Corte di Cassazione, penale, Sentenza|12 maggio 2021| n. 18371.
In tema di sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L” detenuti dall’indagato e destinati alla commercializzazione, in caso di annullamento, in sede di riesame, del provvedimento di convalida del sequestro per mancanza di motivazione sulle finalità probatorie, ai fini della legittimità del diniego della restituzione delle cose sequestrate in quanto riconducibili a quelle per le quali è prevista la confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240, comma secondo, n. 2), cod. pen., non è sufficiente l’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ma occorre accertare l’efficacia drogante della sostanza, che integra l’intrinseca pericolosità della cosa, e il relativo onere della prova grava sul pubblico ministero.
Sentenza|12 maggio 2021| n. 18371. Sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L”
Data udienza 29 aprile 2021
Integrale
Tag – parola chiave: sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L” – Sostanze stupefacenti – Sequestro probatorio – Infiorescenze di cannabis – Decreto di convalida – Annullamento – Restituzione della res – Rigetto dell’istanza – Confisca ex art. 240 cp – Ragioni – Sostanza stupefacente – Cannabis sativa L. – Legge 242 del 2016 – Liceità della coltivazione – Limiti – Commercializzazione dei derivati – Destinazione ad usi diversi da quelli tassativamente indicati – Art. 73, DPR 309 del 1990 – Configurabilità – Sussistenza – Legittimità della confisca – Condizioni – Effetto drogante della sostanza – Onere della prova – A carico dell’Accusa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente
Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere
Dott. DAWAN Daniela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 05/11/2020 del TRIB. LIBERTA’ di TORINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. EUGENIA SERRAO;
sentite le conclusioni del PG Dr. FIMIANI PASQUALE, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L”
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 18 luglio 2019 il Tribunale di Torino aveva annullato il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero in ordine a svariati quantitativi di infiorescenze di cannabis rinvenuti all’interno di un esercizio commerciale adibito alla vendita di derivati dalla canapa gestito da (OMISSIS), ritenendo preclusiva all’adozione della misura l’omessa indicazione, in parziale accoglimento della richiesta di riesame svolta da quest’ultimo, delle finalita’ probatorie delle merci individuate come corpo del reato, ma aveva rigettato la richiesta di restituzione affermando che si trattasse comunque di materiale soggetto alla confisca obbligatoria ex articolo 240 c.p.. Sul ricorso proposto da (OMISSIS) per violazione di legge per diniego di restituzione di merci prive di capacita’ drogante. la Sezione Terza Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 29101 del 14 settembre 2020, aveva annullato l’ordinanza del Tribunale del riesame ritenendo che il Collegio sabaudo avesse omesso di esaminare il profilo di doglianza concernente l’elemento oggettivo del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, fondante il divieto di restituzione dei beni.
2. Ha ritenuto la Corte di legittimita’ che “vertendosi in tema di commercializzazione al pubblico dei derivati della cannabis (stante l’oggetto del revocato sequestro probatorio, costituito dalle inflorescenze di canapa rinvenute nell’esercizio commerciale gestito dal ricorrente munito delle prescritte autorizzazioni per la vendita), intanto puo’ ritenersi sussistente il reato di cui all’articolo 73 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in quanto si accerti, secondo il principio di offensivita’, l’efficacia drogante o psicotropa della sostanza detenuta per la vendita, ancorche’ astrattamente non esclusa da un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dalla L. 2 dicembre 2016, n. 242, articolo 4, commi 5 e 7, (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956), Pur precisandosi che, secondo il vigente quadro normativo, l’offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. integrano la fattispecie incriminatrice ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, ritiene il Supremo Collegio di questa Corte di legittimita’ che si imponga in ogni caso l’effettuazione della puntuale verifica della concreta offensivita’ delle singole condotte, rispetto all’attitudine delle sostanze a produrre effetti psicotropi, alla luce del canone ermeneutico fondato sul principio di offensivita’, il quale, come puntualizzato nella citata pronuncia, opera anche sul piano concreto, esigendo “la verifica della rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione”. E cio’ in conformita’ ai principi reiteratamente affermati nelle precedenti sentenze di questa Corte in tema di configurabilita’ del reato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, secondo cui le condotte di cessione di sostanze stupefacenti assumono rilevanza penale e sono percio’ sussumibili nella fattispecie incriminatrice in esame non in forza della percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensi’ dell’idoneita’ della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante, risultando escluse dalla rilevanza penale quelle condotte afferenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore (cfr. ex multis Sez. 3, n. 47670 del 09/10/2014, Aiman, Rv. 261160).
Sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L”
Naturale corollario di tale opzione interpretativa e’ la ricaduta dell’onere probatorio, gravando necessariamente sull’organo dell’accusa la dimostrazione, analogamente a quanto avviene per la dose destinata allo spaccio, o comunque oggetto di cessione, che il principio attivo contenuto,ella sostanza sia di entita’ tale da poter produrre in concreto un effetto drogante. Essendo stata, dunque, lasciata aperta la verifica della liceita’ della condotta in corrispondenza della soglia della concreta capacita’ drogante, espressamente sganciata dalla forbice tra lo 0,2 e lo 0,6 per cento prevista per l’esenzione di responsabilita’ dell’agricoltore di cui alla menzionata L. n. 242 del 2016, non puo’ percio’ ritenersi sufficiente l’accertamento, pur contenuto nell’impugnata ordinanza, relativo alla percentuale di THC riscontrata tra lo 0,43% per la canapa “Pine Apple” e lo 0,40% per le altre inflorescenze: la suddetta verifica deve essere, infatti, ineludibilmente accompagnata da quella concernente la capacita’ drogante delle stesse sostanze, in quanto necessaria a configurare la natura medesima di corpo del reato presupposta tanto per l’apposizione quanto per il mantenimento del vincolo”.
3. Il Tribunale del Riesame di Torino, quale giudice del rinvio, ha ritenuto sussistente il fumus della condotta penalmente rilevante indicata nell’ipotesi accusatoria sul presupposto che, alla luce della normativa vigente e delle argomentazioni svolte dalla Corte di Cassazione a,Sezioni Unite nella sentenza n. 30475/2019, sia possibile affermare che il commercio o anche solo la messa in vendita di cannabis configuri a tutti gli effetti il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, fatti salvi i casi in cui la condotta appaia sin da subito manifestamente inoffensiva per assenza della capacita’ drogante della sostanza. Secondo il tribunale, mentre l’accertamento chimico finalizzato a stabilire se la sostanza sia idonea a provocare effetti droganti o psicotropi costituisce la prova della sussistenza del reato, ai fini del giudizio circa il fumus commissi delicti e’ sufficiente la dimostrata commercializzazione o messa in vendita della canapa in assenza di elementi dai quali emerga in termini manifesti l’inoffensivita’ della condotta.
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4. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per essere la motivazione solo apparente. La sentenza di annullamento della Corte di Cassazione aveva invitato il tribunale ad effettuare un nuovo esame ribadendo che l’onere probatorio in ordine al fatto che il principio attivo contenuto nella sostanza sia di entita’ tale da produrre effetto drogante gravasse sul pubblico ministero. Il Tribunale del Riesame di Torino ha disposto non farsi luogo alla restituzione ritenendo sussistente, quantomeno a livello di fumus, il delitto di cui all’articolo 73 Testo Unico Stup. La motivazione a sostegno di tale decisione e’, secondo il ricorrente, apparente in quanto il tribunale non ha spiegato sulla base di quali elementi abbia tratto la convinzione del fumus del delitto contestato ed abbia affermato che vi sia una “ragionevole apparenza” della sussistenza del reato, non esplicitando le circostanze, diverse dalla quantita’ di principio attivo, a sostegno di tale affermazione.
Con un secondo motivo deduce violazione della L. 2 dicembre 2016, n. 242 e del Decreto Legislativo n. 21 maggio 2018, n. 75. Secondo il ricorrente, l’elencazione delle attivita’ previste dalla L. n. 242 del 2016, articolo 2, comma 1 non e’ tassativa, come si evince dalla diversa formulazione dell’articolo 2, comma 3, del medesimo testo, ove e’ utilizzato l’avverbio “esclusivamente”; non essendo l’elencazione di cui all’articolo 2, comma 1, tassativa, ne deriva l’impossibilita’ di ritenere che foglie, infiorescenze, oli e resine venduti da soli o in forma composta non siano compresi tra i prodotti dei quali e’ consentito l’utilizzo di derivati della canapa. Inoltre, in attuazione del Decreto Legislativo n. 75 del 2018, con Decreto Ministeriale Politiche Agricole Alimentari e Forestali 23 luglio 2020 la canapa sativa L. e’ stata inserita nell’elenco delle piante officinali, chiarendosi che e’ consentito l’uso estrattivo dell’infiorescenza della canapa; da cio’ si desume che le sostanze inserite non sono stupefacenti, salvo diversa dimostrazione e, conseguentemente, la possibilita’ di commercializzare liberamente le infiorescenze della canapa. Tale assunto e’ confermato anche dalla Circolare 22 maggio 2018 del medesimo Ministero, ove si legge che le infiorescenze della canapa, pur non essendo citate espressamente dalla L. n. 242 del 2016 ne’ tra le finalita’ della coltura ne’ tra i suoi possibili usi, devono ritenersi rientrare nell’ambito dell’articolo 2, comma 2, lettera G) ossia nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo. Sotto altro profilo, al fine di dimostrare che con la L. n. 242 del 2016 si intendesse consentire la commercializzazione dell’intera pianta e non di alcune sue parti, nel ricorso si richiama quanto affermato dall’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Europea il 14 maggio 2020 nella causa C-663/2018, da cui si puo’ desumere che sono riconosciuti come prodotti leciti dal diritto comunitario, senza alcuna distinzione fra le parti della pianta, anche gli oli di CBD, come affermato anche dalla Corte di Giustizia con la sentenza n. 141 del 19 novembre 2020, che ha fatto proprie le conclusioni dell’Avvocato Generale. Sarebbe, secondo il ricorrente, irragionevole ritenere penalmente lecita la coltivazione di un prodotto e penalmente illecita la sua cessione. Contesta, dunque, le conclusioni alle quali sono pervenute le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 30475/2019 secondo cui la cessione, la vendita e, in generale, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione della cannabis sativa L. quali foglie, infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’articolo 73 Testo Unico Stup. anche a fronte di un THC inferiore ai valori indicati dalla L. n. 242 del 2016, articolo 4, commi 5 e 7, salvo che tali derivati siano in concreto privi di efficacia drogante e psicotropa secondo il principio di offensivita’. La Corte muove dal presupposto che la canapa sativa L. sarebbe pianta avente di per se’ effetto psicotropo o stupefacente, tanto da ritenere irrilevante il valore di THC, ma tale impostazione indica che il legislatore avrebbe consentito la commercializzazione di una sostanza con efficacia stupefacente e psicotropa. Dovendosi prescindere dal valore di THC occorre, dunque, indicare quale sia il criterio per desumere l’efficacia drogante di tale sostanza. La corretta interpretazione della disposizione di riferimento, secondo il ricorrente, indica un’area di liceita’ penale per il coltivatore, desumibile dalla L. n. 242 del 2016, articolo 4, qualora sia in possesso di sostanza con THC compreso fra lo 0,2 e lo 0,6%, in quanto a fronte dell’accertamento di tali valori sono anche vietati il sequestro o la distruzione; anche nel Decreto Legislativo n. 75 del 2018 la forbice di principio attivo prevista per la liceita’ della commercializzazione della canapa quale pianta officinale e’ ancora compresa tra lo 0,2 e lo 0,6%. Contesta, dunque, il principio nominalistico in quanto contrastante con il dettato normativo e con la giurisprudenza della Corte Europea, rilevando che la L. n. 242 del 2016 e il Decreto Legislativo n. 75 del 2018 hanno disciplinato una tipologia del tutto diversa da quella contemplata dal Testo Unico Stupefacenti, rendendo tale coltivazione lecita ove eseguita nel rispetto dei limiti di THC stabiliti dalle norme richiamate.
Con un terzo motivo deduce violazione dell’articolo 25 Cost., dell’articolo 6, comma 2, CEDU e dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera a), in quanto il giudice del rinvio non ha rispettato il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento ed ha, di fatto, invertito l’onere probatorio in spregio ai principi sopra richiamati, essendosi limitato a ribadire di non poter tenere conto del valore di THC in concreto emergente dagli esami tossicologici, prossimo allo 0%, senza fornire indicazioni su diverse ed ulteriori modalita’ di accertamento dell’efficacia drogante e ha inoltre affermato che il fumus sarebbe da rinvenire nel fatto che la difesa non ha dimostrato “la totale inidoneita’ della canapa ad influenzare l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore”.
5. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
6. Il difensore ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L”
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato per le ragioni che seguono.
2. Va premesso che, a norma dell’articolo 325 c.p.p., il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse ai sensi dell’articolo 324 c.p.p., richiamato per il sequestro probatorio dall’articolo 257 c.p.p., puo’ essere proposto soltanto per violazione di legge. Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Ferazzi, Rv. 22671001), nel concetto di violazione di legge puo’ comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’articolo 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicita’ della motivazione, che e’ prevista come autonomo mezzo di annullamento dall’articolo 606 c.p.p., lettera e), ne’ tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi successivamente dalle stesse Sezioni Unite (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 23969201, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonei a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice).
3. Va, quindi, rammentato che, nel giudizio di rinvio dinanzi al tribunale del riesame, il giudice e’ tenuto ai sensi dell’articolo 627 c.p.p. a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia di annullamento, restando vincolato alle valutazioni ed alle richieste di integrazione sul piano motivazionale dalla stessa formulate. E nel caso in esame, premesso che “grava necessariamente sull’organo dell’accusa la dimostrazione che il principio attivo contenuto nella sostanza sia di entita’ tale da poter produrre in concreto un effetto drogante e che e’ lasciata aperta la verifica della liceita’ della condotta in corrispondenza della soglia della concreta capacita’ drogante, espressamente sganciata dalla forbice tra lo 0,2 e lo 0,6 per cento prevista per l’esenzione di responsabilita’ dell’agricoltore di cui alla menzionata L. n. 242 del 2016”, era chiesto al Tribunale dei Riesame, quale giudice del rinvio, di verificare la natura di corpo del reato necessaria per il mantenimento del vincolo, “non essendo a tal fine sufficiente l’accertamento, pur contenuto nell’impugnata ordinanza, relativo alla percentuale di THC riscontrata tra lo 0,43% per la canapa “Pine Apple” e lo 0,40% per le altre inflorescenze”.
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4. Sulla base di tali premesse, il primo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilita’ laddove deduce, sotto l’egida dell’apparenza motivazionale, un inammissibile vizio di motivazione contestando l’iter logico-argomentativo seguito nello sviluppo della decisione (Sez. 5, sentenza n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 24812901, per la quale, in tema di riesame delle misure cautelari reali, il ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, puo’ essere proposto solo per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione apparente, ma non per mero vizio logico della stessa).
5. Il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
5.1. La Corte di Cassazione, nel suo massimo consesso, ha recentemente affermato che la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensivita’ (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 27595601). Le Sezioni Unite, dopo un ampio esame della normativa di riferimento nazionale ed Europea, hanno attribuito natura tassativa all’elenco contenuto nella L. n. 242 del 2016, articolo 2, comma 2, con riguardo ai prodotti che possono essere lecitamente ottenuti dalla coltivazione agroindustriale di cannabis sativa L.. Tanto e’ stato affermato sul presupposto che si tratta di prodotti che derivano da una coltivazione che risulta consentita solo in via di eccezione, rispetto al generale divieto di coltivazione della cannabis, penalmente sanzionato. Tale convincimento e’ stato rafforzato dalla considerazione che la stessa disposizione derogatoria, di cui all’articolo 26, comma 2, Testo Unico Stup., nel delimitare l’ambito applicativo della ricordata eccezione in cui si colloca l’intervento normativo del 2016, fa espresso riferimento alla finalita’ della coltivazione, che deve essere funzionale “esclusivamente” alla produzione di fibre o alla realizzazione di usi industriali, “diversi” da quelli relativi alla produzione di sostanze stupefacenti. Le Sezioni Unite hanno, inoltre, affrontato il tema delle soglie di percentuali di THC che, secondo alcuni orientamenti, costituivano il discrimine della liceita’ della commercializzazione dei suddetti prodotti. Venivano in considerazione, cioe’, i valori indicati dalla L. n. 242 del 2016, articolo 4, commi 5 e 7, per la coltivazione della canapa, volti a tutelare esclusivamente l’agricoltore che, pur impiegando qualita’ consentite, nell’ambito della filiera agroalimentare delineata dalla legge, coltivi canapa che, nel corso del ciclo produttivo, risulti contenere, nella struttura, una percentuale di THC compresa tra lo 0,2 e lo 0,6 %, ovvero superiore a tale limite massimo. Il comma 5 stabilisce invero che, nel primo caso, nessuna responsabilita’ e’ posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla legge; il comma 7, nel prevedere la possibilita’ che vengano disposti il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa che, se pure impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla legge, presentino un contenuto di THC superiore allo 0,6%, ribadisce che, anche in tal caso, e’ esclusa la responsabilita’ dell’agricoltore. Secondo le Sezioni Unite, erroneamente le richiamate percentuali di THC sono state valorizzate, al fine di affermare la liceita’ della commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., ove contenenti percentuali inferiori allo 0,6 ovvero allo 0,2%. Pertanto, la commercializzazione di cannabis sativa L. o dei suoi derivati, diversi da quelli elencati dalla legge del 2016, puo’ integrare il reato di cui all’articolo 73, commi 1 e 4, Testo Unico Stup., anche se il contenuto di THC fosse inferiore alle concentrazioni indicate all’articolo 4, commi 5 e 7, della legge del 2016 (Sez.4, n. 48650 del 24/10/2019, Rosato, in motivazione).
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5.2. Il Decreto Ministeriale 23 luglio 2020, sia pure attuativo di atto avente forza di legge (Decreto Legislativo n. 75 del 2018), non contiene una disposizione idonea, per il suo contenuto, ad abrogare parzialmente la norma penale in quanto si limita a menzionare la canapa sativa infiorescenza destinata ad usi estrattivi tra le piante officinali; in relazione, peraltro, alle attivita’ di coltivazione, raccolta e prima trasformazione a scopo medicinale o per la produzione di sostanze vegetali. Permane, con evidenza, la rilevanza penale dell’attivita’ di vendita sul libero mercato di estratti dalle infiorescenze di canapa sativa L. destinati al consumo ed aventi effetti droganti.
5.3. Quanto alla citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (n. 141/2020), essa non si’ pone in contrasto con il “diritto vivente” sopra ricordato ma si limita ad affermare che “Gli articoli 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del Cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento”, in tal modo facendo salva la persistenza di divieti finalizzati alla tutela della salute pubblica (cfr. sul tema del bene della salute individuale o collettiva protetto dalla normativa in materia di stupefacenti, l’innovativa pronuncia Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep.2020, Caruso, in motivazione). Peraltro, occorre considerare che il CBD di cui tratta la detta pronuncia e’ un componente chimico della cannabis, che pacificamente non ha effetti stupefacenti a differenza del THC, sicche’ anche sotto questo profilo la sentenza citata non ha effettiva incidenza sulla concreta fattispecie di cui trattasi (Sez. 4, n. 10012 del 25/02/2021, Diaz, in motivazione).
6. Con riguardo al terzo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.
6.1. E’ noto che la verifica delle condizioni di legittimita’ della misura cautelare reale da parte del tribunale del riesame non puo’ tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilita’ della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilita’ tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravita’ degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, Mariano, Rv. 21584001).
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6.2. Tuttavia, nel caso in esame, si tratta di valutare la riconducibilita’ del vincolo reale ad uno dei “casi indicati nell’articolo 240 c.p., comma 2”, secondo la previsione dell’articolo 324 c.p.p., comma 7, che consente che il divieto di restituzione ivi previsto sia esteso al piu’ alle ipotesi di confisca previste da norme speciali, ma comunque riconducibili, nella sostanza, alla categoria dell’articolo 240 c.p., comma 2. In altri termini, alle cose intrinsecamente pericolose, in quanto la detenzione o l’uso di esse assume di per se’ carattere criminoso e per le quali la restituzione e’ comunque esclusa ben al di la’ della fase cautelare e indipendentemente dall’esito del giudizio di merito (Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019, Bellucci, in motivazione).
6.3. Oggetto di riesame e’, dunque, la legittimita’ del divieto di restituzione ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2 alla luce del principio di diritto espresso nella sentenza di annullamento.
L’elemento fornito dall’accusa, consistente nell’accertamento tecnico della percentuale di THC riscontrata sulle infiorescenze sequestrate, non e’ stato ritenuto sufficiente, spettando all’accusa fornire specifica indicazione degli elementi concretanti l’intrinseca pericolosita’ della sostanza sottoposta a vincolo.
6.4. Il Tribunale e’, invece, pervenuto a ritenere sussistente il presupposto per il mantenimento del vincolo limitandosi ad affermare che la messa in vendita di cannabis configura il reato previsto dall’articolo 73, comma 5, Testo Unico Stup., fatti salvi i casi in cui la condotta appaia sin da subito manifestamente inoffensiva per assenza della capacita’ drogante della sostanza, ferma restando la necessita’ di un accertamento chimico che dimostri che la sostanza e’ idonea a provocare effetti droganti o psicotropi, come se oggetto di giudizio fosse ancora il fumus commissi delicti in relazione al sequestro probatorio gia’ annullato.
7. In conclusione, con specifico riferimento ai profili d’intrinseca pericolosita’ della sostanza sottoposta a vincolo reale ai fini del diniego di restituzione del bene che costituisce, secondo l’autorita’ procedente, corpo del reato, l’ordinanza impugnata deve essere annullata per omesso rispetto del principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, con conseguente rinvio al Tribunale di Torino, quale giudice del riesame. Il giudice del rinvio sara’ tenuto ad esaminare le circostanze del caso concreto sottoposte al suo esame dalla pubblica accusa a sostegno della legittimita’ del vincolo reale ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Torino.
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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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