Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 21 novembre 2014, n. 48430 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3 dicembre 2012, la Corte d’appello di Ancona ha riformato solo in punto di pena la sentenza del 22 agosto 2012, con la quale il Tribunale di Pesaro ha condannato B.D. in relazione al reato di...
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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 19 novembre 2014, n. 47897. In tema di evasione dagli arresti domiciliari in una fattispecie in tutto sovrapponibile a quella di specie, agli effetti dell'art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante; e ciò al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non alcatorietà (fattispecie in cui l'imputato, all'atto del controllo, si trovava in uno spazio condominiale esterno alla sua abitazione e proveniva da un altro appartamento). E' stato chiarito che il concetto di abitazione comprende sia il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica che le sue pertinenze esclusive. Se ne inferisce che, nel concetto di domicilio, si devono comprendere i terrazzi ed i giardini di pertinenza esclusiva dell'abitazione, ma non gli ambienti condominiali, quali i pianerottoli, le scale ed i cortili interni, in quanto di libero accesso ed in uso da parte di altri, come i condomini e coloro i quali siano legittimati da essi ad accedervi. L'allontanamento dal luogo di restrizione (in regime di arresti domiciliari così come di detenzione domiciliare) può dunque essere legittimamente sanzionato solo ed in quanto il soggetto si allontani dall'abitazione propriamente detta, ovvero dai luoghi che, in quanto in uso esclusivo delle persone che dispongano dell'alloggio, debbano considerarsi a tutti gli effetti parti di essa, in quanto – giusta il delineato carattere di esclusività -precluse all'accesso dei terzi estranei (salvo, ovviamente, il consenso dell'avente diritto)
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 19 novembre 2014, n. 47897 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 maggio 2013, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza dell’11 novembre 2010, con la quale il Tribunale di Gela condannava P.C.O. alla pena di mesi sei di reclusione, in relazione al reato di...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 10 novembre 2014, n. 46282. In caso di uso indebito, per scopi personali, dell'utenza telefonica di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni d'ufficio, ciascuna telefonata compiuta con l'apparecchio di servizio integra un'autonoma condotta di peculato d'uso, rispetto alla quale dovrà dunque essere compiuta la verifica di offensività e, quindi, di rilevanza penale del fatto; ciò salvo che, per l'unitario contesto spaziotemporale, le plurime chiamate non possano ritenersi integrare un'unica ed indivisibile condotta. È invero connaturale alla fattispecie di peculato d'uso che l'agente agisca all'esclusivo fine di fare un uso momentaneo della cosa e che questa, dopo l'uso, sia stata immediatamente restituita. L'elemento della "fisica" sottrazione della res alla sfera di disponibilità e controllo della pubblica amministrazione non è essenziale, in quanto estraneo allo specifico scopo perseguito dal legislatore, di tal che il peculato d'uso risulta configurabile anche nel caso in cui l'apparecchio non esca mai dalla materiale disponibilità della pubblica amministrazione e, nondimeno, il telefono assegnatogli per le esigenze dell'ufficio sia utilizzato dal pubblico agente per fini personali. Tuttavia, proprio la struttura della fattispecie del peculato d'uso, presupponendo l'uso momentaneo, è inconciliabile con un uso prolungato della cosa altrui
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 10 novembre 2014, n. 46282 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 dicembre 2013, la Corte d’Appello di Palermo ha riformato la sentenza del 4 giugno 2012 (in punto di inquadramento giuridico e, di conseguenza, in punto di pena), con la quale il Tribunale di Palermo ha...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 30 ottobre 2014, n. 45068. Non ricorre lo stato di necessità rilevante ex art. 54 cod. pen. in presenza della mera circostanza che un soggetto tossicodipendente versi in crisi di astinenza, trattandosi della conseguenza di un atto di libera scelta e quindi evitabile da parte dell'agente. In tema di cause di giustificazione, l'allegazione da parte dell'imputato dell'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 30 ottobre 2014, n. 45068 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 gennaio 2013, la Corte d’Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del 2 dicembre 2010, con la quale il Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Giulianova, ha condannato alla pena di mesi sei di reclusione...