La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 febbraio 2024| n. 4315.

La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci

In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, cod. civ. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 cod. civ. Pertanto, non è richiesto per configurare la responsabilità dei sindaci, che un particolare comportamento, la cui inosservanza è idonea ad integrare una condotta omissiva dell’organo di controllo, sia espressamente previsto dalla legge: sussiste, infatti, un obbligo di attivazione e di immediata reazione dei sindaci tutte le volte in cui gli organi amministrativi abbiano compiuto atti di “mala gestio”, ricorrendo tale fattispecie anche in una situazione, in cui, in presenza di una situazione gravemente deficitaria della società, gli organi amministrativi non abbiano attuato il cd. autofallimento, così determinando, peraltro, l’aggravamento del dissesto

Ordinanza|19 febbraio 2024| n. 4315. La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci

Data udienza 16 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Fallimento – Eccezione ex art. 1460 c.c. e distribuzione dell’onere della prova tra curatela e sindaco – Art. 2751 bis n. 2 cod. civ. – Svolgimento dell’attività di sindaco della società fallita – Omesso intervento

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO MASSIMO – Presidente

Dott. TERRUSI FRANCESCO – Consigliere

Dott. CROLLA COSMO – Consigliere

Dott. FIDANZIA ANDREA – Consigliere – Rel.

Dott. DONGIACOMO GIUSEPPE – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26595/2020 R.G. proposto da:

CH.IM., FA.RA., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Tr.Mi. (Omissis)

– ricorrente –

contro

FALL.TO Er., (…), Spa IN LIQUID, elettivamente domiciliato in SALA CONSILINA (…), presso lo studio dell’avvocato Ri.Ni. (Omissis) che lo rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso DECRETO di TRIBUNALE LAGONEGRO n. 4131/2020 depositata il 08/09/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere ANDREA FIDANZIA.

La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato in data 8.9.2020 il Tribunale di Lagonegro ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da Ma.Ch. e Ra.Fa. avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento Er. Spa – (…) in liquidazione – aveva rigettato la loro domanda di insinuazione, in privilegio ex art. 2751 bis n. 2 cod. civ., dei crediti dell’importo, rispettivamente, di Euro 11.048,14 ed Euro 9.619,20 richiesti a titolo di compenso maturato per lo svolgimento dell’attività di sindaco della società fallita nel biennio 2017-2018 (entrambi i due sindaci erano stati, invece, ammessi al passivo dal G.D. relativamente al compenso dovuto per gli anni 2014-20152016).

Il Tribunale di Lagonegro ha accolto l’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela, osservando che, a fronte delle specifiche contestazioni mosse ai due sindaci – in particolare, è stato rimproverato l’omesso intervento con riferimento al periodo successivo al 2017 allorquando, a fronte di una situazione gravemente deficitaria, gli organi amministrativi non hanno attuato il cd. autofallimento, né hanno espresso alcun parere successivamente alla delibera dell’assemblea straordinaria del 29.3.2017 che aveva deciso di avviare la procedura di concordato – gli stessi nulla hanno allegato nella prima difesa utile, né sul punto hanno articolato mezzi istruttori.

Avverso il predetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione Ma.Ch. e Ra.Fa. affidandolo a tre motivi.

La curatela del fallimento Er. ha resistito in giudizio con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 380 b is. 1 cod. proc. civ..

La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2403, 2403 bis e 2407 cod. civ. in relazione agli artt. da 2484 a 2496 cod. civ., 6 e 160 legge fall. nonché la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione su un punto decisivo.

Espongono i ricorrenti che nessuno degli adempimenti, di cui la curatela lamenta la mancata osservanza, è imposto dalla legge al collegio sindacale.

In primo luogo, è illogica e apodittica l’affermazione del Tribunale secondo cui i ricorrenti avrebbero dovuto compiere imprecisati adempimenti volti ad indurre il liquidatore ad avviare l’autofallimento.

Parimenti illogica e illegittima è la seconda contestazione relativa all’omessa emanazione da parte del collegio sindacale di un parere a seguito della decisione dell’assemblea straordinaria della società poi fallita di autorizzare il liquidatore a presentare domanda di concordato preventivo, non essendo tale parere previsto dalla legge.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1460 cod. civ. in relazione all’art. 2407 cod. civ.; violazione del criterio di proporzionalità; violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; violazione dell’art. 132 cod. proc. civ.; nullità della sentenza per motivazione inesistente e/o apparente sul punto decisivo del giudizio.

Premettono i ricorrenti che l’art. 1460 cod. civ., nel prevedere la possibilità che il debitore rifiuti di adempiere la sua obbligazione, stabilisce, altresì, che egli non può sottrarsi al pagamento se, avuto riguardo alle circostanze concrete, il suo rifiuto sia contrario a buona fede.

Nel caso di specie, il Tribunale di Lagonegro ha omesso di valutare la buona fede del debitore inadempiente (il fallimento) nel quadro generale dell’esecuzione del contratto, nonché di valutare se le due asserite omissioni contestate ai ricorrenti fossero gravi o di scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte.

In particolare, il giudice di primo grado non ha chiarito perché le due uniche presunte inadempienze nell’ambito di un’attività biennale di sindaco non altrimenti contestata giustificassero proporzionalmente il rifiuto di pagare per intero i compensi dei due sindaci. In relazione a tale profilo, il decreto impugnato è altresì nullo per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per essere la motivazione solo apparente.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ.; violazione del principio di non contestazione; nullità della sentenza per motivazione inesistente e/o apparente su un punto decisivo del giudizio; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in discussione tra le parti. Lamentano i ricorrenti che il fallimento ha invertito il criterio di riparto dell’onere della prova. Sarebbe stato, infatti, onere del fallimento (presunto danneggiato) fornire la prova del nesso di causalità tra le asserite omissioni del collegio sindacale (non intervento del collegio sindacale per determinare l’autofallimento e mancanza di parere a seguito della decisione della società di proporre concordato preventivo) ed il non meglio precisato danno. In proposito, il mero fatto storico della dichiarazione di fallimento di una società già posta in liquidazione non può essere automaticamente addossato alla responsabilità del collegio sindacale, in mancanza della prova della violazione di un obbligo di legge e dell’esistenza di un danno eziologicamente riconducibile alla suddetta violazione.

Infine, i ricorrenti invocano la violazione dell’art. 115 cod. proc civ. atteso che non avevano alcun interesse giuridicamente rilevante a contestare le condotte omissive loro attribuite, semplicemente perché non erano assolutamente tenuti, per legge, a compiere le attività contestate.

5. Il primo, il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili, anche a norma dell’art. 360 bis cod. proc. civ., pur se la motivazione deve essere parzialmente corretta in diritto, a norma dell’art. 384 ult. comma cod. proc. civ. Ritiene questo Collegio che, ove il sindaco di una società fallita proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali, e ciò in applicazione dei principi in tema di onere della prova nell’adempimento delle obbligazioni enunciati da questa Corte a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n, 13533/2001 (conf. 8615/2006, n. 15659/2011, n. 826/2015, n. 98/2019), che vanno modellati in relazione alla peculiarità delle funzioni del sindaco, che svolge un’attività di vigilanza dell’operato altrui. In particolare, ove sia sollevata l’eccezione di inesatto adempimento, mentre è onere del curatore non solo allegare ma anche provare quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di generale vigilanza esigibile dal sindaco, quanto a quest’ultima egli può limitarsi ad allegare un comportamento specifico e negligente integrante l’inesatto adempimento del sindaco al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società; spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.); questi ultimi, in effetti e a loro volta, non si esauriscono nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge ma comportano l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie.

Questa Corte (vedi Cass. n. 16314/2017; Cass. n. 20651/2019; Cass. n. 32397/2019) ha, infatti, più volte, enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, cod.civ. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 cod. civ.

Dunque, non è richiesto per configurare la responsabilità dei sindaci, che un particolare comportamento, la cui inosservanza è idonea ad integrare una condotta omissiva dell’organo di controllo, sia espressamente previsto dalla legge.

Sussiste, infatti, un obbligo di attivazione e di immediata reazione dei sindaci tutte le volte in cui gli organi amministrativi abbiano compiuto atti di mala gestio, ricorrendo tale fattispecie anche in una situazione, come quella descritta dal decreto impugnato, in cui, in presenza di una situazione gravemente deficitaria della società, gli organi amministrativi non abbiano attuato il cd. autofallimento, così determinando, peraltro, l’aggravamento del dissesto. Va, infine, osservato come l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere (in tutto o in parte) in favore dell’altro contraente che a sua volta non ha adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione e, dunque (salvo il limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006), non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass. n. 12719 del 2021).

Nel caso di specie, non vi è dubbio che al cospetto dell’eccezione sollevata dalla curatela di inesatto adempimento, consistente nella violazione del dovere di vigilanza gravante sul sindaco – non è, invece, contestato in causa il “fatto storico” sul quale si è innestata la deviazione della condotta di generale vigilanza esigibile dal sindaco, ovvero la situazione gravemente deficitaria della società, di entità tale da imporre il cd. autofallimento – era onere dei sindaci ricorrenti dimostrare il corretto adempimento del loro incarico, in punto di una condotta reattiva.

Sul punto, il decreto impugnato ha evidenziato che, a fronte della specifica contestazione formulata dalla curatela in ordine alla condotta omissiva tenuta dai sindaci, questi ultimi nulla hanno allegato sul punto nella prima difesa utile, né hanno formulato richieste istruttorie per dimostrare il loro esatto adempimento Tale condotta processuale non è, tuttavia, idonea – come osservato dal Tribunale – a far ritenere tout court provate le censure sollevate dalla curatela, ma, alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra indicata, dà comunque luogo (ed in questo va corretto, a norma dell’art. 384 ult. comma c.p.c., il decreto impugnato in punto di motivazione) all’inosservanza dell’onere probatorio gravante sui sindaci a seguito della chirara formulazione da parte della curatela dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ.

I ricorrenti non hanno colto tale profilo, limitandosi a formulare censure di merito relative all’omessa valutazione della buona fede della curatela nel rifiuto di adempiere, o alla scarsa importanza dell’asserito contestato loro inadempimento (peraltro non confrontandosi, sul punto, con la precisa affermazione del Tribunale secondo cui le omissioni di vigilanza ed impulso dei sindaci avrebbero aggravato il dissesto), non considerando che, di fronte all’eccezione di inadempimento sollevata dal debitore e come detto, è onere del creditore provare il corretto adempimento della propria obbligazione.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 gennaio 2024.

Depositato in cancelleria ilo 19 febbraio 2024.

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