Le decisioni della Corte di cassazione passano in giudicato al momento della loro pubblicazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|12 febbraio 2024| n. 3752.

Le decisioni della Corte di cassazione passano in giudicato al momento della loro pubblicazione

Le decisioni della Corte di cassazione passano in giudicato al momento della loro pubblicazione, anche quando la formula decisoria sia di cassazione con decisione di merito, senza che rilevi ai fini dell’immediatezza del giudicato la astratta suscettibilità della revocazione per errore di fatto, poiché il rimedio revocatorio non incide sulla formazione della cosa giudicata formale delle pronunce di legittimità, né la funzione nomofilattica può indurre a superare la applicazione del criterio temporale in caso di contrasto di giudicati.

Sentenza|12 febbraio 2024| n. 3752. Le decisioni della Corte di cassazione passano in giudicato al momento della loro pubblicazione

Data udienza 31 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Cosa giudicata civile – Limiti del giudicato – Oggettivi – In genere decisione della cassazione – Passaggio in giudicato – Coincidenza temporale con la pubblicazione – Eccezioni – Insussistenza – Ragioni

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI UMBERTO L.C.G. – Presidente Relatore

Dott. MELONI MARINA – Consigliere

Dott. MERCOLINO GUIDO – Consigliere

Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO – Consigliere

Dott. ABETE LUIGI – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7431/2020 R.G. proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, domiciliato in Roma, (…), presso l’Avvocatura Generale dello Stato (Omissis) che lo rappresenta e difende ex lege

– ricorrente –

contro

Ba.Ca., domiciliata ex lege in Roma, (…) presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. Pa. (Omissis)

– contro ricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1714/2019 depositata il 9.7.2019;

uditi alla pubblica udienza del 31.1.2024 l’Avvocato dello Stato Ma. Gi., per parte ricorrente, e l’Avvocatata Ma. La. per delega scritta dell’Avv. Pa. Pa., per parte controricorrente;

udito il Sostituto Procuratore Generale Mauro Vitiello, che si è riportato alle conclusioni scritte e ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31.1.2024 dal Consigliere Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti.

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FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 9.2.2005 Ba.Ca. citò in giudizio il Ministero dell’Interno dinanzi al Tribunale di Firenze, chiedendo il riconoscimento dell’indennità e dei benefici previsti dalla legge n. 206 del 3.8.2004 in relazione ai danni e alle lesioni invalidanti da lei subite nell’attentato stragistico del 23.12.1994 sul treno rapido 904 Napoli – Milano, in occasione del quale morirono 16 passeggeri e altri 273 vennero feriti.

Il Ministero convenuto si costituì, chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza n.457 del 2008 il Tribunale di Firenze accolse le domande della sig.ra Ba..

2. Avverso la predetta sentenza il Ministero dell’Interno propose due distinte impugnazioni e cioè:

a) il ricorso per cassazione dinanzi alla Corte di Cassazione con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato;

b) l’appello dinanzi alla Corte di appello di Firenze con il patrocinio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze.

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3. Il primo giudizio di impugnazione sub a) si è concluso con la sentenza n.15097 del 17.7.2015 della Corte di Cassazione che, previamente ritenuta la propria competenza in ragione della impugnabilità della sentenza del Tribunale solo in Cassazione, accolse il ricorso, cassò la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinse tutte le domande dell’attrice, condannandola al pagamento delle spese dei due gradi.

4. Il giudizio di appello sub b) si concluse con la sentenza n.1001 del 13.6.2014 della Corte di appello di Firenze che, ritenuta la propria competenza, alla stregua di una diversa interpretazione degli artt.11 e 12 della legge n.206 del 2004, respinse integralmente l’appello, confermando la sentenza di primo grado. Tale sentenza, mai notificata, non è stata impugnata ed è divenuta irrevocabile il 28.7.1995, decorso il termine “lungo” ex art.327 cod. proc. civ. per impugnare e tenuto conto della sospensione feriale dei termini processuali, che per il 2014 era ancora di 46 giorni, prima delle modifiche apportate all’art.1 della legge n.742 del 1969 ad opera dell’art.16 del d.l. 132 del 2014.

5. La sentenza n. 15097/2015 della Corte di Cassazione e la sentenza n.1001/2014 della Corte di appello di Firenze, entrambe in giudicato, hanno deciso le medesime questioni in termini assolutamente contrastanti.

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La prima (sentenza n. 15097/2015 della Corte di Cassazione) ha stabilito:

a) che al caso in esame era applicabile lo speciale procedimento previsto dagli artt. 11 e 12 della legge n. 206 del 2004 che attribuisce al giudice ordinario un sindacato giurisdizionale che per necessità e snellezza esclude l’appello e prevede unicamente il ricorso per cassazione;

b) che la legge n. 206 del 2004, art. 6, prevedeva in favore di coloro cui fosse stato riconosciuto un grado di invalidita in base a criteri e disposizioni della normativa in vigore alla data della legge (nella specie, pacificamente, era stato riconosciuto alla sig.ra Ba. una invalidità del 7%) la sola rivalutazione monetaria, tenuto conto dell’eventuale aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale;

c) che la Corte di merito non aveva considerato tale disposizione, riconoscendo erroneamente la spettanza di altri benefici, previsti dall’art. 14 della stessa legge, sicché dovevano essere accolti in tal senso i primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri nonché il ricorso incidentale, e correlativamente cassata la sentenza impugnata.

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La Cassazione ha quindi deciso nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, e ha rigettato la domanda della signora Ba..

La seconda decisione, e cioè la sentenza n. 1001/2014 della Corte di appello di Firenze:

a) ha affermato invece che lo speciale procedimento previsto dalla normativa speciale si riferisce unicamente alle ipotesi eccezionali -nel caso non sussistenti – di previo accertamento della sussistenza e del grado di lesività degli atti di terrorismo, cosicché, quando mancava tale previo accertamento, le vittime del terrorismo potevano far valere i loro diritti con l’azione avanti al giudice ordinario anche avverso la sentenza di primo grado;

b) ha riconosciuto, alla luce della disposta consulenza medica, il nesso causale fra lo stress conseguente all’attentato stragistico e la sclerosi multipla emersa dopo la decisione della Commissione medica ospedaliera e oggetto della domanda di aggravamento proposta legittimamente da Ba.Ca. nei termini previsti dall’art. 14 della legge n. 206 del 2004.

6. Con ricorso del 22.6.2016 Ba.Ca., sulla premessa che la materia dovesse essere definita alla luce della decisione presa dalla Corte di appello di Firenze con la pronuncia n. 1001/2014, passata in giudicato in data 28.7.2015, successivamente a quella della Corte di Cassazione, divenuta irrevocabile in data 17.7.2015, si è rivolta al Tribunale di Firenze, chiedendo di accertare e dichiarare l’illegittimità del decreto n. 78 del 16.5.2016 emesso dal Ministero, con cui era stato revocato il precedente provvedimento n 360/2014 e per l’effetto emettersi statuizione di condanna a carico dell’Amministrazione convenuta al pagamento dei ratei dovuti all’attrice dalla revoca della provvidenza al ripristino. Superando la resistenza del Ministero, con sentenza n. 1918 del 16.4.2018 il Tribunale di Firenze ha accolto la domanda, compensando le spese di lite.

7. Avverso tale pronuncia il Ministero dell’Interno ha proposto appello avanti alla Corte di appello di Firenze. La Corte toscana del 29.7.2019 ha respinto l’appello a spese compensate.

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La Corte di appello ha sostenuto che:

a) l’art.324 cod. proc. civ. si riferiva essenzialmente alle sentenze di merito perché al momento della sua entrata in vigore non era previsto lo strumento della revocazione delle sentenze di cassazione;

b) in base al disposto dell’art 391 bis cod. proc. civ. in virtù di una interpretazione letterale, coerente con l’impostazione sistematica, le sentenze della Corte di Cassazione, pur soggette al rimedio della revocazione ex art.395, n. 4, cod. proc. civ., nascono già formalmente come passate in giudicato in quanto la predetta disposizione, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevedeva la immediata stabilità delle pronunce della Cassazione. La Corte di appello, richiamandosi poi all’orientamento della Suprema Corte, secondo cui per dirimere un contrasto fra giudicati aventi il medesimo oggetto deve farsi applicazione del criterio temporale, e ciò anche nel caso in cui il giudicato formatosi antecedentemente riguardi una pronuncia della Corte di Cassazione, in quanto la funzione nomofilattica attribuita a quest’ultima deve cedere il passo alle inadempienze delle parti che, come nella specie, non abbiano esperito i mezzi loro consentiti (istanza di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., revocazione), ha rilevato l’intervenuto passaggio in giudicato della pronuncia del giudice di appello in epoca successiva a quella della Corte di Cassazione.

8. Avverso tale sentenza il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito Ba.Ca. con controricorso, eccependone anche la tardività.

9. Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.324, 391 bis e 395 cod. proc. civ. in relazione all’art 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello ritenuto che il disposto dell’art. 324 cod. proc. civ. trovi applicazione unicamente alle pronunce di primo e di secondo grado e affermato che le sentenze della Corte di Cassazione non possono passare in giudicato perché nascenti già con quella qualità.

10. Con il secondo motivo il Ministero ricorrente deduce la violazione dell’art. 65 r.d. n. 12 del 1941, recante l’ordinamento giudiziario, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. per avere la Corte di appello risolto il contrasto di giudicati sulla base del criterio temporale e non sulla base di un criterio funzionale, imperniato sulla funzione nomofilattica affidata al giudice di legittimità.

11. Con ordinanza interlocutoria n.17387 del 16.6.2023 la Corte ha rilevato l’opportunità di rimettere la questione alla pubblica udienza in relazione alle tematiche trattate di rilievo nomofilattico.

Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa. All’udienza pubblica del 31.1.2024 la causa è stata discussa oralmente e trattenuta in decisione.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

12. La controricorrente eccepisce preliminarmente la tardività del ricorso, notificato con atto spedito il 10.2.2020, perché la Sentenza impugnata e stata pronunciata all’udienza del 9.7.2019 alle ore 15.23 a norma dell’art.281 sexies cod. proc. civ., con lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sicché il termine c.d. “lungo” per impugnare ex art.327 cod. proc. civ. prendeva a decorrere dalla sottoscrizione del processo verbale di udienza e scadeva il 9.1.2020, salvo differimento di 31 giorni al 9.2.2020, per la sospensione feriale dei termini come prevista dal d.l. 10.11.2014 n.162.

13. L’eccezione è infondata.

Resti in disparte il fatto che questa Corte ha recentemente chiarito che nelle controversie regolate dal rito sommario, il termine (di trenta giorni) per l’impugnazione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 702 quater cod. proc. civ. decorre, per la parte costituita, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell’art. 281 sexies cod. proc. civ.; in mancanza delle suddette formalità l’ordinanza, a norma dell’art. 327 cod. proc. civ., può essere impugnata nel termine di sei mesi dalla pubblicazione. (Sez. U, n. 28975 del 5.10.2022).

È comunque assorbente e decisivo il rilievo che il giorno 9.2.2020 cadeva di domenica e pertanto ai sensi dell’art.155, comma 4, cod. proc. civ., la scadenza era prorogata al successivo lunedì 10.2.2020.

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14. In sede di discussione orale la controricorrente ha argomentato la tardività del ricorso avversario sotto un diverso profilo, estraneo alla iniziale deduzione, e cioè facendo leva sul rito del lavoro adottato in primo grado dal Tribunale di Firenze con ordinanza dell’8.5.2018, il che determinerebbe la non soggezione della controversia alla sospensione feriale dei termini processuali.

A parte il fatto che nel giudizio di appello, invece introdotto con atto di citazione, non risulta affatto che sia stato seguito il rito previsto per le controversie di lavoro, l’eccezione cosi riformulata sconta un errore di fondo: l’esclusione della sospensione feriale, ai sensi dell’art.2 bis della legge 7.10.1969 n.742, vale per le controversie previste specificamente dagli articoli 429 e 459 del codice di procedura civile e non già per quelle diverse a cui sia applicabile lo stesso rito o addirittura per quelle a cui sia stato di fatto applicato in concreto tale rito.

15. Come precedentemente chiarito, è pacifico che la sentenza della Corte fiorentina n.1100 del 13.6.2014, mai notificata, né impugnata, è divenuta irrevocabile il 28.7.1995.

La sentenza n. 15097 del 17.7.2015 della Corte di Cassazione costituisce quindi il primo giudicato in ordine cronologico, se si ritiene che le sentenze della Corte di Cassazione passino in giudicato al momento della pubblicazione (come propone la sig.ra Ba. e come ritenuto dalla sentenza impugnata); sarebbe invece il secondo, se si aderisse alla tesi prospettata dal Ministero ricorrente.

16. Il punto relativo all’ordine cronologico dei giudicati pare evidentemente fondamentale ai fini di causa poiché la giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte, a cui mostrano di voler far riferimento entrambe le parti contendenti e il Procuratore generale, ritiene che ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere, occorre fare riferimento al criterio temporale: nel senso, cioè, che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, purché la seconda sentenza, contraria ad altra precedente, non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione peraltro ammessa esclusivamente ove la decisione oggetto della stessa non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato (ex plurimis: Sez. 6 – 5, n. 13804 del 31.5.2018; Sez. 3, n. 18617 del 22.9.2016; Sez. L, n. 10623 del 8.5.2009; Sez. 1, n. 2082 del 26.2.1998; Sez. L, n. 997 del 27.1.1993; Sez. lav. n.5311 del 29.8.1986).

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La citata sentenza n.18617 del 2016 chiarisce bene, in un caso di sentenze di appello contrastanti, entrambe impugnate per cassazione con ricorsi l’uno rigettato e l’altro dichiarato inammissibile, che la decisione posteriore doveva essere individuata non già con riferimento alla data della pronuncia della sentenza di appello ma alla data in cui il relativo ricorso per cassazione era stato respinto.

17. Secondo il Ministero dell’Interno, il disposto dell’art. 324 cod. proc. civ. non si applica unicamente alle pronunce di primo e di secondo grado ma anche alle sentenze della Corte di Cassazione, che non nascerebbero quindi già con la qualità del passaggio in giudicato.

L’art.324 cod. proc. civ., in tema di “Cosa giudicata formale” afferma che s’intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395.

Certamente tale disposizione, nella sua formulazione originaria non poteva in alcun modo riferirsi alle sentenze della Corte di Cassazione, che non erano soggette a nessuno dei rimedi impugnatori ivi elencati.

Tuttavia, con sentenza del 30.1.1986, n. 17, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.395 cod. proc. civ., nella prima parte e nel n. 4, laddove non prevedeva la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione rese su ricorsi basati sull’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. e affette dall’errore di cui all’art. 395 n. 4 cod. proc. civ.

È stato quindi introdotto l’art.391 bis cod. proc. civ. ad opera dell’art. 67 della legge 26.11.1990, n. 353, che consente la revocazione delle sentenze (e successivamente anche delle ordinanze) della Corte di Cassazione per errore di fatto ai sensi dell’art.395 n.4 cod. proc. civ., da richiedersi entro sessanta giorni dalla notificazione ovvero entro sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento.

18. È restata invece ferma la non revocabilità delle decisioni della Cassazione, sia nel caso di errore di diritto, sia per il caso di contrasto di giudicati di cui all’art.395, n.5, cod. proc. civ. A più riprese, a tal proposito, è stato escluso il fondamento di qualsiasi dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 391 bis cod. proc. civ. perché l’attuale quadro delle norme sulle impugnazioni assicura pienamente i diritti di difesa e il diritto al giusto processo, apprestando incondizionata possibilità di ricorso ordinario e straordinario a una Corte di legittimità alla quale è attribuita la funzione di decidere in via definitiva sulle controversie e garantendo, nel contempo, l’omogenea interpretazione delle norme, mentre l’esigenza di chiusura dei mezzi di gravame con l’esperimento del ricorso per cassazione è sicuramente una necessità immanente ad ogni sistema processuale, atta a giustificare la non impugnabilità delle sentenze della Corte stessa, qual che sia il grado di esattezza della sua decisione (Sez. 1, n. 9394 del 4.9.1999; Sez. 1, n. 1373 del 8.2.2000;Sez. 1, n. 4708 del 12.5.1999; Sez. 6 – 3, n. 30245 del 30.12.2011; Sez. U, n. 13181 del 28.5.2013; Sez. 6 – 3, n. 8472 del 29.4.2016; Sez. Un. n. 8984 del 11.4.2018; Sez. Un., n. 30994 del 27.12.2017; Sez. 2, n. 23355 del 1.8.2023).

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In particolare, è stato affermato che l’inammissibilità della revocazione delle decisioni della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 395 n. 5 cod. proc. civ. non si pone in contrasto – oltre che con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. – con il diritto dell’Unione europea, non recando alcun vulnus al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l’importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all’autonomia processuale dei singoli Stati membri (Sez. 5 n. 8630 del 28.3.2019; Sez. U, n. 23833 del 23.11.2015; Sez. U, n. 17557 del 18.7.2013; Sez. U, n. 11508 del 10.7.2012).

Principio questo valido anche per le sentenze della Corte di Cassazione che abbiano deciso nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. giacché l’art. 391 ter cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, pur ampliando il novero dei mezzi di impugnazione esperibili avverso dette pronunce, non ha incluso tale ipotesi (Sez. U, n. 23833 del 23.11.2015; Sez. U, n. 17557 del 18.7.2013, sopra citate).

19. La tesi proposta dal Ministero ricorrente è che la modifica normativa che ha ammesso l’impugnazione per revocazione delle decisioni della Corte di Cassazione per errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa abbia comportato l’ulteriore effetto di differire il momento del passaggio in giudicato formale delle decisioni della Corte Suprema a quello in cui anche tale strumento impugnatorio risulta precluso per il decorso del termine per impugnare (sessanta giorni o sei mesi, a seconda della notificazione o meno del provvedimento).

20. Il Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, argomentando però sulla base di considerazioni in parte differenti rispetto a quelle sviluppate dal Ministero ricorrente.

Il Procuratore Generale ha ragionato secondo la stessa linea critica che contrappone le difformi letture offerte dalla sentenza impugnata e dal ricorso del Ministero e ha preliminarmente affermato: “Stante l’indubbia esigenza di risolvere il contrasto di giudicati in essere nella fattispecie in esame sulla base del cd. criterio temporale, si impone la necessità di stabilire se la sentenza della Corte di cassazione 17 luglio 2015, n. 5097 (rectius: 15097), di accoglimento del ricorso del Ministero dell’Interno, debba o meno considerarsi passata in giudicato il giorno della sua pubblicazione (o, il che ai fini che interessano è la medesima cosa, sia formalmente nata come passata in giudicato), senza che possa rilevare la sua astratta assoggettabilità al rimedio della revocazione per errore di fatto. Se così fosse, infatti, dovrebbe considerarsi passata in giudicato in un momento successivo (il 29 luglio 2015) e quindi prevalere, la sentenza della Corte d’appello di Firenze 13 giugno 2014 n. 1001.”

Successivamente il P.G. si è richiamato a un recente arresto delle Sezioni Unite (Sez. un., 24.11.2020, n. 26672) per osservare invece che per la soluzione della questione non sarebbe rilevante inquadrare l’istituto della revocazione ex art. 391-bis previsto per l’errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4 cod. proc. civ., quale mezzo di impugnazione ordinario piuttosto che straordinario e per sostenere che la definizione del rimedio di cui all’art. 391-bis come impugnazione sfugge alla distinzione tra mezzi ordinari e mezzi straordinari di impugnazione, poiché tale distinzione è riferibile soltanto alla cosa giudicata formale, cioè a un ambito che è relativo esclusivamente alla decisione del giudice di merito e non anche a quella del giudice di legittimità.

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Il P.G. aggiunge poi che l’istituto di cui all’art. 391-bis cod. proc. civ. deve essere qualificato come rimedio per il conseguimento della stabilità in relazione alla decisione del giudice della legittimità e che l’impugnazione di un provvedimento della Suprema Corte non appartiene alla logica della cosa giudicata formale, ma a quella più limitata del conseguimento della stabilità della decisione per l’esigenza di tutelare esigenze costituzionali.

Pur se questa premessa, con l’esclusione della necessità per l’acquisto del giudicato del decorso del termine per la revocazione per errore di fatto delle decisioni della Cassazione, parrebbe condurre alle conclusioni della Corte toscana, la Procura conclude invece nel senso che “tale collocazione sistematica, tornando a, caso in specie, non esclude che, delle due decisioni contrastanti, sia quella della Corte di cassazione ad essere divenuta intangibile ed immodificabile in data posteriore; donde la necessità di accogliere il ricorso nel suo primo, assorbente motivo”.

Tale approdo si giustifica – a ben vedere – solo partendo dal presupposto, evidentemente fatto proprio dal Requirente, che si dovrebbe ritenere rilevante per dirimere il conflitto fra due giudicati contrastanti il momento in cui la sentenza della Corte di Cassazione acquista il crisma della intangibilità e immodificabilità per il decorso del termine per l’esperimento del rimedio ex art.391-bis cod. proc. civ., ancorché questo non attenga propriamente allo statuto del giudicato formale di cui all’art.324 cod. proc. civ.

21. La sentenza n.26672 del 2020 delle Sezioni Unite lambiva soltanto i temi in esame e riguardava la diversa questione del termine di decadenza per proporre l’azione di responsabilità civile contro l’operato dei magistrati, previsto dall’art.4, comma 2, della legge n. 117 del 1988: in particolare, allora si discuteva se “proposto ricorso per revocazione avverso una sentenza della Corte di Cassazione che, accogliendo il ricorso, abbia cassato la sentenza impugnata e deciso la causa nel merito, il termine di decadenza per proporre l’azione di responsabilità civile contro l’operato dei magistrati, previsto dalla L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, decorra dalla decisione di merito da parte di questa Corte ovvero dalla decisione sul ricorso per revocazione”.

22. Per rispondere sul punto le Sezioni Unite hanno osservato che: la revocazione per errore di fatto ai sensi dell’art. 391 bis, a differenza di quella prevista dall’art. 391 ter (per i motivi di revocazione di cui dell’art. 395, comma 1, n. 1, 2, 3 e 6 e solo nel caso in cui la Corte di Cassazione abbia deciso la causa nel merito), è soggetta al termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione, ovvero di sei mesi (un anno in base alla disposizione applicabile ratione temporis) dalla pubblicazione del provvedimento;

secondo il comma 5 (originariamente comma 3) dell’art. 391 bis, la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto (disposizione non modificata sul punto né dal D.Lgs. 2.2.2006, n. 40, né dal d.l. 31.8.2016 n. 168 e dalla relativa legge di conversione 25.10.2016, n. 197);

inoltre in caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non è ammessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo;

la sentenza delle Sez. U. n. 11747 del 2019 aveva valorizzato il tenore testuale dell’art. 391 bis, comma 5, e aveva concluso nel senso che, non influendo la revocazione avverso la sentenza di cassazione sul passaggio in giudicato della sentenza impugnata conseguente al rigetto del ricorso per cassazione, il mezzo di cui all’art. 391 bis, non era ascrivibile ai mezzi ordinari di impugnazione, con riferimento al merito della controversia, e pertanto con il rigetto del ricorso per cassazione dovevano intendersi esauriti i mezzi ordinari di impugnazione menzionati dalla legge n. 117 del 1988, art. 4, comma 2;

la giurisprudenza (Sez.5, 17.1.2014, n. 843; Sez.6-5, 17.9.2015, n. 18300) aveva definito la revocazione ai sensi dell’art. 391 – bis come rimedio straordinario di impugnazione, coniando il principio di diritto secondo cui “dall’art. 391 bis cod. proc. civ., commi 4 e 5, va desunta una norma incidente sulla formazione del giudicato, secondo l’art. 324 cod. proc. civ., eccezionale – e quindi di stretta applicazione – per la quale la proposizione di un ricorso per revocazione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata solo ove il ricorso per cassazione sia stato accolto; invece, con ovvia finalità di evitare la proposizione di ricorsi meramente dilatori e diretti a impedire la formazione del giudicato, qualora una sentenza della Corte di Cassazione abbia rigettato il ricorso, e lasciato immutata la sentenza impugnata, tanto per ragioni processuali, quanto per la reiezione dei motivi nel merito, si forma il giudicato, che non è inciso dalla proposizione (o dall’astratta proponibilità) di un ricorso per revocazione”;

questo orientamento coglieva indubbiamente un lato di verità del fenomeno, perché nel caso dell’art. 391 bis, il legislatore ha trasformato la revocazione ordinaria per errore di fatto, da strumento in grado di bloccare la formazione del giudicato, in impugnazione straordinaria, la cui proposizione, al pari della correlativa pendenza del termine di proposizione, non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione;

tale qualifica di impugnazione straordinaria rispecchia in realtà l’assunzione del punto di vista non della decisione di legittimità, ma della sentenza del giudice di merito, perché in quest’ottica la distinzione fra mezzo ordinario e mezzo straordinario di impugnazione risiede nel fatto che il primo ha come riferimento il provvedimento giurisdizionale, mentre il secondo concerne l’effetto di giudicato derivante dall’art. 324 cod. proc. civ.;

indipendentemente dalla prospettiva che si assuma, l’art. 324, che contempla la contemporanea proponibilità di ricorso per cassazione e revocazione per i motivi di cui all’art. 395 cod. proc. civ., n. 4 e 5, si riferisce alla decisione del giudice di merito, l’unica dunque suscettibile di ricadere nel regime della cosa giudicata formale;

l’art. 391 bis, lungi dal derogare all’art. 324 e alle regole ordinarie di formazione del giudicato formale, è norma speculare all’art. 324 (quasi il suo rovescio), perché, collocandosi su un piano diverso da quest’ultima norma, conferma che l’istanza di revocazione del provvedimento di legittimità per il motivo di cui all’art. 395, n. 4, non influisce sul passaggio in giudicato della sentenza impugnata;

l’art. 391 bis è una regola diversa, in grado di configurare la revocazione per il motivo di cui all’art. 395, n. 4, come una impugnazione non preclusiva del giudicato e rappresenta una norma del tutto estranea al fenomeno della produzione della cosa giudicata formale, che incide piuttosto sull’effetto della fattispecie costitutiva del giudicato;

quale disciplina non della formazione dell’atto corrispondente al giudicato, ma del suo effetto, l’art. 391 bis, partecipa in pieno dei mezzi straordinari di impugnazione quali mezzi strumentali al superamento della res iudicata;

se quindi, dal punto di vista della decisione del giudice di merito, è indiscutibile la natura straordinaria del mezzo, l’unilateralità della lettura non coglie la complessità della norma, la quale è il risultato del peculiare bilanciamento di principi costituzionali che viene in primo piano quando il provvedimento asseritamente fonte di danno è quello del giudice di legittimità;

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il bilanciamento viene in rilievo ove si consideri che l’art. 391 bis contempla la specifica tecnica del mezzo ordinario di impugnazione (coerentemente all’originaria natura della revocazione ordinaria), cioè il termine fisso di decorrenza per la proposizione dell’impugnazione (sessanta giorni dalla notificazione ovvero sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento);

il presupposto del termine ristretto di impugnazione è l’immediata rilevabilità del vizio sulla base del provvedimento impugnato e dunque l’estraneità al vizio occulto di cui alle ipotesi contemplate dall’art. 391 ter, le quali, contemplando la possibilità che il vizio sia scoperto anche dopo un tempo considerevolmente successivo alla pronuncia del provvedimento che ne è affetto, rinviano alle modalità di funzionamento del mezzo straordinario di impugnazione, svincolato da un termine determinabile a priori;

la complessità della norma si coglie se si assume il punto di vista non solo della sentenza del giudice di merito, ma anche della decisione della Corte di Cassazione;

la sottoposizione della revocazione ai sensi dell’art. 391 bis a un termine fisso di decorrenza per la sua proposizione, con la preservazione allo stesso tempo dell’effetto di cosa giudicata formale ai sensi dell’art. 324, quanto alla sentenza del giudice di merito, costituisce l’esito del bilanciamento, per il caso di svista percettiva della Corte di Cassazione, fra il principio di ragionevole durata del processo e l’annesso divieto di protrazione all’infinito dei giudizi (art. 111 Cost.) e i diritti fondamentali di difesa di cui all’art. 24 e di eguaglianza (quanto alle norme limitative dell’impugnazione) dall’altra;

la natura tendenzialmente antinomica dei principi in concorso (al valore dell’accelerazione della formazione del giudicato si cumulano peraltro quelli di certezza dei rapporti giuridici e stabilità dei giudicati) e allo stesso tempo la loro equi-ordinazione sul piano del bilanciamento rende la regola processuale in discorso un Giano bifronte, mezzo straordinario di impugnazione dal punto di vista della decisione del giudice di merito, rimedio affidato alla tecnica del termine fisso per la sua proposizione (sul presupposto dell’immediata rilevabilità del vizio) dal punto di vista della pronuncia della Corte di Cassazione;

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la revocazione di cui all’art. 391 bis è mezzo di impugnazione estraneo al tema della cosa giudicata formale, come è ormai chiaro, e dunque sottratto al regime dell’art. 324, circostanza che lo rende mezzo straordinario di impugnazione in relazione alla decisione del giudice di merito;

con riferimento al provvedimento della Cassazione la presenza del termine fisso per la proposizione del rimedio introduce un’autonoma fattispecie processuale di conseguimento della stabilità della decisione, in modo del tutto indipendente dalla problematica della cosa giudicata formale;

dal punto di vista della decisione di legittimità, l’art. 391 bis, costituisce dunque un rimedio per il conseguimento della stabilità, che concerne non la cosa giudicata formale ma l’effetto di definitività derivante dall’inutile decorso del termine posto dalla legge per il ritiro del provvedimento dal mondo del diritto e consegue alla scadenza di un termine;

in conclusione, l’istituto di cui all’art. 391 bis, è mezzo d’impugnazione straordinaria in relazione alla decisione del giudice di merito, è rimedio per il conseguimento della stabilità in relazione alla decisione del giudice di legittimità.

23. La ricostruzione ermeneutica del Ministero non può essere condivisa.

Da un lato, come ritenuto correttamente dalla Corte territoriale, il riferimento dell’art.324 cod. proc. civ. alle decisioni di merito è implicito nella sua originaria formulazione, che ispira una interpretazione del suo contenuto alla luce della storica voluntas legis, che non può essere automaticamente sovvertita per l’introduzione successiva del rimedio revocatorio avverso le decisioni della Cassazione.

Dall’altro, meritano di essere condivise e ribadite nel precedente dell’ordinanza n.18300 del 17.9.2015 della Sez.6-5. In quella sede è stato osservato: che il “passaggio in giudicato” implica una modifica della situazione giuridica di una sentenza, legata al decorso del tempo, consistente nel passaggio, appunto, dalla situazione di sentenza soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione alla situazione di sentenza non più soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione; che nel caso delle sentenze della Corte di Cassazione tale modifica non può verificarsi, giacché esse non sono soggette ai mezzi ordinari di impugnazione; tanto che la revocazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ. perde, nei confronti delle sentenze della Corte di Cassazione, la natura di mezzo di impugnazione ordinario che ha nei confronti delle sentenze di merito e assume la natura di mezzo di impugnazione straordinario.

Secondo il condiviso arresto la sentenza della Corte di Cassazione, dunque, non “passa in giudicato”, ma “nasce già formalmente come passata in giudicato”.

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Il quinto comma dell’articolo 391 bis cod. proc. civ. (ora comma secondo, dopo le modifiche apportate dall’art.3, comma 28, lettera n) del D.Lgs. 149 del 10.10.2022) dispone inoltre che la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto. La disposizione dettata nel sesto comma (ora terzo comma) dell’articolo 391 bis cod. proc. civ., secondo la quale, in caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di Cassazione, non è ammessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo, completa infine quella dettata nel quinto (ora secondo) comma del medesimo articolo.

Nel senso, cioè, che i due commi vanno letti unitariamente come fonte della complessiva disciplina del rapporto tra le vicende del giudizio di merito e l’impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ. delle sentenze della Corte di Cassazione che non abbiano deciso il merito, evidenziando, dunque, la natura straordinaria dell’impugnazione per revocazione delle decisioni della Suprema Corte.

24. L’art. 324 cod. proc. civ. – che concerne il c.d. giudicato formale – si riferisce alle sole sentenze di merito, non solo perché all’epoca della sua introduzione nel codice non vi era ancora l’art. 391 bis cod. proc. civ., che ha introdotto la revocazione anche per l sentenza della Caessazione, ma anche perché la norma contiene l’intero catalogo dei rimedi diretti ad impedire la formazione del giudicato, se esperiti, inequivocabilmente riferibili alle sentenze di merito (appello, ecc.).

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Tra questi anche la revocazione ex art. 395 n. 4 e 5, rientrante tra i mezzi di impugnazione ordinaria, a differenza dei rimedi straordinari (della opposizione di terzo e della revocazione ex art. 395 n. 1, 2, 3, 6 cod. proc. civ.).

Peraltro, le espressioni “giudicato sostanziale” e “giudicato formale” non sottendono altrettanti distinti concetti di cosa giudicata, ma colgono due aspetti dello stesso fenomeno, atteso che il giudicato è propriamente (in senso “formale”) la decisione giurisdizionale non più impugnabile con i rimedi ordinari (art. 324 cod. proc. civ.), cui conseguono determinati effetti sul piano delle certezze giuridiche (art. 2909 cod. civ.), che vengono definiti “giudicato sostanziale” che concerne l’attribuzione del bene della vita (Sez. L, n. 5840 del 3.7.1987).

è evidente che alla incontestabilità della decisione di merito, sul piano formale, fa seguito la definitiva attribuzione del bene della vita, sul piano sostanziale.

Il giudicato formale, una volta realizzatosi, può essere posto in discussione solo per effetto di eventi perturbatori che non si desumono dal contenuto della decisione, ma che possono minarne la stabilità (le impugnazioni straordinarie di cui sopra). In maniera diversa si pone il tema delle impugnazioni con riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione, per il fatto che essa è diretta – in forza degli artt. 111 Cost. e 65 ord. giud. – a svolgere la c.d. “funzione nomofilattica” affidata al vertice dell’ordinamento, che – per definizione – dunque non conosce rimedi sovraordinati.

Il problema si è posto immediatamente con riferimento alla revocazione ex art. 391 bis cod. proc. civ., cui hanno, poi, fatto seguito i rimedi di cui agli artt. 391 ter e – da ultimo – quater cod. proc. civ.

25. La revocazione ex art. 4 dell’art. 395 cod. proc. civ., cui fa riferimento l’art. 391 bis cod. proc. civ. si pone – a differenza dell’omologo rimedio previsto dall’art. 324 cod. proc. civ. – come rimedio straordinario, il cui esperimento non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di cassazione, che nasce già in giudicato, ma ne fa venir meno la stabilità definitiva.

Il che costituisce un rimedio – non tecnicamente una impugnazione – che bene si coniuga con la natura di decisione “di vertice” ascrivibile alla pronuncia di legittimità.

26. Tale connotazione della revocazione ex art. 391 bis cod. proc. civ. si desume anzitutto dalla pronuncia che sul piano genetico ne ha determinato la venuta ad esistenza nell’ordinamento, ossia dalla sentenza n. 17 del 1986 della Corte Costituzionale.

Tale decisione afferma che è indubbio che il diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, risulterebbe gravemente difeso se l’errore di fatto, così come descritto nell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato perpetrato dal giudice cui spetta il potere-dovere di nomofilachia. Né le peculiarità del magistero della Cassazione svuotano di rilevanza il comandamento di giustizia contenuto in detta disposizione perché l’indagine cognitoria cui dà luogo il n. 4 dell’art. 360, non è diversa da quella condotta da ogni e qualsiasi giudice di merito allorquando esamina la ritualità degli atti del processo sottoposto al suo esame. È stato pertanto ritenuto costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art. 24, comma secondo, Cost. – l’art. 395, prima parte, e n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze rese dalla Corte di cassazione su ricorsi (per nullità della sentenza impugnata o del procedimento) di cui al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., e affette dall’errore di cui al n. 4 dell’art. 395 dello stesso codice. La citata sentenza costruisce la revocazione in parola, non come impugnazione in senso tecnico, bensì come una “emenda”, ossia un rimedio per sopperire a errori della Corte consistenti in mere sviste, tuttavia decisive, perché in loro mancanza la decisione sarebbe stata diversa.

A tanto induce anche la scelta sistematica prescelta dal legislatore, che – non a caso – ha accomunato, nell’art. 391 bis, la revocazione all’errore materiale, sebbene – e la soluzione è stata, difatti, criticata – la prima comporti, a differenza del secondo, la caducazione della sentenza, ma non il suo mancato passaggio in giudicato.

Sta di fatto che la norma dell’art. 391 bis non adopera mai la locuzione “impugnare” o “impugnazione”, ma parla sempre di domanda di revocazione: “chiedere la revocazione”, “la revocazione può essere chiesta”.

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È invece, “impugnabile per revocazione”, ai sensi dell’art. 395, n. 1), 2) 3) e 6), “il provvedimento con il quale la Corte ha deciso la causa nel merito”; si è osservato in dottrina che siffatta forma di impugnazione si giustifica con il rilievo che la sentenza di merito della Cassazione è identica alle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, ai sensi dell’art. 395, primo comma, cod. proc. civ., ossia in tal caso – e solo in tal caso – la sentenza della Cassazione è equiparabile ad una sentenza di merito. Tanto è vero che, se la Corte non decide nel merito, il giudicato sostanziale (art. 2909 cod.civ.) è prodotto o dalla sentenza impugnata, se il ricorso è rigettato, o dalla sentenza di rinvio se il ricorso è accolto. Nel caso di decisione nel merito, da parte della Cassazione, è, invece, questa sentenza che produce il giudicato sostanziale, per cui è “impugnabile” per revocazione.

27. La pronuncia delle Sezioni Unite richiamata dal Procuratore Generale non modifica sicuramente questo quadro per quanto concerne l’acquisto della cosa giudicata formale della sentenza di merito in seguito al rigetto disposto dalla Corte di Cassazione del ricorso.

In tal caso, nonostante la teorica della “scissione dei punti di vista”, anche secondo l’arresto in esame delle Sezioni Unite non vi può esser dubbio che il giudicato si produce al momento della pubblicazione della sentenza di legittimità.

Il che rifluisce sul momento di formazione del giudicato, questione rilevante ai fini della prevalenza ut supra consolidata della seconda pronuncia contrastante.

28. Secondo il predetto orientamento, condiviso anche nella requisitoria del P.G., se sulla medesima questione si sono formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, purché la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione peraltro ammessa esclusivamente ove la decisione oggetto della stessa non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato.

Tali pronunce si riferiscono indubbiamente alla formazione del giudicato in senso formale: non potrebbe quindi aver cittadinanza in questa prospettiva il diverso connotato della definitività derivante dall’inutile decorso del termine posto dalla legge per il ritiro del provvedimento dal mondo del diritto, menzionata dalle Sezioni Unite nella sentenza illustrata.

Il fondamento di tale principio va colto nel fatto che – per le decisioni dei giudici di merito – la seconda decisione può essere aggredita con la revocazione ordinaria di cui all’art.395 n.5, cod. proc. civ., il cui termine deve decorrere ai fini della cosa giudicata formale di cui all’art.324 cod. proc. civ. Rimedio questo non ammissibile per le decisioni della Corte di Cassazione, ut supra.

29. Vi è ancora da chiedersi se queste conclusioni, valide per l’ipotesi in cui la Corte di Cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, valgano anche nella diversa ipotesi in cui, a norma dell’art.384, comma 2, ultima parte, dopo aver accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, la Cassazione decide la causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto.

Ipotesi questa che ricorre nella fattispecie concreta del presente giudizio in cui la sentenza n.15097/2015, cassata la sentenza del Tribunale fiorentino, ha deciso nel merito il rigetto della domanda di Ba.Ca. .

30. Il Collegio ritiene che le conclusioni non possono essere differenti e del resto nemmeno la sentenza n. 22672/2020 delle Sezioni Unite distingue fra le due ipotesi.

Se è vero infatti che per effetto del rigetto (o della dichiarazione di improcedibilità o inammissibilità) del ricorso di legittimità è la sentenza di merito a passare in giudicato formale, è altrettanto vero che la sentenza della Cassazione che decide nel merito nasce già in giudicato, salva l’acquisizione di stabilita definitiva solo con il decorso del termine per la revocazione per errore di fatto, che, come si è detto la sottrae alla possibilità di “emenda”. La sentenza della Corte di Cassazione che decide nel merito, dopo aver cassato la decisione impugnata, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, si differenzia solo nel regime delle possibili impugnazioni straordinarie per revocazione nei casi previsti dai n.1, 2, 3 e 6 dell’art.395 cod. proc. civ., ammesse ex art.391 ter e per opposizione di terzo.

Rimedi questi straordinari, peraltro, che non incidono sul regime del giudicato formale di cui all’art.324 cod. proc. civ.

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31. In estrema sintesi, la suscettibilità di revocazione per errore di fatto, quale mera possibilità di emenda, non incide sul passaggio in giudicato delle decisioni della Corte di Cassazione all’atto della loro pubblicazione; non rileva neppure che le sentenze e ordinanze della Corte di Cassazione che decidono la causa nel merito siano soggette alla revocazione per le circostanze non emergenti dalla loro lettura (art.395, n.1,2,3,6), al pari delle sentenze di merito, perché tale rimedio non incide sulla cosa giudicata formale.

32. A tutto ciò consegue che la sentenza 15097/2015 della Corte di Cassazione ha acquisito efficacia di giudicato formale il giorno stesso della sua pubblicazione il 17.7.2015 e dunque prima del passaggio in giudicato, avvenuto solo il 28.7.2015, della sentenza n.1100 del 2014 della Corte di appello di Firenze.

Pertanto il primo motivo di ricorso deve essere ritenuto infondato e va respinto.

33. Con il secondo motivo il Ministero deduce la violazione dell’art. 65 r.d. n 12 del 1941 (recante l’ordinamento giudiziario) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per avere la Corte di appello risolto il contrasto di giudicati sulla base del criterio temporale e non sulla base di un criterio funzionale, imperniato sulla funzione nomofilattica affidata al giudice di legittimità.

Il ricorrente sostiene, cioè, che in caso di contrasto di giudicati la sentenza della Corte di Cassazione, organo supremo di giustizia, chiamato ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale dovrebbe prevalere sulla sentenza di merito contrastante.

34. Il principio non può essere condiviso.

Il primato della Suprema Corte si collega alla funzione di nomofilachia e all’assicurazione dell’uniforme applicazione del diritto, e dunque si àncora allo ius constitutionis che connota le pronunce della Cassazione, non allo ius litigatoris e all’impatto concreto delle decisioni sui rapporti giuridici fra le parti, che non abbiano, come sottolineato dalla Corte gigliata, esperito i mezzi di impugnazione che competevano loro.

Giova a tal proposito ricordare, ad esempio, l’istituto della pronuncia nell’interesse della legge ex art.363 cod. proc. civ., che non incide sul rapporto sostanziale, pur affermando il principio di diritto che regola la fattispecie.

35. Non convince, da ultimo, l’assunto del Ministero – che la controricorrente sintetizza con la formula, garbatamente ironica, “come facevo?” – sulla sua pretesa impotenza nel contrastare con opportuni rimedi processuali il fenomeno delineatosi, che è scaturito- è il caso di ricordare – dalla sua scelta processuale di esperire due strumenti di impugnazione contemporaneamente avverso la medesima sentenza di primo grado, peraltro senza informarne i giudici così investiti (almeno non viene riferito e non risulta che tali informazioni siano state fornite).

A parte il fatto che la sospensione ex art.295 cod. proc. civ. ben poteva essere richiesta anche dal Ministero che pur aveva proposto le due distinte impugnazioni, è pur vero che l’eccezione di giudicato non poteva essere proposta in nessuno dei due giudizi: in quello di Cassazione perché il giudicato del procedimento fiorentino ancora non si era formato (in disparte che il Ministero non vi aveva evidentemente interesse); in quello fiorentino perché il processo si era concluso prima di quello di legittimità.

36. E tuttavia è del tutto evidente, come non ha mancato di sottolineare la difesa controricorrente anche in sede di discussione orale, che il Ministero aveva interesse e veste per impugnare per cassazione la sentenza della Corte toscana del 13.6.2014 che lo vedeva soccombente, sia prima (e cioè dal 13.6.2014 al 17.7.2015), sia dopo la pubblicazione della sentenza della Cassazione n. 15097/2015 del 17.7.2015 (e cioè dal 17.7.2015 al 28.7.2015).

In quest’ultimo lasso di tempo (e cioè dal 17.7.2015 al 28.7.2015) il Ministero poteva inoltre impugnare per revocazione la sentenza fiorentina ai sensi dell’art.395 n.5, a patto di intendere il concetto di “sentenza precedente”, utilizzato dalla norma, come “sentenza passata in precedenza in giudicato” dal momento che ciò che rileva è la forza di giudicato e non l’esistenza della sentenza in sé.

37. Per i motivi esposti il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite, tenuto conto dell’assenza di specifici precedenti che colorano la questione dibattuta come nuova e non a caso sottoposta alla discussione in pubblica udienza per il suo rilievo nomofilattico.

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P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese processuali. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 31 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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