Atto di appello e la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 aprile 2024| n. 9378.

Atto di appello e la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza

L’articolo 342 del Cpc, come pure il successivo articolo 434 dello stesso codice di rito, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, fermo restando, però, come a tal fine non occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. Invero, il richiamo, contenuto nei citati articoli 342 e 434, alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio, giacché quanto viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili. (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, una chiara indicazione delle parti della sentenza di primo grado oggetto di gravame, nonché delle ragioni di critica della stessa, non risultava enucleabile – nella specie – dal motivo di appello come sopra illustrato). (M.Fin.)

Ordinanza|8 aprile 2024| n. 9378. Atto di appello e la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza

Data udienza 12 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: IMPUGNAZIONI – Appello – Atto di appello – Contenuto – Chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza – Necessità – Fattispecie. (Cpc, articoli 342 e 434)
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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 24611-2022 proposto da:

Vi.Ca. E Pa.Mu., domiciliati press l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresenta e difesi dall’Avvocato Cl. DE.;

– ricorrenti –

– contro –

(…) Srl, rappresentata da (…) Spa in person del procuratore speciale, Dott. Lu. CE., domiciliat presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma. BI.;

– controricorrente –

nonché contro

(…) Spa, (…) Spa, PA. SI.;

– intimati –

Avverso la sentenza n. 728/22 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 19/04/2022;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 12/12/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Atto di appello e la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza

FATTI DI CAUSA

1. Vi.Ca. e Pa.Mu. ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 728/22, del 19 aprile 2022, della Corte d’appello di Firenze, che ne ha dichiarato inammissibile il gravame avverso la sentenza n. 333/17, del 28 marzo 2017, del Tribunale di Siena, che aveva, a propria volta, dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, l’opposizione proposta avverso l’ordinanza di vendita emessa dal giudice dell’esecuzione, al fine di ottenere una determinazione del prezzo base d’asta degli immobili pignorati diversa da quella adottata, rigettandola, invece, per il resto.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che la società (…) (…) Spa (successivamente incorporata nella società Banca (…) Spa), in nome e per conto della (…) Spa, aveva notificato atto di precetto nei loro confronti per la complessiva somma di Euro 4.945.307,24, in virtù di contratti di mutuo agrario stipulati per atto pubblico, per poi procedere al pignoramento immobiliare di beni – o porzioni di beni – a entrambi appartenenti.

Nella procedura esecutiva così radicatasi innanzi al Tribunale senese, dopo che il medesimo creditore procedente aveva depositato atto di intervento per la collocazione dei nuovi crediti derivanti da mutuo fondiario, veniva autorizzata la vendita dei beni pignorati, ordinanza della quale gli odierni ricorrenti chiedevano dichiararsi la nullità e/o l’illegittimità e/o l’inefficacia e/o disporsi l’annullamento. Richiesta motivata sul rilievo che non era stato dato avviso, nell’ordinanza di vendita, dell’applicabilità sul prezzo di aggiudicazione dell’IVA, in quanto i beni pignorati erano strumentali all’esercizio dell’attività di agriturismo dell’azienda individuale Vi.Ca., e inoltre perché i classamenti catastali erano illegittimi, per violazione del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 26 luglio 2012.

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Nel giudizio di opposizione, così radicato, si costituivano la società (…) e Ma.Ma. (creditrice interveniente, alla quale poi succedeva l’erede Si.Pa.), deducendo l’inammissibilità della stessa per tardività, trattandosi di opposizione agli atti esecutivi. All’udienza di comparizione delle parti, fissata per la discussione sull’istanza di sospensione dell’esecuzione, gli odierni ricorrenti deducevano, altresì, l’usurarietà dei mutui e l’illegittimità dell’anatocismo ivi praticato, nonché l’improcedibilità del procedimento esecutivo per avere parte ricorrente introdotto la procedura ex artt. 3 e 10 della legge 27 gennaio 2012, n. 3.

Rigettata l’istanza di sospensione dell’esecuzione, radicato il giudizio di merito, la proposta opposizione era dichiarata inammissibile per tardività, nella parte in cui veniva ricondotta al disposto dell’art. 617 cod. proc. civ., essendo, per il resto, rigettata.

Esperito gravame dai già opponenti, si costituiva in appello solo la società (…) Srl, in qualità di cessionaria del credito di (…) Spa e di (…) Banca per le (…) Spa, rappresentata dalla società (…) Spa

Il giudice di seconde cure dichiarava inammissibile il gravame, pervenendo a tale esito sulla base di un duplice rilievo.

Condivisa, infatti, la qualificazione dell’iniziativa assunta dal Vi.Ca. e dalla Pa.Mu. quale opposizione agli atti esecutivi (dal primo giudice ritenuta inammissibile, perché tardiva), nella parte in cui essi avevano eccepito il mancato computo, nell’ordinanza di vendita, dell’IVA sul prezzo di aggiudicazione dei beni immobili, nonché la presenza di vizi di accatastamento di alcuni degli immobili esecutati, il giudice di seconde cure escludeva che tale statuizione potesse essere appellata, e ciò in forza di quanto previsto dall’art. 618, comma 3, cod. proc. civ.

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In relazione, invece, alla parte in cui il Tribunale aveva qualificato l’iniziativa degli opponenti come opposizione all’esecuzione, rigettandola nel merito, il giudice di appello valutava il proposto gravame inammissibile, a norma dell’art. 342 cod. proc. civ.

3. Avverso la sentenza della Corte fiorentina hanno proposto ricorso per cassazione il Vi.Ca. e la Pa.Mu., sulla base – come detto – di tre motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 615, commi 1 e 2, 617, comma 2, e 618, comma 3, cod. proc. civ.

Assumono i ricorrenti che i motivi oggetto del giudizio di opposizione, vertendo sull’applicabilità o meno dell’IVA sul prezzo di aggiudicazione e denunciando vizi di accatastamento di alcuni degli immobili espropriati, avrebbero dovuto condurre ambo i giudici di merito a qualificare l’iniziativa da essi assunta come opposizione all’esecuzione, “attenendo alla procedibilità della stessa e non ad un singolo atto del processo esecutivo”.

Errata, dunque, risulterebbe la declaratoria di intempestività dell’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., pronunciata, “in parte qua”, dal primo giudice, nonché la conseguente declaratoria di inappellabilità di tale statuizione, che il giudice di seconde cure ha motivato richiamandosi al “principio dell’apparenza”, il quale impone, ai fini dell’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale, di tener conto della qualificazione giuridica dell’azione data dal giudice che lo abbia emesso, a prescindere dalla sua correttezza.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., e ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. – violazione e falsa applicazione degli artt. 615, commi 1 e 2, 617, comma 2, e 618, comma 3, cod. proc. civ.

Si contesta proprio il principio il principio dell’apparenza, richiamato dalla sentenza impugnata, e ciò sul presupposto che sarebbe, invece, “conforme ai principi di giustizia (ex art. 111 Cost.) consentire anche al giudice di appello la possibilità di stabilire se un’azione possa considerarsi ex art. 615 o 617 cod. proc. civ.”.

3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero dell’art. 342 cod. proc. civ., dell’art. “821, comma 3, cod. civ.” e degli artt. 1282, 1283 e 1284 cod. proc. civ., oltre che dell’art. 111, comma 7, Cost.

Rilevano i ricorrenti che, in merito all’applicazione di interessi anatocistici, nei mutui fonte della pretesa creditoria azionata in via esecutiva, la Corte territoriale, pur prendendo atto che il giudice di prime cure aveva qualificato l’azione come opposizione all’esecuzione, ha ritenuto inammissibile, sul punto, il gravame, ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., e ciò perché “il motivo fatto valere dall’appellante risulta essere esposto in maniera generica attraverso una digressione che si concentra su questioni puramente teoriche come la differenza tra il piano di ammortamento c.d. alla francese e all’italiana che nulla aggiungono al caso di specie e che non permettono di poter decidere nel merito”.

In realtà, sostengono i ricorrenti, il giudice d’appello sarebbe caduto in un equivoco.

Essi, infatti, assumono di aver sempre eccepito, “sin dall’introduzione del giudizio”, che “è proprio il c.d. ammortamento alla francese utilizzato nei contratti de quibus che, contenendo una formula di matematica attuariale, applica automaticamente l’interesse composto e non quello semplice”. Orbene, ai sensi “dell’art. 821, comma 3, cod. civ.”, è “solo quello semplice l’unico interesse a poter essere applicato”. La Banca (…), per contro, avendo utilizzato “la capitalizzazione composta, da un lato viola la norma di cui all’art. 1283 cod. civ., dall’altro viola anche la norma dell’art. 1284 cod. civ. che prevede l’applicazione di un solo tasso ultralegale semplice e, quindi, nell’ipotesi di incertezza (tra un tasso nominale contrattuale e tasso effettivo di ammortamento) dovrà applicarsi il tasso legale semplice e non quello ultralegale (nominale o effettivo) indeterminato ed incerto”.

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4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la società (…), per quest’atto rappresentata dalla società (…), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

5. Sono rimasti solo intimati Pa. e le società (…) e (…).

6. La trattazione del presente ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

7. I ricorrenti hanno presentato memoria.

8. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

9. In via preliminare deve dichiararsi l’inammissibilità di tutte le questioni, aventi carattere di novità, prospettate dai ricorrenti nella memoria depositata in vista dell’adunanza camerale, giacché essa – al pari di quelle previste dall’art. 378 e dall’originario testo dell’art. 380-bis cod. proc. civ – ha solo funzione illustrativa di censure già proposte (cfr, tra le molte: Cass. Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17893, Rv. 658757-01; Cass. Sez. U. ord. 09/03/2020, n. 6691, non massimata sul punto).

10. Il ricorso va rigettato.

10.1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, a norma dell’art. 360-bis cod. proc. civ.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che, in sede esecutiva, “al fine della corretta qualificazione della domanda occorre fare riferimento alla “causa petendi” ed al “petitum”, che, nell’opposizione all’esecuzione, investono l'”an” della esecuzione, cioè il diritto del creditore di procedervi, mentre, nell’opposizione agli atti esecutivi, investono il “quomodo”, vale a dire le modalità con le quali il creditore può agire in sede esecutiva” (Cass. Sez. Lav., sent. 26 maggio 2017, n. 13381, Rv. 644992-02), sicché il “termine di decadenza di venti giorni previsto dall’art. 617 cod. proc. civ. è applicabile a tutte le contestazioni relative al “quomodo” dell’esecuzione forzata e non a quelle che investono la debenza del credito o il diritto del creditore di procedere in executivis” (Cass. Sez. 3, ord. 18 ottobre 2023, n. 28889, Rv. 669021-01).

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Nella specie, nessuna delle due contestazioni – in relazione alle quali l’iniziativa assunta dagli odierni ricorrenti è stata qualificata come opposizione agli atti esecutivi – concerneva il diritto del creditore di procedere “in executivis”, riguardando esse l’applicabilità o meno dell’IVA sul prezzo di aggiudicazione e l’esistenza di vizi di accatastamento di alcuni degli immobili esecutati.

10.2. Anche il secondo motivo è inammissibile ex art. 360-bis cod. proc. civ.

10.2.1. È, ormai, “ius receptum” l’affermazione, costante, univoca e pacifica, secondo cui “l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va operata, a tutela dell’affidamento della parte e in ossequio al principio dell’apparenza, con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni assunte secondo il rito in concreto adottato, in relazione alla qualificazione dell’azione (giusta o sbagliata che sia) effettuata dal giudice” (da ultimo, tra le innumerevoli, Cass. Sez. 1, ord. 21 giugno 2021, n. 17646, Rv. 661595-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2020, n. 23390, Rv. 659244-01; Cass. Sez. 1, sent. 13 febbraio 2015, n. 2948, Rv. 634382-01).

Si tratta, del resto, di indirizzo affermato da questa Corte anche nella sua massima sede nomofilattica, nella quale si è, del pari, evidenziato che “l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme previste dalla legge per la domanda così come è stata qualificata dal giudice (a prescindere dalla correttezza o meno di tale qualificazione)”, e “non come le parti ritengano che debba essere qualificata” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 25 febbraio 2011, n. 4617, Rv. 616599-01).

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10.3. Il terzo motivo, infine, non è fondato.

10.3.1. È, infatti, corretta la decisione della Corte fiorentina di ravvisare il difetto di specificità del motivo di gravame con cui gli odierni ricorrenti reiteravano la censura – la sola che il giudice di prime cure aveva ritenuto riconducibile alla previsione di cui all’art. 615 cod. proc. civ. – in ordine alla natura anatocistica degli interessi.

Si osserva, infatti, nella sentenza impugnata come la parte allora appellante si fosse limitata “a disquisire sulle problematiche dell’ammortamento alla francese, illustrando il suo funzionamento e la formula matematica alla base dello stesso, reiterando quanto già esposto in primo grado non confrontandosi con la statuizione del Giudice che già aveva sottolineato la genericità del motivo di impugnazione, in effetti esso non era calato come non lo è ora, sulla fattispecie, non comprendendosi dalle allegazioni come le disquisizioni teoriche influenzerebbero la debenza delle somme richieste e conseguentemente la esecuzione intrapresa”.

Il rilievo coglie nel segno, ove si abbia riguardo al contenuto del motivo di appello come riprodotto in ricorso (così soddisfacendo la condizione di ammissibilità di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.; cfr., tra le tante, Cass. Sez. 1, ord. 6 settembre 2021, n. 24048, Rv. 662388-01). La censura si risolveva, infatti, nella deduzione secondo cui il “mutuo rappresenta uno strumento di concessione del credito che possiede intrinsecamente caratteristiche di anatocismo”, essendo a tal riguardo illuminante – a dire degli allora appellanti – “la formula matematica che dà luogo al calcolo della rata dovuta”, e ciò “perché la formula di determinazione della rata tiene conto della capitalizzazione composta e quindi della produzione di interessi su interessi”, sicché “la previsione di una rata fissa o costante è dunque in contrasto con l’art. 1283 del cod. civ.”, soggiungendosi che caso “più complesso” è poi “rappresentato da quei contratti di mutuo in cui il tasso di interesse (e quindi l’importo della rata) è variabile”, giacché “tale previsione appare in contrasto sia con l’art. 1283 che con l’art. 1284 del cod. civ.”, visto che la “variabilità del tasso di interesse dà origine ad una condizione di indeterminatezza degli interessi e quindi dell’obbligazione”.

Nulla, dunque, che presentasse – atteso il carattere del tutto generico di tali affermazioni – un’effettiva attinenza con la fattispecie concreta devoluta all’esame del giudice di merito, né, soprattutto, che enucleasse le ragioni di censura della decisione adottata dal primo giudice, tanto meno in relazione alla specifica peculiarità della fattispecie medesima.

Al riguardo, infatti, occorre muovere dalla premessa che l’art. 342 cod. proc. civ., come pure il successivo art. 434 dello stesso codice di rito, vanno “interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice”, fermo restando, però, come a tal fine non “occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Cass. Sez. Un., sent. 16 novembre 2017, n. 27199, Rv. 645991-01; conforme: Cass. Sez. 6-3, ord. 30 maggio 2018, n 13535, Rv. 648722-01; Cass. Sez Un., ord. 13 dicembre 2012, n. 36481, Rv. 666375-01).

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Invero, “il richiamo, contenuto nei citati artt. 342 e 434, alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio”, giacché quanto “viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 27199 del 2017, cit.).

Ma una chiara indicazione delle parti della sentenza di primo grado oggetto di gravame, nonché delle ragioni di critica della stessa, non risultava enucleabile – nella specie – dal motivo di appello come sopra illustrato.

11. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico dei ricorrenti – tra loro in solido, per l’evidente identità della posizione processuale -e liquidate come da dispositivo, in relazione al valore della causa.

12. A carico dei ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando Vi.Ca. e Pa.Mu., tra loro in solido, a rifondere alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 23.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 12 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria l’8 aprile 2024.

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