la Corte di appello ha riferito che a sostegno dell’impugnazione l’ente locale aveva allegato che: la Farmacia (…) Srl, concessionaria del servizio di farmacia comunale sul territorio di Adelfia, era partecipata per il 18,35% dal Comune di Adelfia e per il restante 81,65% dalla società (…) Snc dei dott.ri Pi.Ci. e Ro.Gi. e presentava un organo amministrativo composto da due membri espressione del socio privato ed uno nominato direttamente dal socio pubblico; la menzionata assemblea dei soci era stata convocata per l’esame e approvazione del bilancio al 31 dicembre 2014, il rinnovo delle cariche sociali, con determinazione dei relativi compensi, e l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482 bis, n. 4, cod. civ. per la riduzione del capitale sociale; in tale riunione la società aveva approvato il bilancio e rinnovato le cariche dell’organo amministrativo, respingendo la proposta dell’ente locale di modifica del progetto di bilancio mediante riduzione del compenso degli amministratori di parte privata pari alle perdite di esercizio, in modo da riportarle al disotto del terzo del capitale, nonché quella di nomina di un organo di controllo; tali delibere erano viziate in quanto assunte con il voto determinante del socio privato detentore della quota di maggioranza portatore, per conto dei soci Pi.Ci. e Ro.Gi., amministratori della Farmacia (…) Srl, di un interesse al mantenimento del compenso di questi ultimi in contrasto con quello della società al mantenimento dell’integrità del capitale sociale;

– la Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado evidenziando che: gli amministratori di parte privata, che avevano partecipato all’assemblea in qualità di soci, non avevano inteso perseguire un interesse extra-sociale e personale in contrasto con quello della Farmacia (…) Srl; non era ravvisabile una situazione di conflitto di interessi sotto il profilo della sproporzione e della irragionevolezza dei compensi riconosciuti agli amministratori stessi; non sussisteva alcun obbligo giuridico vincolante per gli amministratori di ridursi il compenso loro attribuito in caso di peggioramento della situazione economica della società; non era dimostrato il dedotto disegno della parte privata di pervenire alla riduzione del capitale sociale al fine di determinare un deprezzamento del valore della quota sociale della parte pubblica in previsione di un futuro eventuale acquisto della stessa; il mancato accoglimento della proposta di nomina di un revisore interno non era foriera di un danno per la società, ma, anzi, aveva evitato un aumento dei costi difficilmente sostenibile;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resiste con controricorso la Farmacia (…) Srl;

– quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

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CONSIDERATO CHE:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2479-ter, secondo comma, e 2482-bis cod. civ., per avere la sentenza impugnata escluso che la parte privata, nell’esprime il suo voto sulle delibere in contestazione, aveva perseguito un interesse extra-sociale e personale in contrasto con quello sociale, sottolineando, invece, che aveva agito per il soddisfacimento dell’interesse privato e personale dei dott. Pi.Ci. e Ro.Gi., suoi soci illimitatamente responsabili, al mantenimento della misura del compenso e che tale interesse si contrapponeva all’interesse della società alla conservazione del valore e dell’integrità del capitale sociale e del patrimonio;

– evidenzia, altresì, che il denunciato conflitto di interesse emergeva anche dai ripetuti solleciti che il socio privato aveva rivolto all’ente locale affinché alienasse la propria quota;

– il motivo è infondato;

– l’art. 2479 ter, secondo comma, cod. civ., prevede che sono invalide e, in quanto tali, possono essere impugnate le delibere dell’assemblea di una Srl qualora siano assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società e siano idonee a cagionare un danno alla società;

– la fattispecie richiede, dunque, l’accertamento dell’esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra il socio e la società, la decisività del voto espresso e la potenziale dannosità della delibera per gli interessi sociali;

– con particolare riferimento al primo requisito si osserva che il conflitto di interessi, da accertarsi non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento alla singola delibera, sussiste quando vi è, di fatto, un conflitto tra un interesse non sociale – quindi un interesse che non è in alcun modo riconducibile al contratto di società – e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili a tale contratto e, quindi, che sono comuni ai soci (cfr. Cass. 13 marzo 2023, n. 7279; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387)

– la situazione di conflitto di interessi tra socio e società presuppone, dunque, che il primo si trovi nella condizione di essere portatore, con riferimento a una specifica delibera, di un duplice e contrapposto interesse – da un lato il proprio interesse di socio e dall’altro l’interesse della società – e che questa duplicità di interessi sia tale per cui il socio non possa realizzare l’uno se non sacrificando l’altro;

– pertanto, la circostanza che una siffatta delibera consenta al socio il conseguimento (anche) di un suo personale interesse non comporta, di per sé, un pregiudizio all’interesse sociale (cfr. Cass. 21 marzo 2000, n. 3312);

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– in applicazione di tale principio è stato affermato che la deliberazione determinativa del compenso dell’amministratore non può considerarsi invalida per il mero fatto che essa sia stata adottata col voto determinante espresso dallo stesso amministratore che abbia preso parte all’assemblea in veste di socio, se non ne risulti altresì pregiudicato l’interesse sociale (così, Cass. 3 dicembre 2008, n. 28748);

– ne consegue che, con riferimento al caso in esame, la mera circostanza che il socio privato, per il tramite dell’amministratore della società, abbia votato la delibera avente a oggetto la determinazione del compenso dell’amministratore medesimo non è idonea a dare luogo a una situazione di conflitto di interesse, rilevante ai fini che qui interessano, non avendo la Corte territoriale accertato – né la parte ricorrente dedotto di aver allegato – la presenza di elementi significativi di una incompatibilità dell’interesse sociale con l’interesse individuale perseguito;

– al contrario, il giudice di appello, nell’argomentare l’insussistenza della denunciata situazione di conflitto di interesse, ha valorizzato il fatto che con la impugnata delibera di approvazione del compenso degli amministratori l’assemblea ha disposto la riduzione dello stesso – da Euro 58.800,00 a Euro 41.040,00 – per il periodo decorrente dal 1° aprile 2015 al 31 dicembre dello stesso anno, in ragione delle difficoltà economiche della società;

– si osserva, inoltre, che non risulta decisiva la dedotta ripetuta sollecitazione rivolta dal socio privato al socio pubblico ad alienare la propria quota, ritenuta dal ricorrente strumentale a determinare un deprezzamento del valore della quota medesima e un suo più conveniente acquisto della stessa, atteso che la Corte di appello ha accertato che il socio privato si è limitato a chiedere al socio pubblico di procedere alla indizione di una gara a evidenza pubblica per la cessione di tale quota, in conformità con gli obblighi di legge, e che, dunque, la riferita finalità di deprimere il valore della quota per poi acquistarla a trattativa diretta non era ipotizzabile, stante l’incertezza dell’esito di una procedura a evidenza pubblica;

– con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2477 e 2479-ter, secondo comma, cod. civ. e degli artt. 2, 3 e 4 D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, per avere la sentenza impugnata ritenuto insussistente il danno alla società e il conflitto di interessi del socio privato in relazione alla mancata nomina dell’organo di controllo;

– il motivo è inammissibile;

– la Corte di appello ha espressamente escluso che una siffatta delibera fosse idonea a produrre un danno alla società, osservando che, al contrario, l’approvazione della proposta dell’ente pubblico “avrebbe finito per provocare un danno agli interessi della società”, in relazione al conseguente aumento dei costi in una situazione di precarietà finanziaria;

– il ricorrente contesta la valutazione operata dal giudice di appello, evidenziando l’omessa considerazione della natura di società mista della società, della tipologia del servizio offerto e del ruolo di presidio della legalità del revisore;

– la doglianza investe, tuttavia, l’accertamento della sussistenza del danno alla società che è riservato al giudice di merito e che, dunque, non può essere sindacato sotto il paradigma della violazione o falsa applicazione della legge;

– con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2479-ter, secondo comma, e 2697 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata affermato che il Comune di Adelfia non avesse dato prova della sproporzione e della irragionevolezza dei compensi degli amministratori della Farmacia (…) Srl e per aver comunque escluso che ricorresse una siffatta sproporzione, omettendo di prendere in considerazione l’importo del volume di affari della società;

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– il motivo è inammissibile;

– la resistenza alle censure mosse con il primo motivo della ratio decidendi rappresentata dalla insussistenza di una situazione di conflitto di interesse osta all’esame della questione prospettata con il motivo in esame, in quanto la sua eventuale fondatezza non potrebbe produrre l’annullamento della sentenza, stante l’intervenuta definitività della ratio inutilmente censurata (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; vedi anche, Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3633);

– in ogni caso, può osservarsi che, anche in questo caso, la doglianza si risolve in una contestazione della valutazione del giudice di appello, il quale ha escluso che gli elementi istruttori a disposizione dessero evidenza della sproporzione e della irragionevolezza dei compensi accordati agli amministratori, valutati anche in rapporto ai ricavi della società;

– una siffatta valutazione non può essere censurata per violazione o falsa applicazione di legge, investendo un accertamento riservato al giudice di merito;

– con il quarto motivo il ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2389 e 2479-ter, secondo comma, cod. civ., per aver escluso la sentenza impugnata escluso la sussistenza di un obbligo giuridico di riduzione del compenso dell’amministratore in una situazione, quale quella in esame, in cui tale compenso diventi sproporzionato e irragionevole a causa del peggioramento delle condizioni economiche della società;

– il motivo è inammissibile;

– la doglianza, infatti, aggredisce un passaggio motivazione della decisione che non esprime una ratio decidendi e, in ogni caso, interessa una questione che non risulta essere stata introdotta quale motivo di impugnazione delle delibere;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascuna parte, in complessivi Euro 8.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 Aprile 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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