Esistenza di un vincolo di impignorabilità

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3697.

La massima estrapolata:

Nel giudizio di opposizione all’esecuzione in cui sia dedotta l’esistenza di un vincolo di impignorabilità del bene assoggettato ad espropriazione derivante da un determinato atto negoziale, è ammissibile la domanda riconvenzionale del creditore opposto volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 2901 c.c., la dichiarazione di inefficacia dell’atto negoziale posto a base dell’opposizione, sussistendo connessione, in relazione all’oggetto e/o al titolo, tra le due domande, anche se tale dichiarazione di inefficacia, stante la natura dichiarativa della decisione e la necessità del suo passaggio in giudicato, potrà giovare al creditore esclusivamente ai fini dell’instaurazione di un nuovo processo esecutivo.

Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3697

Data udienza 16 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 27975 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), anche quale genitore rappresentante della figlia minore (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– ricorrente –
nei confronti di:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– intimati –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Genova n. 550/2018, pubblicata in data 30 marzo 2018;
udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 16 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha assoggettato a pignoramento un bene immobile, in danno della nuda proprietaria (OMISSIS). Quest’ultima ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., sostenendo l’impignorabilita’ del suddetto immobile, in quanto esso, unitamente ad altri, era oggetto di vincolo di destinazione ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c., per la soddisfazione di determinati bisogni dei suoi genitori (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che dei propri e di sua figlia minore (OMISSIS).
La creditrice (OMISSIS), pur contestando il fondamento dell’opposizione, in via riconvenzionale subordinata ha comunque chiesto revocarsi, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., l’atto di destinazione, procedendo alla chiamata in causa degli indicati beneficiari del vincolo.
Il Tribunale di La Spezia ha considerato l’atto di destinazione valido ma pregiudizievole per le ragioni dei creditori; ha quindi accolto sia l’opposizione della debitrice, sia l’azione revocatoria proposta in via riconvenzionale dall’opposta (OMISSIS).
La Corte di Appello di Genova, su appello della (OMISSIS), ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre la (OMISSIS), sulla base di cinque motivi.
Non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede gli intimati. Il ricorso e’ stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione dell’articolo 375 c.p.c. e articolo 380 bis.1 c.p.c..
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione eio falsa applicazione dell’articolo 615 c.p.c. e dell’articolo 100 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2901 c.c.”.
Il motivo e’ infondato.
Nel giudizio di opposizione all’esecuzione promosso per far valere l’impignorabilita’ del bene assoggettato ad espropriazione, e’ certamente ammissibile la proposizione di una domanda riconvenzionale, da parte dell’opposto, diretta a far dichiarare inopponibile al creditore procedente l’atto di costituzione del vincolo sul bene pignorato che ne impedisce l’espropriazione, in “modo da poter procedere al pignoramento di quel medesimo bene in un nuovo processo esecutivo, e cio’ esattamente per le stesse ragioni per cui e’ ammissibile la domanda riconvenzionale dell’opposto volta ad ottenere una pronuncia che costituisca un titolo esecutivo da far valere in una nuova esecuzione, nel caso in cui sia contestata l’esistenza e/o l’efficacia di quello posto a base del processo oggetto di opposizione (l’ammissibilita’ della domanda riconvenzionale dell’opposto e’ in tale ultimo caso pacifica, secondo il costante indirizzo di questa Corte: cfr.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7225 del 29/03/2006, Rv. 588120 – 01; conf., ex multis: Sez. L, Sentenza n. 5708 del 10/03/2011, Rv. 616441 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9494 del 20/04/2007, Rv. 597787 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1107 del 14/02/1996, Rv. 495826 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3849 del 07/06/1988, Rv. 459059 – 01; nel medesimo senso cfr. altresi’: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3688 del 15/02/2011, Rv. 616763 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15731 del 18/07/2011, Rv. 619165 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1123 del 21/01/2014, Rv. 629827 – 01).
E’ poi appena il caso di osservare che sussiste certamente connessione, in relazione all’oggetto e/o al titolo, tra la domanda principale di opposizione all’esecuzione con cui si faccia valere l’impignorabilita’ del bene assoggettato ad espropriazione, fondata sull’atto di destinazione di detto bene ad un determinato scopo, e quella riconvenzionale, diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del medesimo atto di destinazione.
Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: “nel giudizio di opposizione all’esecuzione in cui sia dedotta l’esistenza di un vincolo di impignorabilita’ del bene assoggettato ad espropriazione derivante da un determinato atto negoziale, e’ ammissibile la domanda riconvenzionale del creditore opposto volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto negoziale posto a base dell’opposizione, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., anche se tale dichiarazione di inefficacia, stante la natura dichiarativa della decisione e la necessita’ del suo passaggio in giudicato, potra’ giovargli esclusivamente ai fini dell’instaurazione di un nuovo processo esecutivo”.
La decisione impugnata risulta conforme a tale principio, onde essa si sottrae certamente alle censure di cui al motivo di ricorso in esame.
2. Con il secondo motivo si denunzia “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c.: assenza dell’eventus damni e violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, per omessa valutazione di un elemento discusso dalle parti ed inerente all’esistenza dell’eventus damni”.
Il motivo e’ in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.
La censura non risulta esposta in modo chiaro e non pare comunque cogliere adeguatamente le ragioni della decisione impugnata.
2.1 Per quanto e’ dato comprendere dal ricorso, la ricorrente sembra in primo luogo intendere ribadire l’affermazione (gia’ ritenuta infondata dalla corte di appello) secondo cui, essendo stato ritenuto meritevole di tutela l’atto di destinazione dell’immobile pignorato, ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c., in quanto funzionale alle esigenze dei relativi beneficiari, le medesime esigenze avrebbero dovuto essere considerate prevalenti anche su quelle dei creditori pregiudicati dall’atto.
In proposito, la decisione impugnata e’ peraltro del tutto conforme a diritto, la’ dove ha disatteso tale argomentazione, affermando che tra i presupposti dell’azione revocatoria, indicati nell’articolo 2901 c.c., non rientra la comparazione tra le esigenze dei beneficiari dell’atto revocando e quelle dei creditori da esso pregiudicati, dovendosi valutare esclusivamente l’oggettiva idoneita’ dell’atto stesso a rendere piu’ difficile la soddisfazione delle ragioni dei creditori.
2.2 Con il motivo di ricorso in esame, la ricorrente sembra intenderetaltresi’ dedurre (almeno nella sostanza),che, poiche’ il credito della (OMISSIS) era di importo minimo (circa Euro 1.400,00) ed era incerto il valore della nuda proprieta’ dell’immobile da questa pignorato, e poiche’ inoltre la creditrice non aveva posto in essere altre e diverse azioni esecutive, non sussisteva adeguata prova dell’eventus damni, in particolare dell’incapienza del proprio residuo patrimonio.
Orbene, la questione della capienza del patrimonio residuo della (OMISSIS) (capienza – quanto meno implicitamente – esclusa dal giudice di primo grado, avendo questi accolto l’azione revocatoria) non risulta tra i motivi di appello, per quanto emerge dalla decisione impugnata, e la ricorrente non indica affatto se ed in che termini essa invece era stata posta in sede di gravame.
Per tale aspetto la censura risulta dunque inammissibile, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per difetto di specifiche allegazioni in ordine alla non novita’ della questione posta in sede di legittimita’.
3. Con il terzo motivo si denunzia “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2645 ter c.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1321 c.c., per omessa e/o errata qualificazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale”.
Con il quarto motivo si denunzia “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2645 ter c.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c., per l’assenza della prova del consilium fraudis e/o della consapevolezza del debitore di pregiudicare le ragioni creditorie di terzi e violazione e negazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2729 c.c., in punto inesistenza di presunzioni semplici”.
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
Si premette che la corte di appello ha escluso il carattere oneroso dell’atto di destinazione impugnato ma ha comunque (ad abundantiam, sebbene non necessario per gli atti a titolo gratuito) ritenuto sussistere la cd. scientia damni da parte dei beneficiari del vincolo, circostanza che era stata oggetto di contestazione in sede di gravame.
Orbene, secondo la ricorrente: a) l’atto di costituzione del vincolo ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c., sull’immobile pignorato sarebbe da qualificare come atto a titolo oneroso, in quanto ciascuno dei beneficiari del complessivo patrimonio destinato aveva costituito un vincolo su propri beni ed era quindi al tempo stesso costituente e beneficiario; b) la prova della conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori da parte dei beneficiari dell’atto di destinazione, sarebbe stata erroneamente ritenuta sussistente.
3.1 E’ senz’altro corretta la qualificazione di atto a titolo gratuito data dalla corte di appello all’atto di destinazione posto in essere ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c. e di cui e’ stata chiesta la revoca.
L’atto di destinazione di un bene alla soddisfazione di determinate esigenze costituisce, di per se’, un atto naturalmente a titolo gratuito, si tratta cioe’ di un atto che comporta un sacrificio per la parte che lo pone in essere, che non trova contropartita in una attribuzione in favore del disponente, come del resto viene costantemente ritenuto da questa Corte per atti aventi analoga natura e funzione (quali la destinazione di beni ad un fondo patrimoniale, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, o ad un trust, con particolare riguardo al cd. trust familiare; cfr. ad es., ex multis, per il fondo patrimoniale: Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 29298 del 06/12/2017, Rv. 646785 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 19029 del 08/08/2013, Rv. 627510 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 16760 del 16/07/2010, Rv. 614057 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 2327 del 02/02/2006, Rv. 588393 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 6267 del 23/03/2005, Rv. 580396 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 18065 del 08/09/2004, Rv. 576858 – 01; per il trust: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9320 del 04/04/2019, Rv. 653273 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19376 del 03/08/2017, Rv. 645384 – 03; cfr. altresi’, in generale, sulla revocabilita’ dell’atto di destinazione posto in essere ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29727 del 15/11/2019, Rv. 655834 – 01).
La circostanza che, nella specie, ciascuno dei beneficiari del vincolo abbia a sua volta destinato propri beni in favore delle esigenze di tutti gli altri, non modifica la natura gratuita di ciascuno di tali atti, non comporta cioe’ di per se’ l’onerosita’ dei singoli atti di destinazione, in quanto non risulta sussistere, in concreto, corrispettivita’ tra le reciproche destinazioni di beni operate da ciascun membro della famiglia.
Correttamente la corte di appello ha escluso che potesse avere rilievo in proposito la struttura unilaterale o plurilaterale dell’atto, chiarendo che il negozio giuridico plurilaterale si perfeziona con la dichiarazione di volonta’ di piu’ parti, ma non ha necessariamente natura onerosa, in quanto, a tal fine, cio’ che conta e’ esclusivamente che all’atto di disposizione patrimoniale corrisponda o meno una corrispettiva contropartita per il disponente.
D’altra parte, il vincolo di destinazione previsto dall’articolo 2645 ter c.c., puo’ certamente realizzarsi – secondo l’opinione prevalente – mediante diversi atti negoziali, eventualmente anche bilaterali, e quindi contrattuali (ad es. nel caso in cui vi sia trasferimento della proprieta’ del bene destinato, il che peraltro nella specie non risulta in alcun modo sia avvenuto, per quanto emerge in concreto), ma l’atto di “destinazione semplice”, cioe’ quello per cui un soggetto si limita a destinare un bene (senza trasferirne la proprieta’ o altri diritti reali limitati) alla realizzazione di determinate esigenze, non necessita e non determina di per se’ alcun rapporto contrattuale tra tale soggetto ed i beneficiari (che possono essere anche non individuati) e, tanto meno, comporta attribuzioni corrispettive per il disponente, ma solo un sacrificio patrimoniale da parte sua. Dunque, l’atto che costituisce un vincolo ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c., resta strutturalmente un atto negoziale unilaterale a titolo gratuito, se operato nella semplice forma della mera “destinazione” del bene (che resta di proprieta’ del disponente) alla realizzazione di determinate esigenze, e cio’ anche se esso sia posto in essere contestualmente ad analoghi atti di destinazione di altri soggetti, eventualmente coincidenti con i beneficiari, risultando in tal caso i diversi negozi di destinazione solo (occasionalmente) contenuti nel medesimo atto pubblico notarile.
In definitiva, il semplice atto di destinazione di un bene alla soddisfazione di determinate esigenze meritevoli di tutela, ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volonta’ di due o piu’ soggetti, ma e’ sufficiente la sola dichiarazione di volonta’ del disponente – ed e’ a titolo gratuito, in quanto di per se’ determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, non trovando contropartita in una attribuzione in favore di quest’ultimo.
Esso conserva tali caratteristiche, sul piano strutturale, indipendentemente dal fatto che sia posto in essere nel contesto di un atto pubblico dal contenuto piu’ ampio, in cui vi siano analoghi (ed anche reciproci) atti di destinazione da parte di altri soggetti, dal momento che la causa dei suddetti atti dispositivi non sta di regola nella loro reciprocita’, onde essi restano su tale piano del tutto indipendenti l’uno dall’altro, a meno che non risulti diversamente, sulla base di una puntuale ricostruzione della effettiva volonta’ delle parti e della causa concreta del complessivo negozio dalle stesse posto in essere; cio’ che pero’ nella specie non e’ stato ne’ specificamente dedotto ne’ tanto meno provato.
Sotto tale profilo, le censure esposte nel motivo di ricorso in esame difettano invero di specificita’, dal momento che la ricorrente si limita a far leva sul carattere “plurilaterale” dell’atto pubblico, in quanto posto in essere in concreto da piu’ soggetti, ma non opera alcuno specifico richiamo al suo contenuto, da cui possa emergere che si tratto’ effettivamente di un negozio plurilaterale (e non di una pluralita’ di negozi unilaterali posti in essere nel medesimo contesto documentale) e, in particolare, di un contratto a prestazioni corrispettive intercorso tra i vari disponenti (al contrario, per quanto emerge dalle parti dell’atto in questione specificamente richiamate nel ricorso, sembrerebbe doversi escludere tale natura).
Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “l’atto di semplice destinazione di un bene (senza il trasferimento della proprieta’ dello stesso) alla soddisfazione di determinate esigenze, ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volonta’ di due o piu’ soggetti, ma e’ sufficiente la sola dichiarazione di volonta’ del disponente – e a titolo gratuito, in quanto di per se’ determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, senza per quest’ultimo alcuna corrispettiva attribuzione; esso resta tale anche se operato nel medesimo contesto documentale da piu’ soggetti, che ne traggono reciproco beneficio, salvo che risulti diversamente, sulla base della ricostruzione del contenuto effettivo della volonta’ delle parti e della causa concreta del negozio dalle stesse posto in essere”.
3.2 In base a quanto sin qui esposto, poiche’ all’atto di destinazione oggetto del presente giudizio va senz’altro riconosciuta natura di atto a titolo gratuito, non ha alcun rilievo la cd. scientia damni da parte dei beneficiari del vincolo (mentre la conoscenza del pregiudizio per i creditori da parte della stessa disponente non risulta avere costituito motivo di gravame, ne’ e’ invero oggetto di censure sufficientemente specifiche), il che comporta l’assorbimento del quarto motivo di ricorso.
A scopo di completezza, si osserva peraltro fiche le censure di cui a detto motivo di ricorso risultano di per se’ in ogni caso inammissibili, essendo con esse avanzate, nella sostanza, contestazioni relative ad un accertamento di fatto operato dai giudici di merito e sostenuto da adeguata motivazione.
La corte di appello ha fondato sui rapporti familiari tra le parti una non irragionevole presunzione di fatto di conoscenza delle reciproche situazioni patrimoniali. Ed e’ appena il caso di ribadire che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la prova della conoscenza del pregiudizio delle ragioni creditorie “puo’ essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 5618 del 22/03/2016, Rv. 639362 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27546 del 30/12/2014, Rv. 633992 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 17327 del 17/08/2011, Rv. 619033 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2005, Rv. 579523 – 01; cfr. in particolare, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 1286 del 18/01/2019, Rv. 652471 – 01, in cui si afferma espressamente che “la prova della “participatio fraudis” del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, puo’ essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente”).
4. Con il quinto motivo si denunzia “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, applicabile ratione temporis essendo l’atto di citazione in appello del 28/04/2015”.
Il motivo e’ fondato.
Il valore della causa relativa ad azione revocatoria si determina in base al credito vantato dall’attore, a tutela del quale viene proposta l’azione revocatoria stessa, secondo il costante indirizzo di questa Corte (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10089 del 09/05/2014, Rv. 630692 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 18348 del 13/09/2004, Rv. 577018 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 5402 del 17/03/2004, Rv. 571252 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7250 del 06/12/1986, Rv. 449318 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3076 del 09/05/1981, Rv. 413645 – 01).
La decisione impugnata non e’ conforme a tale indirizzo, in quanto la corte di appello, pur essendo noto l’importo del credito della (OMISSIS) (pari a circa Euro 1.400,00) ha applicato lo scaglione del valore “indeterminabile”.
Essa va di conseguenza cassata sul punto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sul punto e’ possibile la decisione nel merito, mediante una nuova liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado – con l’applicazione del corretto scaglione di valore (quello da Euro 1.101,00 ad Euro 5.200,00) e riconoscendo importi non distanti dai valori medi di parametro, per le attivita’ effettivamente svolte – in complessivi Euro 2.000,00.
5. E’ accolto il quinto motivo del ricorso, rigettati gli altri.
La sentenza impugnata e’ cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, le spese del giudizio di appello sono liquidate nella misura di complessivi Euro 2.000,00 oltre spese generali ed accessori di legge.
Le spese del giudizio di legittimita’ possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione del solo parziale accoglimento del ricorso e non avendo gli intimati svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

La Corte:
– accoglie il quinto motivo del ricorso, rigettati gli atri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello nella misura di Euro 2.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge;
– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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