Il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 12 marzo 2020, n. 1765.

La massima estrapolata:

Il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, e non già quello in vigore all’epoca di consumazione dell’abuso; e la natura della sanzione demolitoria, finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l’ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività .

Sentenza 12 marzo 2020, n. 1765

Data udienza 3 marzo 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1928 del 2010, proposto da
Ac. Ge. e St. An., rappresentati e difesi dall’avv. En. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. St. Ja. in Roma, alla Via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione IV, 4 agosto 2009, n. 4697, resa tra le parti, concernente sospensione lavori e demolizione opere edilizie.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2020 il Cons. Roberto Politi e uditi per le parti gli avvocati Or. Mo. su delega di En. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso n. 3163 del 1999, proposto innanzi alla Sede di Napoli del T.A.R. della Campania, gli odierni appellanti hanno chiesto l’annullamento dei seguenti atti:
– provvedimento di sospensione dei lavori, emesso dal Sindaco di Anacapri in data 17 marzo 1997, n. 3499, in relazione al fabbricato sito in località (omissis) Ac. Ge. e St. An.;
– provvedimento di ingiunzione per la demolizione di opere edilizie eseguite in totale difformità, emesso dal Sindaco di Anacapri in data 8 aprile 1997, n. 4530;
– verbale di accertamento di inottemperanza ad ingiunzione a demolire ai fini dell’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di (omissis) del 7 ottobre 1997.
Gli appellanti, titolari di diritto di usufrutto su di un fondo sito in Anacapri, alla località “(omissis)”, esponevano che:
– sul fondo di cui sopra è presente un manufatto, addossato al muro di contenimento, adibito a deposito agricolo, realizzato in virtù di licenza edilizia del 1974;
– entrambi gli usufruttuari, del tutto casualmente, erano venuti a conoscenza del fatto che il Sindaco, in epoca anteriore alla data di presentazione del ricorso, aveva emesso un’ordinanza demolitoria avente ad oggetto il predetto fabbricato, a seguito della quale era stata emanata un’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene.
Assumevano, a sostegno della proposta impugnativa, che gli atti gravati fossero inficiati alla luce dei seguenti profili di censura:
– violazione dell’art. 42 della Costituzione e degli artt. 1 e seguenti della legge 1150/1942;
– violazione dell’art. 39 della legge 724 del 1994 e degli artt. 4 e seguenti e 24 e seguenti della legge 47 del 1985;
– violazione delle leggi 142 e 241 del 1990;
– eccesso di potere per travisamento dei presupposti e contraddittorietà .
2. Il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che:
– “per quanto concerne le opere descritte al punto 2) dell’ordinanza-ingiunzione n. 4530 del 1997 – trattasi del manufatto di mq. 78,72 addossato al muro di contenimento del terrazzamento ed adibito a deposito agricolo -… con esse si realizza una nuova volumetria, non assentibile in quanto pienamente contrastante con la strumentazione urbanistica e paesaggistica vigente nel Comune di (omissis), ed, in particolare, per l’area su cui l’immobile risulta realizzato”;
– “quanto alla dedotta eccezione difensiva, a lume della quale l’immobile insiste sul fondo sin dal 1974 ed è stato edificato in virtù di licenza edilizia dell’1 febbraio del 1974, n. 1711, si osserva che in ogni caso il predetto fabbricato – per come si desume dalla domanda di accertamento di conformità presentata ai sensi dell’art. 13 della L.47/85 in data 29 marzo del 1999 – è stato realizzato in difformità rispetto all’originario contenuto dell’atto permissivo, e pertanto è da ritenersi abusivo a tutti gli effetti di legge”.
3. Avverso tale pronuncia, i sigg.ri Ac. e St. hanno interposto appello, notificato l’11 febbraio 2010 e depositato il successivo 10 marzo, lamentando quanto di seguito sintetizzato:
– avrebbe omesso il Tribunale di considerare che il manufatto in questione, presente nel fondo sito in località (omissis), è stato realizzato in virtù di licenza edilizia del Sindaco di Anacapri in data 1° febbraio 1974, n. 1711 rilasciata al precedente proprietario (dante causa degli appellanti) sig. Er. Vu.; osservandosi come, in presenza di altro e diverso edificio (in relazione al quale era stata presentata al Comune di (omissis) istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724), nondimeno la demolizione è stata adottata nei confronti del primo e più antico corpo di fabbrica, realizzato con il suindicato titolo edilizio;
– avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che il manufatto oggetto di contestazione, quand’anche contenente parziali difformità rispetto alla licenza edilizia rilasciata dal Sindaco del Comune di (omissis) in data 1° febbraio 1974, potesse essere sanzionato con la demolizione di cui alla legge 47/1985 (piuttosto che con la disciplina di cui alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, come integrata dalla “legge ponte”, n. 765 del 1967);
– il Tribunale non avrebbe considerato, pur a fronte di puntuale censura, che il provvedimento ripristinatorio è privo di motivazione alcuna in ordine all’interesse pubblico (vieppiù in presenza di un manufatto connotato da risalente realizzazione);
– nella pronunzia appellata, inoltre, non viene considerato che l’eventuale demolizione delle opere in questione non poteva avvenire in difetto di un inevitabile pregiudizio per l’intero manufatto del quale fanno parte;
– quanto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del manufatto e della relativa area di sedime, gli appellanti evidenziano che alcuna notifica è mai stata effettuata nei loro confronti, quanto alla presupposta ordinanza di demolizione (per l’effetto, non potendo venire in considerazione alcuna volontaria inottemperanza all’ordine ripristinatorio); soggiungendosi, sul punto, che l’opera è priva di qualsiasi propria autonoma identità e non è, pertanto, suscettibile di autonoma utilizzazione e che, ulteriormente, non risulta essere stata specificata l’area interessata da tale provvedimento ablativo;
– è stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento; da ultimo lamentandosi che, in presenza di sovrapponibili fattispecie non egualmente sanzionate con l’irrogazione della misura ripristinatoria, gli atti gravati sarebbero inficiati anche sub specie dell’eccesso di potere per disparità di trattamento.
4. L’Amministrazione appellata non si è costituita in giudizio.
5. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 3 marzo 2020.

DIRITTO

1. Ad integrazione di quanto esposto in narrativa, giova precisare come l’ordinanza del Sindaco di Anacapri in data 8 aprile 1997, gravata in prime cure dinanzi al T.A.R. Campania, abbia posto in evidenza che, come appurato a seguito di sopralluogo effettuato dall’Ufficio Tecnico Comunale, erano state realizzate le seguenti opere:
1) fabbricato abusivo, con murature perimetrali di tufo e malta cementizia, coperto da lamiera zincata e sovrastante strato impermeabilizzante, costituito da ambienti destinati ad uso abitativo, aventi superficie utile di circa mq. 30 e volumetria interna di circa mc. 65, e da un ambiente antistante, di più recente realizzazione, avente superficie interna di circa mq. 26 e volumetria interna di circa mc. 70, allo stato grezzo;
2) manufatto addossato alla muratura di contenimento del terrazzamento superiore, delimitato per i restanti tre lati da lamiere zincate, coperto da lamiere sorrette da struttura in ferro, avente le dimensioni di circa m. 16.40 x 4.80 x h.2.80 (mq. 78,72 e mc. 221), con calpestio costituito da masso in calcestruzzo cementizio, adibito a deposito di prodotti ed attrezzi agricoli.
Nello stesso provvedimento, si dava atto della presentazione di istanza di condono edilizio, ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, riguardante “opere consistenti nella realizzazione di un fabbricato ad uso abitativo composto da ingresso/soggiorno, cucina/pranzo, camera da letto e servizio igienico/sanitario, per una superficie di mq. 57.52 ed una volumetria v.p.p. di circa mc. 206,02”.
Nel rilevare come le opere abusive, descritte al punto 1), avessero formato oggetto dell’anzidetta istanza di condono edilizio (di tal guisa che “per esse ogni determinazione resta sospesa fino all’esito dell’istanza di condono medesima”), l’Autorità comunale procedeva alla repressione degli abusi non compresi nella predetta istanza (realizzazione di manufatto addossato alla muratura di contenimento del terrazzamento superiore, delimitato per i restanti tre lati da lamiere zincate, coperto da lamiere sorrette da struttura in ferro, avente le dimensioni di circa m. 16.40 x 4.80 x h. 2.80… con calpestio costituito da masso in calcestruzzo cementizio, adibito a deposito di prodotti ed attrezzi agricoli); e ne ordinava la demolizione.
2. Le censure dedotte avverso il provvedimento gravato in prime cure non rivelano fondatezza; e, con esse, neppure si dimostrano condivisibili le doglianze – corrispondentemente – rivolte nei confronti dell’appellata pronunzia del T.A.R. Campania.
2.1 In primo luogo, parte appellante lamenta che abbia formato oggetto di ordine ripristinatorio il più risalente dei manufatti realizzati sull’area di proprietà, peraltro assistito da licenza edilizia rilasciata dal Sindaco del Comune di (omissis) in data 1° febbraio 1974.
È, peraltro, incontroverso come la realizzazione del manufatto de quo si sia discostata dalle prescrizioni che assistevano il titolo edificatorio anzidetto (assentito nei confronti del dante causa), atteso che gli stessi appellanti, nel dare atto che il corpo di fabbrica reca parziali interventi modificatori rispetto a quest’ultimo, sostengono che tale abuso avrebbe, al più, potuto essere sanzionato alla luce delle disposizioni dettate dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come integrata dalla “legge ponte”, n. 765 del 1967), piuttosto che con ordine di demolizione, ai sensi della legge 47/1985.
In linea generale, si osserva come la repressione degli illeciti urbanistico-edilizi costituisca attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e dell’accessiva immanenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è sempre prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera.
I provvedimenti sanzionatori si dimostrano, per l’effetto, sufficientemente motivati con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività dell’intervento ed alla sicura assoggettabilità di esso al regime dei titoli abilitativi: e ciò, in quanto l’ordine di demolizione di opere edilizie illecitamente eseguite, integra la presenza di un atto dovuto e rigorosamente vincolato, in ordine al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario.
Non può, peraltro, omettersi di dare conto del noto arresto giurisprudenziale di cui alla pronunzia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, 17 ottobre 2017 n. 9.
Con essa, in particolare, viene ribadito che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
La stessa Adunanza Plenaria ha, peraltro distinto:
– l’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia, a distanza di tempo dal rilascio, disposto l’annullamento del titolo edilizio illegittimamente adottato, ovvero del provvedimento di sanatoria rilasciato in assenza dei necessari presupposti legittimanti;
– dalla (diversa) fattispecie, in cui l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un titolo legittimante: laddove, tuttavia, l’Amministrazione abbia provveduto solo a distanza di un considerevole lasso di tempo all’adozione dell’ingiunzione di demolizione.
A tale proposito, l’A.P. ha precisato che:
– se “nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione. Si tratta di stabilire sino a che punto e in che termini l’ordinamento si debba far carico di tutelare un siffatto stato di legittimo affidamento”;
– “al contrario, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata”.
Diversamente opinando, come soggiunto dalla stessa sentenza 9/2017, si verrebbe a “connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero [a] legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem”.
Ciò osservato, la fattispecie all’esame è caratterizzata da una non abnorme espansione dell’arco temporale intercorso fra l’accertamento ispettivo (eseguito in loco il 6 settembre 1994), al quale ha fatto seguito istanza di condono (per l’altro immobile), assunta al protocollo comunale in data 7 febbraio 1995, nonché il pure avversato provvedimento ripristinatorio (recante data 8 aprile 1997): sì da consentire di escludere che la condotta dell’appellato Comune sia connotata dal protrarsi di un atteggiamento inerte, suscettibile di ingenerare, nel privato, una posizione di legittimo affidamento.
2.2 Quanto sopra posto, l’ulteriore critica dalla parte appellante mossa alla pronunzia di prime cure – relativa al rigetto del motivo di ricorso con il quale si invocava l’operatività del più favorevole regime sanzionatorio di cui alla legge 1150 del 1942 rispetto a quello introdotto dalla legge 47 del 1985 – può essere agevolmente disattesa in virtù del principio del tempus regit actum.
Come in giurisprudenza reiteratamente affermato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2019, n. 1892), allorquando il Comune eserciti il potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, la disciplina sanzionatoria applicabile è quella vigente al momento dell’esercizio del potere sanzionatorio.
Ciò in quanto l’abuso edilizio, rivestendo i caratteri dell’illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente; l’illecito sussistendo anche quando il potere repressivo si fondi su di una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l’abuso è stato compiuto.
Da ciò discende che, ai fini della repressione dell’illecito edilizio, è comunque applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione dispone la sanzione, in quanto, attesa la natura permanente dell’illecito edilizio, colui che ha realizzato l’abuso mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera illecita, onde il potere di repressione può essere esercitato retroattivamente, anche per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina tale potere.
Alla natura di illecito permanente dell’abuso edilizio, consegue l’applicazione del regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa, senza che sia ravvisabile la violazione del principio di irretroattività .
Questo stesso Consiglio (cfr. Sez. IV, 24 novembre 2016, n. 4943) ha avuto modo di affermare che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, e non già quello in vigore all’epoca di consumazione dell’abuso; e la natura della sanzione demolitoria, finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l’ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività .
2.3 Parimenti non apprezzabile è la doglianza con la quale parte appellante, riproducendo omologa censura articolata in prime cure, lamenta di non avere avuto contezza dell’ingiunzione a demolire; da tale assunto, argomentando l’illegittimità della conseguente acquisizione al patrimonio comunale, presupponente – appunto – la volontarietà dell’inesecuzione prestata all’ordine ripristinatorio.
Come univocamente evincibile dalla documentazioni dalla stessa parte appellante addotta al giudizio unitamente al fascicolo versato con l’atto introduttivo di esso, sia l’ordinanza di sospensione lavori, sia il successivo ordine di demolizione, risultano notificati, a cura della procedente Amministrazione, nei confronti del sig. Acampora Luigi (proprietario dell’area), laddove (come precedentemente indicato) gli odierni appellanti sigg.ri Ac. Ge. e St. An. rivestono la qualità di usufruttuari (a seguito di donazione) del compendio immobiliare di che trattasi.
Merita, in proposito, piena condivisione l’assunto giurisprudenziale, secondo cui l’Amministrazione, in sede di emanazione di un ordine di demolizione, deve notificare il provvedimento al proprietario del bene, quale risultante dai registri catastali (ferma, ovviamente, la possibilità per l’usufruttuario di impugnare autonomamente il provvedimento, del quale sia venuto a conoscenza, qualora ne ricorrano i presupposti), in quanto:
– da un lato, si suppone, sino a prova contraria, che il proprietario sia quanto meno corresponsabile dell’abuso (e che, comunque, conservi con il bene una relazione tale da consentirgli di rimediare a eventuali abusi perpetrati sul proprio terreno);
– e, dall’altro, poiché l’Amministrazione non ha l’onere di effettuare complessi accertamenti dei rapporti interprivati che abbiano eventualmente inciso sulla disponibilità del bene (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 31 marzo 2010, n. 1878).
2.4 Con altra censura, viene rilevato che l’area, oggetto di acquisizione al patrimonio comunale a seguito della constatata inottemperanza all’ordine ripristinatorio, non sarebbe stata esattamente individuata.
Anche tale doglianza è inaccoglibile.
Costituisce, infatti, jus receptum che il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine di 90 giorni (nel vigore della legge n. 47 del 1985, operante ratione temporis), non deve necessariamente contenere l’esatta indicazione dell’area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l’accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate (Cons. Stato, Sez, V, 7 luglio 2014, n. 3438; Sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659; Sez. VI, 8 aprile 2004, n. 1998 e 26 gennaio 2000, n. 341).
2.5 Quanto, poi, alla lamentata omissione della comunicazione di avvio del procedimento, rammenta il Collegio come, secondo pacifica giurisprudenza, l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisca attività doverosa e vincolata da parte dell’Amministrazione, con la conseguenza che i relativi provvedimenti (tra cui l’ordinanza di demolizione) costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4279; 20 maggio 2014, n. 2568; 9 maggio 2014 n. 2380).
L’ordine di demolizione, conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, al pari degli altri provvedimenti sanzionatori edilizi, va emanato senza indugio, trattandosi di una misura afflittiva conseguente all’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche.
Il relativo procedimento – avente carattere vincolato e rigidamente tipizzato dal legislatore – si ricollega, quindi, ad un preciso presupposto di fatto (l’abuso), di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, per il collegamento giuridico, in termini di diritto domenicale o di situazione possessoria che sussiste riguardo ai beni coinvolti, salvo dimostrazione (il cui onere della prova è a suo completo carico), di una totale estraneità alla commissione degli illeciti edilizi.
2.6 Quanto, da ultimo, alla dedotta disparità di trattamento – che parte appellante annette alla constatazione (peraltro non assistita da documentati elementi di prova) che nella medesima zona, l’Amministrazione comunale non sempre avrebbe assunto omologhi provvedimenti ripristinatori a fronte di illeciti aventi asserito carattere di sovrapponibilità con quello oggetto della presente controversia – va esclusa la prospettabilità stessa della tipologia inficiante in argomento, laddove (come nella fattispecie) si impugni un atto vincolato; la quale, giova soggiungere, non si configura quando si richieda l’estensione, a proprio vantaggio, di un trattamento di favore illegittimamente riconosciuto ad altri.
In base al principio di legalità, infatti, un atto amministrativo legittimo rimane tale a prescindere da eventuali atti illegittimi adottati in situazioni simili (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 luglio 2017, n. 3795 e 5 marzo 2013, n. 1298).
3. La constatata infondatezza dei profili di doglianza articolati con l’appello all’esame, impone il rigetto del predetto mezzo di tutela.
Non si fa luogo a pronunzia sulle spese di lite in considerazione della mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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