La condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d’erede può convertirsi in un onere o in un legato solo su richiesta di parte

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 marzo 2023| n. 8733.

La condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d’erede può convertirsi in un onere o in un legato solo su richiesta di parte

In tema di successioni testamentarie, la condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d’erede può convertirsi, ai sensi dell’art. 1424 c.c., in un onere o in un legato solo su richiesta di parte, non essendo consentito al giudice attribuire d’ufficio ad una disposizione “mortis causa” una qualificazione giuridica diversa da quella voluta dal testatore e risultante dalla scheda testamentaria. (Nella specie, la Corte ha escluso che la donazione di un immobile del soggetto istituito erede, prevista come condizione sospensiva della disposizione testamentaria istitutiva d’erede, giudicata illecita per violazione del principio della libertà di autodeterminazione del donante, potesse convertirsi d’ufficio in un onere o in un legato a carico dell’erede).

Ordinanza|28 marzo 2023| n. 8733. La condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d’erede può convertirsi in un onere o in un legato solo su richiesta di parte

Data udienza 1 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Successioni – Immobile – Proprietà – Testamento olografo – Donazione – Condizione – Violazione principio di autodeterminazione – Nullità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 4620/2022 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4553/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/03/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

La condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d’erede può convertirsi in un onere o in un legato solo su richiesta di parte

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo di essere proprietari di un immobile in (OMISSIS), loro pervenuto per successione dal rispettivo coniuge e genitore, (OMISSIS), a sua volta beneficiario del testamento dell’omonimo zio (OMISSIS), convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (OMISSIS) per conseguire la condanna al rilascio del bene, oltre al risarcimento dei danni.
Si costitutiva la convenuta che contestava l’autenticita’ del testamento in base al quale il bene era stato acquistato dal dante causa degli attori; aggiungeva che il medesimo non aveva accettato l’eredita’ e che la condizione apposta al lascito non si era avverata, essendo in ogni caso affetta da illiceita’, il che travolgeva l’intera disposizione, essendo l’evento condizionante l’unico motivo per il quale era stata prevista l’attribuzione.
Attesa la tardivita’ della costituzione in giudizio, la (OMISSIS) proponeva autonoma domanda di nullita’ ovvero di inefficacia della disposizione testamentaria, evidenziando che, essendo ella erede legittima del testatore, il bene le era quindi pervenuto a titolo ereditario, in quanto erede testamentaria dell’unica erede legittima del testatore.
Riuniti i procedimenti, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 1863 del 26 giugno 2019 accoglieva la domanda degli attori, rigettando le domande riconvenzionali della convenuta.
Avverso tale sentenza proponeva appello (OMISSIS) cui resistevano gli appellati.
La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 4553 del 9 dicembre 2021 ha rigettato il gravame, statuendo consequenzialmente in punto di spese di lite.
Pacifica l’originaria appartenenza del bene al defunto (OMISSIS), zio del dante causa degli attori, la sentenza d’appello rilevava l’infondatezza del primo motivo con il quale si deduceva che il beneficiario della disposizione testamentaria non avesse accettato eredita’.
Infatti, premesso che il giudice di primo grado aveva qualificato il lascito come legato (il che escludeva la necessita’ di un’accettazione da parte del legatario per l’acquisto della proprieta’), la Corte d’Appello osservava che, anche a voler ritenersi che si fosse al cospetto di una istituzione di erede, tale diversa opzione interpretativa non avrebbe mutato l’esito del giudizio, e cio’ in quanto il dante causa degli attori era deceduto meno di un anno dopo la morte del testatore, cosi’ che il diritto di accettare l’eredita’ era stato in ogni caso esercitato dai suoi successori ex articolo 479 c.c., proprio con la proposizione del giudizio in esame.
Quanto al secondo motivo di appello che atteneva al mancato avveramento della condizione cui era sottoposto il lascito, ed alla illiceita’ della stessa condizione, la sentenza d’appello rilevava che il de cuius aveva previsto che effettivamente l’attribuzione del bene era sottoposta alla condizione che il beneficiario avrebbe dovuto, entro un anno dalla morte del testatore e della sorella (cui era attribuito l’usufrutto sullo stesso bene), donare ad un comune cugino, ovvero a suo figlio, un diverso immobile sempre in (OMISSIS), di proprieta’ del beneficiario della disposizione testamentaria.

La condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d’erede può convertirsi in un onere o in un legato solo su richiesta di parte

Osservava la Corte che la condizione prevedeva l’obbligo per il soggetto istituito di dover donare un proprio bene, ma trattavasi di una condizione che e’ del tutto incompatibile con il requisito essenziale della donazione che e’ quello della spontaneita’ dell’attribuzione.
La condizione veniva quindi ad elidere il principio di autodeterminazione che impone che la volonta’ di donare debba essere del tutto libera, principio che e’ alla base della giurisprudenza che ha ripetutamente ravvisato la nullita’ del preliminare di donazione.
Una volta quindi riscontrata la nullita’ della condizione per la sua illiceita’, dovendo trovare applicazione l’articolo 634 c.c., tale nullita’ nella fattispecie non poteva estendersi all’intera previsione, ma determinava la sola eliminazione della medesima, in quanto non vi era prova che fosse stato l’unico motivo che aveva indotto il de cuius a testare in quel modo.
Infatti, si sarebbe potuto, in assenza di diversi elementi indiziari, ritenere che la disposizione in favore del dante causa degli attori fosse stata voluta al solo fine di arricchire colui che avrebbe dovuto beneficiare della donazione, solo nel caso in cui per effetto dell’adempimento della condizione l’unico a trarre vantaggio economico dalla vicenda fosse stato il donatario, esaurendo il valore della donazione quanto ricevuto dal donante a titolo testamentario.
Ma tale prova non risultava dagli atti cosi’ che l’incertezza circa il carattere esclusivo e determinante della condizione illecita non poteva che condure alla eliminazione della sola condizione, restando quindi efficace l’attribuzione mortis causa.
Una volta dichiarata la validita’ dell’attribuzione in favore del dante causa degli attori, diveniva irrilevante stabilire se la convenuta fosse effettivamente erede testamentaria della sorella del de cuius, alla quale sarebbero potuti eventualmente spettare tutti gli altri beni del testatore, ma con esclusione di quello oggetto di causa invece pervenuto agli appellati.
2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi.
Gli intimati resistono con controricorso.
3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 634 c.c., quanto alla qualificazione come illecita della condizione apposta al lascito in favore del dante causa dei controricorrenti.
Si deduce che la condizione sospensiva che preveda l’obbligo per il beneficiario di donare un proprio immobile, al fine di assicurare l’efficacia della diversa disposizione testamentaria della quale sia stato beneficiato, e’ erronea in quanto parte dal presupposto che sia invalido anche il preliminare di donazione. Si sostiene che in realta’ la dottrina piu’ recente ha del tutto svalutato l’elemento dell’animus donandi, per individuare il nucleo fondante della donazione nell’impoverimento del donante unitamente all’arricchimento del donatario, essendo l’animus ormai degradato a livello di motivi dell’atto.
Si aggiunge, inoltre, che non vi sarebbe nella specie alcuna coartazione della volonta’ del beneficiario della disposizione testamentaria, essendo quindi anche erronea la conclusione in punto di illiceita’ della condizione.
Il motivo e’ infondato.
Occorre in primo luogo evidenziare che era stata la stessa difesa della ricorrente in sede di merito ad inizialmente invocare l’illiceita’ della clausola oggetto di causa, facendo appunto riferimento alla indebita ed illegittima limitazione della volonta’ del beneficiario, costretto a compiere un atto di donazione al fine di assicurare l’efficacia dell’attribuzione mortis causa.
La sentenza di appello ha confermato la valutazione in termini di illiceita’ della condizione sospensiva apposta al lascito oggetto di causa, rilevando in particolare che la medesima, imponeva il sorgere di un vincolo giuridico (l’obbligo a donare) in contrasto con il requisito della spontaneita’ che deve invece connotare la donazione, implicando cio’ una indebita e non consentita ingerenza nel potere di autodeterminazione dell’istituito, in linea con quanto appunto affermato da questa Corte (Cass. n. 8941/2009).
Peraltro, la nullita’ di un obbligo a contrarre una donazione costituisce principio reiteratamente affermato in questa sede gia’ a partire da Cass. S.U. n. 4153/1975, per essere poi stato ribadito da Cass. n. 3315/1979, che ha individuato la ragione della nullita’ proprio nell’attentato al potere di autodeterminazione del futuro donante, che in tal modo sarebbe tenuto a compiere un atto che invece si connota in maniera indefettibile per il requisito della spontaneita’.
La regola e’ stata poi confermata anche di recente sulla base di analoghe considerazioni (Cass. n. 14262/2017; Cass. n. 6080/2022; Cass. n. 11923/2022), essendosi ribadita l’impossibilita’ di poter limitare in maniera cosi’ rilevante il potere di autodeterminazione di una parte, in vista del compimento di un atto che, proprio per il carattere di spontaneita’ che lo connota, non puo’ contemplare alcuna imposizione di carattere negoziale.
Ne deriva che non sussiste la dedotta violazione di legge.
Quanto pero’ alla diversa considerazione secondo cui non puo’ reputarsi in se’ contraria all’ordinamento l’aspirazione del de cuius a che, unitamente al beneficio concesso al dante causa degli attori, fosse avvantaggiato dalla successione anche un diverso soggetto, che avrebbe potuto ricevere la proprieta’ di un bene del primo beneficiato, rileva il Collegio che effettivamente l’ordinamento appresta altri strumenti giuridici per assicurare tale risultato.
In ipotesi il de cuius avrebbe potuto ad esempio prevedere un onere (per chi ritiene che possa essere compatibile con l’onere anche la determinatezza del suo beneficiario, tesi questa avversata dalla dottrina maggioritaria) anche questo posto a carico del soggetto istituito, avente come contenuto quello di trasferire la proprieta’ del bene, ovvero, essendo evidente la consapevolezza in capo al de cuius della proprieta’ del bene da trasferire all’altro cugino in capo al dante causa degli attori, predisporre un legato (oppure un sublegato, ove si ritenga che anche l’attribuzione oggetto di causa rientri nel legato) di cosa altrui.
Tuttavia osta alla possibilita’ di far ricorso a tali diverse soluzioni la precisa qualificazione offerta dal de cuius, per come oggetto di interpretazione, non sindacata, dei giudici di merito, alla condizione testamentaria, istituto questo che gia’ sul piano effettuale e concettuale denota la differenza rispetto ai diversi istituti sopra richiamati (quanto alla differenza tra condizione ed onere, basti solo richiamare la tradizionale distinzione secondo cui la condizione sospende ma non obbliga, mentre l’onere obbliga ma non sospende), atteso che mentre il mancato avveramento della condizione rende inefficace ex tunc la disposizione condizionata, al contrario il mancato rispetto degli obblighi scaturenti dall’articolo 651 c.c., puo’ dar vita ad un obbligo di soddisfare per equivalente la pretesa del legatario, ma senza che sia dato invocare l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferimento della proprieta’.
Gia’ queste significative differenze sul piano dell’operativita’ dei meccanismi di reazione all’eventuale difetto di collaborazione del soggetto onerato rendono evidente come a fronte della nullita’ della condizione oggetto di causa (la cui illiceita’ va valutata non tanto in relazione al risultato finale auspicato dal de cuius sul piano della composizione degli interessi delle parti che intendeva beneficiare, quanto per il ricorso ad uno strumento idoneo a coartare in maniera non consentita la libera autodeterminazione del beneficiato), non sia dato invocare l’istituto della conversione del negozio nullo, ostando a tale conclusione, sul piano processuale, anche il rilievo delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 26242/2014), secondo cui i poteri, anche officiosi, di rilevazione di una nullita’ negoziale non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto, ostandovi il dettato dell’articolo 1424 c.c., – secondo il quale il contratto nullo puo’, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso – atteso che, altrimenti, si determinerebbe un’inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale. Ne consegue che in assenza di una richiesta di parte di procedere alla conversione del negozio nullo, oltre che per le ragioni sopra esposte, non e’ dato convertire la previsione testamentaria affetta da nullita’ in una diversa previsione negoziale ai sensi dell’articolo 1424 c.c..
4. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 626 c.c., in combinato disposto con l’articolo 1362 c.c..
Assume la ricorrente che, anche reputata illecita la condizione oggetto di causa, non potrebbe trovare applicazione la regola sabiniana, che impone di reputare la condizione come non apposta alla disposizione testamentaria, posto che nella fattispecie l’evento condizionante doveva reputarsi essenziale, in quanto costituente l’unico motivo che aveva determinato il testatore a disporre in favore del cugino (OMISSIS).
Si aggiunge che l’essenzialita’ si ricava dalla volonta’ del de cuius di beneficiare anche l’altro cugino, cui (OMISSIS) avrebbe dovuto donare il proprio immobile, con la conseguenza che il giudice di merito e’ pervenuto ad un’erronea interpretazione delle volonta’ testamentarie.
Il motivo e’ inammissibile in quanto attinge, senza che risulti adeguatamente dedotta una violazione delle regole di ermeneutica negoziale, una valutazione esclusivamente riservata al giudice di merito.
Rileva a tal fine che la critica non individua in realta’ l’assoluta implausibilita’ della soluzione interpretativa alla quale e’ approdata la Corte d’Appello, ma si limita ad opporre una diversa soluzione che si ritiene essere quella piu’ appagante e rispondente all’intento del testatore.
Orbene se e’ indubbio che il de cuius intendesse con la donazione avvantaggiare anche un altro soggetto, cio’ pero’ non e’ di per se’ rivelativo del carattere essenziale ed esclusivo dell’evento condizionante, avendo il giudice di appello correttamente evidenziato come a tale conclusione si sarebbe potuti pervenire solo ove, per effetto della donazione cui era obbligato il beneficiario della disposizione oggetto di causa, fosse stato azzerato il beneficio ricevuto, essendo quindi avvantaggiato il solo donatario (ma sul punto si veda anche Cass. n. 16846/2007, secondo cui, ove anche il “modus” a carico del legatario assorba per intero il valore del legato, da cio’ non e’ lecito concludere che un simile onere costituisca l’unico e determinante motivo del legato stesso, ai fini di rendere applicabile la disciplina della nullita’ di cui all’articolo 647 c.c., comma 3, norma che e’ l’omologo quanto all’onere della previsione di cui all’articolo 634 c.c., in tema di condizione), aggiungendo infine che non vi erano altri diversi elementi indiziari dai quali inferire tale volonta’, che comunque, come confermato dalla lettera dell’articolo 626 c.c. (“quando risulta dal testamento”), deve emergere dal testamento e non anche da elementi estrinseci alla scheda, come invece vorrebbe parte ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato (OMISSIS), dichiaratosene anticipatario.
6. Poiche’ il ricorso e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato (OMISSIS), dichiaratosene anticipatario;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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