Corte di Cassazione, civile, Sentenza|23 settembre 2022| n. 27975.

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

In materia di sanzioni amministrative, in caso di illeciti a carattere permanente (come, nella specie, quello previsto dall’art. 124 d.lgs. n. 152 del 2006 per gli impianti di trattamento dei reflui urbani privi del prescritto provvedimento autorizzativo provinciale), la cessazione della permanenza coincide con la data dell’accertamento e non con quella dell’irrogazione della sanzione.

Sentenza|23 settembre 2022| n. 27975. Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

Data udienza 9 marzo 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Sanzioni amministrative – Impianto di trattamento reflui urbani di Genova Sestri Ponente privo dell’autorizzazione – Legge regionale ligure n. 41 del 2014 – Potere sanzionatorio delle Province – Cessazione della permanenza – Data dell’accertamento – Irrilevanza – Provvedimento che applica una sanzione amministrativa – Motivazione per relationem

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso n. 27325/2019 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), ( (OMISSIS)) e (OMISSIS), ( (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio di quest’ultima, (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
Citta’ Metropolitana di Genova, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), ( (OMISSIS)) e (OMISSIS), ( (OMISSIS)).
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 186/2019 della Corte d’appello di Genova, depositata il 11.02.2019;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09.03.2022 dal consigliere Dott. Antonello Cosentino;
Udito il P.M in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dell’Erba, che chiede il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori dei ricorrenti, avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS).

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) e (OMISSIS) s.r.l. (ora (OMISSIS) s.p.a.), proposero opposizione all’ordinanza ingiunzione del 28 luglio 2011 con cui la Provincia di Genova aveva ingiunto loro il pagamento di Euro 6.010 a titolo di sanzione amministrativa per l’illecito di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 124 sanzionato dall’articolo 133, comma 2 stesso decreto, in ragione dell’accertamento, risultante dal verbale della Guardia di Finanza del (OMISSIS), che l’impianto di trattamento reflui urbani di (OMISSIS) – sito in Comune di Genova e gestito da (OMISSIS) s.r.l. (all’epoca amministrata da (OMISSIS)) – era privo del prescritto provvedimento autorizzativo provinciale.
Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1614 del 2015, rigetto’ l’opposizione.
Contro la sentenza di primo grado gli opponenti proposero appello, anzitutto eccependo la sopravvenuta carenza di potesta’ sanzionatoria in capo alla Provincia alla luce del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 135.
Con sentenza dell’11 Febbraio 2019 la Corte d’appello di Genova, richiamando la propria precedente giurisprudenza in relazione alla potesta’ sanzionatoria della Provincia nella materia de qua, ha rigettato l’eccezione di carenza di potesta’ sanzionatoria e gli altri motivi di opposizione riproposti dall’appellante cosi’ confermando la pronuncia di primo grado.
Per la cassazione della sentenza di appello (OMISSIS) e (OMISSIS) s.p.a. hanno proposto ricorso sulla scorta di quattro motivi.
Resiste con controricorso la Citta’ Metropolitana di Genova (gia’ Provincia di Genova).
La causa e’ stata chiamata alla pubblica udienza del 9 marzo 2022, nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe, in conformita’ alla requisitoria scritta depositata in prossimita’ dell’udienza.

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 135 che ha abrogato la disciplina prevista dal D.Lgs n. 152 del 1999, articolo 56 e si contesta la carenza di potere sanzionatorio in capo all’Ente Provincia. In materia di illeciti ambientali, sostengono i ricorrenti, la nuova norma avrebbe sancito la titolarita’ esclusiva del predetto potere in capo alle regioni e alle province autonome, senza possibilita’ di delega.
Osserva il Collegio che, come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare (Cass. n. 23383/2018; Cass. n. 27909/2018; Cass. n. 28108/2018), nella specie non e’ configurabile il vizio di incompetenza assoluta dell’Amministrazione, che darebbe luogo all’inesistenza del provvedimento sanzionatorio rilevabile anche d’ufficio. Tale vizio, infatti, secondo la giurisprudenza consolidata, “ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene”, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientra, sia pure a fini ed in casi diversim, una determinata materia (cosi’, testualmente, Cass. 19/07/2012, n. 12555 che richiama l’indirizzo consolidato a partire da Cass. Sez. U 28/08/1990, n. 8987).
Nella vicenda in esame, per contro, l’Autorita’ che ha emesso il provvedimento sanzionatorio – la Provincia di Genova – era all’epoca l’Ente competente a rilasciare le autorizzazioni in materia di scarichi idrici, ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006. Rimane percio’ esclusa in radice la configurabilita’ dell’incompetenza assoluta rilevabile d’ufficio.

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

Ne’ ricorre l’ipotesi di incompetenza relativa della Provincia, dovendo condividersi la valutazione del giudice di appello che ha riscontrato l’effettiva potesta’ sanzionatoria in capo alla Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione.
Gli opponenti hanno anche in questa sede riproposto la tesi che contesta la competenza della Provincia ad emettere l’ordinanza ingiunzione opposta sul rilievo che il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 135, comma 1, nel sostituire il previgente Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 56 avrebbe inteso escludere – con la soppressione dell’inciso “salvo diversa disposizione delle regioni o delle province autonome” (contenuto nel previgente Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 56 e non ripetuto nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 135) – la possibilita’, per le Regioni, di delegare ad altri enti il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie di competenza regionale.
I ricorrenti sostengono che, a seguito dell’entrata in vigore del citato Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 135 l’unica autorita’ amministrativa investita del potere di sanzionare le violazioni in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e’ la Regione e che tutte le previsioni normative precedentemente adottate dalle Regioni, con le quali sono state delegate ad enti diversi i poteri regionali di irrogazioni di sanzioni, devono intendersi tacitamente abrogate, in quanto incompatibili con la successiva disposizione di legge statale. Ne discende che i provvedimenti sanzionatori emessi dalle amministrazioni provinciali in epoca posteriore all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 sarebbero inficiati da un vizio di incompetenza assoluta (carenza di potere in astratto), causa di nullita’ del provvedimento stesso.

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

Il motivo e’ infondato.
In premessa, va evidenziato che, come precisato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 380 del 14/11/2007) il testo novellato dell’articolo 117 Cost., comma 2, lettera s) – che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali” configura una competenza statale sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti; la tutela dell’ambiente, intesa come valore costituzionalmente protetto, delinea, infatti, una sorta di competenza trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse anche regionali che si muovono nel quadro degli standard di tutela uniformi stabiliti sull’intero territorio nazionale da parte dello Stato; non sussiste, quindi, violazione dell’articolo 117 Cost., comma 2 lettera s – e, implicitamente – neppure dell’articolo 118, commi 1 e 2, allorquando la Regione delega alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi e’ coerente con il principio di sussidiarieta’, differenziazione ed adeguatezza, posto dall’articolo 118 Cost. e dal Decreto Legislativo n. 112 del 1998, articolo 3 secondo il quale ciascuna Regione “determina, in conformita’ al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali”.
Inoltre, non puo’ ritenersi di per se’ risolutivo il differente tenore normativo del Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 56 rispetto a quanto invece dettato dal Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 135, con riguardo all’omessa riproduzione, in quest’ultimo, della clausola di salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorita’. La disamina del quadro normativo di riferimento e dei principi generali depone, infatti, per la correttezza della soluzione del giudice di appello (in termini si veda anche Cass. n. 8364/2020). Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’articolo 135, comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della L. 24 novembre 1981, n. 680, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio e’ stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali e’ competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorita’”), nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del previgente Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 56 contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorita’”. Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale di applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico.

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

Ancora, va apprezzata la disciplina transitoria dettata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 170 in base al quale “Fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’articolo 175”. Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia cosi’ importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 1999; cio’ dimostra la volonta’ legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate nel 2006 in antinomia con (e, quindi, abrogative de) le norme previgenti e induce a disattendere la tesi della tacita abrogazione della Legge Regionale Liguria n. 43 del 1995, articolo 42, comma 2, lettera B).
Inoltre, l’assunto dei ricorrenti secondo cui il legislatore avrebbe inteso sottrarre alle regioni la potesta’ normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative loro attribuite, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia; ci si riferisce, in particolare, all’articolo 101 (Criteri generali della disciplina degli scarichi), secondo cui “Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia concentrazione massima ammissibile sia in quantita’ massima per unita’ di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”; nonche’ all’articolo 124, commi 3 e 7, per i quali, “Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, e’ definito dalle regioni nell’ambito di cui all’articolo 101, commi 1 e 2” e “salvo diversa disciplina regionale la domanda di autorizzazione” e’ presentata alla provincia ovvero all’Autorita’ d’ambito se lo scarico e’ in pubblica fognatura, norma questa che prevede la possibilita’ della regione di organizzare il sistema delle autorizzazioni e dei controlli”.
Va quindi esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal citato Decreto Legislativo n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, dovendosi ritenere implausibile che con la semplice soppressione dell’inciso contenuto nell’articolo 56, il legislatore statale abbia inteso privare le Regioni stesse del potere di conferire ad altri enti la funzione di accertare e comminare sanzioni per il mancato rispetto della normativa medesima.

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

Tanto premesso, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, e’ intervenuta nella materia della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi con la Legge Regionale n. 41 del 2014, la quale, con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica, ha confermato l’operativita’ della previsione di cui alla Legge Regionale n. 43 del 1995, articolo 42, comma 2, lettera b) e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 135. Tale disposizione, per il suo carattere interpretativo, non viola il principio di legalita’ posto dalla L. n. 689 del 1981, articolo 1 in quanto intervenuta solo per confermare la delega di funzioni di irrogazione delle sanzioni amministrative alle Province. Ne’ rileva la successiva abrogazione della Legge Regionale n. 21 del 2014, articolo 22 per effetto della Legge Regionale Liguria n. 12 del 2017, articolo 27, comma 1, lettera f) (operante a far data dal 7 giugno 2017 ex articolo 29, comma 1 medesima legge), atteso che trattasi di abrogazione successiva e, quindi, ininfluente (non versandosi in materia di sanzioni avene natura sostanzialmente penale nel senso emergente dalla giurisprudenza della Corte EDU) sulla vicenda oggetto di causa.
Correttamente, quindi, i giudici di appello hanno attribuito rilevanza alla Legge Regionale Ligure n. 41 del 2014, che conferma il potere sanzionatorio delle Province, non destando tale legge, d’altra parte, alcun dubbio di illegittimita’ costituzionale. Ed, infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potesta’ di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standards uniformi di tutela, e’ stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’articolo 117 Cost., comma 2, lettera s), cio’, tuttavia, non esclude il concorrente potere normativo delle Regioni e delle Province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati; fermo restando che la disciplina unitaria del bene ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, si pone come limite alla disciplina regionale e delle province autonome nelle materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato. Cio’ premesso, si osserva che il limite dell’intervento statale in tema di soglie minime di tutela dell’ambiente (cfr. Corte Cost. n. 246/2006; Corte Cost. n. 378/2007; Corte Cost. n. 244/2012) non puo’ ritenersi attinto dalla delega del potere sanzionatorio in via dalla Regione alle Province. Questa Corte ha infatti affermato (Cass. n. 8511/2005) – in relazione alla previgente disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 56 ma con affermazioni di principio ancora valide – che l’attribuzione alle Regioni della competenza all’irrogazione delle sanzioni amministrative non esprime un principio fondamentale della legislazione dello Stato tale da spiegare efficacia direttamente abrogativa nei confronti delle leggi regionali preesistenti con esse incompatibili.
Il primo motivo deve quindi essere rigettato (nello stesso senso, ex multis Cass. n. 34408/21, Cass. n. 17573/21, Cass. n. 17569/21).

Sanzioni amministrative in caso di illeciti a carattere permanente

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 8 bis in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa disattendendo la loro eccezione di nullita’ o annullabilita’ dell’impugnata ordinanza ingiunzione per essere stata la stessa emessa in pendenza di altro procedimento sanzionatorio per analoga violazione.
I ricorrenti espongono, in linea di fatto, che l’ordinanza impugnata e’ stata emessa in data 28 luglio 2011, pochi giorni dopo la data, del 6 luglio 2011, in cui la societa’ (OMISSIS) s.r.l. aveva ricevuto la notifica di altro provvedimento sanzionatorio, sempre per il medesimo illecito di esercizio non autorizzato dell’impianto di (OMISSIS); dalla prossimita’ cronologica di tali due ordinanze ingiunzione essi deducono che l’accertamento compiuto dalla Provincia di Genova per mezzo dell’ordinanza qui impugnata “si riferisce a condotte e fattispecie gia’ oggetto di un procedimento sanzionatorio pendente all’epoca presso la stessa Amministrazione provinciale” (pag. 26, penultimo capoverso, del ricorso) e argomentano, in linea di diritto, che, nell’illecito amministrativo permanente, il persistere dell’autore della violazione nel proprio comportamento illegittimo non consentirebbe un’ulteriore esercizio del potere sanzionatorio fino a quando il procedimento attivato con la prima contestazione non si sia concluso con la notificazione dell’ordinanza ingiunzione irrogativa della pena pecuniaria.
Il motivo e’, innanzi tutto, inammissibile per carenza di specificita’, in quanto il ricorrente non chiarisce se la persona fisica sanzionata con l’ordinanza ingiunzione notificata alla (OMISSIS) s.r.l. 6 luglio 2011 fosse il medesimo sig. (OMISSIS) sanzionato con l’ordinanza ingiunzione qui impugnata o fosse altra persona fisica con la quale la societa’ (OMISSIS) s.r.l. dovesse rispondere in solido ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 6, comma 3 (cosi’ come deve rispondere in solido con il signor (OMISSIS) per l’illecito sanzionato con l’ordinanza ingiunzione oggetto del presente giudizio). La mancata precisazione sull’identita’ dell’obbligato principale nei cui confronti e’ stata emessa l’ordinanza ingiunzione notificata alla (OMISSIS) s.r.l. il 6 luglio 2011 non consente a questa Corte di verificare, in base alla narrativa del ricorso, il presupposto fattuale della doglianza sviluppata nel motivo, vale a dire l’identita’ della persona fisica a cui sono ascritti gli illeciti sanzionati con l’ordinanza ingiunzione oggetto del presente giudizio con la persona fisica a cui sono ascritti gli illeciti sanzionati con l’ordinanza ingiunzione notificata alla (OMISSIS) s.r.l. il 6 luglio 2011. Donde l’inammissibilita’ del mezzo di impugnazione.
In ogni caso va aggiunto, per esigenza di nomofilachia, che la tesi giuridica prospettata dai ricorrenti, alla cui stregua, in materia di illeciti amministrativi permanenti, la cessazione della permanenza coinciderebbe con la data dell’irrogazione della sanzione, pur supportata da taluni precedenti di questa Corte (Cass. 204/85, ancora seguito da Cass. 147/07), non puo’ trovare seguito; la piu’ recente giurisprudenza di questa Sezione ha, infatti, persuasivamente affermato che la cessazione della permanenza coincide non con la data dell’irrogazione della sanzione ma con quella dell’accertamento (Cass. n. 18592/12: “Con riguardo a sanzione amministrativa irrogata per un illecito a carattere permanente, quale quello di escavazione abusiva di cava, e’ irrilevante, ai fini della sua individuazione sotto il profilo temporale, l’indicazione specifica dei giorni in cui e’ stata realizzata la condotta illecita, essendo necessaria e sufficiente l’indicazione del momento di cessazione della permanenza, cui e’ equiparato, nel caso in cui non vi sia la prova di tale cessazione, quello dell’accertamento della violazione”; vedi anche Cass. 14592/19).
Col terzo motivo, rubricato “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla L. n. 241 del 1990, articolo 3 e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 133, comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, i ricorrenti sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato nel negare la nullita’ e/o annullabilita’ del verbale di contestazione presupposto all’ordinanza impugnata, stante la mancata allegazione, allo stesso, del verbale del sopralluogo nel corso del quale sarebbe stata accertata la violazione.
La doglianza e’ infondata. Come questa Corte ha gia’ chiarito nella sentenza n. 18469/2014, in tema di procedimento amministrativo e’ sufficiente, ai fini del rispetto del precetto posto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, comma 3, che l’atto indicato in motivazione sia reso disponibile per l’interessato, non avendo tale norma posto a carico dell’amministrazione anche l’obbligo di allegare al provvedimento l’atto richiamato; pertanto, il provvedimento che applica una sanzione amministrativa puo’ essere motivato per relationem, non essendo in tal caso l’Amministrazione, salvo disposizione contraria, tenuta ad allegare o comunicare gli atti richiamati (in termini, Cass. 17730/20, Cass. 17569/21).
Il quarto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla L. n. 689 del 1981, articolo 14 e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 133, comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente in capo alla societa’ (OMISSIS) s.p.a. la legittimazione passiva in relazione alla contestazione della violazione inerente alla mancata autorizzazione dello scarico delle acque reflue, quando la societa’ ingiunta aveva solo la gestione operativa dell’impianto e la gestione del servizio idrico integrato era invece affidata esclusivamente a (OMISSIS) s.p.a.
Il motivo e’ infondato.
E’ decisivo, al riguardo, rilevare che l’ipotesi regolata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 133, comma 2, e’ perfettamente assimilabile alla previgente disposizione del Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 54, comma 2, che gia’ puniva “chiunque avesse effettuato scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie senza l’autorizzazione”. Entrambe le previsioni non configurano illeciti propri, la cui consumazione presupponga una particolare qualita’ del soggetto attivo, per cui il responsabile della violazione non si identifica solo con il titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto (che apra nuove vie di scarico); resta, infatti, assoggettato alla sanzione qualsiasi soggetto che gestisca o comunque detenga di fatto la condotta di scarico non autorizzata (Cass. n. 3176/2006; Cass. 8364/2020; Cass. 1740/2020). Cio’ rende irrilevante il contenuto delle convenzioni richiamate in ricorso, posto che il riparto di competenze fissato in seno alla Conferenza dei Sindaci e poi trasfuso nelle predette convenzioni non consente di escludere la responsabilita’ del gestore operativo dell’impianto per l’effettuazione degli scarichi non autorizzati.
La tesi dei ricorrenti, circa il rilievo del contenuto delle convenzioni del 16.4.2004 e 5.10.2009, non inficia inoltre gli accertamenti in fatto svolti dalla Corte di merito secondo cui:
per un verso, la prima di tali convenzioni non era applicabile alla gestione salvaguardata affidata alla Mediterranea Acque (conseguendone l’impossibilita’ di invocare anche il contenuto della convenzione modificativa del 2009);
– per altro verso, il piano d’ambito relativo agli anni 2004/2008 aveva attribuito ai titolari delle gestioni salvaguardate “specifiche “macrocompetenze” riguardanti non soltanto l’organizzazione e la gestione amministrativo-contrattuale, ma anche la realizzazione del programma degli interventi e l’organizzazione della gestione tecnica” (pag. 14, § 7.5, della sentenza).
In questo quadro – logicamente e motivatamente definito dal giudice distrettuale – l’accertamento di una sfera di piena autonomia gestionale in capo alla ricorrente esclude la sussistenza di esimenti, consentendo semmai di configurare un’ulteriore responsabilita’ a titolo di concorso in capo alla societa’ tenuta alla gestione del Servizio Idrico Integrato o l’esistenza di un ruolo piu’ o meno penetrante di coordinamento o controllo da parte di altra societa’. Non e’ dunque configurabile una responsabilita’ esclusiva del Gestore d’Ambito posto che, anche a voler riconoscere in capo a quest’ultimo il potere di compiere le scelte riguardanti il completamento degli impianti, non era consentito ai ricorrenti contravvenire alla prescrizione che imponeva il previo rilascio dell’autorizzazione per lo scarico. Anche il quarto motivo va quindi rigettato (in termini, Cass. 8364/20 Cass. 17730/20 Cass. 17569/21, Cass. 29488/21).
Il ricorso e’ rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.500, oltre Euro 200 per esborsi, e oltre spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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