Scarico senza autorizzazione degli effluenti proveniente dal canile

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|7 settembre 2021| n. 33078.

Scarico senza autorizzazione degli effluenti proveniente dal canile.

In materia di rifiuti, non è sufficiente ad integrare reato la mera consapevolezza, da parte del proprietario del fondo, dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terze persone, emergendo, piuttosto, la ricostruzione di contributi effettivi e consapevoli assicurati dal proprietario, nonché gestore, almeno per la parte inerente i sistemi di sversamento dei reflui e deposito di rifiuti.

Sentenza|7 settembre 2021| n. 33078. Scarico senza autorizzazione degli effluenti proveniente dal canile

Data udienza 27 maggio 2021

Integrale

Tag – parola: Scarico senza autorizzazione degli effluenti proveniente dal canile – Natura di reato – Inapplicabilità dell’illecito amministrato dello scarico delle acque reflue proveniente dall’attività di bestiame

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/02/2020 della corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Mastroberardino Paola che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore dell’imputato avv.to (OMISSIS) che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

Scarico senza autorizzazione degli effluenti proveniente dal canile

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 28 febbraio 2020, riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Messina, del 6 marzo 2019, con la quale (OMISSIS) era stato condannato in relazione ai reati di cui all’articolo 110 c.p., Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137, comma 11 e articolo 256, comma 2 assolvendo la coimputata (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 131 bis c.p. e confermando nel resto la predetta sentenza.
2. Avverso la sentenza suindicata (OMISSIS), tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione.
3. Deduce, con il primo, il vizio di violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 137 e 256 oltre che di contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione. Si osserva come nessun elemento convergerebbe verso il coinvolgimento del ricorrente nella realizzazione del nuovo sistema di smaltimento in contestazione. Ne’ sussisterebbe alcuna affermazione in tal senso da parte dei giudici. Di converso, gli unici dati riconducibili al ricorrente, quali la titolarita’ dell’originaria autorizzazione riguardante l’impianto di depurazione e la legittimazione del medesimo alla manutenzione straordinaria dell’impianto originario, sarebbero irrilevanti rispetto all’accertamento di chi abbia realizzato il nuovo sistema di scarico (in particolare la fossa di sversamento) e di chi materialmente lo utilizzi. Stante tale estraneita’, andrebbe esclusa ogni forma di responsabilita’ del ricorrente; inoltre la corte non avrebbe dato rilevanza alla assenza di note in cui la locataria avesse rilevato il cattivo funzionamento dell’impianto di depurazione, ne’ al fatto che la nuova fossa sarebbe stata realizzata senza avvertire il proprietario ne’ alla assenza di ogni violazione di parametri di scarico.
4. Con il secondo motivo, rappresenta la mancata pronunzia in ordine alle domande proposte con il secondo motivo di gravame. Si rileva come la corte, sulla base di presupposti inesistenti, quali il mancato funzionamento del depuratore e lo sversamento conseguente del refluo nella nuova fossa con violazione dei limiti consentiti, avrebbe sostenuto che la nuova fossa avrebbe integrato un nuovo sistema di scarico di rifiuti, rilevante Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ex articolo 137, comma 11. E si aggiunge la omessa motivazione circa il gravame di cui al n. 2b) dell’atto di appello, secondo cui la prima sentenza avrebbe dovuto essere censurata nella parte in cui si afferma il superamento di limiti di legge in ordine al batterio “escherichiacoli” e nella parte in cui si sostiene che detto superamento costituisce reato. Nonche’ in ordine al gravame di cui al punto 2C), secondo cui la sentenza del tribunale andava censurata per la mancata assimilazione dell’odierno tipo di reflui alle acque reflue domestiche.
5. Con il terzo motivo, deduce la mancata risposta alle domande di cui al terzo motivo di gravame. E si aggiunge che con riguardo alla assoluzione della coimputata ex articolo 131 bis c.p., l’assunto alla base di tale decisione sarebbe contrario alla realta’, essendo stata la societa’ del ricorrente e non l’associazione della (OMISSIS) a provvedere alla sistemazione dell’impianto di smaltimento ed alla sua regolarizzazione.

 

Scarico senza autorizzazione degli effluenti proveniente dal canile

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo e’ inammissibile.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza impugnata ha ricostruito la responsabilita’ del medesimo sulla base di un’analisi del rapporto convenzionale esistente tra la societa’ dell’imputato – titolare della struttura locata in favore della “lega nazionale per la difesa del cane” rappresentata dalla coimputata (OMISSIS) – e quest’ultimo ente: in ragione di espresse pattuizioni, l’Ecol 2000 s.r.l. del ricorrente, oltre ad essere titolare della originaria autorizzazione allo scarico, aveva assunto il compito di curare gli interventi straordinari riguardanti il depuratore e di gestire la relativa manutenzione mediante tecnici incaricati. Inoltre, la fossa in cui erano risultati sversati i liquami e posta a valle del depuratore, era stata costruita in un terreno del (OMISSIS). Si tratta di una motivazione che valorizza una chiara consapevolezza e contributo del ricorrente in ordine al sistema non autorizzato di smaltimento realizzato, lontana dalla mera configurazione di una responsabilita’ di posizione. In altri termini, si e’ al di fuori del principio generale per cui, in materia di rifiuti, non e’ sufficiente ad integrare reato la mera consapevolezza, da parte del proprietario del fondo, dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terze persone (cfr. in tema di gestione o realizzazione di discarica Sez. 4, n. 36406 del 26/06/2013 Rv. 255957 – 01), emergendo, piuttosto, la ricostruzione di contributi effettivi e consapevoli assicurati dal ricorrente, quale proprietario nonche’ gestore, almeno per la parte inerente i sistemi di sversamento dei reflui e deposito di rifiuti presenti, della struttura.
Rispetto a tale motivazione il ricorrente, indugiando sulla personale ricostruzione di un ruolo assolutamente distante dalla gestione, anche solo parziale, della struttura, siccome mero proprietario – locatore, non si confronta, incorrendo nella redazione di un motivo privo di specificita’ estrinseca e quindi inammissibile, atteso che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non puo’ trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Dall’altra parte, inoltre, le censure in esame risultano travolte dalla validita’ delle argomentazioni formulate dai giudici di merito, come illustrate in precedenza.
2. E’ inammissibile anche il secondo motivo, alla luce del principio per cui il vizio di motivazione non e’ configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha piu’ volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) da’ luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non puo’ dar luogo ad alcun vizio di legittimita’ della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’articolo 619 c.p.p., comma 1 che consente di correggere, ove necessario, la motivazione, quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele). Ed invero, quanto alla censura relativa alla insussistenza del reato pur a fronte del superamento del parametro inerente gli “escherichiacoli”, essa e’ manifestamente infondata a fronte di fattispecie di reato, di cui ai capi a) e b), che esulano dalla valutazione di tale dato; come e’ manifestamente infondata quella inerente la mancata assimilazione del tipo di refluo contestato alle acque reflue domestiche, emergendo la gestione di un canile e non di un allevamento di animali, come previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, richiamato articolo 101, comma 7, lettera b). In proposito, occorre precisare che il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 101, comma 7, dispone che “ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:….b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame”.
Si tratta di una disposizione modificata dal Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, articolo 2, comma 8, con la quale sono state eliminate le successive parole “che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformita’ alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantita’ indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”.
In tal modo il legislatore ha parificato, senza limitazioni, alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attivita’ di allevamento del bestiame.
E’ stato osservato che la modifica normativa operata, comportando il venire meno della “connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra” e dei criteri di individuazione di tale connessione, capovolge sostanzialmente i termini della questione rispetto alla disciplina regolata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006. Mentre, infatti, con la normativa pregressa le acque reflue provenienti da una attivita’ di allevamento del bestiame andavano considerate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, come acque reflue industriali, e solo eccezionalmente potevano essere assimilate, ai detti fini, alle acque reflue domestiche. qualora fosse dimostrata la presenza delle condizioni indicate dal Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n. 152, articolo 28, comma 7, lettera b), e poi Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 101, comma 7, ossia quando vi era la prova della connessione del terreno agricolo con le attivita’ di allevamento (Sez. 3, n. 4500 del 17/11/2005, Rv. 233283), nell’attuale assetto normativo, per effetto della caducazione suindicata, l’assimilazione. prevista dell’articolo 101, comma 7, delle acque reflue domestiche a quelle provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame, diviene la regola (cfr in termini Sez. 3, n. 26532 del 21/05/2008, Rv.240552).
Per effetto di tali modifiche si e’ ritenuto, pertanto, sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 133, comma 2, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento. L’unica eccezione rimane quella – richiamata ad excludendum dell’articolo 101, comma 7, – del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 – dell’articolo 112, che regola l’utilizzazione agronomica: per effetto del combinato delle disposizioni del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 101, comma 7, articolo 112 e articolo 137, comma 14, nel caso di gestione degli effluenti di allevamento, infatti, continua a mantenere rilevanza penale la sola utilizzazione agronomica cosi’ come definita dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 74, comma 1, lettera p) – nelle ipotesi in cui la stessa avvenga al di fuori dei casi o dei limiti consentiti.
Consegue che, alla luce della normativa vigente, le acque reflue provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame sono assimilate alle acque reflue domestiche ai fini della disciplina degli scarichi e lo scarico senza autorizzazione degli effluenti d’allevamento non e’ piu’ previsto dalla legge come reato, ma integra l’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 133, comma 2, (Sez.3, n. 26532 del 21/05/2008, Rv.240552; Sez.3, n. 9488 del 29/01/2009, Rv.243112).
La predetta disciplina, tuttavia, come e’ stato gia’ rilevato da questa suprema corte (cfr. Sez. 3, n. 38866 del 30/05/2017 Rv. 271801 – 01) non e’ estensibile allo scarico senza autorizzazione degli effluenti provenienti da un canile.
L’attivita’ svolta nella struttura in esame infatti – di ricovero e custodia cani – e’ un’attivita’ di servizio ben diversa dal mero allevamento, che, secondo la comune nozione, e’ l’attivita’ di custodire, far crescere ed opportunamente riprodurre animali in cattivita’, totale o parziale, per scopi produttivi o commerciali.
La normativa invocata, quindi, non puo’ trovare applicazione nella fattispecie in esame, difettando il necessario presupposto della provenienza dei reflui da impresa dedita all’allevamento del bestiame.
3.Il terzo motivo e’ fondato, essendo rimasta priva di qualsivoglia risposta la richiesta di riconoscimento della fattispecie di cui all’articolo 131 bis c.p..
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello di Reggio Calabria limitatamente all’applicazione dell’articolo 131 bis c.p., con dichiarazione di inammissibilita’ nel resto del ricorso. Va aggiunto che la predetta corte in tale sede non potra’ rilevare l’eventuale decorso della prescrizione. Infatti, qualora la Corte di Cassazione annulli con rinvio limitatamente all’accertamento dell’esistenza della causa di non punibilita’ della particolare tenuita’ del fatto, il giudice di rinvio e’ tenuto a verificare esclusivamente l’applicabilita’ in fatto di tale causa di esclusione della punibilita’, ma non puo’ rilevare l’eventuale decorso del termine di prescrizione, stante la intervenuta formazione del giudicato progressivo in punto di accertamento del reato e affermazione di responsabilita’ dell’imputato (cfr. Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016 Rv. 267590 – 01; Sez. 3, n. 38380 del 15/07/2015 Rv. 264796 – 01 Ferraiuolo).

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilita’ dell’articolo 131 bis c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla corte di appello di Reggio Calabria. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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