Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 5 febbraio 2019, n. 5679.
La massima estrapolata:
La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex articolo 444 del Cpp relativa al reato di manipolazione del mercato, successiva alla sanzione amministrativa per gli stessi fatti, va rivista per il principio del bis in idem solo se il cumulo tra sanzione amministrativa e penale è sproporzionato rispetto ai fatti commessi, e, dunque, tale da far saltare il sistema del doppio binario.
Sentenza 5 febbraio 2019, n. 5679
Data udienza 9 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTEMBRE Antonio – Presidente
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/10/2016 del TRIBUNALE di TORINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FIMIANI PASQUALE, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori:
l’avv. (OMISSIS) conclude per il rigetto del ricorso cosi’ come da conclusioni che deposita unitamente alla nota spese;
l’avv. (OMISSIS) conclude per l’inammissibilita’ del ricorso, cosi’ come da conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese;
l’avv. (OMISSIS) conclude per l’inammissibilita’ del ricorso cosi’ come da conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese;
l’avv. (OMISSIS) sia in proprio che in qualita’ di sostituto degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), si associa alle conclusioni degli altri difensori e deposita conclusioni scritte e nota spese;
l’avv. (OMISSIS) conclude come da conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese;
l’avv. (OMISSIS) conclude per l’inammissibilita’ cosi’ come da conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese;
l’avv. (OMISSIS), difensore dell’imputato, insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza di patteggiamento emessa il 25 ottobre 2016, il Tribunale di Torino in composizione collegiale ha applicato a (OMISSIS) – per i reati di false comunicazioni sociali di cui all’articolo 2622 cod. civ. e manipolazione di mercato Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 185 (Testo Unico della Finanza, d’ora in avanti T.U.F.) – la pena finale di anni tre di reclusione ed Euro 200.000 di multa, previo riconoscimento della continuazione tra i due reati e concessione delle circostanze attenuanti generiche; il Tribunale ha dichiarato non esigibile la pena pecuniaria in virtu’ dell’articolo 187-terdecies T.U.F., avendo gia’ l’imputato corrisposto la sanzione amministrativa, capiente rispetto a detto importo, irrogatagli in via definitiva dalla CONSOB per la violazione ex articolo 187-ter T.U.F.. Oltre che essere condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute dalle numerosissime parti civili costituite, l’imputato si e’ visto applicare dal Giudice del patteggiamento le pene accessorie di cui all’articolo 186 T.U.F. per la durata di un anno e quattro mesi.
2. Giusto quanto si evince dalle contestazioni riportate in sentenza, (OMISSIS) era stato tratto a giudizio per i reati di cui all’articolo 2622 cod. civ. e articolo 185 T.U.F. di cui doveva rispondere, in concorso con altri soggetti separatamente giudicati, in qualita’ di direttore generale di (OMISSIS) s.p.a., responsabile Direzione Corporate Center e servizi liquidativi e Direzione Generale Assicurativa – Ramo danni, membro di fatto del Consiglio di amministrazione di (OMISSIS) s.p.a. dal maggio 2010 e Amministratore Delegato di (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) dal 27 gennaio 2011 al 30 ottobre 2012.
2.1. Secondo le contestazioni della pubblica accusa recepite dal Giudice del patteggiamento, la prima fattispecie riguarda il bilancio civilistico 2010 della (OMISSIS) s.p.a., approvato il 28 aprile 2011, rispetto al quale si contesta:
1) l’appostazione, nel prospetto di stato patrimoniale, alla voce riserva sinistri, di un importo inferiore a quello corretto, per una differenza di Euro 636.000.000, in violazione del Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209, articolo 37, comma 5;
2) l’omessa indicazione, nella nota integrativa – in violazione del disposto di cui all’articolo 2423-bis c.c., comma 1, n. 6 e comma 2, – di informazioni collegate alla quantificazione della riserva sinistri (quali il cambiamento dei modelli attuariali, l’elevata incidenza, ampiamente superiore a quella media di mercato, delle riaperture sinistri e l’esclusione, ai fini della quantificazione della stessa riserva, delle generazioni 2008 e 2009).
Il tutto – secondo la contestazione – aveva alterato la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria di (OMISSIS) s.p.a., comportando il superamento delle soglie di legge ed un grave nocumento alla platea dei risparmiatori.
2.2. L’altra condotta vede (OMISSIS) imputato, in concorso con altri separatamente giudicati, del reato di cui all’articolo 110 cod. pen. e articolo 185 T.U.F. commesso il (OMISSIS), diffondendo o, comunque, non impedendo la diffusione dei dati falsi del bilancio consolidato 2010 di (OMISSIS) Sai – secondo quanto contestato al capo 1) -, dati idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo (OMISSIS) S.p.A. e di quello della controllata (OMISSIS) s.p.a..
3. La scelta dell’imputato di patteggiare era maturata, nel dibattimento che lo vedeva imputato con altri soggetti, ad istruttoria gia’ avanzata, dopo che il pubblico ministero aveva riformulato le contestazioni; il Collegio torinese aveva preso atto dell’istanza di rito alternativo e, all’udienza del 17 luglio 2015, aveva separato la posizione di (OMISSIS) da quella dei coimputati, decidendo di differire la deliberazione sulla proposta di patteggiamento all’esito del giudizio ordinario, per evitare situazioni di incompatibilita’. Piu’ precisamente, una prima richiesta di patteggiamento era stata depositata presso il Tribunale di Torino il 15 luglio 2015, avendo incassato il consenso del pubblico ministero il giorno 14; una seconda richiesta ex articolo 444 cod. proc. pen., su cui e’ annotato un “parere favorevole” del pubblico ministero, risulta depositata il 7 luglio 2016; in calce a quest’ultima la difesa formulava osservazioni tese ad ottenere in via prioritaria una pronunzia ex articolo 129 cod. proc. pen. riguardo ad entrambi i reati, evocando gli esiti liberatori del troncone milanese del processo ovvero – con particolare riferimento al reato di cui all’articolo 185 T.U.F. – l’applicazione del divieto di bis in idem di cui all’articolo 649 cod. proc. pen. interpretato nella dimensione CEDU, ovvero un’applicazione diretta dell’articolo 50 CDFUE o dell’articolo 4 prot. 7 CEDU ovvero, in subordine, la rimessione alla Corte Costituzionale di questione di legittimita’ concernente l’articolo 649 cod. proc. pen. per violazione dell’articolo 117 Cost. e 4 prot. 7 CEDU.
4. Nella sentenza impugnata, il Tribunale – dopo aver precisato che la decisione fondava sul fascicolo del pubblico ministero e sulle emergenze dibattimentali che avevano preceduto la separazione della posizione di (OMISSIS) da quella dei coimputati – ha affrontato i temi posti dal ricorrente a base della richiesta di proscioglimento ovvero dell’auspicato incidente di costituzionalita’, disattendendo i rilievi difensivi ed avallando, invece, la proposta di pena patteggiata proveniente, in prima istanza, dalle parti.
4.1. Quanto ad un primo profilo, il Tribunale ha disatteso la richiesta di proscioglimento legata agli esiti del procedimento definito in abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano a carico di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rimarcando come una sentenza non definitiva – peraltro acclusa dopo la cristallizzazione del patrimonio del Tribunale avvenuta all’atto della formulazione dell’istanza di patteggiamento ed oggetto di impugnazione della Procura – non possa rilevare quale conforto probatorio, a fortiori laddove maturata su elementi estranei al procedimento a carico dell’odierno ricorrente.
In ordine, in particolare, alla sussistenza di cause di proscioglimento, il Tribunale ha rievocato dati processuali, in particolare fonti dichiarative, che lasciavano escludere esiti liberatori ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. pen., ponendo in luce, al contrario, una consapevole attivita’ mistificatoria in relazione al bilancio 2010 delle Compagnie e la conseguente diffusione di notizie idonee ad alterare il corso dei titoli.
4.2. La sentenza impugnata si e’ intrattenuta altresi’ sulla questione posta nella memoria difensiva del 7 luglio 2016, avente ad oggetto il bis in idem convenzionale ed unionale tra la fattispecie penale di cui all’articolo 185 T.U.F. e quella amministrativa di cui all’articolo 187-ter T.U.F. per essere stata all’ (OMISSIS) gia’ applicata dalla CONSOB la sanzione amministrativa pecuniaria prevista da quest’ultima norma e quella interdittiva accessoria ex articolo 187-quater T.U.F..
A questo proposito, il Tribunale ha escluso sia la possibilita’ di adottare un’interpretazione analogica dell’articolo 649 cod. proc. pen. che valga ad ampliare il divieto di bis in idem anche ai rapporti tra illecito penale e illecito amministrativo, sia la fondatezza della dedotta illegittimita’ costituzionale della predetta norma per contrasto con l’articolo 117 Cost. e 4, prot. 7 della CEDU, richiamando la pronunzia della Corte Costituzionale n. 102 del 12 maggio 2016.
Quanto al contrasto con l’articolo 50 CDFUE, il Collegio torinese ha respinto la tesi del ricorrente richiamando i principi della sentenza della CGUE Aklagaren c. Fransson del 26 febbraio 2013 e affermando che, anche sulla base della direttiva 2014/57/UE e del regolamento 596 del 2014, l’effettivita’, proporzionalita’ e dissuasivita’ vanno valutate, a fronte di manipolazioni di mercato gravi, solo rispetto alla sanzione amministrativa che si aggiunga a quella penale e non viceversa.
La pronunzia impugnata ha altresi’ osservato che la sentenza Grande Stevens della Corte EDU – invocata dal ricorrente a sostegno della propria tesi – non costituisce diritto consolidato, che non ha individuato una lesione sistemica/strutturale del diritto convenzionale e che e’ stata superata da quella della sentenza della Grande Camera della Corte EDU A e B contro Norvegia del 15 novembre 2016.
5. Avverso la sentenza del Tribunale di Torino hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’imputato, suddividendo le doglianze in tre motivi.
5.1. Con un primo motivo, la parte ha dedotto violazione dell’articolo 129 cod. proc. pen. per non essere stato l’imputato prosciolto per entrambi i reati per insussistenza del fatto o per carenza dell’elemento soggettivo, nonche’ vizio di motivazione. Parte ricorrente ha richiamato la sentenza emessa in data 15 dicembre 2015 all’esito di rito abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano con cui (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – ivi separatamente giudicati per lo stesso fatto – erano stati assolti con la formula perche’ il fatto non sussiste; in particolare – si legge nel ricorso – a fondamento della richiesta di proscioglimento avanzata al Giudice del patteggiamento, era stata posta non gia’, come invece ritenuto dal Tribunale di Torino, una qualche valenza probatoria diretta della sentenza del Giudice milanese ovvero della consulenza tecnica della difesa svolta solo in quel troncone, ma alcune argomentazioni contenute nella sentenza e fatte proprie dal ricorrente nella memoria depositata, che il Tribunale piemontese avrebbe dovuto utilizzare quali spunti per un proscioglimento. Segnatamente, la parte impugnante ha riportato ampi passaggi della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare milanese, ove viene smentita la correttezza delle valutazioni dell’Isvap e dei consulenti tecnici del pubblico ministero (OMISSIS) e (OMISSIS) e viene ritenuta la correttezza del metodo di computo adottato nel concreto, sottolineando come le conclusioni ivi espresse dal decidente prescindessero dalla consulenza tecnica della difesa versata in quegli atti. Lo stesso il ricorrente ha osservato, quanto al reato di manipolazione di mercato, richiamando le riflessioni del Giudice dell’udienza preliminare sul punto. In conclusione, il Tribunale torinese – ha sostenuto il ricorrente – non aveva preso in considerazione le argomentazioni che, fondando sulla sentenza milanese, la difesa dell’imputato aveva svolto nella sua memoria con cui chiedeva il proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen..
5.2. Con un secondo motivo, il ricorrente ha lamentato violazione dell’articolo 129 cod. proc. pen. a proposito del mancato proscioglimento dell’imputato in ordine al reato di cui all’articolo 185 T.U.F. per improcedibilita’ dell’azione penale conseguente a bis in idem ex articolo 649 cod. proc. pen., 4, prot. 7 CEDU o 50 CDFUE, sollecitando, in subordine, la Corte a sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 649 cit., per contrasto con l’articolo 117 Cost. e 4, prot. 7, CEDU.
5.2.1. Il ricorrente ha premesso che, secondo la giurisprudenza di legittimita’ piu’ recente, anche dinanzi alla Corte di cassazione puo’ porsi questione di bis in idem, a voler tacer del fatto che tale questione era stata gia’ posta dalla difesa dinanzi al Tribunale a quo. Cio’ precisato, la parte ha spiegato che – come documentato al Tribunale di Torino fin dal 15 luglio 2015 – (OMISSIS) era stato sottoposto a procedimento sanzionatorio dinanzi alla CONSOB, all’esito del quale si era visto irrogare la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria di 200.000 Euro e la sanzione interdittiva accessoria di mesi quattro ex articolo 187-quater T.U.F.; tale statuizione era definitiva.
5.2.2. Sull’esistenza di tale vicenda parallela a quella penale, la parte ha fondato una prima richiesta, quella di applicazione analogica dell’articolo 649 cod. proc. pen., traendo spunto da una sentenza del Tribunale di Asti e dalla giurisprudenza di questa Corte sulla possibilita’ di interpretazione analogica dell’articolo 669 cod. proc. pen. nei rapporti tra ingiunzione prefettizia e condanna penale. Sulla base di un’interpretazione convenzionalmente orientata del concetto di materia penale, tale da far rientrare nel novero del “sostanzialmente penale” anche la sanzione irrogata all’imputato dalla CONSOB, ne conseguirebbe, secondo il ricorrente, la possibilita’ di ritenere improcedibile per divieto di secondo giudizio il reato oggi sub iudice, contrariamente a quanto ritenuto da questa sezione con l’ordinanza n. 1782 del 2015, con cui era stato promosso incidente di costituzionalita’ dell’articolo 187-ter T.U.F. e della predetta norma codicistica.
5.2.3. Allo stesso risultato potrebbe giungersi – si e’ postulato nel ricorso – mediante l’applicazione diretta dell’articolo 4 prot. 7 CEDU, che pure il Tribunale di Torino ha disatteso, reputando non esservi margine applicativo per la Convenzione in mancanza di “uno spazio giuridicamente vuoto” nel nostro ordinamento. Tuttavia – ha argomentato il ricorrente – lo spazio vuoto non vi sarebbe proprio perche’ e’ riempito dalla CEDU (recepita con legge di ratifica n. 848 del 1955) ovvero vi sarebbe proprio perche’ il ne bis in idem sostanziale non trova tutela nella carta costituzionale, si’ da legittimare l’applicazione diretta della CEDU e della nozione di materia “sostanzialmente penale” coniata dalla giurisprudenza Europea.
5.2.4. Altra doglianza fonda sulla mancata applicazione diretta, da parte del Giudice del patteggiamento, dell’invocato articolo 50 CDFUE nell’ordinamento interno, che il Tribunale avrebbe negato per la necessita’ di verificare che le sanzioni “superstiti”, una volta applicato il ne bis in idem, siano effettive, proporzionate e dissuasive (caratteristiche che peraltro il ricorrente ricollega alla sanzione amministrativa concretamente irrogata), da cio’ facendo discendere la contrarieta’ di un eventuale proscioglimento dell’imputato in sede penale al regolamento UE n. 596 del 2014, ritenuto sintomatico della propensione del legislatore comunitario verso le sanzioni penali. Il ricorrente ha avversato questa impostazione, evidenziando che il predetto regolamento concedeva termine agli stati membri fino al 3 luglio 2016 per conformarsi, tra l’altro, proprio alle disposizioni impartite in materia di manipolazione di mercato, ma tale adeguamento, al momento della presentazione del ricorso, non risultava effettuato e, comunque, non e’ condivisibile ritenere applicabile a fatti pregressi una normativa entrata in vigore successivamente (mentre andava applicata la direttiva 6/2003 che imponeva agli stati membri l’adozione di sanzioni di natura amministrativa contro il market abuse, riconoscendo piena discrezionalita’ in ordine alla previsione di eventuali sanzioni penali in aggiunta); senza trascurare che sia l’articolo 50 CDFUE che l’articolo 4 prot. 7 CEDU impongono il divieto non solo di condannare, ma anche di perseguire due volte per lo stesso fatto, donde, gia’ al luglio 2015, quando la sanzione amministrativa era divenuta definitiva ed il regolamento di cui sopra era ancora sospeso, (OMISSIS) non poteva piu’ essere sottoposto al procedimento penale. Il ricorrente ha obiettato altresi’ che lo strumentario penale non e’ contenuto nel citato regolamento, ma nella coeva direttiva 57/2014, non immediatamente applicabile.
5.2.5. A seguire il ricorrente ha contestato l’interpretazione della sentenza CEDU Grande Stevens offerta dal Giudice del patteggiamento, allorche’ questi aveva ritenuto che essa avesse fatto derivare la definizione di illecito sostanzialmente penale della sanzione amministrativa per il market abuse dalla severita’ della sanzione irrogata nel caso concreto, mentre l’interpretazione adottata nella pronunzia e ricorrente nella giurisprudenza della CEDU privilegia la valutazione del quantum della sanzione irrogabile non gia’ in concreto ma in astratto. Il Tribunale di Torino avrebbe anche errato nel valutare come contraria all’assunto del ricorrente la sentenza della Corte EDU (Grande Camera) A. e B. contro Norvegia del 15 novembre 2016; nel caso di specie, i due procedimenti, quello penale e quello amministrativo, hanno la medesima finalita’ sanzionatoria, non sono disciplinati in modo da evitare ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, mentre un meccanismo teso ad evitare duplicazioni sanzionatorie e’ previsto dall’articolo 187 terdecies T.U.F., ma solo nel caso in cui si concluda prima il procedimento amministrativo e non viceversa, senza contare che il meccanismo vale solo per la sanzione pecuniaria.
5.2.6. In subordine, qualora questa Corte non ritenesse di interpretare analogicamente l’articolo 649 cod. proc. pen., ovvero di applicare direttamente l’articolo 50 CDFUE o l’articolo 4 prot. 7 CEDU, il ricorrente ha sollecitato la proposizione di incidente di costituzionalita’ dell’articolo 649 cod. proc. pen. per contrasto con l’articolo 117 Cost. in relazione all’articolo 4 prot. 7 CEDU, nella parte in cui la norma del codice di rito non prevede l’applicabilita’ dell’articolo 4 cit. nei confronti di imputato destinatario di sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale. Non vi osterebbe, secondo il ricorrente, la posizione gia’ assunta dalla Consulta nella sentenza n. 102 del 2016 e sussisterebbero, nel caso di specie, tutti i presupposti su cui fondare il ne bis in idem convenzionale (stesso fatto storico, stesso destinatario delle sanzioni, definitivita’ dell’accertamento amministrativo, severita’ delle sanzioni amministrative irrogate, tanto da essere qualificabili come parapenali).
5.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si e’ lamentato delle statuizioni in tema di rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, sia quanto alla liquidazione della voce relativa al rimborso forfettario di esse, immotivatamente attestato sempre sul massimo del 15%, sia quanto al riconoscimento del citato rimborso anche a difensori che non lo avevano chiesto ovvero, in altri casi, alla rifusione delle spese a parti i cui difensori non avevano sottoscritto la nota spese.
6. Con memoria depositata in data 11 gennaio 2018, in vista dell’udienza del 31 gennaio 2018, i difensori del ricorrente, rievocando le argomentazioni contenute nel ricorso, le hanno ribadite ed arricchite.
In primo luogo, la difesa ha ribadito che l’allegazione della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare milanese non era volta a richiedere un recepimento del provvedimento giudiziario, ma un confronto del Tribunale di Torino con le argomentazioni ivi contenute, che la difesa avevano fatto proprie nella richiesta di proscioglimento. In secondo luogo, quanto alla questione del bis in idem convenzionale o unionale, la difesa ha richiamato le articolate osservazioni della memoria presentata al Tribunale di Torino e del ricorso, arricchendole con ampie citazioni dottrinarie aventi ad oggetto la diretta applicabilita’, nell’ordinamento interno, dell’articolo 4, prot. 7, CEDU e dell’articolo 50 CDFUE; a seguire, la memoria ha stigmatizzato alcuni passaggi della pronunzia impugnata in ordine al ridimensionamento della portata della sentenza della Corte EDU Grande Stevens ed all’interpretazione data a quella della Grande Camera della Corte EDU A e B contro Norvegia.
L’aspetto di oggettiva novita’ della memoria rispetto al ricorso concerne la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Nell’articolare la mozione, il ricorrente ha ricordato i rinvii pregiudiziali delle sezioni civili di questa Corte, del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e di quello di Bergamo e le conclusioni dell’Avvocato generale (OMISSIS) – (OMISSIS) presentate il 12 settembre 2017 nella causa C-524/15, sorta su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bergamo.
8. Il 15 gennaio 2018, l’Avv. (OMISSIS) nell’interesse di alcune delle parti civili del procedimento, ha depositato una memoria nella quale ha ribattuto ai motivi di ricorso dell’imputato. In primo luogo, il difensore suddetto ha escluso che la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano possa avere rilevanza nel presente procedimento, sia perche’ non definitiva, sia perche’ fondata sulla consulenza tecnica di parte del Prof. (OMISSIS), estranea a questo giudizio. In secondo luogo, la difesa delle parti civili ha sostenuto che tra il reato di cui all’articolo 185 e la fattispecie amministrativa di cui all’articolo 187-ter T.U.F. vi sia una progressione illecita che impedisce di ritenerli convergenti sullo stesso oggetto. In terzo luogo, i rapporti tra i due procedimenti, quello penale e quello amministrativo, dovrebbero essere letti sulla scorta dell’esegesi fornita dalla Corte EDU nella sentenza A. e B. contro Norvegia e – in tesi – ricorrerebbero tutti gli estremi per ritenere convenzionalmente compatibile il sistema del doppio binario. In ultima analisi, quanto all’incidente di costituzionalita’ auspicato dal ricorrente con riferimento all’articolo 649 cod. proc. pen. per contrasto con l’articolo 117 Cost. in relazione all’articolo 4, prot. 7, CEDU, la difesa di parte civile sottolinea l’incertezza che tale esegesi determinerebbe e la possibile strumentalizzazione di un’interpretazione ampia del ne bis in idem, laddove, come nel caso di specie, la parte potrebbe scegliere di non coltivare l’una o l’altra impugnazione onde determinare la definitivita’ di una delle sanzioni per sottrarsi all’altra.
9. Il 16 gennaio 2018, il difensore della parte civile CONSOB Avv. (OMISSIS) ha depositato una memoria a sostegno del rigetto del ricorso, non prima di aver rimarcato l’interesse a contraddire, avendo il Tribunale inflitto ad (OMISSIS) una condanna alla rifusione delle spese di giudizio affrontate dalla CONSOB.
9.1. Quanto alla richiesta di proscioglimento fondata sulla pronunzia del Giudice milanese, la parte ha dedotto l’inammissibilita’ del relativo motivo di ricorso sia perche’ attinente al merito, sia perche’ fondato su una sentenza pronunziata dopo l’istanza di patteggiamento del luglio 2015, sia perche’ si basa su una pronunzia non irrevocabile, sia, infine, perche’ sollecita un giudizio di questa Corte del tutto incompatibile con i limiti del sindacato di legittimita’ sulla sentenza di patteggiamento. In realta’ – sostiene il difensore della CONSOB – la richiesta mirerebbe ad introdurre nel processo torinese la consulenza tecnica del Prof. (OMISSIS), svolta nel troncone meneghino.
9.2. Quanto alle plurime questioni poste dalla difesa dell’imputato circa l’interpretazione convenzionale ed unionale del bis in idem, la parte ha ricostruito il quadro normativo Eurounitario, dalla Direttiva 6/2003, al regolamento UE n. 596/2014, alla Direttiva 57/2014, ricavandone l’interpretazione secondo cui la possibilita’ del legislatore di ciascuno Stato membro di optare per la previsione della sola sanzione penale sarebbe eccezionale e comunque sarebbe rimessa alla scelta discrezionale di quello Stato. L’attuale normazione sugli abusi di mercato sarebbe pienamente conforme alla direttiva 57/2014, laddove essa prevede che il legislatore nazionale possa adottare sanzioni penali per i casi piu’ gravi, commessi con dolo.
9.3. La difesa della CONSOB e’, poi, passata a censurare il ragionamento del ricorrente sul tema dell’interpretazione convenzionalmente orientata dell’articolo 649 cod. proc. pen., affermandone la non percorribilita’ a seguito della sentenza n. 102 della Corte Costituzionale. A riprova della ritenuta fallacia delle argomentazioni del ricorrente, la CONSOB, poi, oltre a riportare stralci della citata sentenza 102 e di quella impugnata, ha fatto riferimento alla pertinenza dell’articolo 649 cod. proc. pen. alla sola materia penale.
9.4. La difesa della parte civile si e’ anche opposta all’applicazione diretta dell’articolo 50 CDFUE laddove si pretende che esso venga interpretato non gia’ secondo i parametri individuati dalla Corte di Lussemburgo, ma di quelli segnati dalla Corte di Strasburgo. A tale proposito, il difensore della parte civile ha rimarcato lo scarto interpretativo tra le due Corti e la posizione assunta, a tale proposito, da questa sezione nell’ordinanza di rimessione alla Consulta pronunziata nel procedimento n. 49905/13 (ricorrente (OMISSIS)). A seguire, nella memoria si sono rievocate le questioni pregiudiziali sollevate dalla sezione civile tributaria e da quella ordinaria, rammentando, infine, come un’eventuale pronunzia di proscioglimento per bis in idem violerebbe il principio dell’obbligatorieta’ dell’azione penale. In via subordinata, pur ritenendo che la loro importanza sarebbe relativa in questo giudizio, nella memoria si e’ richiesto di disporre rinvio del presente procedimento in attesa del pronunciamento della Corte dell’Unione Europea nelle cause nn. C524/15m C.537/16, Corte-596/16 e Corte-597/16.
9.5. Sull’applicazione diretta dell’articolo 4, prot. 7, CEDU, la difesa della parte civile ha ricordato che il Giudice nazionale non puo’ disapplicare la norma interna ritenuta in contrasto con quella convenzionale, ma deve sollevare incidente di costituzionalita’ per contrasto della norma interna con l’articolo 117 Cost.. Tuttavia anche questa strada non e’ – a giudizio della CONSOB – percorribile, cio’ evincendolo dalle motivazioni della sentenza n. 102 della Consulta sopra citata. Peraltro – ha sostenuto la CONSOB – la parte potrebbe invocare la disciplina convenzionale solo a condizione che avesse inutilmente esperito, innanzi ai competenti giudici nazionali, tutti i rimedi a disposizione, mentre, nel caso di specie, (OMISSIS) aveva omesso di ricorrere per cassazione contro la sentenza della Corte di appello di Torino che aveva confermato la sanzione amministrativa.
9.6. Altro argomento speso dalla difesa della CONSOB e’ quello legato alla sentenza A. e B. contro Norvegia circa la ritenuta compatibilita’ convenzionale del sistema del doppio binario, purche’ i distinti procedimenti siano connessi da un punto di vista sostanziale e cronologico, evenienza che ricorrerebbe nel caso di specie.
10. All’udienza del 31 gennaio 2018, il Collegio, tenuto conto della pendenza, presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dei giudizi sorti sulla base di rinvii pregiudiziali di questa Corte e di giudici di merito italiani, aventi ad oggetto le implicazioni della previsione dell’articolo 50 CDFUE sul sistema del doppio binario sanzionatorio anche in tema di abusi di mercato, ha rinviato il procedimento al 27 giugno 2018.
11. L’8 giugno 2018, in vista dell’udienza di rinvio, i difensori di (OMISSIS) hanno depositato una memoria in cui hanno ripercorso le motivazioni delle sentenze emesse dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 20 marzo 2018 nelle cause (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)/(OMISSIS) sul tema della compatibilita’ con il divieto del bis in idem Eurounitario di cui all’articolo 50 CDFUE del sistema del doppio binario sanzionatorio, penale e amministrativo, previsto nella normativa nazionale, sia in materia tributaria che di manipolazione di mercato.
Secondo la difesa del ricorrente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva concluso nel senso della possibile violazione dell’articolo 50 CDFUE da parte del sistema del doppio binario, pur pronunziandosi, quanto alla causa (OMISSIS) sulla manipolazione di mercato, su una situazione “inversa” a quella sub iudice, perche’ in quel procedimento ad essere divenuta definitiva era la sentenza penale e non l’accertamento amministrativo.
Piu’ nel dettaglio, i difensori hanno segnalato che il riferimento della Corte Europea alla Direttiva n. 6 del 2003 e non alla n. 57 del 2014 era la testimonianza che quest’ultima non poteva ritenersi applicabile, concetto ribadito in piu’ punti della memoria.
A seguire, la difesa della parte ricorrente ha rimarcato come la Corte di Lussemburgo avesse sancito la violazione dell’articolo 50 CDFUE da parte del sistema nazionale suddetto e come essa non dovesse ritenersi giustificata per varie ragioni.
Il sistema non prevedeva una forma di contemperamento delle sanzioni penali ed amministrative, non essendo a tale fine sufficiente la previsione di cui all’articolo 187-terdecies T.U.F., valevole solo quando a divenire definitiva prima era la sanzione amministrativa e destinata a regolamentare solo la fase dell’esecuzione e non quella dell’irrogazione. I sistemi punitivi penale ed amministrativo non perseguivano scopi complementari; la natura delle sanzioni CONSOB era “sostanzialmente penale” sulla base dei criteri Engel; l’idem factum presupponeva l’identita’ di fatto storico e non concerneva la qualificazione giuridica; la sanzione amministrativa, non solo quella pecuniaria, era particolarmente gravosa, raffrontando la pena prevista in astratto e non in concreto.
12. Il 12 giugno 2018, la parte civile CONSOB ha depositato una memoria in cui ha rimarcato, in premessa, che le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea non potevano rilevare nel presente procedimento, siccome definito con patteggiamento, nell’ambito del quale opera solo la regola dell’articolo 129 cod. proc. pen., ed ha insistito per l’inammissibilita’ del ricorso proprio in ragione dei limiti del giudizio di legittimita’ sulla pronunzia ex articolo 444 cod. proc. pen..
A prescindere da detta argomentazione, la parte ha chiarito che, prosciogliendo l’imputato sulla scorta delle sentenze della Corte di Lussemburgo, si violerebbe il principio della riserva di legge in materia penale, giacche’, nel caso di specie, il divieto di bis in idem opererebbe all’inverso.
Ad ogni buon conto – ha proseguito la parte civile – la Corte di Giustizia dell’Unione Europea non aveva stabilito tout court che il sistema del doppio binario costituisse una violazione del divieto di bis in idem di cui all’articolo 50 CDFUE, ma aveva individuato i requisiti in presenza dei quali esso era legittimo sulla scorta dell’articolo 52 CDFUE, che era compito del Giudice nazionale sceverare e che, nel caso di specie, devono indurre a respingere le censure del ricorrente. A quest’ultimo proposito, la difesa di parte civile ha rimarcato la gravita’ delle condotte addebitate all’ (OMISSIS), sia in ragione del ruolo rivestito che del vulnus sul mercato della condotta.
La memoria, infine, ha affrontato l’impatto della sentenza (OMISSIS) rispetto ai criteri individuati dalla Corte EDU per stabilire eccezioni al divieto di bis in idem convenzionale.
13. Il 27 giugno 2018 il processo e’ stato rinviato per adesione dei difensori dell’imputato all’astensione di categoria.
14. In vista dell’udienza di rinvio del 9 novembre 2018, precisamente il 22 ottobre, i difensori del ricorrente hanno presentato un’ulteriore memoria, espressamente fondata su tre spunti che la difesa ha inteso sottoporre a questa Corte.
14.1. L’uno concerne la sentenza della Corte di appello di Milano del 10 luglio 2018, depositata il 4 ottobre 2018, che ha confermato la sentenza di assoluzione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale meneghino nei confronti degli imputati processati a Milano, ribadendo la valenza delle argomentazioni a discarico di carattere logico-giuridico mutuate da quelle del Giudice dell’udienza preliminare e riprese dalla Corte di appello; tale operazione – tiene a precisare il ricorrente – prescinde dalle emergenze processuali di quel troncone e di quello torinese, ma e’ basata sulla sola contestazione del reato di manipolazione di mercato e sul contenuto del comunicato incriminato.
14.2. Il secondo aliquid novi e’ costituito – sostiene il ricorrente – dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, entrato in vigore il 29 settembre scorso, contenente norme di adeguamento al Regolamento UE n. 596 del 2014; in particolare, il “nuovo” articolo 187-terdecies T.U.F. ha introdotto, da una parte, la bidirezionalita’ quanto alla decurtazione della pena pecuniaria ovvero della sanzione amministrativa pecuniaria gia’ irrogata e, dall’altra, il principio per cui sia il Giudice penale che l’autorita’ amministrativa devono tenere conto delle misure punitive gia’ irrogate. Tale novella dimostrerebbe l’inadeguatezza dell’originario articolo 187-terdecies, applicato nel caso di specie, a garantire la proporzionalita’ sanzionatoria.
14.3. Ancora, il ricorrente sostiene, citando la recente sentenza (OMISSIS) di questa sezione, che i rimedi su cui questa Corte ha ragionato per porre riparo alla complessiva severita’ sanzionatoria – il positivo riscontro diretto della proporzionalita’ o l’annullamento senza rinvio ex articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), con rimodulazione al ribasso – nel concreto non siano praticabili, trattandosi di pena patteggiata, non modificabile dal Giudice. Comunque – aggiunge il ricorrente – la pena non sarebbe proporzionata, data la severita’ delle sanzioni applicate ad (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere respinto.
2. Con il primo motivo di ricorso – e’ opportuno rievocarlo – il ricorrente postula la violazione dell’articolo 129 cod. proc. pen. per non essere stato prosciolto per entrambi i reati per insussistenza del fatto o per carenza dell’elemento soggettivo, nonche’ vizio di motivazione; esso pone a fondamento delle proprie argomentazioni la sentenza emessa in data 15 dicembre 2015 all’esito di rito abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con cui i concorrenti nei medesimi reati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – ivi separatamente giudicati per lo stesso fatto – erano stati assolti con la formula perche’ il fatto non sussiste, reputando che il Giudice del patteggiamento avrebbe dovuto tenere in considerazione tale accadimento.
2.1. Orbene, le considerazioni svolte nel ricorso impongono di precisare i criteri generali interpretativi che hanno guidato la decisione di questo Collegio, trattandosi di valutare le prospettazioni di parte in rapporto non gia’ ad una sentenza pronunziata a seguito di giudizio ordinario o abbreviato, ma ad una decisione ex articolo 444 cod. proc. pen. e di interrogarsi sulle implicazioni della sorte dei concorrenti non patteggianti rispetto a quella di (OMISSIS).
2.1.1. A questo proposito, va in primo luogo ricordato che, secondo la giurisprudenza granitica di legittimita’ quanto all’ambito valutativo del Giudice del patteggiamento sulla res iudicanda, con la richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinunzia a contestare i termini fattuali dell’accusa, che non possono essere rimessi in discussione (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637; principio piu’ di recente rievocato da Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264206 – 01). Poiche’ la richiesta suddetta deve essere considerata quantomeno come ammissione del fatto (quando non la si voglia addirittura ritenere ammissione di responsabilita’ o implicito riconoscimento di colpevolezza), dunque, il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento solo se manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come reato o se dagli atti gia’ risultino elementi tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena (Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015, Ayari, Rv. 264595-01; Sez. 5, n. 4117 del 20.9.1999, Valarenzo Lorel Yhonny J., Rv 214478-01; Sez. 1, n. 5517 del 03/11/1995, Nulli Moroni ed altri, Rv. 203026-01).
Si e’ altresi’ sostenuto che, in sede di patteggiamento, il giudice non puo’ pronunciare sentenza di proscioglimento o di assoluzione per mancanza, insufficienza o contraddittorieta’ delle prove desumibili dagli atti, non rientrando tale possibilita’ tra quelle esplicitamente indicate dall’articolo 129 c.p.p., comma 1, (Sez. 4, n. 27952 del 07/06/2012, P.G. in proc. Zilli, Rv. 253588-01; Sez. 6, n. 15700 del 25/03/2009, Cedeno Zambrano, Rv. 243071-01; Sez. 2, n. 6095 del 09/01/2009, Cusimano, Rv. 243279-01; Sez. 2, n. 2076 del 28/10/2003, dep. 2004, Rallo, Rv. 228148 – 01).
Se quelle sopra indicate sono le regole di giudizio cui il Giudice del patteggiamento deve attenersi in rapporto alle scelte processuali della parte, il corrispondente dovere motivazionale e’ oltremodo affievolito, essendosi reputato assolto anche con il solo richiamo all’articolo 129 cod. proc. pen., che e’ sufficiente a far ritenere che il decidente abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento, non occorrendo ulteriori e piu’ analitiche disamine al riguardo (Sez. 6, n. 15927 del 01/04/2015, Benedetti, Rv. 263082; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011, dep. 2012, Alba, Rv. 252085; Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, Koumya, Rv. 234824). Tale dovere deve esplicarsi in termini piu’ analitici soltanto se dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilita’, dovendo ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che e’ stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata (Sez. 1, n. 752 del 27/01/1999, Forte, Rv. 212742). Tale onere motivazionale – vedremo come cio’ abbia una precisa ricaduta sulla posizione di (OMISSIS) – sussiste solo sui dati che preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi (in motivazione, Sez. 4, n. 33214 del 02/07/2013, Oshodin Osi, Rv. 256071; Sez. 1, n. 752 del 27/01/1999, Forte, Rv. 212742).
2.1.2. La peculiarita’ del rito negoziale di cui si discute come sopra ricordate si ripercuotono anche sui poteri di controllo di questa Corte sulla sentenza di patteggiamento: con particolare riferimento alla motivazione sull’assenza di cause di proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen., infatti, tale controllo e’ possibile soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilita’ di cui alla predetta disposizione (Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015, Ayari, Rv. 264595; Sez. 6, n. 15927 del 01/04/2015, Benedetti, Rv. 263082; Sez. 3, n. 2309 del 18.6.1999, Bonacchi, Rv 215071; Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Fede, Rv. 256359; Sez. 4, n. 30867 del 17/06/2011, Halulli e altri, Rv. 250902).
2.1.3. Quanto alle possibili implicazioni, rispetto al patteggiante, del proscioglimento dei coimputati che abbiano scelto di essere giudicati con il rito non negoziale, questa Corte ha avuto modo di affermare che, ove il controllo del giudice del patteggiamento si sia svolto correttamente e non sia emersa in quella sede, allo stato degli atti, la presenza di una delle cause di non punibilita’ contemplate dall’articolo 129 cod. proc. pen., il vizio di motivazione della sentenza di patteggiamento fondato sul contrasto con la sentenza assolutoria di merito emessa nei confronti di coimputati dello stesso reato non e’ deducibile nel giudizio di legittimita’ (Sez. 3, n. 1130 del 19/03/1999, Geviti M., Rv. 213745 – 01).
E’ rilevante, nel caso di specie, anche la giurisprudenza di legittimita’ formatasi sulla revisione ex articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a) e c), perche’ – nonostante il diverso ambito applicativo – fornisce una traccia esegetica significativa circa le implicazioni di una sentenza di assoluzione che riguardi concorrenti nel medesimo reato ascritto al patteggiante. Ebbene, questa Corte ha piu’ volte avuto modo di sostenere che, in casi del genere, non e’ invocabile detto strumento sul solo presupposto dell’intervenuta successiva sentenza di assoluzione all’esito di giudizio ordinario nei confronti del coimputato non patteggiante, diverso essendo il criterio di valutazione proprio dei due riti, di per se’ tale da condurre fisiologicamente ad esiti opposti (Sez. 3, n. 13032 del 18/12/2013, dep. 2014, Tosi, Rv. 258687-01; Sez. 3, n. 23050 del 23/04/2013, Mattioli, Rv. 256169-01). In questo ambito si e’ altresi’ precisato che, ai fini della revisione della sentenza di patteggiamento, la pronunzia di assoluzione dei coimputati, pronunciata in un separato procedimento, non puo’ essere considerata di per se’ “nuova prova”, come tale rilevante, a norma dell’articolo 630, comma 1, lettera c), considerato che cio’ che e’ emendabile e’ l’errore di fatto e non la diversa valutazione del fatto (Sez. 5, n. 4225 del 09/12/2008, dep. 2009, Mazzanti Rv. 242950).
2.2. Fatta questa premessa in diritto, giova precisare che la sentenza impugnata ha fondato il diniego del proscioglimento auspicato dalla difesa sugli esiti del procedimento definito a Milano su tre argomentazioni, che si aggiungono a quelle sull’in se dei reati contestati e sulla riferibilita’ all’imputato, che pure il Tribunale di Torino ha fornito.
L’una e’ legata alla valenza processuale, nel procedimento torinese, di un provvedimento non definitivo come la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare di Milano; l’altra al rilievo dell’utilizzazione, in quest’ultima, della consulenza della difesa di (OMISSIS) redatta dal Prof. (OMISSIS) e alla presenza di “elementi estranei al procedimento dove si pretenderebbe di valersene”; l’altra, ancora, sia pure valorizzata incidentalmente nella sentenza impugnata, e’ legata alla circostanza che il corredo documentale, nell’ambito del quale si colloca la predetta sentenza, era stato oggetto di incremento solo dopo l’istanza di patteggiamento.
2.2.1. Ebbene, quanto ai primi due profili, va osservato quanto segue.
Il Giudice del patteggiamento ha fatto corretto riferimento alla giurisprudenza insuperata di questa Corte (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231677), secondo cui le sentenze pronunciate in procedimenti penali diversi e non ancora divenute irrevocabili possono essere utilizzate come prova limitatamente all’esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti.
Tale interpretazione della valenza probatoria del provvedimento posto all’attenzione dei giudici torinesi, come precisato nel ricorso, non e’ per vero contestata dalla difesa dell’imputato, che ne riconosce la correttezza tecnica; piuttosto, parte ricorrente insiste sulla valenza contenutistica del provvedimento evocato cioe’ sulla necessita’ che il Collegio torinese prendesse spunto, per una pronunzia ex articolo 129 cod. proc. pen., dalle argomentazioni del Giudice dell’udienza preliminare di Milano. Ebbene, tenendo conto dei limiti dell’onere motivazionale del Giudice del patteggiamento come sopra precisati, il Tribunale lo ha adeguatamente assolto laddove ha evidenziato come le proprie valutazioni – si ricorda, non gia’ sviluppabili rispetto a carenze probatorie o ricostruzioni alternative – non potessero farsi influenzare da quelle, non cristallizzate in una pronunzia definitiva, di un altro Giudice, a maggior ragione siccome basate su un dato estraneo al processo torinese, quale la consulenza tecnica di parte versata solo agli atti del procedimento milanese da un altro imputato. A segnare ulteriormente la diversita’ dei percorsi seguiti da (OMISSIS) rispetto ai coimputati e delle prove a disposizione nell’uno e nell’altro troncone, si aggiunga che la sentenza impugnata, essendo il patteggiamento intervenuto nel corso del dibattimento a seguito della riformulazione dei capi di imputazione da parte del pubblico ministero, fonda non gia’ solo sugli atti delle indagini, ma anche su quelli raccolti nel corso del processo di Torino fino alla presentazione dell’istanza ex articolo 444 cod. proc. pen., come precisato a pag. 15 della sentenza impugnata e come evincibile dalla motivazione offerta dal Tribunale torinese alle pag. 16 e 17.
Questo sbarramento metodologico rispetto alle acquisizioni dell’altro processo rende ragione della scelta del Tribunale torinese di non soffermarsi sulle singole argomentazioni adoperate dal Giudice dell’udienza preliminare di Milano e sottrae la pronunzia avversata alle censure della parte ricorrente; censure che peraltro vanno valutate secondo i gia’ precisati – e ristretti – limiti del giudizio di legittimita’ sulla sentenza di patteggiamento.
2.2.2. Altro aspetto e’ quello della tempestivita’ dell’allegazione della sentenza milanese che sembra trasparire dall’inciso, che si legge nella pronunzia impugnata, “vieppiu’ nella presente sede in cui non era possibile incrementare il corredo degli atti dopo la formulazione dell’istanza di patteggiamento”, posto ad ulteriore sostegno dell’irrilevanza della medesima allegazione. A questo proposito, e’ opportuno riepilogare la sequenza degli avvenimenti processuali: la richiesta di patteggiamento e’ stata depositata presso il Tribunale di Torino il 15 luglio 2015, avendo incassato il consenso del pubblico ministero il 14, e non recava richieste di proscioglimento. Tali richieste risultano allegate, invece, con tutti i documenti a corredo, ad una successiva istanza di patteggiamento, anch’essa con consenso del pubblico ministero, che la difesa del ricorrente ha proposto un anno dopo circa, l’8 luglio 2016, in cui, in effetti, ferma la pena finale, si riscontra una minima differenza di calcolo quanto all’aumento intermedio della pena pecuniaria ex articolo 81 c.p., comma 2. Giova rappresentare, a quest’ultimo proposito, che dalla sentenza impugnata si evince che il Tribunale di Torino ha fatto riferimento alla prima istanza, ritenendo la seconda una mera rettifica dell’entita’ dell’aumento della pena pecuniaria (pagg. 7, 8, 9 e 10); nella sentenza non e’ peraltro specificato il calcolo della pena.
Se questa e’ stata la dinamica delle interlocuzioni della difesa dell’imputato con il Collegio torinese, giova osservare che effettivamente la difesa, in una fase in cui era gia’ stato formalizzato l’accordo con il pubblico ministero, ha allegato a supporto di una richiesta di proscioglimento la sentenza milanese nelle more pronunziata, tentando di ampliare, quando il quadro doveva ritenersi cristallizzato, il materiale su cui il Giudice doveva effettuare le proprie valutazioni. Ne’ vale osservare che l’accordo del 16 luglio 2015 fosse stato sostituto da quello del 6 luglio 2016, giacche’, in tema di patteggiamento, l’accordo tra l’imputato e il pubblico ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quando questa abbia dato il proprio consenso, diviene irrevocabile e non e’ suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra (Sez. 1, n. 48900 del 15/10/2015, Martinas, Rv. 265429-01; Sez. 4, n. 38070 del 11/07/2012, Parascenzo, Rv. 254371 – 01).
2.2.3. Appurata la correttezza dei presupposti teorici che hanno spinto il Collegio torinese a non tenere in considerazione le allegazioni su cui fondava la richiesta di proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen., si deve concludere che la sentenza sfugge alla richiesta di annullamento del ricorrente. Il Giudice del patteggiamento, infatti, ha fatto seguire, a dette considerazioni, la propria motivazione in ordine ai fatti contestati, fondata sugli atti utilizzabili per la decisione, cosi’ assolvendo l’onere motivazionale “semplificato” della sentenza di patteggiamento. A cio’ si aggiunga che questa Corte, come sopra evidenziato, puo’ censurare le scelte del Giudice del patteggiamento quanto al mancato proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen. solo quando la presenza di cause di proscioglimento emerga dal testo del provvedimento impugnato, situazione che obiettivamente non si verifica nella specie. Deve anzi osservarsi che, rimarcando la valenza delle argomentazioni del Giudice milanese, quali spunti per un proscioglimento legato alla ricostruzione tecnica alternativa ivi valorizzata in bonam partem, quello che il ricorrente richiedeva al Collegio torinese e che ripropone a questa Corte contestando la sentenza impugnata, sembrerebbe essere addirittura una rivalutazione di merito che non e’ propria del giudizio di legittimita’ e che pone la doglianza in discorso ai limiti dell’inammissibilita’.
D’altra parte, l’apparente contraddizione interna al sistema che puo’ derivare dal patteggiamento di un imputato (rectius dal suo mancato proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen.) e dal proscioglimento degli altri ex articolo 530 cod. proc. pen. e’ un’evenienza che la giurisprudenza ha affrontato, risolvendola come sopra precisato, con osservazioni che sono mutuabili in questa sede e che tengono conto, in buona sostanza, delle differenti regole di giudizio proprie dei due riti.
Alla luce delle considerazioni svolte, il primo motivo di ricorso deve, pertanto, ritenersi infondato.
3. Venendo al secondo motivo di ricorso, prima di esaminare partitamente le doglianze che il ricorrente auspica conducano all’annullamento della sentenza quanto al reato di cui all’articolo 185 T.U.F. ovvero alla formulazione di eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 649 cod. proc. pen., e’ d’obbligo un breve excursus sulle evoluzioni piu’ significative che la giurisprudenza sovranazionale – e di conseguenza quella nazionale – sul doppio binario sanzionatorio hanno fatto registrare fino a tempi recentissimi. Le pronunzie suddette, infatti, hanno ridisegnato la portata dell’articolo 4, prot. 7 CEDU (“Nessuno puo’ essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale e’ gia’ stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”) e dell’articolo 50 della CDFUE (“Nessuno puo’ essere perseguito o condannato per un reato per il quale sia gia’ stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”) sul divieto di bis in idem rispetto alla materia degli illeciti formalmente amministrativi ma sostanzialmente penali, norme che il ricorrente pone a base delle proprie richieste.
Esse si ripercuotono direttamente sulla decisione in ordine al ricorso sub iudice, inducendo ad avallare le conclusioni cui e’ giunto il Tribunale torinese, pur rendendo necessarie alcune precisazioni sul ragionamento teorico a sostegno di dette conclusioni.
3.1. Con la sentenza della seconda sezione della Corte EDU del 4 marzo 2014, Grande Stevens, era stato adottato un atteggiamento di particolare rigore rispetto alla possibilita’ che il procedimento penale e quello amministrativo per la manipolazione di mercato colpissero la stessa persona per lo stesso fatto. L’illecito amministrativo di cui all’articolo 187-ter T.U.F. era stato ritenuto di natura sostanzialmente penale (in ragione sia della natura dell’illecito – cioe’ della rilevanza dei beni protetti e della funzione anche deterrente della fattispecie in questione -, sia della natura e del grado di severita’ delle sanzioni) e la Corte EDU aveva concluso, qualora vi fosse concentrazione sul medesimo soggetto dei due procedimenti, nel senso della violazione dell’articolo 4 del Prot. n. 7 CEDU.
3.2. Un altro arresto di rilievo nel percorso giurisprudenziale di cui si sta dando atto e’ costituito dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 26 febbraio 2013 Aklagarem c. Akeberg Fransson – C617/10. Nella pronunzia in discorso la Corte di Lussemburgo aveva esaminato la questione del doppio binario sanzionatorio – rispetto ad un illecito tributario – con riferimento all’articolo 50 CDFUE. La pronunzia non aveva escluso che gli Stati – nell’ottica della tutela degli interessi finanziari dell’Unione – fossero legittimati a ricorrere contestualmente a misure amministrative e penali, pur rimarcando la necessita’ che, dietro la formale qualificazione delle prime, non si celasse in realta’ un’indebita duplicazione punitiva, in spregio al divieto di doppio giudizio. La sentenza richiamava, quindi, i criteri di Engel – a) della qualificazione giuridica della violazione nell’ordinamento nazionale; b) della natura effettiva della violazione; c) del grado di severita’ della sanzione – con i quali interpretare la violazione formalmente amministrativa. Secondo la Corte, la valutazione sulla compatibilita’ del cumulo di sanzioni con il ne bis in idem spetta in via prioritaria al giudice nazionale e puo’ anche poggiare sugli standard di tutela interni, purche’ cio’ non infici il livello di protezione assicurato dalla Carta ed il primato del diritto dell’Unione Europea; l’eventuale contrarieta’ e detti standard e’ condizionata al fatto che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive, valutazione che e’ appannaggio del Giudice del rinvio. Come vedremo, la necessita’ di una valutazione dell’assetto sanzionatorio residuale rispetto a quello frutto del procedimento in cui si sostanzierebbe la duplicazione costituira’, nella giurisprudenza successiva, un riferimento di grande rilievo nella valutazione della compatibilita’ unionale del doppio binario sanzionatorio.
3.3. A segnare un revirement significativo nell’esegesi della Corte EDU rispetto alla sentenza Grande Stevens e’ intervenuta, il 15 novembre 2016, la decisione della Grande Camera A. e B. c. Norvegia – anch’essa sul tema del doppio binario rispetto ad una violazione tributaria.
La Grande Camera – fermi restando i presupposti dell’identita’ del fatto storico e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni formalmente amministrative in questione – ha ritenuto possibile che gli Stati scelgano, di fronte ad alcuni comportamenti socialmente inaccettabili, un sistema sanzionatorio integrato ed idoneo ad affrontare il problema nei suoi vari aspetti, sempre che tali risposte giuridiche combinate siano prevedibili e proporzionate e non rappresentino un onere eccessivo per l’interessato.
Se l’ideale, per garantire il rispetto dell’articolo 4 cit., sarebbe prevedere un meccanismo in grado di unificare i due procedimenti, non e’ escluso che si possano tenere procedimenti misti, anche fino alla conclusione degli stessi, purche’ tra tali procedimenti sussista un “nesso materiale e temporale sufficientemente stretto”, la cui esistenza deve essere vagliata dal Giudice nazionale.
Ai fini della valutazione della sussistenza di tale condizione – continua la Grande Camera – e’ necessario che il Giudice verifichi: a) se i procedimenti abbiano scopi complementari e investano, anche in concreto, aspetti diversi della stessa condotta censurata; b) se la duplicita’ dei procedimenti sia, in base alla legge e nella pratica, una conseguenza prevedibile dello stesso comportamento sanzionato; c) se i procedimenti siano condotti in modo tale da evitare, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, a favore di un’osmosi tra gli accertamenti nell’uno e nell’altro dei procedimenti; d) se, soprattutto, “la sanzione imposta all’esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell’ambito del procedimento che si e’ concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull’interessato un onere eccessivo, rischio, quest’ultimo, che e’ meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l’importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato”; e) se le sanzioni non formalmente penali non siano riconducibili al “nucleo essenziale” del diritto penale, poiche’, “se, a titolo supplementare, tale procedimento non ha carattere veramente infamante, vi sono meno possibilita’ che faccia gravare un onere sproporzionato sull’accusato”; f) se sussista un collegamento di natura cronologica fra i procedimenti, che devono essere sufficientemente vicini nel senso di non protrarsi eccessivamente nel tempo, si’ da contenere il sacrificio per l’interessato.
La sentenza appena richiamata ha costituito un momento di significativa apertura della Corte di Strasburgo rispetto al tema del bis in idem e di passaggio da una visione processuale ad una sostanziale di quest’ultimo, rispetto alla quale assume indiscutibile rilevanza primaria, nella delibazione sul ne bis in idem, il criterio della proporzione della risposta sanzionatoria complessiva rispetto al fatto cui essa intende reagire.
3.4. Appare opportuno ricordare, prima di passare alle evoluzioni piu’ recenti della giurisprudenza Europea, che la nostra Corte costituzionale ha preso atto del suddetto revirement della Corte EDU (sentenza n. 43 del 2018), addirittura restituendo gli atti al Giudice rimettente (che aveva sollevato eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 649 cod. proc. pen. in relazione all’articolo 117 Cost., comma 1 e 4, prot. 7, CEDU, “nella parte in cui non prevede l’applicabilita’ della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia gia’ stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli”), onde verificare la proposizione della questione alla luce della sentenza A e B contro Norvegia, di cui ha fornito un’efficace sintesi.
Cosi’ la Consulta: “Il ne bis in idem convenzionale cessa di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d’atto circa la definitivita’ del primo procedimento, ma viene subordinato a un apprezzamento proprio della discrezionalita’ giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti, perche’ in presenza di una “close connection” e’ permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell’altro. Inoltre neppure si puo’ continuare a sostenere che il divieto di bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale, giacche’ criterio eminente per affermare o negare il legame materiale e’ proprio quello relativo all’entita’ della sanzione complessivamente irrogata. Se pertanto la prima sanzione fosse modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere all’applicazione di una sanzione che nella sua totalita’ non risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem pienamente operante. Cosi’, cio’ che il divieto di bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell’attenuazione del suo carattere inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate. E’ chiaro il carattere innovativo che la regola della sentenza A e 8 contro Norvegia ha impresso in ambito convenzionale al divieto di bis in idem, rispetto al quadro esistente al tempo dell’ordinanza di rimessione. In sintesi puo’ dirsi che si e’ passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro, alla facolta’ di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all’entita’ della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata”.
3.5. Ad articolare ulteriormente il quadro della giurisprudenza sovranazionale, il 20 marzo 2018 sono intervenute tre pronunce della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione Europea nelle cause (OMISSIS) (C-524/15), (OMISSIS) SA in liquidazione, (OMISSIS), (OMISSIS) SA c. CONSOB (C537/16) e (OMISSIS) c. CONSOB e CONSOB c. (OMISSIS) (C-596/16 e C-597/16).
Se la sentenza (OMISSIS) puo’ essere ritenuta la capofila, la (OMISSIS) costituisce un riferimento specifico perche’ concerne proprio la materia del market abuse, ancorche’ riguardata da un punto di vista inverso rispetto a quello del presente procedimento, giacche’ il rinvio pregiudiziale era stato disposto dalla sezione tributaria di questa Corte e, in quel procedimento, ad essere divenuta definitiva era la sanzione penale irrogata a (OMISSIS) ex articolo 444 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui all’articolo 185 T.U.F., per una manipolazione di mercato per cui era ancora sub iudice la sanzione pecuniaria di natura amministrativa/penale, inflitta ex articolo 187-ter T.U.F..
Per una sintesi delle riflessioni svolte va in primo luogo ricordato che la pronunzia in discorso:
– richiama i consolidati criteri funzionali all’identificazione della natura sostanzialmente penale di una sanzione formalmente amministrativa (criteri sostanzialmente assimilabili ai criteri Engel elaborati dalla Corte EDU) e all’accertamento dell’idem, ossia dell’esistenza di uno stesso reato sulla base dell’identita’ dei fatti materiali (§§ 28 e 37);
– correla l’articolo 50 all’articolo 52, comma 1, CDFUE, in forza del quale, da una parte, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle liberta’ riconosciuti dalla stessa Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e liberta’, mentre, dall’altra, nel rispetto del principio di proporzionalita’, possono essere apportate limitazioni solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalita’ di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le liberta’ altrui.
Dalla lettura coordinata delle norme indicate, la Corte di giustizia trae una serie di indicazioni volte ad individuare le condizioni in presenza delle quali il cumulo tra sanzioni sostanzialmente e formalmente penali non integra una violazione del principio del ne bis in idem secondo il diritto dell’Unione Europea, nel contempo verificando la sussistenza dei requisiti individuati e calandoli nel concreto del sistema sanzionatorio e del caso posto alla sua attenzione; a questo proposito osserva che:
– il cumulo sanzionatorio in materia di manipolazioni di mercato e’ previsto in modo chiaro e preciso dalla normativa italiana (§§ 44, 52, 53) ed a condizioni tassativamente fissate, il che non mette in discussione il disposto dell’articolo 50 CDFUE (§ 45);
– un cumulo di procedimenti puo’ dirsi giustificato dalla complementarieta’ degli scopi – in vista della realizzazione di un “obiettivo di interesse generale” – vertenti, eventualmente, su aspetti differenti della medesima condotta di reato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (dopo aver evidenziato che all’obiettivo dell’integrita’ dei mercati finanziari dell’Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari la Corte attribuisce grande importanza, (§§ 46, 50));
– e’ legittimo che uno Stato voglia reprimere con la previsione di illeciti amministrativi comportamenti intenzionali o meno e reprimere con lo stigma penale le violazioni piu’ gravi (§ 47);
– occorre ridurre il sacrificio dell’autore del fatto al minimo necessario, tra piu’ misure tutte appropriate (§§ 48, 54, 56), nel rispetto del principio di proporzionalita’ di cui all’articolo 49, par. 3, della CDFUE e detta proporzionalita’ non e’ esclusa per il solo fatto che si sia ricorsi al cumulo (§ 49), ma e’ necessario un coordinamento tra i procedimenti al fine di contenere il piu’ possibile l’onere derivante de detto cumulo (§ 55);
– nel concreto, la collaborazione tra pubblico ministero e CONSOB puo’ ridurre l’onere ma, qualora un soggetto abbia gia’ subito una condanna propriamente penale, l’irrogazione di una sanzione amministrativa di natura penale eccede il minimo necessario per conseguire l’obiettivo qualora la condanna penale sia idonea a reprimere l’infrazione, rispetto al danno causato alla societa’, in modo efficace, proporzionato e dissuasivo (§§ 57, 63), circostanza che va verificata dal Giudice del rinvio (§ 59);
– il meccanismo di cui all’articolo 187-terdecies T.U.F., riguardando solo le sanzioni pecuniarie, non e’ sufficiente a garantire la proporzionalita’ (§ 60).
3.6. La Corte di cassazione – limitando naturalmente l’analisi alle decisioni depositate prima dell’odierna udienza – ha avuto ben presto occasione di interpretare ed applicare le sentenze da ultimo citate, sia in tema di manipolazione di mercato (Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, Franconi; Sez. tributaria civile, n. 27654 del 9 luglio 2018, nel procedimento ove era stato effettuato il rinvio pregiudiziale che ha condotto alla sentenza (OMISSIS)) che rispetto al reato di abuso di informazioni privilegiate di cui all’articolo 184, comma 1, lettera b), T.U.F. (Sez. 5, n. 49869 del 21/09/2018, (OMISSIS)), inquadrandole nel contesto della giurisprudenza precedente.
In ciascuna pronunzia, la Corte, dopo aver operato un excursus della giurisprudenza sovranazionale appena evocata, ha ritenuto – come gia’ sostenuto dalla Consulta nella sentenza n. 43 del 2018 rispetto alla sentenza A e B contro Norvegia – che il principio del bis in idem opera sulla base di un apprezzamento da parte del Giudice nazionale circa il nesso che lega il procedimento penale e quello solo formalmente amministrativo e che il criterio eminente per affermare o negare il legame tra detti procedimenti e’ quello relativo all’entita’ della sanzione complessivamente irrogata ed alla sua proporzionalita’ rispetto ai fatti che intende punire.
In particolare, prima di giungere allo snodo cruciale della proporzionalita’ sanzionatoria, la sentenza (OMISSIS) – avuto riguardo al reato di abuso di informazioni privilegiate, ma con considerazioni che possono essere mutuate anche la manipolazione di mercato – ha sviluppato una serie di passaggi nella direzione del vaglio positivo circa la compatibilita’ convenzionale ed unionale della disciplina congiunta, sostanzialmente e formalmente penale. Tali passaggi possono essere integralmente riprodotti anche quanto alla situazione di (OMISSIS), costituendo un’efficace griglia di verifica modulata sui presupposti individuati dalla giurisprudenza sovranazionale, rinviando al prosieguo della trattazione le riflessioni specificamente relative al tema della proporzionalita’ del complesso sanzionatorio inflitto nel concreto.
3.6.1. In disparte per il momento questo aspetto, dunque, occorre soffermarsi sui dettami della sentenza A e B contro Norvegia, ma anche sui parametri di compatibilita’ sui quali vi e’ stata convergenza tra la Corte di Strasburgo e quella di Lussemburgo, osservando che:
– deve essere escluso che le sanzioni amministrative comminate per l’abuso di informazioni privilegiate siano riconducibili al “nucleo duro” del diritto penale (ossia che esse si presentino come connotate da particolare attitudine stigmatizzante), il che rende non necessario che siano apprestate le garanzie proprio della sanzione penale in senso stretto;
– la prevedibilita’ del doppio sistema sanzionatorio e’ del tutto pacifica;
– vi era, al momento della pronunzia impugnata, un meccanismo normativo funzionale ad assicurare la proporzionalita’ del complessivo trattamento sanzionatorio (meccanismo concretamente applicato nel caso di (OMISSIS)); a questo proposito – ed a sostegno della potenzialita’ di contenimento sanzionatorio del sistema apprestato all’epoca dal legislatore nazionale – va condiviso quanto sostenuto nella sentenza (OMISSIS) circa la possibilita’ di interpretare estensivamente l’articolo 187-terdecies TUF, nel senso che esso doveva trovare applicazione anche quando la sequenza sanzione amministrativa-sanzione penale risultasse invertita (come poi espressamente stabilito dal Decreto Legislativo 14 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 17, che ha sostituito l’articolo 187-terdecies T.U.F.);
– gli ambiti di operativita’ e gli scopi delle normative amministrativa e penale sono diversi e complementari; a quest’ultimo proposito, la sentenza (OMISSIS), ricordando il diverso ancoraggio del giudizio di colpevolezza e l’equiparazione, per l’illecito amministrativo, del tentativo alla consumazione, ha ritenuto esservi una piu’ marcata finalizzazione dell’illecito amministrativo alla tutela oggettiva del mercato e della fiducia degli investitori, che nell’illecito penale, riservato alle piu’ gravi violazioni della disciplina in tema di abusi di mercato, si accompagna alla funzione special-preventiva della norma punitiva;
– sussiste la possibilita’ di osmosi tra le acquisizioni del procedimento amministrativo e quelle del procedimento penale; la sentenza (OMISSIS) ha, a questo proposito, ricordato l’attribuzione alla CONSOB dei diritti e delle facolta’ processuali che, nel procedimento penale, sono riconosciuti agli enti e alle associazioni rappresentativi degli interessi lesi dal reato (articolo 187-undecies T.U.F. e articolo 91 cod. proc. pen.); l’attribuzione alla CONSOB di poteri di indagine previa autorizzazione del procuratore della Repubblica (articolo 187-octies, comma 5, T.U.F.); la disciplina dei rapporti tra autorita’ giudiziaria e CONSOB dettata dall’articolo 187-decies T.U.F., avuto riguardo, in particolare, alla specifica previsione dello scambio di informazioni funzionale all’accertamento delle violazioni, nonche’ il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui le relazioni ispettive dei funzionari della CONSOB sono utilizzabili ai fini di prova relativamente alle parti riguardanti il rilevamento dei dati oggettivi sull’andamento delle sedute di borsa ed al contenuto delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche degli intermediari (Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012, dep. 2013, Dall’Aglio e altro, Rv. 254325 – 01; Sez. 5, n. 14759 del 02/12/2011, dep. 2012, Fiorani, Rv. 252300);
– nel concreto, lo sviluppo temporale dei due procedimenti a carico di (OMISSIS) testimonia una connessione temporale, perche’ la Delib. CONSOB n. 18839 relativa alla sanzione amministrativa e’ del 20 marzo 2014, mentre la sentenza della Corte di appello che ha rigettato l’opposizione dell’odierno ricorrente avverso detta delibera e’ dell’11 marzo 2015 ed e’ divenuta definitiva per espressa rinunzia dell’ (OMISSIS) a ricorrere per Cassazione; il procedimento penale era intanto gia’ in corso, giacche’ il decreto di giudizio immediato e’ del 15 ottobre 2013, il dibattimento ha avuto inizio il successivo 4 dicembre e, come gia’ ricordato, l’istanza di patteggiamento e’ stata avanzata a dibattimento gia’ in corso, il 15 luglio 2015, ed ha visto la definizione del procedimento il 25 ottobre 2016 a causa della sola necessita’ di trattare in parallelo le altre posizioni non patteggianti.
3.6.2. Esaurito questo primo passaggio e proseguendo nel percorso di verifica della compatibilita’ sovranazionale della doppia sanzione inflitta ad (OMISSIS), come gia’ anticipato occorre dirigere l’attenzione al requisito della proporzionalita’ del complessivo trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente (cui sono legati i connessi concetti di effettivita’ e dissuasivita’ della sanzione residua), requisito che assume un ruolo centrale nella giurisprudenza di entrambe le Corti Europee, il cui vaglio, tuttavia, nel caso di specie, va inquadrato nei limiti del giudizio di legittimita’ in tema di patteggiamento.
A proposito della centralita’ del requisito della proporzionalita’, i recenti approdi di questa Corte non hanno mostrato incertezze nel reputare che tale canone costituisca un elemento essenziale della garanzia del ne bis in idem in chiave sovranazionale, tanto nella prospettiva della CEDU, quanto in quella del diritto dell’Unione Europea, e che esso sia affidato all’apprezzamento del Giudice nazionale in relazione alla fattispecie concreta.
Con riferimento poi all’ambito decisorio ed al percorso metodologico del Giudice nazionale nel valutare la proporzionalita’, sia la sentenza (OMISSIS) che la sentenza (OMISSIS) hanno richiamato i parametri commisurativi di cui all’articolo 133 cod. pen. quale norma generale idonea a consentire la tenuta del doppio sistema sanzionatorio sotto il profilo, appunto, della proporzionalita’; la disposizione in discorso naturalmente vedra’ allargato l’ambito applicativo, che, per un verso, deve essere esteso al trattamento sanzionatorio inteso come comprensivo anche della sanzione formalmente amministrativa e, per altro verso, deve investire il fatto commesso nei diversi aspetti propri dei due illeciti (quello penale e quello formalmente amministrativo).
Nella sentenza Franconi, in particolare, questa sezione ha osservato che, se la CGUE, nella causa (OMISSIS), aveva evidenziato l’inadeguatezza strutturale dell’articolo 187 terdecies T.U.F. ad evitare il bis in idem, a colmare questa lacuna del nostro ordinamento soccorre appunto l’articolo 133 cod. pen. ed il percorso commisurativo che esso impone al Giudice nella dosimetria del trattamento sanzionatorio.
3.6.3. Con riguardo alle conseguenze concrete dell’esercizio del potere giudiziario rispetto alla valutazione della proporzionalita’ di sanzioni gia’ irrogate, la sentenza (OMISSIS) ha fatto conseguire dalle considerazioni sviluppate il principio di diritto per cui “il giudice comune deve valutare la proporzionalita’ del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello “formalmente” amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell’incidenza del fatto sull’integrita’ dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), tenendo conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo “compensativo” di cui all’articolo 187-terdecies TUF; qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem, nei termini sopra diffusamente richiamati, il giudice nazionale dovra’ dare applicazione diretta al principio garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, disapplicando, se necessario e, naturalmente, solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio”.
Nel concreto, il precedente evocato (§ 11) ha poi individuato – laddove ad essere divenuta definitiva prima sia la sanzione amministrativa – i casi “limite” nei quali e’ necessario operare una disapplicazione in toto della norma sanzionatoria penale. Si tratta di ipotesi eccezionali, “in cui la sanzione amministrativa – evidentemente attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di gravita’, sotto il profilo penale, affatto contenuta – risponda, da sola, al canone della proporzionalita’ nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti”.
Fuori dall’ipotesi “limite” appena richiamata, l’accertamento dell’incompatibilita’ del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato rispetto alla garanzia del ne bis in idem comporta, nel caso di sanzione amministrativa gia’ divenuta irrevocabile, esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni, con deroga al minimo edittale, fermo restando quello inderogabile di cui all’articolo 23 cod. pen..
3.6.4. Giova ancora osservare, prima di affrontare il tema della proporzionalita’ della sanzione irrogata ad (OMISSIS), che gli epiloghi decisori delle sentenze (OMISSIS), da una parte, e (OMISSIS) e (OMISSIS), dall’altra, si sono differenziati quanto alle concrete conseguenze dei principi analizzati in ordine ai casi rispettivamente sub iudice.
Nella (OMISSIS), in particolare, la Corte, escludendo che ricorresse, nel caso sub iudice, l’ipotesi estrema che autorizzava la disapplicazione in toto, ha optato per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, reputando che ogni valutazione in termini di proporzionalita’ del complessivo trattamento sanzionatorio avrebbe implicato apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimita’. Alla stessa conclusione e’ giunta la sezione tributaria nella causa (OMISSIS).
La sentenza (OMISSIS), invece, sul presupposto che le sentenze di merito pronunziate sulla vicenda specifica avessero fornito ogni dato necessario a valutare la proporzionalita’ della sanzione concretamente inflitta rispetto alla gravita’ dei fatti e rimarcando l’aderenza o la prossimita’ delle sanzioni irrogate rispetto ai minimi edittali, ha respinto la doglianza circa il bis in idem, operando direttamente una valutazione di proporzionalita’ della sanzione complessiva.
4. Orbene, fatta questa premessa – doverosa data la vivacita’ della giurisprudenza sovranazionale, ma anche le incertezze interpretative cui essa ha dato luogo – occorre ora dare risposta alle singole doglianze del ricorrente condensate nel secondo motivo di ricorso, che saranno occasione per interrogarsi sul tema della proporzionalita’ della risposta sanzionatoria complessiva nel caso (OMISSIS), ferme restando le altre valutazioni gia’ operate sulla scorta della “griglia” della (OMISSIS).
4.1. Invertendo l’ordine con il quale li ha posti il ricorrente – ed allo scopo di non perdere continuita’ con il tema della proporzionalita’, appena sceverato nella sua lettura giurisprudenziale – occorre vagliare in primo luogo il profilo del ricorso che auspica l’applicazione diretta dell’articolo 50 CDFUE; esso va esaminato tenendo conto del mutato quadro giurisprudenziale e anche della circostanza, di non poco momento, che la sentenza impugnata e’ stata emessa ex articolo 444 cod. proc. pen..
A questo proposito, giova osservare che la questione del bis in idem che questa Corte e’ chiamata oggi a valutare vede intersecati due temi, quello dell’improcedibilita’ ex articolo 129 per bis in idem ex articolo 50 CDFUE e quello sanzionatorio il quale, come sembra chiaro in virtu’ dell’attuale panorama giurisprudenziale, trascende il profilo punitivo in senso stretto e puo’ invece determinare se vi sia o meno bis in idem convenzionale e, quindi, se si profili la conseguente necessita’ di un proscioglimento.
Dopo le sentenze (OMISSIS) e (OMISSIS), e’ chiaro, infatti, che il doppio binario sanzionatorio in materia di manipolazione di mercato non e’ violativo, ex se, dell’articolo 50 CDFUE, ma che occorre valutare, in ultima analisi, se le sanzioni oggetto del cumulo siano, rispetto alla fattispecie concreta, proporzionate alla gravita’ del fatto commesso e che, solo in caso di sproporzione, puo’ discutersi della necessita’ di prosciogliere l’imputato per bis in idem – nei casi limite – ovvero di rimodulare la risposta sanzionatoria. Riguardo a queste due alternative, mette conto precisare che il ricorrente auspica fin dal principio – e lo ha ribadito anche nella memoria depositata il 22 ottobre 2018- un proscioglimento ex articolo 129 cod. pen. per bis in idem, escludendo che vi sia la possibilita’ di intervenire sulla pena, trattandosi di patteggiamento.
4.1.1. Ebbene, va in primo luogo osservato che la pena applicata ad (OMISSIS) corrisponde alla proposta formulata, in entrambe le istanze di patteggiamento, dal ricorrente, il che costituisce un indicatore di grande pregnanza che agevola l’interprete nel valutare la non sproporzione della sanzione; in altri termini, se e’ stato lo stesso imputato, pur gia’ destinatario della sanzione amministrativa, ad accedere alla definizione alternativa sul versante penale proponendo quello specifico trattamento sanzionatorio, egli ha implicitamente riconosciuto la non sproporzione della dosimetria complessiva.
Peraltro il ricorso, pur con le precisazioni di cui alle memorie successive, lambisce l’inammissibilita’, dal momento che – nonostante la ricchezza argomentativa che ne ha caratterizzato l’impostazione – non spiega perche’ la sanzione amministrativa, da sola, sarebbe proporzionata, efficace e dissuasiva rispetto ai fatti addebitati ad (OMISSIS) e perche’ il complesso amministrativo/penale, al contrario, forzi i limiti della proporzione.
4.1.2. A prescindere dai cennati limiti del ricorso e ponendosi ora nella prospettiva del giudicante, e’ d’uopo rimarcare che il tema della proporzionalita’ e’ stato espressamente affrontato nella sentenza del Tribunale di Torino, sia con riferimento alla sanzione amministrativa che a quella penale. Invero, nonostante un panorama giurisprudenziale solo in parte coincidente con quello attuale (la sentenza A e B contro Norvegia e’ stata pronunziata solo dopo la decisione impugnata e nelle more del deposito delle motivazioni e non vi erano ancora stati gli interventi di marzo 2018 della CGUE), la pronunzia avversata ha indugiato sul tema della proporzione della dosimetria delle sanzioni rispetto alla gravita’ delle responsabilita’ di (OMISSIS).
Quanto al primo aspetto (cfr. pag. 30), il Tribunale di Torino ha ritenuto, a proposito della sanzione amministrativa applicata al ricorrente, che, “tenuto conto del danno patrimoniale assai ingente arrecato al mercato (a fronte del quale si e’ assistito alla costituzione di molteplici parti civili), e’ stata irrogata da parte della CONSOB una sanzione amministrativa di importo proporzionalmente non elevato rispetto a tale danno”.
In ordine alla sanzione penale, il Tribunale ha poi osservato (pag. 33) che “l’ammontare della medesima risulta congruo rispetto agli elementi in atti sulla scorta dei criteri tutti, oggettivi e soggettivi, di cui all’articolo 133 cod. pen., in particolare tenuto conto, da un lato, della gravita’ dei fatti, che hanno coinvolto un numero elevatissimo di risparmiatori, con una vera e propria distruzione del valore del risparmio investito, della carica apicale e della posizione dirigenziale da tempo rivestita dall’interessato, dall’altro, delle considerazioni gia’ esposte nel giudizio relativo alle circostanze e della funzione non solo afflittiva ma anche rieducativa propria della sanzione penale”.
4.1.3. La portata di tali considerazioni va poi valutata tenendo conto della pena concretamente inflitta ad (OMISSIS) per la manipolazione di mercato e della sanzione amministrativa di cui e’ stato destinatario, riguardate in relazione ai rispettivi limiti edittali, al fine di verificare se si sia concretizzato il “caso limite” delineato dalla sentenza (OMISSIS).
Con riferimento al primo aspetto, mentre la pena pecuniaria si e’ attestata su 200.000 Euro di multa (ed e’ stata annientata ex articolo 187-terdecies T.U.F. dalla sanzione amministrativa di Euro 400.000 di multa), quella detentiva inflitta al ricorrente per la manipolazione di mercato e’ scesa da anni sei e mesi tre, ad anni quattro e mesi tre di reclusione per le circostanze attenuanti generiche ed ulteriormente (calcolando idealmente la diminuzione senza operare prima l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo 1 e tenendo conto che il coefficiente di diminuzione per la pena detentiva e’ stato di un terzo secco) ad anni due e mesi dieci di reclusione per il rito. Va, a quest’ultimo riguardo, osservato che, data la necessita’ di vagliare il carico sanzionatorio effettivo, il Collegio ha condiviso l’impostazione esplicitata dalla sentenza della sezione tributaria nella causa (OMISSIS) (cfr. supra), circa la necessita’ di riguardare la pena finale concretamente inflitta, al netto delle diminuzioni progressive del calcolo. Va altresi’ osservato che il ricorrente ha erroneamente considerato, nell’individuazione della pena applicata, anche quella calcolata in aumento ex articolo 81 c.p., comma 2, per il reato di cui al capo 1) (cfr. memoria del 22 ottobre 2018).
A fronte di questi dati, occorre ricordare che la pena ex articolo 185 T.U.F. va da due a dodici anni di reclusione e da 40.000 a 5.000.000 Euro di multa (quest’ultima aumentabile fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguente al reato) dopo l’inasprimento dovuto alla L. 28 dicembre 2005, n. 262; e che la sanzione amministrativa, quintuplicata ai sensi della L. n. 262 del 2005, articolo 39, comma 3, va da Euro 100.000 ad Euro 25.000.000 di multa, con analoga possibilita’ di aumento.
Un mero raffronto aritmetico evidenzia, dunque, come tutte le sanzioni applicate si collochino decisamente in prossimita’ dei rispettivi minimi edittali.
Ne’ la valutazione circa la ricorrenza del “caso limite” individuato dalla sentenza (OMISSIS) puo’ mutare riguardando il restante corredo sanzionatorio, che non ha fatto registrare conseguenze punitive di tale consistenza da assorbire la risposta sanzionatoria al fatto, riguardato in entrambi i sistemi, quello penale e quello amministrativo.
Sul versante penale, ex articolo 186 T.U.F., (OMISSIS) si e’ visto infliggere le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e l’incapacita’ di contrattare con la PA per un anno e quattro mesi (esse vanno da sei mesi a due anni), oltre alla pubblicazione della sentenza ex articolo 36 cod. pen., mentre non ha subito la confisca di cui all’articolo 187 T.U.F..
Quanto al versante amministrativo, (OMISSIS) ha subito, ex articolo 187-quater T.U.F., le sanzioni amministrative accessorie della perdita dei requisiti di onorabilita’ e l’incapacita’ temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo per societa’ quotate o societa’ appartenenti allo stesso gruppo di societa’ quotate per mesi quattro per ciascuna societa’ (essa non puo’ avere una durata inferiore a due mesi e superiore a tre anni). Non ha subito la confisca di cui all’articolo 187-sexies T.U.F..
4.1.4. Ebbene, la mancata ricorrenza di un caso estremo di sproporzione impedisce – a giudizio del Collegio – di ritenere che vi possano essere, in questa sede, implicazioni favorevoli per l’imputato in ragione dell’invocata applicazione diretta della norma dell’articolo 50 CDFUE.
A questo riguardo, occorre infatti osservare che, se la tenuta del doppio binario sanzionatorio e’ suscettibile di “saltare”, secondo la sentenza (OMISSIS), laddove nel concreto la prima delle sanzioni irrogate sia gia’ proporzionata, efficace e dissuasiva rispetto al fatto commesso, nel caso di (OMISSIS) tale ipotesi estrema non si e’ concretizzata, sicche’ non puo’ esservi spazio, nel presente giudizio di legittimita’, per un annullamento che miri a censurare la mancata applicazione dell’articolo 129 cod. proc. pen. in fase di merito per bis in idem Eurounitario. A questo riguardo, vanno ricordate le giustificazioni fornite dal Giudice del patteggiamento in rapporto alla ritenuta gravita’ della condotta e, soprattutto, la collocazione delle sanzioni nell’ambito delle rispettive forbici edittali, oltre che il meccanismo di cui all’articolo 187-terdecies, che ha annientato la pena pecuniaria, elementi che impediscono di ritenere che sia percepibile ictu oculi una sproporzione che lasci operare il divieto di secondo giudizio in chiave Eurounitaria.
4.1.5. Al di fuori dunque di un’ipotesi estrema e, quindi di una situazione di radicale sproporzione, risultante dalla sentenza impugnata, che imponga a questa Corte di intervenire sulla sentenza per mancato proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen. nonostante tutti i limiti della censurabilita’ della pronunzia di patteggiamento gia’ sopra esaminati, l’eventuale, ulteriore giudizio sulla proporzionalita’ del trattamento sanzionatorio – con il conseguente percorso di rimodulazione cui esso darebbe luogo – e’ invece inibito da detti limiti.
Giova, infatti, ricordare che questa Corte, giudicando una sentenza emessa sull’accordo delle parti ex articolo 444 cod. proc. pen., potrebbe intervenire rispetto al quadro sanzionatorio solo in caso di illegalita’ della pena per erronea applicazione delle disposizioni di legge che la contemplano (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’, Rv. 247841; Sez. 3, n. 1883 del 22/09/2011, La Sala, Rv. 251796; Sez. 1, n. 16766 del 07/04/2010, Ndyae, Rv. 246930; Sez. 5, n. 1411 del 22/09/2006 dep. 2007, Braidich; Rv. 236033 – 01; Sez. 5, n. 46790 del 25//10/2005, Grifantini, Rv. 233033; Sez. 5, n. 40840 del 20/09/2004, Terzetti, Rv. 230216 01; nonche’ a fronte di un’illegalita’ sopravvenuta per ricollocazione dei limiti edittali a seguito di declaratoria di incostituzionalita’, Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264206 – 01). Nel caso di specie, invece, il giudizio sulla proporzionalita’ del trattamento sanzionatorio – attinendo in definitiva pur sempre al profilo commisurativo della sanzione e non gia’ al rispetto della cornice punitiva ovvero delle regole di computo stabilite dalla legge – esula dal tema dell’illegalita’ della pena quale individuato nel diritto vivente di questa Corte e trascende, dunque, i limiti del sindacato del Giudice di legittimita’ sul trattamento sanzionatorio riservato all’imputato patteggiante.
Per concludere sul punto deve quindi essere escluso che, all’esito e nei limiti delle valutazioni consentite a questa Corte quale Giudice di legittimita’ su una sentenza di patteggiamento, sia emersa nel caso (OMISSIS) una violazione del divieto del doppio binario sanzionatorio di cui all’articolo 50 CDFUE, nella lettura fornitane dalla Corte di Lussemburgo e dalla Corte di cassazione.
4.2. Una volta esaminato il tema dalla paventata contrarieta’ con l’articolo 50 CDFUE, occorre passare al vaglio del segmento del secondo motivo di ricorso che concerne l’invocata applicazione analogica, in tesi convenzionalmente orientata, dell’articolo 649 cod. proc. pen.anche alla materia dei rapporti tra illecito amministrativo (sostanzialmente penale) e illecito formalmente penale che dovrebbe condurre – sostiene il ricorrente – ad un proscioglimento dell’ (OMISSIS) per bis in idem e sulla cui sorte, al contrario, pesano notevolmente le osservazioni gia’ sviluppate circa la compatibilita’ convenzionale del sistema del doppio binario come applicato all’odierno ricorrente.
A tale riguardo, va ricordato che gia’ nell’ordinanza n. 1782 del 2015 di questa sezione (con interpretazione seguita poi dalla terza sezione, con sentenza n. 25815 del 21/04/2016), si era sancito il condivisibile principio dell’impossibilita’ di un’applicazione analogica della norma in discorso rispetto ai provvedimenti emessi all’esito di procedimenti solo sostanzialmente penali. Ebbene, tale conclusione oggi trova conforto nella giurisprudenza convenzionale (e riscontro in quella della Corte di Lussemburgo) e nell’interpretazione che anche la Consulta e questa Corte ne hanno fornito, come sopra ricordate, il che conduce ad una rapida smentita dell’assunto del ricorrente.
A questo proposito va infatti osservato che, giacche’, come sostenuto anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 43 del 2018, la sentenza A e B contro Norvegia ha indubbiamente ridimensionato la rigidita’ della giurisprudenza precedente della Corte EDU sul doppio binario sanzionatorio, ne consegue che – essendo significativamente mutati i riferimenti esegetici – non e’ quella predicata dal ricorrente la corretta interpretazione convenzionalmente orientata dell’articolo 649 cod. proc. pen. che oggi potrebbe invocarsi.
E’ da escludere, infatti, sulla scorta delle riflessioni gia’ svolte cui si rinvia, che vi possa essere implicazione automatica alcuna tra convergenza sullo stesso fatto delle due sanzioni e l’epilogo auspicato da (OMISSIS), vale a dire l’improcedibilita’ della fattispecie penale oggi sub iudice, dovendo invece esservi una verifica concreta rispetto ai parametri individuati dalla Corte EDU, secondo lo schema gia’ sopra adoperato, verifica che nel caso di specie ha condotto all’esclusione di un contrasto del doppio binario sanzionatorio con l’articolo 4, prot. 7, CEDU.
4.3. La risposta alle altre doglianze – la censura concernente l’applicazione diretta dell’articolo 4, prot. 7 CEDU e l’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 649 cod. proc. pen. per violazione dell’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione alla norma convenzionale suddetta – fonda su analoghe considerazioni che pure, richiamando la premessa teorica sopra enunciata, possono essere sviluppate in poche battute.
4.3.1. Quanto al tema dell’applicazione diretta dell’articolo 4, prot. 7, CEDU – tralasciando le questioni sulla sua effettiva praticabilita’ e sull’esistenza di uno spazio giuridicamente vuoto in cui essa potrebbe inserirsi, agitate dal ricorrente-le considerazioni sopra articolate circa la rispondenza ai criteri enucleati dalla Corte EDU in A e B contro Norvegia del doppio binario sanzionatorio applicato al caso (OMISSIS) e quelle sviluppate in punto di proporzionalita’ del complesso sanzionatorio privano di significato la doglianza, evidenziando che non vi e’ alcuna violazione della norma convenzionale paventata dal ricorrente che possa emergere in questa sede.
4.3.2. La questione di legittimita’ costituzionale e’ inammissibile – per manifesta infondatezza e per difetto di rilevanza – per ragioni affini.
In primo luogo, essa fonda su un’interpretazione tendente a ridimensionare la portata innovativa della sentenza A e B contro Norvegia che, invece, la stessa Consulta, nella sentenza 43/2018 che aveva ad oggetto una questione analoga, ha ampiamente valorizzato, restituendo gli atti al Giudice rimettente affinche’ valutasse la propria impostazione alla luce del novum giurisprudenziale, con particolare riferimento al legame temporale e materiale che, ove sussistente, renderebbe inutile l’introduzione nell’ordinamento, incidendo sull’articolo 649 cod. proc. pen., di una regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto.
In secondo luogo – proprio ricollegandosi alla traccia fornita dalla Corte Costituzionale – la questione non sarebbe rilevante nel presente giudizio, data la valutazione di compatibilita’ convenzionale svolta nel concreto quanto alla vicenda (OMISSIS) allorche’ ci si e’ interrogati sul rispetto dei parametri indicati dalla Corte di Strasburgo e sulla proporzionalita’ della risposta sanzionatoria complessiva (pur con i limiti di giudizio della Corte di cassazione in tema di patteggiamento).
5. Anche il terzo motivo di ricorso – incentrato sulla liquidazione delle spese alle parti civili – e’ infondato.
Circa la mancata sottoscrizione della nota spese da parte degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) – o del loro sostituto processuale – deve dirsi che trattasi di profilo irrilevante ad impedire la liquidazione, giacche’, secondo la giurisprudenza di questa Corte, poiche’ l’articolo 153 disp. att. cod. proc. pen. non commina alcuna sanzione di nullita’ o inammissibilita’ per l’inosservanza del dovere della parte civile di produrre l’apposita nota, la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214641; Sez. 3, n. 31865 del 17/03/2016, P.C. in proc. Vacca, Rv. 267666; Sez. 6, n. 5680 del 03/12/2007, dep. 2008, Garofalo, Rv. 238730; Sez. 3, n. 8552 del 23/01/2002, Montirosi F, Rv. 221262). E’ evidente che tale ragionamento, fondato sulla non essenzialita’ della presentazione della nota spese, vale anche a concludere per l’irrilevanza della mancata sottoscrizione di una notula presentata.
Sulla scorta della medesima conclusione circa l’irrilevanza della nota spese, deve dirsi che legittimamente il Giudice del patteggiamento ha liquidato il rimborso a quei difensori che non lo avevano espressamente richiesto, trattandosi, peraltro, di una voce che non copre spese straordinarie, ma, sia pur forfetariamente, quelle vive sostenute dalla parte.
Quanto all’entita’ della percentuale di rimborso riconosciuta, non si ravvisa alcuna violazione di legge, giacche’ il Tribunale torinese ha agito nell’ambito della discrezionalita’ che gli e’ concessa nella valutazione della quantita’ e qualita’ dell’attivita’ defensionale e delle spese che possono esservi state riconnesse, con valutazione incensurabile in sede di legittimita’. Peraltro, il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 2 indica la percentuale del 15% come quella da applicare “di regola”, il che significa che sarebbe stata caso mai necessaria una specifica motivazione qualora il Tribunale si fosse voluto discostare da quell’importo.
6. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalle parti civili costituite, che e’ stata operata, per ciascun difensore, tenendo conto delle tabelle del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 e successive modifiche e differenziando i compensi, in ragione della presentazione o meno di memorie ed in base al numero di parti rappresentate.
La quantificazione e’ avvenuta come di seguito precisato:
– complessivi Euro 4380,00 per le parti assistite dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 1760,00 per le parti difese dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 5090,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 2110,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 2985,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 1950,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 11790,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS);
– complessivi Euro 3020,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); oltre, per tutti, gli accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida in Euro 4380,00 per le parti assistite dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 1760,00 per le parti difese dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 5090,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 2110,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 2985,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 1950,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 11790,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); in Euro 3020,00 per le parti rappresentate dall’Avv. (OMISSIS); oltre, per tutti, gli accessori di legge.
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