Se un contratto debba essere qualificato come locazione di immobile od affitto di azienda

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 17 febbraio 2020, n. 3888.

La massima estrapolata:

Il giudice, nel valutare se un contratto debba essere qualificato come locazione di immobile od affitto di azienda (o di un ramo di essa), deve, in primo luogo, verificare se i beni oggetto di tale contratto fossero già organizzati in forma di azienda; in caso di esito positivo dell’indagine, egli è tenuto, quindi, ad accertare se le parti abbiano inteso trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato o semplicemente quello di un immobile, al cui utilizzo risultino strumentali gli altri beni e servizi eventualmente ceduti, restando poi libero l’avente causa di costituire “ex novo” un’azienda propria. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione della corte di appello, la quale, poiché l’immobile oggetto del contratto era situato in un centro commerciale, aveva erroneamente ritenuto l’avvenuta cessione di un’organizzazione aziendale, senza verificare se il cedente avesse in precedenza impresso ai beni interessati dall’accordo una tale organizzazione e valorizzando, invece, il trasferimento in godimento, assieme al locale, di elementi, quali un massetto, un registratore ed un gabinetto, di per sé insufficienti a costituire un’azienda).

Sentenza 17 febbraio 2020, n. 3888

Data udienza 3 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 29777-2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL in liquidazione, in persona del liquidatore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2507/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/06/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

La societa’ (OMISSIS) gestisce le strutture costituenti un centro commerciale denominato (OMISSIS). Il 21.6.2004 la societa’ (OMISSIS) ha stipulato con la (OMISSIS) srl un contratto di affitto di ramo di azienda, in relazione al quale, con ricorso ex articolo 447 bis c.p.c., ha convenuto in giudizio la (OMISSIS) sostenendo che il suddetto contratto era scaduto il 21.6.2014 e che, per l’effetto, la (OMISSIS) venisse condannata a rilasciare il ramo di azienda come definito dal contratto, e, in particolare, i locali di cui alle unita’ 6 e 7 del (OMISSIS) con le rispettive attrezzature e pertinenze; chiedeva inoltre la condanna della (OMISSIS) al risarcimento dei danni subiti per i titoli indicati in ricorso pari ad Euro 500.000 mila, oltre interessi.
La (OMISSIS) si e’ costituita in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda, la dichiarazione di nullita’ e/o inefficacia e/o inopponibilita’ del contratto ex adverso invocato e comunque la sussistenza di un rapporto di locazione commerciale.
In via riconvenzionale, poi, la (OMISSIS) ha chiesto il risarcimento dei danni con conseguente condanna di (OMISSIS) al pagamento di 174.608,49 Euro, oltre accessori, nonche’ il diritto al rimborso dei miglioramenti e delle addizioni apportate agli immobili, ai sensi degli articoli 1592 e 1592 c.c.
Il Tribunale di Parma, accertato che il contratto di affitto di ramo d’azienda era scaduto il 21.6.2014, ha condannato, con sentenza 1115/2016 la (OMISSIS) alla restituzione del complesso aziendale, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione della causa.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la (OMISSIS), unitamente alla srl (OMISSIS), quest’ultima cessionaria del ramo d’azienda de quo.
Con l’atto di impugnazione le due societa’ hanno lamentato che il giudice di primo grado avesse ritenuto valido il contratto in difetto della prescritta forma scritta e nonostante fosse stato sostituito da altro contratto totalmente diverso, stipulato per atto pubblico il 3 – 5 – agosto 2004, da considerarsi come il contratto definitivo cui fare riferimento; che dunque erroneamente il giudice di primo grado aveva ignorato l’anomalia della doppia stipulazione, ammettendo la contestuale presenza di due atti a regolamentare il rapporto, quando invece il complessivo assetto era rivolto a massimizzare il profitto eludendo la normativa fiscale e lavoristica; che, trattandosi di locazione e non di affitto d’azienda, la disdetta doveva ritenersi inefficace, con conseguente proroga del rapporto per ulteriori 10 anni.
La corte di appello ha confermato la tesi del giudice di primo grado, secondo cui la stipulazione di due atti non risponde alla sequenza preliminare – definitivo, quanto piuttosto ad un procedimento volto ad eludere norme fiscali, ma ne deduce che non puo’ ritenersi la nullita’ dell’intero negozio e la sua conversione in locazione commerciale (p.9), quanto piuttosto, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, una nullita’ delle singole clausole elusive di norme fiscali. Ritiene poi la corte di appello che correttamente il giudice di primo grado ha qualificato il contratto come cessione-affitto di azienda, per via del fatto che le parti hanno inteso trasferire unitariamente un complesso di beni mobili ed immobili dotato di potenzialita’ produttiva, ancorche’ l’attivita’ non fosse iniziata al momento della conclusione del contratto (p.9).
In sostanza, secondo la corte, la potenzialita’ produttiva del complesso non e’ esclusa ne’ dal fatto che l’attivita’ non fosse ancora iniziata al momento della cessione, ne’ dal fatto che l’immobile era ancora al rustico.
Infine, la corte di appello ha conferito particolare rilievo, ai fini della qualificazione del contratto come di affitto di azienda, alla circostanza che il locale si trova all’interno del centro commerciale e che unitamente ad esso e’ ceduto altresi’ il godimento o lo sfruttamento commerciale di altri beni, come le attrezzature indicate nell’elenco allegato, il know how, la licenza commerciale ecc.
La (OMISSIS) propone tre motivi di ricorso per Cassazione, assumendo una erronea qualificazione del contratto e comunque la sua nullita’ per frode alla legge. V’e’ costituzione della (OMISSIS) con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La resistente eccepisce, innanzitutto, l’inammissibilita’ del ricorso, con l’argomento che, essendo stato notificato via pec, non e’ accompagnato dalla indicazione del luogo da cui e’ stato tratto l’indirizzo di posta elettronica di destinazione.
Questa eccezione e’ infondata.
L’atto, intanto, ha raggiunto lo scopo, dal momento che la mail di notifica e’ stata ricevuta, come ammesso dalla stessa resistente.
Inoltre, la notifica del ricorso via posta elettronica certificata risulta effettuata in termini.
2.- Quanto al merito, la ricorrente propone tre motivi.
Con il primo motivo la societa’ ricorrente, (OMISSIS) denuncia violazione degli articoli 1362, 1363, 1366 c.c. e articolo 2555 c.c. per avere la sentenza impugnata errato nella interpretazione e qualificazione del contratto, ritenendo che, al di la del nomen iuris, fosse qualificabile come affitto di azienda, anziche’ locazione commerciale. Inoltre, sempre con il primo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame di un fatto controverso e decisivo consistente nella valutazione dell’effettiva consistenza dei beni (quelli diversi dall’immobile) che formavano oggetto della presunta cessione di azienda.
Cio’ sostiene ritenendo che gli elementi valorizzati dalla corte di merito avrebbero dovuto far propendere per la locazione, anziche’ per la cessione di ramo di azienda.
In particolare, secondo la ricorrente, andava considerata in primo luogo la circostanza che, al momento del contratto, il bene fosse al grezzo ed inagibile, che dunque non v’era una preesistente unita’ produttiva, ma che tale unita’ e’ stata preordinata successivamente ad opera della conduttrice; che la cedente esercitava un’attivita’ del tutto diversa da quella assunta dal cessionario.
La ricorrente contesta che ai fini della qualificazione del contratto possa bastare che l’immobile sia potenzialmente destinato ad una clientela, occorrendo invece che si tratti di un complesso di beni e servizi finalizzati all’esercizio dell’impresa (p.14).
Peraltro, osserva il ricorrente, oggetto del contratto era un unico immobile, non finito e la cui ristrutturazione finalizzata al commercio era dovuta alla iniziativa del cessionario.
Con la conseguenza che non poteva ravvisarsi nell’insieme dei beni ceduti (un singolo locale, e qualche attrezzatura utile alla vendita, come il registratore di cassa e le stigliature) una preesistente organizzazione produttiva, che difettava invero del tutto; del resto, la societa’ (OMISSIS), cedente, non esercitava l’attivita’ commerciale o imprenditoriale che nel locale ha poi svolto la cessionaria (OMISSIS) srl.
In sostanza, secondo la ricorrente, l’attivita’ di impresa effettiva era riconducibile esclusivamente alla sua organizzazione e non gia’ a quella del cedente.
Inoltre, la corte di merito non avrebbe considerato, omettendone l’esame, il fatto costituito dall’insieme dei beni ceduti, che non erano tali da costituire un’azienda, trattandosi di un massetto di 2 cm, una toilette, un registratore di cassa e 4 rail per negozio.
La corte di appello, in sostanza, avrebbe omesso di considerare la consistenza di tali beni e di descrivere quindi il complesso aziendale che sarebbe stato trasferito da (OMISSIS) a (OMISSIS) (p. 19).
Se l’esame si fosse invece svolto, avrebbe portato a decisione diversa, non essendo quei beni tali da poter costituire un complesso organizzato a fini produttivi.
Con il secondo motivo la ricorrente censura violazione degli articoli 1418 e 1419 c.c. in relazione agli articoli 1343 e 1344 c.c.
La tesi della ricorrente e’ che la corte di merito non ha tenuto conto della elusivita’ della doppia e successiva stipulazione di due contratti relativi allo stesso rapporto.
In sostanza, le parti hanno dapprima stipulato una scrittura privata completa, contenente statuizioni ritenute dalla stessa Guardia di Finanza come elusive delle norme fiscali, e poi un secondo contratto, in forma riassuntiva, dove erano omesse le clausole nulle, fatto per atto pubblico.
Pur dando atto della anomalia della predetta duplicazione, la corte di merito non avrebbe concluso per la nullita’ totale, limitandosi a suppore semmai una nullita’ delle singole clausole stipulate in frode.
Secondo la ricorrente si tratterebbe di una erronea interpretazione dell’articolo 1344 c.c. cui e’ riconducibile la frode fiscale, nel senso che l’elusione di norme fiscali rileva ai sensi di quell’articolo, e come ivi previsto, determina la nullita’ dell’intero accordo elusivo, e non solo delle clausole stipulate in frode.
Con il terzo motivo la ricorrente assume violazione dell’articolo 1972 c.c., rimproverando alla corte di merito di non aver ritenuto la nullita’ della transazione fatta in relazione al ramo di azienda.
Infatti, la corte ha ritenuto valida una transazione fatta sul contratto di cui si discute, ossia sul contratto di cessione-affitto di ramo d’azienda.
Secondo la ricorrente, essendo nullo il titolo, ossia il contratto di cessione, per come illustrato nei due motivi precedenti, parimenti invalida avrebbe dovuto essere altresi’ la transazione che, come e’ noto, non puo’ farsi su titolo nullo.
3.- Il primo motivo e’ fondato, e cio’ comporta l’assorbimento degli altri due. Occorrono pero’ alcune premesse di fondo.
3.1.- La sentenza impugnata adotta la premessa secondo cui si ha affitto di azienda solo che sia concesso in godimento “un complesso di beni mobili e immobili unitariamente considerato dotato di potenzialita’ produttiva, ancorche’ l’attivita’ produttiva non sia ancora iniziata al momento della conclusione del contratto” (p. 9).
La corte si fa carico della necessita’ che quel complesso di beni costituisca un “unitario complesso organizzato a fini produttivi” (p. 10), ma ne trae erroneamente la convinzione che, nel caso concreto, lo sia, da indici come la collocazione del bene all’interno del centro commerciale, la possibilita’ di sfruttare le aree comuni, il godimento altresi’ delle attrezzature, il diritto di ricevere i servizi, il diritto di utilizzare il know how.
Si tratta ben vedere di un ragionamento erroneo nella premessa minore (in presenza dei suddetti indici v’e’ di sicuro azienda) cosi che ne e’ viziata la conclusione (avendo le parti dato rilievo a quegli elementi, hanno stipulato un affitto di azienda anziche’ una locazione).
3.2.- Prima di affrontare la questione della qualificazione del contratto oggetto di causa, merita ricordare come il nomen iuris dato dalle parti al loro accordo non e’ affatto, e pare ovvio, vincolante nella qualificazione dell’atto e cosi nella conseguente distinzione, che ci occupa da vicino, tra affitto di azienda e locazione.
Le parti ben possono avere interesse a qualificare un contratto come affitto di azienda per sfuggire alla disciplina meno favorevole della locazione (o almeno da loro ritenuta tale).
E qui, a parte la generale questione circa il potere del giudice di disattendere la qualificazione data dalle parti, va osservato che non si puo’ attribuire a queste ultime il potere di applicazione di una disciplina che coinvolge interessi dei terzi.
Cio’ si dice quindi a sgomberare il campo dalla obiezione che le parti avevano qualificato il contratto (in due successive stipulazioni) come affitto di azienda, ma soprattutto lo si dice a smentire uno degli argomenti che la corte di merito utilizza per rafforzare l’idea che si tratta, per l’appunto, di un affitto di azienda piuttosto che di una locazione.
Infatti, la corte di merito attribuisce valore confessorio alla circostanza che la ricorrente (avente causa) ha poi a sua volta stipulato un contratto con terzi, cui ha concesso in godimento quel medesimo immobile, qualificando tale accordo come cessione di azienda (p. 11). Con la conseguenza che, avendolo qualificato come affitto essa stessa, non puo’ poi la ricorrente avanzare una diversa qualificazione dell’atto, o comunque con la conseguenza che quella sua stessa qualificazione e’ prova (addirittura confessoria) della effettiva natura del contratto.
Ed e’ di tutta evidenza che, di per se’, se le parti qualificano un contratto come cessione di azienda (ed ovviamente cio’ vale per ogni altro tipo) questa loro dichiarazione non costituisce confessione circa l’effettiva natura dell’atto (in questo caso di affitto di azienda anziche’ di locazione), al punto che il giudice debba ritenersi vincolato a prenderne atto o comunque a trarne prova circa il tipo contrattuale di riferimento.
Ed infatti, la confessione ha ad oggetto fatti, sfavorevoli, ma non verte su qualificazioni giuridiche.
Senza tacere della circostanza che, come vedremo meglio, l’azienda e’ stata organizzata ex se dalla cessionaria, ossia da (OMISSIS), cosi che ben poteva il secondo contratto, ossia quello con cui (OMISSIS) ha a sua volta ceduto ad un terzo, costituire, a differenza del primo, una cessione di azienda, ed essere correttamente dalle parti qualificata come tale. Cosi che dalla qualificazione come cessione di azienda del secondo contratto non puo’ trarsi prova che anche il primo (con parti diverse) fosse di quello stesso tipo.
3.3.- Cio’ premesso, la questione posta con il motivo di ricorso presuppone l’indicazione dei criteri che consentono di distinguere tra affitto di azienda e locazione di un immobile.
E la soluzione dipende in gran parte da come si ritenga di intendere la natura dell’azienda.
Questa Corte di recente si e’ fatta carico del problema della natura dell’azienda in relazione a due problemi specifici: quello della usucapione dell’azienda stessa e quello della successione dei debiti nel caso di cessione di un ramo di azienda. Pur non risultando da questi due precedenti una ricostruzione della natura dell’azienda, che peraltro sarebbe stata esorbitante, risulta tuttavia un dato che ci interessa da vicino, ossia il ruolo che nella definizione dell’azienda gioca l’elemento della organizzazione.
Nel primo caso, le Sezioni Unite (5087/ 2014) hanno dato rilievo decisivo alla circostanza che “che, nella definizione dell’articolo 2555 c.c., l’elemento unificatore della pluralita’ dei beni – indicato nell’organizzazione per l’esercizio dell’impresa – e’ ancorato a un’attivita’ (l’organizzazione), a sua volta necessariamente qualificata in senso finalistico (l’impresa): l’attivita’, come tale, e’ certamente un’espressione del soggetto, che trascende la categoria dei beni giuridici e non puo’ essere oggetto di possesso”.
Elemento dunque che caratterizza l’azienda e’ l’organizzazione impressa per l’esercizio di un’attivita’.
Tuttavia, il fatto che l’organizzazione consista in un’attivita’ non impedisce di considerare l’azienda come un oggetto di diritti (” E’ necessario allora, per chi debba misurarsi con la disciplina vigente dell’azienda, riconoscere che l’articolo 2555 c.c. esprime una valutazione dell’azienda che, senza cancellare il suo collegamento genetico (organizzativo) e finalistico con l’attivita’ d’impresa, ne sancisce una considerazione oggettivata (di “cosa”, oltre che di strumento di attivita’), costituente la premessa alla possibilita’ che essa diventi oggetto di negozi giuridici e di diritti”).
Questa impostazione, che tutto sommato, aderisce alla visione dell’azienda come universitas (e qua ci importa poco decidere se iuris o facti) e’ stata ripresa da Cass. 13319/2015 che, riferendosi al suddetto precedente, osserva come “cio’ che sembra decisivo, secondo le Sezioni Unite, e’ dunque proprio l’oggettivita’ dell’azienda, considerata unitariamente quale oggetto di diritti” (p. 6).
Per quanto piu’ da vicino ci interessa, questa ultima decisione ha altresi’ osservato che “le norme sulla circolazione dell’azienda evidenziano l’intento del legislatore di conservare nel trasferimento l’unitarieta’ del complesso e la sua funzionalita’, ponendo al centro della disciplina il valore impresso all’azienda dall’organizzazione dei beni che la compongono”.
Dall’esame dei precedenti abbiamo dunque una premessa utile per affrontare la questione, vale a dire che caratteristica dell’azienda e’ che si tratta di un complesso unitario di beni, tenuto insieme dall’organizzazione che di questi beni ha fatto l’imprenditore in vista dell’esercizio dell’impresa. E soprattutto che nella circolazione dell’azienda non viene meno l’unitarieta’ del complesso dei beni che la compongono, unitarieta’ impressa dalla organizzazione, con il sottinteso senso che questa unitarieta’ deve esistere al momento della concessione in godimento a terzi perche’ possa parlarsi di affitto di azienda.
Definizione che puo’ apparire superflua alla luce del dato normativo, che gia’ la contiene, ma che e’ necessaria a mettere in luce come nella distinzione tra affitto di azienda e locazione di immobile non possa prescindersi dalla esistenza di questa “organizzazione” dei beni oggetto del contratto, al momento in cui questo e’ concluso.
4.- E’ questa una premessa necessaria, per una decisiva ragione.
Infatti, un contratto che conceda il godimento dell’azienda a terzi ha ad oggetto, pare ovvio, una azienda che preesiste, ossia ha ad oggetto un complesso di beni organizzati dal cedente e, come tali (organizzazione compresa dunque), concessi in godimento al cessionario.
Ad anticipazione di cio’ che si dira’ meglio, non sembra compatibile con l’affitto di azienda la concessione in godimento di beni che sara’ poi l’avente causa ad organizzare in vista dell’esercizio dell’impresa.
In sostanza, nell’affitto di azienda elemento indefettibile e’ che venga ceduto il godimento altresi’ della organizzazione, vale a dire di quella caratteristica che, come le Sezioni Unite sopra citate hanno messo in luce, e’ un “bene”, suscettibile, in quel caso, di essere usucapito.
Se oggetto della cessione e’, si, un complesso di beni, ma niente affatto organizzati ai fini dell’impresa, non potra’ dirsi che si sta cedendo un’azienda, che invece presuppone quell’elemento.
Naturalmente e’ irrilevante l’osservazione contenuta nella decisione di merito (p. 9) che e’ ravvisabile un’azienda anche se la produttivita’ dei beni non e’ attuale ma solo potenziale. Il che e’ scontato, ma non rileva ai fini della ratio decidendi, in quanto la circostanza che i beni debbano essere organizzati ai fini dell’impresa, elemento questo, come detto, indispensabile per ravvisare un’azienda, non implica necessariamente che debbano essere attualmente produttivi al momento della cessione o dell’affitto; viceversa il fatto che la produttivita’ dei beni possa non essere attuale ma solo potenziale non significa che si debba fare a meno del requisito della organizzazione, ossia della necessita’ che quei beni siano, al momento della cessione o dell’affitto, organizzati verso un fine produttivo, che puo’ anche iniziare successivamente, ossia non essere attuale, ma che deve dipendere dalla organizzazione impressa dal cedente.
E comunque, il fatto che la produttivita’ possa essere anche soltanto potenziale, non vuol dire che non debba esserci, ossia che al momento della cessione l’insieme di beni non debba aver l’attitudine a produrre, e che tale produttivita’ debba risultare proprio dalla organizzazione impressa dal cedente, e non gia’ dalla natura o dalla destinazione dei singoli beni.
Altra obiezione va prevenuta. Certo e’ che l’affittuario puo’ riorganizzare i beni secondo un proprio programma d’impresa, e puo’ anche adibirli ad un’impresa diversa, e questo mutamento di certo non impedisce di considerare come azienda il complesso dei beni che egli ha ricevuto.
Tuttavia, cio’ che conta e’ che nel complesso dei beni ceduti permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine (e dunque anche potenziale, questo si) all’esercizio dell’impresa, sia pure con la successiva integrazione da parte dell’affittuario (Cass., n. 10154/ 2016).
Il che si puo’ dire piu’ semplicemente osservando che l’affitto di un’azienda presuppone che azienda vi sia al momento del contratto, essendo escluso che possa invece ravvisarsi un affitto se l’atto ha ad oggetto singoli beni non organizzati per l’esercizio dell’impresa, e che sara’ poi eventualmente l’avente causa a rendere tali.
5.- Aspetto determinante e’ dunque l’esistenza della organizzazione.
Nel fare questa affermazione ovviamente non si vuole, necessariamente, aderire alla tesi secondo cui l’azienda in se’ consiste in nient’altro che nella organizzazione, ossia in un bene immateriale, distinto dai beni materiali che formano il complesso aziendale e che in alcune varianti sono intesi addirittura come pertinenze del bene principale costituito dalla organizzazione.
Si puo’ anche ritenere, nel solco della decisione delle Sezioni unite (5087/2014), gia’ citata che “e’ piu’ consistente il rilievo che, nella definizione dell’articolo 2555 c.c., l’elemento unificatore della pluralita’ dei beni – indicato nell’organizzazione per l’esercizio dell’impresa – e’ ancorato a un’attivita’ (l’organizzazione), a sua volta necessariamente qualificata in senso finalistico (l’impresa): l’attivita’, come tale, e’ certamente un’espressione del soggetto, che trascende la categoria dei beni giuridici e non puo’ essere oggetto di possesso”.
Non si vuole cioe’ dire che l'”organizzazione ” dei beni singoli in un’unica azienda costituisca a sua volta un bene oggetto di diritti e di atti di disposizione che lo riguardino singolarmente.
Non e’ necessario difendere questa ricostruzione dell’azienda per sostenere le conclusioni che si vogliono qui assumere.
L’elemento della organizzazione e’ pero’, e comunque, centrale nella definizione dell’azienda, e di conseguenza nella ricerca di un criterio per distinguere tra affitto di azienda e locazione di singoli beni.
L’elemento della organizzazione intanto e’ cio’ che consente di affermare la natura di universitas dell’azienda, come prevista altresi’ dall’articolo 670 c.p.c. norma che consente il sequestro dell’azienda o di altre universalita’ di beni, cosi facendo intendere che l’azienda e’ pure essa una universalita’.
Ma nello stesso tempo consente questo risultato (l’azienda e’ una universalita’) senza bisogno di pretendere gli antichi requisiti della universitas rerum che ancora oggi sono richiesti per le universalita’ di beni mobili.
Infatti, e’ proprio l’elemento della organizzazione impressa ai beni che consente di considerare azienda anche il complesso di beni appartenenti a soggetti diversi (come nel caso in cui l’imprenditore si serva sia di beni propri che di beni avuti in godimento da terzi), nonche’ aventi una destinazione non unitaria, ossia diversa da bene a bene quanto alla natura di ciascuno, purche’ si tratti di destinazioni convergenti nella finalita’ di esercitare l’impresa.
6.- Possiamo dunque trarre una prima conclusione nel senso che un elemento discretivo decisivo e’ la preesistenza dell’impresa, o se si vuole, la preesistenza dell’elemento organizzativo sui beni oggetto del contratto, nel senso che qualora invece l’impresa sia iniziata dall’avente causa, o sia costui a dare per la prima volta una organizzazione ai beni cedutigli in godimento, non potra’ ovviamente parlarsi di affitto di azienda, vicenda che presuppone la preesistenza di quest’ultima al contratto.
Il che ovviamente impone di comprendere quando preesiste una organizzazione tale da unificare i beni in un’azienda e quando invece tale organizzazione difetti. Si tratta, certo, di un accertamento in fatto rimesso al giudice di merito, ma che va condotto in base a regole giuridiche, il cui corretto uso e’ sindacabile in sede di legittimita’.
In particolare, al fine di stabilire se oggetto del contratto e’ un complesso di beni gia’ organizzati dal dante causa, oppure no, giocano alcune considerazioni.
Anche qui non ha rilevanza aderire ad una o all’altra tesi quanto alla estensione dell’azienda, ossia a quali ne siano gli elementi costitutivi: se soltanto i beni oggetto di diritti reali, ossia i beni organizzati per mezzo di tali diritti (c.d. azienda in senso stretto), oppure, secondo una visione piu’ allargata, che prescinde dal tipo di rapporto giuridico che ha ad oggetto l’elemento considerato, siano da ricomprendere tra gli elementi dell’azienda anche beni o servizi non organizzabili con gli strumenti della proprieta’ o di altro diritto reale.
Cio’ detto, quale che sia l’estensione dell’azienda, avuto riguardo ai suoi elementi costitutivi, e’ certo che debba preesistere al contratto un elemento di organizzazione di tali beni imputabile al dante causa, e che se invece costui cede il godimento di singoli beni, che pure potenzialmente si prestano a costituire un’azienda, ma solo dopo che sia stata loro impressa un’organizzazione da parte dell’avente causa, non potra’ parlarsi di affitto di azienda o di un suo ramo, bensi’ di locazione.
A tal fine non puo’ sottovalutarsi la circostanza che il legislatore nel prevedere l’affitto di azienda (articolo 2562 c.c.) ha richiamato le norme dettate in materia di usufrutto di azienda (articolo 2561 c.c.), cosi che emerge chiaramente l’intento di consentire, si, all’affittuario di trarre gli utili consentiti dallo stato in cui si trova il complesso aziendale (e dunque dalla organizzazione impressa dal dante causa), ma altresi’ di consentire al dante causa la retrocessione di un complesso integro nella sua funzionalita’ e nella sua organizzazione.
Il che impone quindi di considerare, ai fini della distinzione tra affitto e locazione, anche l’elemento dell’avviamento, quale indice della preesistenza di un’impresa, e dunque della organizzazione dei beni oggetto di contratto.
Ma soprattutto occorrera’ considerare il rilievo e l’importanza oggettivamente rivestiti dall’immobile rispetto agli altri beni o servizi oggetto del contratto.
Va ricordato infatti che “la locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall’affitto di azienda perche’ la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene – l’immobile concesso in godimento – che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralita’ nell’economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorieta’, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione- subordinazione, mentre, nell’affitto di azienda, lo stesso immobile e’ considerato non nella sua individualita’ giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarieta’ per il conseguimento di un determinato fine produttivo, cosi’ che oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all’articolo 2555 c.c.” (Cass. 20815/ 2006; Cass. 24376/2017).
E’ dunque perfettamente compatibile con la locazione la circostanza che oltre al godimento dell’immobile il contratto abbia ad oggetto prestazioni che sono accessorie a tale godimento ed a cui si obbliga il locatore (consentire l’uso dell’area comune del centro commerciale, consentire di usufruire delle utenze, dare in godimento le attrezzature).
Alla luce di quanto si e’ detto, non costituisce circostanza significativa il fatto che il bene oggetto di contratto (il locale destinato a commercio) sia situato all’interno di un centro commerciale. E’ evidente infatti che la mera collocazione del locale nel centro commerciale nulla dice quanto al tipo di contratto che lo riguarda, cosi come non e’ presuntiva di avviamento aziendale, ossia di avviamento che non sia riferibile al conduttore, alla sua iniziativa commerciale, ma piuttosto alla collocazione nel centro commerciale, e all’avviamento che deriva dalla contiguita’ con gli altri locali.
Questa corte infatti ha avuto modo di osservare che l’inserimento di un locale nel centro commerciale non significa che l’avviamento sia frutto della mera collocazione del negozio, che trae profitto solo dalla vicinanza con altri esercizi, giacche’ cio’ che rileva e’ la capacita’ del singolo commerciante di attrarre la clientela, cosi che “l’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale deve essere riconosciuta, laddove ricorrano le condizioni di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34 anche in relazione alla locazione di immobili interni o complementari a centri commerciali, non essendo applicabile in via analogica l’articolo 35 Legge citata, ma dovendo piuttosto verificarsi la idoneita’ degli stessi a produrre un avviamento “proprio”, tenendo altresi’ conto che la funzione attrattiva della clientela esercitata dai centri commerciali non rende possibile distinguere, in genere, tra avviamento “proprio” del centro e quello di ciascuna attivita’ in esso svolta, in ragione della reciproca sinergia esercitata dalle singole attivita’”. (Cass. 18748/ 2016).
6.1.- In sostanza, la corte di merito e’ incorsa in errore di sussunzione della fattispecie concreta in una astratta, che ricorre ogni qualvolta si riferisce la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che disciplina invece una vicenda diversa (Cass. 640/2019; 24155/2017; 10320/2018; 23851/2019), riferendo l’operazione negoziale posta in essere dalle parti alla fattispecie astratta dell’affitto di ramo di azienda, che, come abbiamo visto e’ invece da riferirsi ai casi in cui il complesso ceduto sia gia’ organizzato, dal cedente, per l’esercizio dell’impresa, e lo sia in modo che ne risulti una potenziale produttivita’ gia’ in quel momento, senza che tale produttivita’ debba dipendere dalla attivita’ organizzativa del cessionario.
La corte di merito e’ dunque incorsa in violazione di legge, tale dovendosi ritenere l’errore di sussunzione che attenendo alla qualificazione giuridica dei fatti materiali, rientra nell’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3 e ricorre sia quando il giudice riconduce questi ultimi ad una fattispecie astratta piuttosto che ad un’altra, sia quando si rifiuta di assumerli in qualunque fattispecie astratta, pur sussistendone una in cui potrebbero essere inquadrati (Cass. 10320/ 2018; Cass. 21772/ 2019).
Questa operazione di sussunzione presuppone una corretta valutazione degli elementi costitutivi della fattispecie di riferimento, che, come abbiamo visto nel caso che ci occupa, sono costituiti soprattutto dalla assenza di una organizzazione impressa dal cedente, ed esistente al momento della cessione, e dalla valorizzazione data dalla corte di merito ad elementi insufficienti, per contro, a costituire un’azienda, in quanto tali; ossia quelli ceduti insieme al locale (massetto, registratore di cassa e gabinetto).
7.- Nella fattispecie, la valutazione che i giudici di merito devono effettuare deve tener conto della regola di diritto sopra esposta, secondo cui la differenza essenziale tra locazione e affitto di azienda (o di ramo di essa) e’ in primo luogo nella preesistenza di una organizzazione in forma di azienda dei beni oggetto di contratto, mancando la quale non si puo’ dire che sia stato ceduto il godimento di un’azienda o di un suo ramo; in secondo luogo ove si accerti che i beni erano al momento del contratto organizzati per l’esercizio dell’impresa gia’ dal dante causa, occorre verificare se le parti abbiano inteso trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato, oppure semplicemente di un bene immobile, rispetto al quale gli altri beni e servizi risultano strumentali al godimento del bene, restando poi libero l’avente causa di organizzare ex novo un’azienda propria. E cio’ tenendo conto che un complesso di beni organizzato costituisce azienda se i beni sono tali da poter costituire, attraverso l’organizzazione, di cui si e’ detto, una azienda vera e propria, ed occorrera’ dunque tener conto del fatto che, nella fattispecie, i beni ceduti, insieme al locale erano costituita da un massetto, un registratore ed un gabinetto, ossia da cespiti la cui cessione, di per se’, non integra un trasferimento di ramo aziendale.
7.- L’accoglimento del primo motivo, comporta assorbimento del secondo, il quale verteva, come si e’ detto, sul rilievo elusivo da dare alla stipula di due contratti successivi, ed alla conseguente nullita’ integrale del contratto, che il ricorrente postula come conseguenza necessaria della elusione, contrariamente alla ritenuta nullita’ solo parziale ipotizzata dalla corte di merito.
Allo stesso modo, deve ritenersi per il terzo motivo, che postula nullita’ della transazione stipulata sul presupposto che si tratti di un contratto di affitto di azienda, motivo che presuppone tale qualificazione, e dunque il rigetto del primo, e la trattazione nel merito del secondo (che, come detto, ha ad oggetto la nullita’ della sequenza dei due contratti).
La sentenza va pertanto cassata e rinviata per nuovo e diverso esame alla corte di merito, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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