Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 1 marzo 2019, n. 9116.
La massima estrapolata:
Ai fini della verifica della legittimità delle intercettazioni disposte in luoghi di privata dimora, ai sensi dell’art. 266, comma 2, c.p.p., che prevede che l’intercettazione sia consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, non si richiede che ex postl’attività criminosa risulti essere effettivamente sussistente, bastando che dell’attività in questione possa, con un giudizio ex ante, ragionevolmente ritenersi la sussistenza all’atto del provvedimento autorizzativo delle intercettazioni.
Sentenza 1 marzo 2019, n. 9116
Data udienza 5 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TARDIO Angela – Presidente
Dott. SIANI Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 01/02/2018 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
sentite le conclusioni del PG MARIA FRANCESCA LOY;
Il PG chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa in data 1 febbraio – 13 marzo 2018, il Tribunale di Palermo, investito della richiesta di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), ha riqualificato la contestazione provvisoria di tentato omicidio in danno di (OMISSIS) nel reato di lesioni personali in concorso, aggravato dall’uso dell’arma e dalle piu’ persone riunite, mentre ha confermato nel resto l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo in data 10 gennaio 2018 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’articolo 56 c.p., articolo 61 c.p., n. 1, articolo 81 c.p., comma 2, articoli 110 e 575 c.p., articolo 577 c.p., n. 3, per avere, in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte – oltre che della suddetta (OMISSIS) – di (OMISSIS), tentato omicidio aggravato dall’avere agito per motivi abietti o futili e dalla premeditazione (capo denominato A), per il reato di cui all’articolo 61 c.p., n. 2, articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7, per avere, in concorso con le stesse persone suindicate, detenuto tre pistole in grado di esplodere proiettili calibro 9, marca Luger, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per compiere il delitto di cui al capo precedente (capo 2), e per il reato di cui all’articolo 61 c.p., n. 2, articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 4 e 7, per avere, in concorso con le stesse persone suindicate, portato in luogo pubblico o aperto al pubblico le pistole succitate, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per compiere il delitto di cui al primo capo (capo 3), fatti avvenuti in (OMISSIS), il (OMISSIS), con la recidiva infraquinquennale per tutti gli indagati.
La contestazione del tentativo di omicidio ha fatto carico ai tre indagati di avere costituito un commando dotato di armi da fuoco finalizzato alla spedizione punitiva a carico di (OMISSIS) e dei suoi familiari, per avere (OMISSIS) allacciato una relazione adulterina con (OMISSIS), compagna di (OMISSIS) (il quale e’ figlio del coindagato), di avere fatto irruzione nello stabile in cui abitava (OMISSIS) e sparato numerosi colpi di pistola anche all’indirizzo di (OMISSIS), sorpresa nella sua abitazione al secondo piano, fino a raggiungere l’abitazione della vittima designata al quarto piano con l’azione conclusiva consistita nell’esplodere contro (OMISSIS) diversi colpi di arma da fuoco, dopo aver percosso sua moglie (OMISSIS) e minacciato la figlia minore (OMISSIS).
Premesso che la difesa dell’indagato aveva proposto richiesta di riesame deducendo la nullita’ o comunque l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni autorizzate con il decreto n. 9/18 per violazione dell’articolo 266 c.p.p., comma 2, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e l’applicabilita’, in subordine, di una misura cautelare meno afflittiva, il Tribunale di Palermo ha emesso l’ordinanza sopra indicata dissentendo dalla difesa dell’indagato su tutti gi indicati versanti, ad eccezione della ricordata riqualificazione, ai fini cautelari, del tentato omicidio contestato per l’azione aggressiva in danno di (OMISSIS).
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di (OMISSIS) chiedendone l’annullamento e adducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si prospettano la violazione dell’articolo 266 c.p.p., comma 2, con conseguente inutilizzabilita’ delle intercettazioni.
Era da reiterare l’eccezione di inutilizzabilita’ delle intercettazioni ambientali autorizzate in violazione dell’articolo 266 c.p.p., comma 2: sulla base degli atti di indagine raccolti fino al momento del decreto che le aveva autorizzate, infatti, non sussisteva una probabilita’ effettiva di consumazione del reato quale presupposto legittimante l’effettuazione delle stesse in uno dei luoghi indicati dall’articolo 614 c.p.; al riguardo era da chiarire che il luogo di privata dimora a cui fare riferimento nel caso di specie era la casa di abitazione di (OMISSIS) e del marito (OMISSIS), in (OMISSIS), non le stanze dell’ospedale, dal momento che anche (OMISSIS) il (OMISSIS) era uscito dal nosocomio contro la volonta’ del sanitari e li’ nulla era stato captato.
Chiarito cio’, gli elementi citati dal G.i.p. nel provvedimento che aveva ratificato le captazioni in esame erano del tutto inconferenti rispetto alla dimostrazione che nel luogo privato di captazione si stesse svolgendo un’attivita’ criminosa da parte dei soggetti intercettati; ne’ l’ordinanza resa dal Tribunale del riesame aveva indicato elementi che, al di la’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) che aveva riferito un’opinione della moglie di (OMISSIS), abitante in diversa unita’ abitativa, facesse emergere un qualsiasi atto di indagine che in quel momento potesse far ritenere sussistente la programmazione di una condotta di rappresaglia nei confronti degli autori dei reati per cui si procedeva, mentre il decreto autorizzativo avrebbe dovuto accertare la funzionalita’ della captazione ad accertare l’attivita’ criminosa in atto; gli altri elementi citati nell’ordinanza impugnata, quale il lancio della sostanza stupefacente in corso di spedizione, non erano idonei a legittimare l’autorizzazione delle intercettazioni, perche’ non riguardavano l’ideazione di un’eventuale attivita’ di rappresaglia; pertanto, l’avvenuta utilizzazione delle captazioni era il frutto dell’aggiramento del divieto di legge, invece sanzionato con l’inutilizzabilita’ dall’articolo 271 c.p.p., al fine di superare l’atteggiamento omertoso delle persone offese.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in tema di gravi indizi di colpevolezza sul punto del tentato omicidio in danno di (OMISSIS), non derubricato in lesioni volontarie aggravate.
Nell’analisi del Tribunale mancava l’autonoma considerazione del contributo che si annetteva alla posizione di (OMISSIS), essendosi prospettato che questi avesse armato la mano del figlio, ma non essendosi poi argomentato in ordine a tutti gli elementi fattuali dai quali potesse ricavarsi l’esistenza di una sua reale partecipazione alla fase ideativa e preparatoria dell’azione criminosa.
Il vizio dell’ordinanza consisteva nell’avere annesso sulla base del materiale captativo il ruolo di istigatore all’indagato, senza tuttavia la precisazione della forma in cui il relativo contributo si sarebbe concretato.
Per altro verso, contrariamente a quanto aveva sostenuto il Tribunale, mancava nella condotta contestata all’indagato il requisito della idoneita’ degli atti, da formularsi secondo il metodo della prognosi postuma; del pari mancava il requisito della univocita’ degli atti, quest’ultimo essendo, non un parametro probatorio, bensi’ una caratteristica oggettiva della condotta, dovendo gli atti stessi rivelare l’intenzione dell’agente.
In particolare, la zona corporea attinta non sorreggeva le conclusioni raggiunte nell’ordinanza impugnata, in quanto non bastava la presenza dell’arteria femorale per ritenere diretti ad uccidere i colpi di arma da fuoco agli arti inferiori: se la vittima fosse morta, avrebbe dovuto discorrersi di omicidio sorretto da dolo eventuale, ma non era vero il contrario, in quanto, se lo sparatore avesse inteso cagionare l’omicidio, avrebbe mirato al bersaglio grosso, essendo peraltro priva di logica l’affermazione che lo sparo diretto alla regione scrotale intendeva provocare l’agonia del leso, atteso che tale affermazione era incompatibile con il numero di circa dieci colpi esplosi. Piuttosto i fori di proiettile presenti sui pensili della cucina e sul televisore a parete autorizzavano la considerazione che l’azione intendeva avere una forte carica dimostrativa, volta a persuadere (OMISSIS) a troncare la relazione clandestina per evitare ulteriori conseguenze.
2.3. Con il terzo motivo si evidenziano erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in tema di ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione.
Premessi i requisiti cronologico e ideologico che costituivano la base della premeditazione, nel caso di specie non risultava acquisito un quadro di elementi di spessore tale da dimostrare, sia pure in termini di gravita’ indiziaria, che (OMISSIS) avesse ideato e sedimentato per un tempo consistente il proposito criminoso mantenendo costante l’obiettivo dell’attentato in danno di (OMISSIS). Al contrario, il rinvio agli argomenti dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare rendeva chiaro che ci si riferiva alle telefonate intercorse nelle ore immediatamente precedenti la sparatoria, senza nemmeno la prefigurazione di un apprezzabile intervallo temporale. Era invece chiara la distinzione fra la mera preordinazione e l’aggravante della premeditazione che, invece, postulava il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, i cui elementi costitutivi non erano stati esposti nella motivazione dell’ordinanza impugnata.
3. Il Procuratore generale ha chiesto rigettarsi l’impugnazione, in quanto i motivi sviluppati dal ricorrente non erano da ritenersi fondati, nessuno degli argomenti svolti essendo tale da incrinare la motivazione resa dal Tribunale del riesame in modo adeguato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene l’impugnazione infondata e, quindi, da rigettarsi.
2. Circa il primo motivo, che contesta la validita’ e l’utilizzabilita’ delle intercettazioni ambientali realizzate in virtu’ dell’autorizzazione espressa da suddetto decreto, occorre considerare che il Tribunale ha contrastato con argomenti congrui e non illogici l’inquadramento proposto dal ricorrente evidenziando che, sin dai primi atti di indagine ritualmente svolti dopo la sparatoria del 2 gennaio 2018, erano emersi concreti elementi di fatto costituenti univoci indizi di ulteriori attivita’ criminose di rappresaglia consequenziali e strettamente connesse alle precedenti: premesso, infatti, che i fatti erano avvenuti in una zona caratterizzata da elevatissima densita’ criminale, con totale chiusura omertosa, nel fabbricato di (OMISSIS), occupato abusivamente da famiglie di pregiudicati molte delle quali legate alla criminalita’ organizzata e dedite ad attivita’ illegali, nel corso del sopralluogo in uno degli appartamenti, da sito non individuato erano stati lanciati un involucro e uno zaino di colore rosso, che era risultato contenere un grosso quantitativo di sostanza stupefacente; inoltre, le dichiarazioni di (OMISSIS) avevano riferito dell’immediata replica alla sparatoria espressa nelle parole della moglie di (OMISSIS), circa la risposta a quell’aggressione da attuarsi con “i mitra”.
Era stato, pertanto, corretto, secondo i giudici del riesame, il ragionamento svolto nel decreto urgente del P.m. che aveva autorizzato le intercettazioni ambientali tanto nel fabbricato di (OMISSIS), quanto anche nelle stanze dell’ospedale dove erano state ricoverate le vittime della sparatoria, sul ragionevole presupposto che in quei luoghi si stesse svolgendo un’ulteriore attivita’ illegale, avente il segno della rappresaglia, cosi’ come corretta era stata la ratifica compiuta dal G.i.p., anche con motivazione per relationem.
Il discorso giustificativo svolto dai giudici del riesame non si appalesa, allo stato degli elementi dedotti e valutati, suscettibile di censura.
Sebbene lo stesso ricorrente abbia alfine evidenziato che le intercettazioni di interesse non siano state captate nell’ambiente ospedaliero (in relazione a cui esse pure erano state autorizzate), va comunque ribadito che, ai fini dell’ammissibilita’ dell’intercettazione di comunicazioni tra presenti, la stanza di degenza di un ospedale non puo’ essere considerata luogo di privata dimora (Sez. 2, n. 10932 del 09/12/2011, dep. 2012, Consalvo, n. m., Sez. 6, n. 22836 del 13/05/2009, Rizzi, Rv. 244148).
In ordine, poi, alle intercettazioni effettuate nel luogo di privata dimora costituito, indubbiamente, dall’abitazione delle persone offese, e’ da osservare che i giudici del riesame hanno congruamente riscontrato i relativi presupposti, sulla scorta dei dati offerti dal provvedimento autorizzativo, in relazione alla situazione determinatasi in quello stabile all’esito del brutale e sanguinoso attentato perpetrato ai danni di (OMISSIS), in uno al ferimento di (OMISSIS), involgente un attacco frontale alla famiglia (OMISSIS), con la concreta probabilita’ del seguito dell’attivita’ criminosa.
Sul punto, l’articolo 266 c.p.p., comma 3, seconda parte, richiede l’emersione del fondato motivo di ritenere che nel luogo di privata dimora sottoposto all’attivita’ di intercettazione si stia svolgendo l’attivita’ criminosa: e si e’ gia’ chiarito che, in tema di intercettazioni ambientali, ai fini della verifica del fondato motivo inerente allo svolgimento di attivita’ criminosa in atto, non puo’ dirsi che tale presupposto non ricorra per il fatto che la presunta attivita’ criminosa risulti essere ulteriore rispetto ai fatti criminosi gia’ emersi a seguito delle indagini pregresse, non essendo siffatta limitazione prevista – ne’ espressamente, ne’ implicitamente – dalla legge, con particolare riferimento all’articolo 266 c.p. (Sez. 3, n. 1165 del 07/12/2001, dep. 2002, Macherpa, Rv. 220671, Sez. 6, n. 3093 del 06/10/1999, Perre, Rv. 215279, Sez. 6, n. 4533 del 21/11/1997, dep. 1998, Avantaggiato, Rv. 210316), non potendo – per altro verso – non riguardarsi la situazione vagliata dal giudice dell’autorizzazione dell’attivita’ captativa intrusiva con riferimento al momento in cui l’atto e’ stato emesso.
Invero, deve considerarsi che ai fini della verifica della legittimita’ delle intercettazioni ambientali disposte in luoghi di privata dimora non si richiede che ex post l’attivita’ criminosa risulti essere effettivamente sussistente, bastando che dell’attivita’ in questione possa, con un giudizio ex ante, ragionevolmente ritenersi la sussistenza all’atto del provvedimento autorizzativo delle intercettazioni (Sez. 2, n. 13151 del 10/11/2000, dep. 2001, Gianfreda, Rv. 218593; Sez 6, n. 7 del 07/01/1997, Pacini Battaglia, Rv. 207364).
I giudici della cautela, sull’argomento, hanno, in definitiva, offerto adeguata motivazione in merito alla situazione determinatasi a seguito del descritto raid, in uno alle epifanie illecite rilevate direttamente nel corso dell’attivita’ di ispezione sopra luogo, e alla – saldamente radicata negli indicati elementi di fatto formulata valutazione, con congruo e non illogico giudizio ex ante, probabilita’ del paventato prosieguo criminoso.
La prima doglianza va, pertanto, disattesa.
3. In ordine alla verifica della gravita’ indiziaria, mette conto evidenziare che il Tribunale ha preso in debita considerazione i rilievi mossi dalla difesa dell’indagato avverso l’ordinanza genetica e hanno reputato l’evenienza dei gravi indizi di colpevolezza con specifico riferimento al tentato omicidio aggravato in danno di (OMISSIS), nonche’ con riferimento ai reati ancillari in tema di detenzione e di porto delle relative armi, pur ridimensionata l’ipotesi di accusa relativamente al reato subito da (OMISSIS).
Sono stati analiticamente ricordati in tal senso:
– il riscontro delle ferite riportate dalla stessa (OMISSIS) e soprattutto da (OMISSIS), entrambi appartenenti alla famiglia (OMISSIS) – (OMISSIS), i cui componenti avevano precedenti di polizia per reati contro il patrimonio e in materia di sostanze stupefacenti;
– l’esito delle ispezioni dei luoghi, con l’esecuzione delle connesse perquisizioni;
– la telefonata sulla linea 113 effettuata da una vicina cabina telefonica che raccontava della “sciarra” con le pistole in mano che aveva visto protagonista (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) (OMISSIS) mentre accusava di tradimento la sua compagna (OMISSIS);
– le indagini seguenti che avevano portato all’accertamento della spedizione punitiva verso la casa di (OMISSIS) compiuta dal suddetto (OMISSIS), unitamente al padre (OMISSIS), e al cugino (OMISSIS), detto “u’ tunisino”, che aveva visto i medesimi – dopo che il primo aveva percosso la compagna e danneggiato la sua abitazione – agire in progressione e, cosi’, esplodere diversi colpi di pistola all’esterno dell’abitazione di (OMISSIS), ubicata al primo piano dello stabile, nonche’ all’interno dell’appartamento di (OMISSIS), ubicato al secondo piano, dove la porta di ingresso era stata perforata da diversi colpi di arma da fuoco e (OMISSIS) era stata ferita a un braccio, e conclusivamente all’appartamento sito al quarto piano dello stabile, dove erano rinvenuti dieci reperti, tra bossoli e ogive, e dove l’abitazione era stata messa totalmente a soqquadro, i fori dei colpi di arma da fuoco erano presenti sui pensili della cucina nonche’ sul televisore a parete e (OMISSIS), accusato di avere intessuto la relazione con (OMISSIS), era stato ferito da tre colpi agli arti inferiori e al basso ventre, con il suo conseguente immediato ricovero presso il nosocomio (OMISSIS), mentre la moglie (OMISSIS) aveva riportato una lieve ferita alla testa, dovuta al verosimile urto contro un oggetto;
– le dichiarazioni di (OMISSIS), le dichiarazioni e il riconoscimento (di (OMISSIS) e (OMISSIS)) fatti dalla minore (OMISSIS);
– l’attivita’ di intercettazione di varie conversazioni, fra cui il colloquio fra (OMISSIS), la moglie (OMISSIS) e il nipote (OMISSIS) in data 8 gennaio 2018, nel corso del quale era indicato con dettagli di condotta (come espone l’ordinanza dalle pagg. da 8 a 14) (OMISSIS), attivo componente del commando, formato anche dagli altri due soggetti gia’ citati, che aveva messo in atto l’azione criminosa;
– i susseguenti elementi tratti dall’informativa della Squadra Mobile di Palermo dell’8 gennaio 2018 che evidenziava altri brani di conversazioni che orientavano nello stesso senso.
I giudici del riesame hanno sono, dunque, pervenuti alla conclusione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in merito al ruolo giocato da (OMISSIS) sottolineando specificamente che questi aveva contribuito a pianificare e realizzare l’evento criminale con finalita’ omicidiaria in danno di (OMISSIS) consegnando persino l’arma da fuoco, attivandosi anche nella fase di pianificazione dell’azione criminale per contattare, allo specifico fine valutativo della portata e degli effetti dell’azione di sangue gia’ cogitata, esponenti autorevoli del contesto mafioso della zona (come da conversazione del 2 gennaio 2018 con (OMISSIS)).
La censura mossa dal ricorrente su tale argomento e’ resistita, pertanto, dalla motivazione resa nel provvedimento impugnato che non ha tralasciato la disamina dei requisiti dell’univocita’ e dell’idoneita’ degli atti diretti contro (OMISSIS) al fine di cagionarne la morte: il Tribunale, disattendendo la diversa opinione del ricorrente, ha ritenuto che i colpi di arma da fuoco diretti alla regione scrotale e alle cosce della vittima, con una successione cronologica di condotte materiali dotate di dirompente capacita’ distruttiva ed espressive di una volonta’ persistente di offendere, erano stati tutti potenzialmente letali, viste le sedi corporee attinte e l’imponente perdita di sangue che dal ferimento degli organi genitali o dalla lesione dell’arteria femorale avrebbe potuto derivare.
Anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo i giudici del riesame risultano aver fornito congrua giustificazione, avendo affermato che certamente da quella condotta era dato desumere il dolo alternativo di omicidio, dal momento che soprattutto il direzionamento dei colpi alla regione scrotale della vittima non era da interpretare nel senso del dolo del mero ferimento, ma nel senso della volonta’ di infliggere maggiore sofferenza all’offeso per provocarne un’agonia piu’ lunga e dolorosa.
Posto cio’, appare conseguente ritenere infondata anche questa censura.
Con specifico riferimento alla contestazione di tentato omicidio di (OMISSIS), l’apparato giustificativo che sorregge l’ordinanza impugnata non risulta destrutturato dalla critica del ricorrente che, per alcuni aspetti, attinge direttamente il piano della valutazione di fatto, proponendo inammissibilmente una ricostruzione del fatto dalla scaturigine del tutto diversa, e, per gli altri aspetti, non appare idonea a superare la motivazione fornita dal Tribunale del riesame, sufficientemente chiara e congrua in punto di ricostruzione della dinamica, alla luce delle circostanze obiettive, dal cui esame si e’ univocamente desunto, allo stato degli atti, il dolo omicidiario alla base della condotta dei componenti il gruppo protagonista della descritta spedizione punitiva: anche quanto al riscontro del dolo, dunque, la motivazione appare adeguata, per il reperimento dei gravi indizi di colpevolezza richiesto nella fase cautelare.
Invero, la figura del dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, e’ compatibile con il tentativo (Sez. 1, n. 5304 del 06/07/2017, dep. 2018, Di Martino, n. m.; Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, Nardelli, Rv. 259465).
Per il resto, assodata la prospettiva congruamente disegnata dai giudici del riesame in ordine alla matrice concorsuale dei fatti delittuosi oggetto di esame, la contestazione della struttura del succitato tentativo di omicidio sollevata dal ricorrente si rivela generica e nemmeno appare persuasiva sotto il profilo logico – stante il catalogo indiziario analizzato nel provvedimento impugnato anche al di la’ del materiale esitato dalle intercettazioni – la critica del ruolo annesso dall’ordinanza al contributo dell’indagato nella spedizione punitiva, contributo peraltro di primario rilievo, considerati gli elementi evidenziati anche in ordine alla fase preparatoria.
4. Le considerazioni svolte non possono che condurre alla conclusione che pure per cio’ che concerne la circostanza aggravante della premeditazione il Tribunale abbia ritenuto la corrispondente evenienza del grave quadro indiziario, sia pure avvalendosi del richiamo delle riflessioni contenute nell’ordinanza genetica (specificamente alle pagine 48 e 49), essendosi in tal senso chiaramente annessa rilevante portata alla nota della Polizia penitenziaria del 4 gennaio 2018 asseverativa dell’intenso intrecciarsi di comunicazioni telefoniche avvenute nella fase antecedente alla spedizione punitiva, interpretata, con apparato giustificativo sufficiente e non illogico, dai giudici della cautela come prova dello svolgimento di una sorta di istruttoria criminale relativamente alle modalita’ e al livello di scontro da prescegliere per la soluzione della situazione determinatasi, generatrice del sentimento vendicativo nei (OMISSIS): quadro indiziario che e’ stato letto – incensurabilmente, per il livello dimostrativo proprio della presente fase e impregiudicato ogni approfondimento necessario nel corso del giudizio di piena cognizione – come univoco indice sintomatico della concreta programmazione dello specifico proposito criminoso, dotata di sufficiente sedimentazione cronologica nonche’ di fermo e risoluto intendimento sotto il profilo ideologico.
Assodato quanto precede, l’adeguatezza della motivazione in punto di gravita’ indiziaria anche sul tema da ultimo affrontato deve essere ritenuta ribadendo il rilievo di carattere generale secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimita’ relativo alla verifica di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex articolo 273 c.p.p.), oltre che delle esigenze cautelari (ex articolo 274 c.p.p.), deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: in particolare, il controllo di legittimita’ non puo’ intervenire nella ricostruzione dei fatti, ne’ sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti e la rilevanza dei dati probatori.
Di conseguenza, non possono ritenersi ammissibili le censure o le parti di esse che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono in realta’ nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito: ove sia, dunque, denunciato il vizio di motivazione del provvedimento cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, la Corte di legittimita’ deve controllare essenzialmente se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza della gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze probatorie (v. sull’argomento Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 1, n. 50466 del 15/06/2017, Matar, n. m.; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Pertanto – acquisita adeguata contezza della sufficienza e coerenza della motivazione resa rispetto ai punti devoluti con i motivi – le critiche svolte dal ricorrente sui corrispondenti argomenti, nella parte in cui si estendono fino a proporre una valutazione di merito di segno diverso da quella, congrua e lineare, adottata dai giudici del riesame, non possono essere ammissibilmente delibate, in quanto sollecitano la reinterpretazione del fatto, non consentita in questa 5. In definitiva, il ricorso, nel suo complesso, va rigettato.
A tale statuizione consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Non comportando la presente decisione la rimessione in liberta’ del ricorrente, segue altresi’ la disposizione di trasmissione, a cura della Cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario di riferimento, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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