Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47112.
La massima estrapolata:
Il profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, confiscabile anche per equivalente non va individuato nel debito tributario inadempiuto ma nella somma perseguita sottraendo all’erario l’atto di vendita simulato.
Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47112
Data udienza 24 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. ROSI Elisabett – rel. Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/05/2016 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di SASSARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ELISABETTA ROSI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FIMIANI PASQUALE;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore avv. (OMISSIS) in sost. avv. (OMISSIS).
il difensore presente si riporta ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 4 maggio 2016, la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza emessa in data 14 marzo 2013 dal GIP presso il Tribunale di Nuoro, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione e (OMISSIS) alla pena di mesi otto di reclusione, oltre alle pene accessorie, con sospensione ex articolo 163 c.p. e disposto la confisca dei beni mobili registrati e non ceduti alla (OMISSIS) srl in sequestro, nonche’ il denaro depositato nei conti correnti intestati a (OMISSIS) e alla (OMISSIS) srl, fino a concorrenza dell’importo di Euro 741.393,17, in quanto considerati colpevoli dei reati ex articoli 81 cpv e 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 per aver con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, al fine di sottrarsi all’esecuzione esattoriale avanzata da (OMISSIS) s.p.a. per l’importo di 1.083.317,69 Euro, in relazione al mancato pagamento da parte della (OMISSIS) srl di imposte sui redditi, imposte di bollo e IVA per le annualita’ comprese tra il 1992 e il 2007, alienavano simultaneamente i beni della (OMISSIS) srl al fine di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, con le modalita’ meglio specificate nell’imputazione (fatti avvenuti in (OMISSIS) tra il (OMISSIS)).
2. Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione entrambi gli imputati, tramite il proprio difensore di fiducia, con separati atti dai contenuti in gran parte sovrapponibili, avanzando i seguenti motivi:
1) Vizio ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e e) in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 e all’articolo 192 c.p.p.. Con il primo motivo, si lamenta come nel testo della sentenza impugnata non sia in alcun modo illustrata la prova circa l’esistenza e l’entita’ del debito degli imputati nei confronti dell’Erario; pertanto si lamenta sia l’impossibilita’ di configurare il reato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 11 difettando la prova di un suo elemento costitutivo, quale e’ appunto un debito esistente da estinguere, sia l’impossibilita’ di affermare che sia stata raggiunta la soglia di punibilita’ della condotta, non essendo provato l’ammontare del debito stesso. L’esistenza di quest’ultimo sarebbe stata dedotta, secondo la difesa dei ricorrenti, non sulla base di un giudizio rigoroso corroborato da una prova certa, ma dalla sola indagine condotta dal CTU mediante l’analisi degli estratti di ruolo. Palesemente contraddittoria sarebbe pertanto la motivazione dell’impugnata sentenza, laddove ha ammesso l’impossibilita’ di considerare l’estratto di ruolo un titolo esecutivo, in quanto esso non rappresenta un credito certo liquido ed esigibile, ma poi ha fondato su di esso il giudizio di colpevolezza dei ricorrenti. Inoltre, altra contraddizione si rinviene nella parte di motivazione laddove e’ stato dato atto dell’irrituale notifica delle cartelle esattoriali alla (OMISSIS) srl, giunte fuori i termini previsti dalla legge, ma nonostante cio’, non e’ stata affermata l’impossibilita’ per (OMISSIS) spa di procedere all’esecuzione forzata, sebbene risulti pacifico nella giurisprudenza tributaria che l’irrituale o l’inesistente notifica delle cartelle comporta per legge, la nullita’ di tutti gli atti successivi e la decadenza dall’esercizio della potesta’ impositiva. Infine le cartelle esattoriali dalle quali deriverebbe la pretesa creditoria dell’Ente e il debito della (OMISSIS) srl non sono mai state prodotte in giudizio, rendendo impossibile stabilire con certezza sia l’an che il quantum dell’eventuale debito, non ricavabile, come gia’ detto sopra, dal solo estratto di ruolo. Inoltre risulta mancante la motivazione circa l’asserita idoneita’ degli atti di disposizione del patrimonio effettuati dall’ (OMISSIS) srl a favore della (OMISSIS) srl – mediante atto pubblico del 29 luglio 2008 e i successivi atti di cessione – a recare pregiudizio alla fruttuosita’ della procedura di riscossione attivata con le cartelle esattoriali. A tale proposito la difesa degli odierni ricorrenti contesta come il Dr. (OMISSIS), notaio che ha redatto l’atto di cessione, ha ritenuto del tutto congrui e ragionevoli i criteri di stima utilizzati nella cessione del ramo d’azienda, tali da non pregiudicare assolutamente le eventuali ragioni creditorie e le eventuali esecuzioni coattive del credito. Essendo il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte un reato di pericolo concreto, questo pericolo nel caso di specie non e’ stato in alcun modo provato, tanto che i ricorrenti sostengono che se (OMISSIS) spa, dimostrata l’esistenza del credito disconosciuta dal Tribunale di Nuoro, avesse nuovamente azionato le procedure per il recupero del credito, esse sarebbero sicuramente state fruttuose. Nessun indizio circa l’intento fraudolento potrebbe inoltre ricavarsi dalle sole modalita’ di pagamento concordate, che risultano del tutto lecite e dettate dalla logica del mercato e non dal mero legame di parentela sussistente tra i soggetti coinvolti.
2) Inosservanza della legge penale e difetto di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e e) in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, articolo 43 c.p. e articolo 192 c.p.p., per difetto di motivazione circa il dolo specifico di evasione nonche’ l’inesistenza di prove o indizi tali a darne logica dimostrazione. Si sostiene che (OMISSIS) si e’ rivolto ad esperti del settore per procedere alla cessione di azienda, proprio a garanzia della liceita’ dell’operazione, che gli fu confermata tanto dal Dr. (OMISSIS), specialista nel settore, quanto dal gia’ citato Dr. (OMISSIS), notaio e dunque pubblico ufficiale che ha redatto l’atto. Questi dati dimostrano, secondo la difesa, l’assoluta buona fede dei ricorrenti e la totale assenza di intenti fraudolenti, finalizzati a far venir meno le garanzie spettanti allo Stato per la riscossione dei tributi.
3) Inosservanza della legge penale nonche’ difetto di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e e) in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, articolo 240 c.p., articolo 322 ter c.p. e articolo 192 c.p.p.. Il ricorrente (OMISSIS) lamenta, inoltre, l’erroneita’ dell’identificazione del profitto del reato con il credito d’imposta, sia perche’ esso e’ inesistente, alla luce delle considerazioni sopra esposte, sia perche’ la norma di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 e’ diretta a tutelare la conservazione della garanzia patrimoniale del contribuente, per cui il vantaggio economico avrebbe dovuto essere individuato nel valore dei beni alienati e dunque sottratti all’esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che il compito del giudice di legittimita’ non e’ quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Inoltre quando, come nel caso di specie, le due sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cosi’, ex multiis, cfr. Sez. 2, n. 30838 del 19/3/2013, Autieri e altri, Rv. 257056) e tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorche’ i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte in appello con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia’ esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado.
2. Nel caso di specie deve innanzitutto dichiararsi inammissibile il primo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti, il quale ripropone nella sostanza la doglianza gia’ avanzata in appello, circa l’incertezza della prova sugli elementi costitutivi la fattispecie di reato contestata, e alla quale tanto il Tribunale di primo grado, quanto la Corte d’Appello risultano aver ampiamente risposto, con motivazione logica e non contraddittoria. Si ribadisce difatti, nella sentenza impugnata, come tanto l’esistenza del debito, quanto il carattere fraudolento della cessione, lontani dall’essere mere asserzioni presuntive, come sostengono i ricorrenti, sono stati oggetto di specifico accertamento. Il debito e’ stato accertato dai giudici di merito attraverso l’attenta analisi, condotta dal consulente tecnico d’ufficio a tal fine nominato, degli estratti di ruolo presenti agli atti e relativi alle cartelle esattoriali intestate alla (OMISSIS) srl, attraverso la quale e’ stata ritenuta provata l’esistenza del debito di tale ditta nei confronti del Fisco per un importo che e’ risultato essere superiore di molto alla soglia di non punibilita’.
3. Infondata sul punto e’ dunque la questione attinente alla invalidita’ a fini di prova nel processo penale dell’estratto di ruolo. Invero, la motivazione della sentenza impugnata riporta la definizione data da questa Corte, seppure in ambito civile, dell’estratto di ruolo, inteso come “fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale e deve contenere tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria, sicche’ esso costituisce prova idonea dell’entita’ e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale anche ai fini della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato e, quindi, della verifica della giurisdizione del giudice adito” (Cass. Civ. Sez. 6 – 3, Ord. n. 11028 del 09/05/2018, Rv. 648806, Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 11794 del 09/06/2016, Rv. 640105). Dunque non solo e’ possibile determinare il debito dall’analisi degli estratti di ruolo, ma il giudice d’appello ha sottolineato che le cartelle esattoriali in quanto notificate, dovrebbero trovarsi nella disponibilita’ dei destinatari. Quanto alla sentenza del Tribunale che avrebbe accolto, secondo quanto affermato dai ricorrenti, l’opposizione presentata avverso le cartelle esattoriali, va rilevato che essa si pronuncia solo sulla irritualita’ dell’iniziata procedura esecutiva, non anche sull’esistenza sostanziale del debito di cui si discute.
4. Le medesime considerazioni possono essere svolte anche in merito all’asserita mancanza di prova circa l’intento fraudolento della cessione. Anche sul punto i giudici di seconde cure, concordando con quelli di primo grado, hanno ricostruito e spiegato con motivazione adeguata ed affatto illogica, gli elementi dimostrativi del carattere simulato della cessione, quali la non congruita’ del prezzo di cessione, la sua mancata corresponsione alla societa’ cessionaria, lo svuotamento apparente dai beni materiali e immateriali di (OMISSIS) srl, mentre sostanzialmente le indagini hanno evidenziato che degli stessi i ricorrenti continuavano a disporre nella sostanza, ovvero che di alcuni ne veniva riacquistata la titolarita’ poco tempo dopo attraverso ulteriori cessioni ad altre societa’, che rientravano, comunque, nel gruppo (OMISSIS), l’assenza di specifica struttura aziendale e di un organico adeguato allo svolgimento di qualsiasi attivita’ della societa’ cessionaria.
5. Inoltre va ribadito che in tema di reati tributari, la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 11) e’ diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, articolo 97, comma 6, in quanto, a fronte della medesimezza sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale, rappresentata dall’attivita’ fraudolenta, la nuova fattispecie, da un lato, non richiede il presupposto materiale prima previsto dall’abrogata disposizione, ossia che l’amministrazione tributaria abbia gia’ compiuto un’attivita’ di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilita’ del reato, ossia la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva (cfr. Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia Rv. 239971).
6. Ugualmente inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso, anch’esso avente ad oggetto valutazioni di merito non proponibili in questa sede di legittimita’, a fronte dell’esaustiva motivazione offerta sul punto dalla sentenza impugnata. I giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza di molti elementi dimostrativi della conoscenza da parte degli imputati delle pretese tributarie avanzate dal fisco nei loro confronti, primo fra tutti il giudizio di opposizione alle cartelle esattoriali ed hanno accuratamente descritto le concrete modalita’ con le quali e’ stata realizzata la cessione, ritenute dai giudici di merito dimostrative delle finalita’ fraudolente della cessione stessa.
7. Circa il terzo motivo, anch’esso inammissibile, va qui ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte in base al quale il profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 confiscabile anche nella forma per equivalente, non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, bensi’ nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere viene perseguita (in tal senso, Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015, Trust e altro, Rv. 265036). I giudici di merito hanno fatto applicazione del principio sopra ricordato, perche’ hanno identificato il profitto confiscabile con il reale valore dei beni sottratti al fisco attraverso la cessione simulata, valore che, in base agli elementi a disposizione dei giudicanti, risultava essere ben lontano dai 50.000,00 Euro menzionati nel ricorso, in quanto con la cessione non sono stati trasferiti soltanto i beni mobili e l’avviamento (con valori sottostimati), ma altresi’ una serie di contratti di appalto che davano diritto a percepire somme dall’ammontare complessivo di Euro 1.897.617,63 ed una serie di crediti gia’ maturati da riscuotere da numerosissimi enti e societa’ appaltanti. Il valore dei beni da confiscare e’ stato dunque stabilito in 741.393,17, non perche’ il profitto del reato e’ stato individuato in corrispondenza con gli importi del debito verso l’Erario, ma in correlazione al valore della cessione.
In considerazione della manifesta infondatezza di tutti i motivi, entrambi i ricorsi devono dichiararsi inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche’ della somma di Euro 2000,00 ciascuno alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 ciascuno alla Cassa delle Ammende.