Sulla possibilità di sospendere e/o revocare l’ordine di demolizione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1822

Massima estrapolata:

Abuso edilizio e sulla possibilità di sospendere e/o revocare l’ordine di demolizione del manufatto (totalmente o parzialmente) abusivo

Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1822

Data udienza 12 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. BASSI A. – rel. Consigliere

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/01/2018 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BASSI Alessandra;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 14 novembre 2016 del Tribunale di Roma, ha riconosciuto all’appellante (OMISSIS) i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, confermando la sua condanna, resa all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 2.800 di multa, in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, (per avere, in concorso con (OMISSIS), illecitamente detenuto per la cessione a terzi grammi 4,2 lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e gr. 0,8 lordi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, rispettivamente sub capi A) e B) della rubrica).
1.1. A sostegno della decisione, la Corte romana ha evidenziato come, stante la riqualificazione operata dal primo Giudice ai sensi del citato articolo 73, comma 5, del reato di cui al capo A) (concernente la detenzione a fini di spaccio della cocaina), detta imputazione risulta assorbente rispetto a quella di cui al capo B), relativa alla detenzione a fini di spaccio della marijuana.
1.2. Posta tale premessa, la Corte distrettuale ha rilevato che la responsabilita’ penale del (OMISSIS) risulta provata alla luce dei plurimi elementi acquisiti a suo carico, segnatamente: a) dalle modalita’ di rinvenimento delle sostanze nella disponibilita’ dell’imputato e del coimputato nel mentre si trovavano all’interno di un abitacolo e, in particolare, dalla suddivisione della cocaina in tredici dosi complessive e dal quantitativo della marijuana da cui erano ricavabili una o due dosi; b) dalla disponibilita’ da parte dei due imputati di somme di denaro di piccolo taglio; c) dal rinvenimento di una busta di cellophane parzialmente tagliata usata per il confezionamento della cocaina; d) dai messaggi contenuti nei telefoni cellulari degli imputati; e) dalle dichiarazioni spontanee da essi rese nell’immediatezza dei fatti e, in particolare, dall’ammissione fatta dal (OMISSIS) circa la finalizzazione della sostanza alla cessione a terzi.
Sotto diverso aspetto, il Giudice del gravame ha evidenziato come gli imputati nulla abbiano dichiarato in sede di interrogatorio di convalida quanto alla destinazione all’uso personale della sostanza, come manchi qualunque certificazione dell’asserito stato di tossicodipendenza e come la distrofia muscolare cui e’ affetto il (OMISSIS) non necessiti, quale cura, dell’assunzione delle sostanze oggetto del presente procedimento.
1.3. Il Collegio capitolino ha infine confermato la congruita’ del trattamento sanzionatorio inflitto dal Tribunale e l’insussistenza dei presupposti per le invocate circostanze attenuanti generiche, stante l’assenza di segni di ravvedimento del prevenuto, la mancanza di alcun comportamento collaborativo nonche’ l’intensita’ del dolo, desumibile dalle circostanze che l’imputato agiva di notte ed utilizzava l’applicativo telegram, strumento funzionale a contattare i clienti ed a cancellare immediatamente i messaggi inviati senza lasciare traccia.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, (OMISSIS) chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge processuale in relazione agli articoli 191 e 266 bis c.p.p., stante la nullita’ e l’inutilizzabilita’ delle comunicazioni telematiche registrate sulla memoria del telefono cellulare acquisito all’esito dell’illegittima ispezione compiuta dalla P.G., comunicazioni acquisite mediante la riproduzione fotografica della schermata delle conversazioni tra l’imputato e un tale (OMISSIS), possibile acquirente. Evidenzia la difesa come si versi un un’ipotesi di inutilizzabilita’ c.d. patologica, in quanto concernente atti probatori acquisiti contra legem – mediante violenza sulle cose ed in violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza di cui all’articolo 15 Cost. -, la’ dove gli agenti operanti avrebbero dovuto procedere con le modalita’ previste per il sequestro ai sensi dell’articolo 354 c.p.p., comma 2.
2.2. Contraddittorieta’ della motivazione in relazione all’articolo 192 c.p.p. con riferimento alla qualita’ indiziaria dei messaggi contenuti nelle conversazioni intercettate. La difesa rileva come dai messaggi acquisiti sul telefono del (OMISSIS) siano ricavabili solo degli indizi, non idonei a provare il fatto-reato, in quanto relativi a conversazioni finalizzate ad accordarsi su cosa fare nel corso della serata, senza alcun riferimento ad alcuna attivita’ illecita, avendo il potenziale acquirente, fra l’altro, affermato di non disporre di denaro.
2.3. Contraddittorieta’ della motivazione per travisamento della prova con riferimento alla ricostruzione della dinamica dei fatti cosi’ come riportata dall’agente di P.G. e come risulta dagli altri elementi di prova. Il difensore si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto provata la finalita’ di spaccio ed il dolo del reato nonostante i molteplici elementi a favore dell’imputato emersi nel corso del giudizio, in particolare: a) l’esito negativo della disposta perquisizione domiciliare; b) l’assenza di strumenti atti al taglio della sostanza; c) la circostanza che lo stupefacente non fosse contenuto in bustine termosaldate; d) le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di interrogatorio; e) quanto dichiarato dall’agente di P.G. (OMISSIS). D’altra parte, censura la mancata confutazione da parte del Giudice del gravame dell’ipotesi alternativa sostenuta dalla difesa, id est l’acquisto della sostanza da parte del (OMISSIS) per uso personale, in considerazione del suo stato di tossicodipendenza e della necessita’ di contrastare, con la marijuana, gli effetti della distrofia muscolare e, con la cocaina, la depressione. Aggiunge che i giudici di merito non hanno proceduto alle dovute contestazioni ex articolo 503 c.p.p., comma 3, delle dichiarazioni spontanee dell’imputato alla P.G. a fronte della diversa versione dei fatti resa durante l’interrogatorio al Giudice. Infine, evidenzia l’erroneita’ della massima d’esperienza utilizzata dal Giudice di secondo grado, allorche’ ha osservato come la disponibilita’ del telegram sul telefonino sia indice di un’attivita’ illecita.
2.4. Erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, nella parte in cui, pur sussistendone i presupposti di fatto, la Corte ha escluso la riconducibilita’ della condotta al c.d. uso di gruppo, nonostante le dichiarazioni dell’agente di P.G. (OMISSIS) in merito all’acquisto da parte dell’imputato e del correo di un quantitativo di droga compatibile con siffatta situazione.
2.5. Erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione nella parte in cui, pur sussistendone i presupposti di fatto, il Collegio di merito ha escluso la finalita’ della roga di cui al capo B) all’esclusivo consumo personale, trattandosi di mezza dose di marijuana detenuta dal solo (OMISSIS).
2.6. Contraddittorieta’ della motivazione per travisamento della prova con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Al riguardo la difesa evidenzia come la Corte abbia omesso di tenere conto del comportamento collaborativo tenuto dal (OMISSIS) sin dall’inizio del procedimento (allorche’ ha riferito da chi e dove si era procurato la sostanza e precisato la finalita’ dell’azione) ed abbia erroneamente misurato l’intensita’ del dolo sulla scorta della mera disponibilita’ dell’applicativo telegram.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato con limitato riguardo alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, quanto alla detenzione di marijuana – con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza sul punto ed eliminazione della relativa pena -, mentre va rigettato nel resto.
2. Non coglie nel segno il primo motivo di natura processuale con il quale il ricorrente ha eccepito la nullita’ e l’inutilizzabilita’ degli esiti delle comunicazioni telematiche registrate sulla memoria del telefono cellulare acquisite all’esito dell’illegittima ispezione compiuta dalla P.G. mediante la riproduzione fotografica della schermata delle comunicazioni intercorse tra l’imputato e tale (OMISSIS), possibile acquirente.
2.1. Nel rigettare la medesima eccezione dedotta in appello, il Collegio territoriale ha fatto ineccepibile applicazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice secondo cui i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’articolo 234 c.p.p., di tal che la relativa attivita’ acquisitiva non soggiace ne’ alle regole stabilite per la corrispondenza, ne’ tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.
Si e’ condivisibilmente evidenziato come ai messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro non sia applicabile la disciplina dettata dall’articolo 254 c.p.p., in quanto tali testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attivita’ di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991).
Ne’, d’altra parte, puo’ ritenersi trattarsi degli esiti di un’attivita’ di intercettazione, la quale postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, la’ dove i dati presenti sulla memoria del telefono acquisiti ex post costituiscono mera documentazione di detti flussi.
2.2. Si deve pertanto affermare il principio di diritto secondo il quale i messaggi whatsApp cosi’ come gli sms conservati nella memoria di un apparecchio cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’articolo 234 c.p.p., di tal che la relativa attivita’ acquisitiva non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza, ne’ tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche, con l’ulteriore conseguenza che detti testi devono ritenersi legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti.
2.3. In applicazione di tale principio di diritto, nella specie, i messaggi rinvenuti nella memoria del telefono cellulare dell’imputato risultano, pertanto, essere stati del tutto legittimamente acquisiti al processo ed utilizzati ai fini della decisione, giusta la loro natura documentale ex articolo 234 c.p.p. e la conseguente acquisibilita’ con una qualunque modalita’ atta alla raccolta del dato, inclusa la riproduzione fotografica.
3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
3.1. Ed invero, nel contestare la ricostruzione storico fattuale della vicenda, l’interpretazione dei messaggi data dai decidenti e la valutazione delle dichiarazioni dei testi operanti nonche’ degli ulteriori elementi a carico, il ricorrente, per un verso, ripropone rilievi gia’ dedotti in appello e non si confronta con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838). Per altro verso, sollecita una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimita’ limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilita’ di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
3.2. D’altronde, il discorso giustificativo svolto a sostegno della conferma del giudizio di penale responsabilita’ si appalesa scevro dai vizi denunciati col ricorso, la’ dove i decidenti di merito hanno attentamente ricostruito i fatti sulla scorta di una scrupolosa analisi delle emergenze delle indagini (in particolare, del contenuto dei messaggi con gli acquirenti e delle modalita’ di confezionamento della sostanza) nonche’ sviluppando un ragionamento immune da vizi logici evidenti.
Non puo’ inoltre sottacersi come il difensore abbia omesso di confrontarsi con il principale elemento a carico rappresentato dalle ammissioni fatte dallo stesso (OMISSIS) (circa la destinazione della cocaina alla rivendita a terzi), con le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell’articolo 350 c.p.p., comma 7. Dichiarazioni pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, atteso che l’articolo 350 c.p.p., comma 7, limita l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni spontanee esclusivamente al dibattimento (Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, Carlucci, Rv. 273642).
4. E’ inammissibile l’ultimo motivo di ricorso, col quale la difesa eccepisce il vizio di motivazione per travisamento della prova con riferimento alla denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
4.1. Come questa Corte ha piu’ volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilita’ di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entita’ del reato e della capacita’ a delinquere dello stesso, sicche’ il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900). Elementi di segno positivo che, nella specie, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto insussistenti, con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici – dunque, insindacabili in questa Sede -, la’ dove hanno evidenziato la gravita’ del fatto ed i precedenti penali dell’imputato.
5. E’ invece fondato il quinto motivo con cui il ricorrente si duole della condanna in relazione alla contestata violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 quanto alla detenzione della marijuana.
5.1. Il Collegio di merito ha argomentato la ritenuta destinazione della sostanza di cui al capo B) ad un uso non esclusivamente personale sulla scorta di considerazioni del tutto laconiche ed assertive. Soprattutto ha omesso di confrontarsi con il dato obbiettivo rappresentato dalla circostanza che (OMISSIS) veniva colto nella flagrante detenzione – oltre al quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in piu’ dosi – di 0,8 grammi di marijuana, pari a mezza dose giornaliera, in assenza di qualunque evidenza della finalizzazione di tale sostanza ad un uso diverso da quello assertitamente personale nonche’ con il fatto, anch’esso obbiettivo, che gli scambi verbali monitorati concernessero la droga c.d. pesante.
5.2. Considerate le esigenze d’economia processuale sottese alla previsione di cui all’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
Tenuto conto del quadro di elementi probatori acquisiti ed acquisibili al processo – cosi’ come attentamente illustrati nella sentenza impugnata -, giudica il Collegio che non sia possibile pervenire, da parte del giudice di rinvio, ad un giudizio di certezza – al di la’ di ogni ragionevole dubbio – circa la finalizzazione di tale sostanza ad una finalita’ vietata. Come il piu’ ampio consesso di questo Giudice di legittimita’ ha gia’ avuto modo di chiarire, nel giudizio di cassazione l’annullamento della sentenza di condanna va invero disposto senza rinvio allorche’ un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226100; Sez. 6, n. 37098 del 19/07/2012, Conti, Rv. 253380).
Il che assorbe l’ulteriore rilievo – fondato – con il quale il ricorrente ha denunciato l’erronea applicazione dell’aumento per la continuazione all’esito della riqualificazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, della condotta di cui al capo A), con conseguente assorbimento in un unico reato della condotta di cui al capo B).
5.3. Stante il disposto annullamento senza rinvio occorre procedere alla rideterminazione della pena, cui puo’ provvedere direttamente questa Corte ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera l).
Applicati gli indici di calcolo gia’ definiti in sede di merito, senza procedere ad accertamenti di fatto o ad operazioni di discrezionalita’ valutativa (ex plurimis Sez. 6, n. 15157 del 20/03/2014, La Rosa Rv. 259253), la pena-base per il reato di cui al capo A) deve essere rideterminata in mesi 9 di reclusione e 3900 Euro di multa, ridotta per il rito sino a mesi sei di reclusione e 2600 Euro di multa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla detenzione di marijuana, perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e ridetermina la pena per la residua imputazione in mesi sei di reclusione ed Euro 2.600,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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