Risoluzione per ritardo eccessivo, anche senza diffida

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 gennaio 2025| n. 357.

Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

Massima: L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un’obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 cod. civ., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 cod. civ., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza; il relativo accertamento costituisce apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che deve essere condotto in relazione all’oggetto ed alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, ed al persistente interesse dell’altro contraente alla prestazione dopo un certo tempo.

 

Ordinanza|8 gennaio 2025| n. 357. Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

Integrale

Tag/parola chiave: Promessa in vendita – Regolarizzazione dell’immobile – Istituto della presupposizione ex art. 1467 cc – Facoltà ex art. 1453 comma 2 c.c. di mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione – Divieto di introdurre un nuovo tema di indagine – Esecuzione di un’obbligazione – Inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti – Risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c. – Esclusione – Risolubilità del contratto ex art. 1453 c.c. – Ammissibilità – Inadempimento di non scarsa importanza – Criteri – Cass. Sez. 2 sentenza n.4314 del 04/03/2016

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Relatore

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26351/2019 R.G. proposto da

Ro.Vi., elettivamente domiciliato in CUNEO VIA SA.N., presso lo studio dell’avvocato DE.AN. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende

-ricorrente-

Contro

Mo.Gi., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CA. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MU.GA. (OMISSIS)

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 953/2019 depositata il 05/06/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI.

Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

PREMESSO CHE

1. in data 2.6.2015, Mo.Gi. e Mo.Ro. promettevano di vendere, entro e non oltre il 30.8.2015, un immobile a Ro.Vi. il quale versava ai promissari venditori una caparra confirmatoria di 16.000 euro. Mo.Gi. e Mo.Ro. avrebbero dovuto regolarizzare l’immobile dal punto di vista urbanistico e provvedere alla variazione catastale necessaria a far risultare l’esistenza di un bagno. Con lettera del 29.9.2015, il Ro.Vi. dichiarava risolto il contratto per non avere Mo.Gi. e Mo.Ro. provveduto alla regolarizzazione dell’immobile entro il 30.8.2015. Il Ro.Vi. e Mo.Ro. raggiungevano una accordo transattivo. Mo.Gi. contestava l’inadempimento addebitatogli. Il Ro.Vi. adiva il Tribunale di Torino per la risoluzione del contratto e per il pagamento del doppio della caparra. Il Mo.Gi. si opponeva e chiedeva a sua volta la risoluzione del contratto preliminare in danno del Ro.Vi. per avere questi, senza motivo, mancato di addivenire alla stipula del definitivo. Il Tribunale di Torino accoglieva la domanda principale ritenendo sussistente una condizione implicita presupposta alla stipula del contratto preliminare, costituita dalla volontà del Ro.Vi. di concludere un leasing immobiliare e ravvisando l’inadempimento del Mo.Gi. per non aver procurato “la sanatoria indispensabile per la sottoscrizione del definitivo”.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza n.953 del 5 giugno 2019, in accoglimento dell’impugnazione del Mo.Gi., riformava integralmente la decisione del Tribunale sulla base delle seguenti argomentazioni

il Ro.Vi. aveva dedotto la circostanza della stipula del leasing non, ritualmente, nell’atto di citazione ma, inammissibilmente, nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c.;

in ogni caso tale circostanza non poteva ritenersi integrativa degli estremi della presupposizione. Era infatti emerso che l’interesse del Ro.Vi. alla stipula del leasing era sorto dopo la conclusione del preliminare. Infatti solo in una e-mail inviata il 2.9.2015, il Ro.Vi. aveva prospettato al Mo.Gi. “la necessità di cambiare il programma iniziale” in relazione alla contestuale richiesta di ottenere l’immobile in comodato in modo da poter stipulare il contratto di leasing. Era rimasto indimostrato che il Mo.Gi. avesse saputo della intenzione del Ro.Vi. di stipulare il leasing. La stipula del leasing non era stata menzionata nel preliminare. Era rimasto indimostrato che la circostanza suddetta fosse stata considerata come dato oggettivo sotteso da entrambe le parti al preliminare e non fosse invece un motivo soggettivo del promissario acquirente;

era infondata la tesi del Ro.Vi. per cui il Mo.Gi. non avrebbe contestato tempestivamente “l’operatività della presupposizione” dato che il Mo.Gi., pur non avendo preso posizione sul punto nella seconda memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c., aveva però dimostrato di non essere stato a conoscenza, al momento della stipula del preliminare, della circostanza che il Ro.Vi. aveva sostenuto essere il presupposto del contratto;

non era ravvisabile l’inadempimento del Mo.Gi. all’obbligo di provvedere alla “sanatoria indispensabile alla sottoscrizione dell’atto definitivo” dato che, dalla documentazione prodotta dallo stesso Mo.Gi., risultava che l’immobile non era gravato da alcuna irregolarità ostativa al trasferimento e che, in particolare, il bagno era stato costruito su autorizzazione rilasciata dal Comune di Torino al dante causa della “madre del Mo.Gi.”, tale “sig. La.”. Il mancato accatastamento del bagno da parte di quest’ultimo non aveva impedito il trasferimento dell’immobile alla madre del Mo.Gi. con atto del 2005. La irregolarità dedotta dal Ro.Vi. per cui il La. non avrebbe comunicato al Comune la data di inizio e la data di fine lavori di cui all’art. 6 della L.380/2001, comma 2 e comma 4, non era ostativa al trasferimento posto che la comunicazione, se, per un verso, avrebbe dovuto essere data prima dell’inizio dei lavori, poteva essere data anche dopo l’esecuzione dei lavori salvo il pagamento di una sanzione;

non era applicabile, al contrario di quanto affermato dal Tribunale, l’art. 1489 c.c. posto che dal preliminare risultava che il Ro.Vi. era al corrente della irregolarità dell’immobile né era possibile dare credito alla tesi del Ro.Vi. per cui il Mo.Gi. avrebbe taciuto la circostanza che per superare la irregolarità era necessario presentare una pratica di sanatoria posto che lo stesso Ro.Vi. aveva proposto di presentare al Comune “un’unica pratica” che riguardasse la sanatoria e l’esecuzione di ulteriori lavori di ristrutturazione di suo interesse e che il Mo.Gi., ricevuta dal Ro.Vi. una email del 4.9.2015 di segnalazione della necessità di presentare distinte pratiche per la sanatoria e per gli ulteriori lavori, si era attivato presso il Comune ed aveva in breve ottenuto la documentazione necessaria;

era fondata la censura del Mo.Gi. contro la sentenza del Tribunale anche nella parte in cui quest’ultimo aveva ritenuto il termine previsto nel preliminare per la stipula del definitivo -il 30.8.2015- “essenziale”. Il Ro.Vi. in una e-mail del 3.9.2015 aveva proposto al Mo.Gi. la stipula di un contratto di comodato “per essere autorizzato a prendere possesso dell’immobile in attesa che la pratica edilizia si concludesse” e in una e-mail inviata al Mo.Gi. il 4.9.2015 aveva manifestato la disponibilità ad attendere che la “situazione” urbanistica fosse “risolta”. Le due e-mail mostravano che il termine fissato nel preliminare non era essenziale e comunque, con tali e-mail, “l’assetto negoziale in punto di termine per l’adempimento contenuto nel preliminare” era stato “superato”;

il Ro.Vi. aveva, con la prima delle memorie, ex art. 183, sesto comma. c.p.c., dedotto quale ulteriore inadempienza del Mo.Gi. al preliminare, il fatto che questi non avesse reso disponibile “l’attestato di certificazione energetica”. In relazione a tale deduzione doveva osservarsi che la stessa avrebbe dovuto essere svolta nella citazione ed era stata svolta invece tardivamente e che, in ogni caso, il Mo.Gi., anteriormente alla scadenza del termine del 30.8.2015, aveva prodotto l’attestazione suddetta;

il Ro.Vi. non aveva ragione per sottrarsi alla stipula del definitivo ed era quindi fondata la riconvenzionale del Mo.Gi. di risoluzione del preliminare in danno dell’appellato e di definitivo incameramento della caparra;

2. il Ro.Vi. ricorre con sette motivi per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Torino, n.953 del 5 giugno 2019;

3. il Mo.Gi. resiste con controricorso illustrato con memoria;

Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 183, primo comma, n.1 c.p.c. “per avere il Giudice di secondo grado qualificato l’allegazione della stipula del contratto di leasing nonché l’inadempimento del sig. Mo.Gi. per non aver questi proceduto ad inviare l’attestato di certificazione energetica, come domande nuove, tardive anziché come mere precisazioni derivanti dalla difesa della controparte nella comparsa di risposta”. Si lamenta altresì violazione dell’art. 1469 c.c. “relativamente alla mancata consegna dell’attestato di certificazione energetica”;

2. il motivo è infondato.

2.1. Quanto alla qualifica data dalla Corte di Appello alla allegazione della presupposizione come (allegazione) nuova e inammissibile rispetto alla allegazione dell’inadempimento fondante la domanda di risoluzione, è opportuno premettere un richiamo alle statuizioni di questa Corte in tema di presupposizione “l’istituto della presupposizione -introdotto in modo espresso ed in via generale nel nostro ordinamento dalla norma dell’art. 1467 cod. civ.- ricorre quando una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso -pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali- come presupposto condizionante il negozio (cosiddetta condizione non sviluppata o inespressa). A tal fine, pertanto, si richiede 1) che la presupposizione sia “comune” a tutti i contraenti; 2) che l’evento supposto sia stato assunto come “certo” nella rappresentazione delle parti (ed in ciò la presupposizione differisce dalla condizione); 3) che si tratti di presupposto “obiettivo”, consistente, cioè, in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dalla attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica loro obbligazione” (Cass. (Cass. Sez. 2, sentenza n. 4554 del 31/10/1989).

Tanto premesso, si osserva che, chiesta da parte del ricorrente la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della controparte (art. 1453 c.c.), è nuova -come ritenuto dalla Corte di Appello e, potrebbe aggiungersi in contrasto logico rispetto a tale richiesta- la allegazione, contenuta nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., della presupposizione posto che questa consiste, come già evidenziato, in una condizione premessa implicitamente al consenso e che al mancato verificarsi della condizione presupposta si ricollega non la risoluzione del contratto in danno dell’altra parte -la risoluzione in danno è legata all’inadempimento di una obbligazione prevista espressamente nel contratto- ma la perdita di effetto del contratto per il dato obiettivo del mancato verificarsi della condizione.

2.2. Quanto poi alla qualifica data dalla Corte di Appello alla allegazione dell'”inadempimento del sig. Mo.Gi. per non aver questi proceduto ad inviare l’attestato di certificazione energetica”, come allegazione inammissibile perché nuova rispetto alle allegazioni originarie centrate sulla “esistenza di irregolarità urbanistiche” (v. sentenza impugnata pagina17), si tratta di qualifica corretta alla luce della giurisprudenza di legittimità secondo cui nel giudizio di risoluzione del contratto promosso sulla base di uno specifico inadempimento di una data obbligazione è inammissibile la successiva allegazione di un inadempimento relativo ad altra obbligazione. Si vedano tra altre Cass. Sez. 2, sentenza n.8234 del 06/04/2009 “La disposizione dell’articolo 1453 cod. civ., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli articoli 183, 184, 345 cod. proc. civ., sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi e, quindi, degli inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria”; Cass. Sez. 2 – , ordinanza n.28912 del 05/10/2022 “La facoltà, di cui all’art. 1453, comma 2, c.c., di poter mutare nel corso del giudizio di primo grado, in appello e persino in sede di rinvio la domanda di adempimento in quella di risoluzione, in deroga al divieto di “mutatio libelli” sancito dagli artt. 183, 184 e 345 c.p.c., postula che si resti nell’ambito dei fatti posti a base della inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre un nuovo tema di indagine, sicché il contraente che abbia posto a base della domanda introduttiva del processo l’inadempimento dei promittenti alienanti alla stipulazione del contratto definitivo, non può, in sede di appello, addurre il pignoramento dell’immobile alla base della domanda di riduzione del prezzo e, poi, chiedere, con la precisazione delle conclusioni, la risoluzione del contratto preliminare per sostanziale difformità dal titolo “ad aedificandum”, così mutando due volte i fatti posti a base dell’inadempimento”;

Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

3. con il secondo motivo di ricorso si lamenta “la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 183, primo comma, n.2, c.p.c. quanto all’erronea qualificazione dell’istituto giurisprudenziale della presupposizione come elemento da doversi includere nel contratto”. Viene censurato il passaggio della motivazione della sentenza nel quale la Corte di Appello ha affermato che “le parti non hanno espressamente richiamato il contratto di leasing immobiliare” nel preliminare. Questo passaggio è successivo a quello in cui la Corte di Appello ha dichiarato inammissibile, perché contenuta nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., l’allegazione della presupposizione. Si deduce, da parte del ricorrente, che la presupposizione consiste in una circostanza che è presupposto non esternato del consenso;

4. il motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.). L’affermazione censurata è, come già evidenziato, successiva rispetto a quella di inammissibilità dell’allegazione della presupposizione ed è rispetto a tale preliminare affermazione ultronea. Dacché il difetto di interesse a censurarla;

5. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 112, 115 e 132 c.p.c. per avere la Corte di Appello errato nel ritenere che “l’operatività della presupposizione” -non contestata dal Mo.Gi. nella seconda memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c.- fosse stata tempestivamente contestata avendo l’allora convenuto dimostrato di non essere stato a conoscenza, al momento della stipula del preliminare, della circostanza che l’allora attore, Ro.Vi., aveva dedotto, con la prima memoria ex art. 183, comma sesto, c.p.c., come presupposta al contratto;

6. il motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.). Come più volte evidenziato, la Corte di Appello ha dichiarato l’allegazione delle presupposizione inammissibile in quanto contenuta nella prima memoria ex art. 183, comma sesto, c.p.c. La violazione delle preclusioni può e deve essere rilevata d’ufficio cosicché il fatto che la parte interessata a contrastare la violazione prenda o non prenda effettivamente posizione rispetto ad essa è irrilevante;

7. con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché, in relazione all’art. 360, primo comma “n. 2″, c.p.c., violazione dell’art. 29, comma 1 bis della L.52/1985”, nonché, ancora, “erronea motivazione” per avere la Corte di Appello trascurato il dato pacifico, valorizzato invece dal giudice di primo grado, della non corrispondenza “tra lo stato di fatto (dell’immobile) e le planimetrie catastali” con conseguente “impossibilità di provvedere al definitivo”;

8. il quarto motivo deve essere esaminato dopo il sesto motivo;

9. con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma “n. 2”, c.p.c., violazione degli artt. 1453 e 1489 c.c., per avere la Corte di Appello affermato “l’inapplicabilità alla fattispecie della speciale garanzia per evizione”. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nell’affermare che non era applicabile l’art. 1489 c.c. posto che l’allora appellato era al corrente della irregolarità dell’immobile. Al contrario, sostiene il ricorrente, egli non era a conoscenza delle “gravi irregolarità urbanistiche” dell’immobile.

10. il motivo è inammissibile veicolando, al di là delle rubrica, non una censura di violazione di legge ma una mera affermazione in fatto, contraria all’accertamento della Corte di Appello per cui non era applicabile l’art. 1489 c.c. posto che dal preliminare risultava che il Ro.Vi. era al corrente della irregolarità dell’immobile né era possibile dare credito alla tesi del Ro.Vi. per cui il Mo.Gi. avrebbe taciuto la circostanza che, per superare la irregolarità era necessario presentare una pratica di sanatoria, posto che lo stesso Ro.Vi. aveva proposto di presentare al Comune “un’unica pratica” che riguardasse la sanatoria e l’esecuzione di ulteriori lavori di ristrutturazione di suo interesse e che il Mo.Gi., ricevuta dal Ro.Vi.

una email del 4.9.2015 di segnalazione della necessità di presentare distinte pratiche per la sanatoria e per gli ulteriori lavori, si era attivato presso il Comune ed aveva in breve ottenuto la documentazione necessaria;

11. con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma “n. 2”, c.p.c., violazione dell’art. 1457 c.c. nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la Corte di Appello ritenuto che il termine del 30 maggio 2015, previsto per la stipula del definitivo, fosse non essenziale.

Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

Sostiene il ricorrente che la propria disponibilità a stipulare il definitivo anche dopo il 30 maggio 2015 -disponibilità dedotta dalla Corte di Appello dalla e-mail inviata da esso ricorrente al promissario venditore il 4 settembre 2015- era condizionata a ciò che il Mo.Gi. acconsentisse alla stipula di un contratto di comodato, poi di fatto non stipulato “non per colpa del ricorrente”;

12. il motivo è inammissibile veicolando affermazioni in fatto, sulla sussistenza di una condizione subordinatamente alla quale il Ro.Vi. avrebbe in sostanza rinunciato ad avvalersi dell’essenzialità del termine, contrarie a quanto accertato e affermato dalla Corte di Appello. Si legge nella sentenza, da un lato, che il Ro.Vi. in una e-mail del 3.9.2015 aveva proposto al Mo.Gi. la stipula di un contratto di comodato “per essere autorizzato a prendere possesso dell’immobile in attesa che la pratica edilizia si concludesse” e in una e-mail inviata al Mo.Gi. il 4.9.2015 aveva manifestato la disponibilità ad attendere che la “situazione” urbanistica fosse “risolta”. Secondo la Corte di Appello le due e-mail mostravano che il termine fissato nel preliminare non era essenziale e comunque, con tali e-mail, “l’assetto negoziale in punto di termine per l’adempimento contenuto nel preliminare” era stato “superato”. Si legge nella sentenza, d’altro lato che, il Mo.Gi., ricevuta le proposta per la stipula del comodato, non l’aveva rifiutata ma vi aveva apportato “variazioni tali da non incidere sul complessivo assetto degli interessi delle parti” mentre non erano conosciute (“non si conoscono”) “le ragioni che avevano indotto il Ro.Vi. a rifiutare la stipula del contratto di comodato nei termini proposti dal Mo.Gi.” (v. sentenza impugnata, p.15);

13. a questo punto e alla luce di quanto appena osservato circa l’affermazione della Corte di Appello per cui il termine previsto dal preliminare per la stipula del definitivo non era essenziale, deve tornarsi ad esaminare il quarto motivo di ricorso.

13.1. La Corte di Appello ha precisato che il preliminare prevedeva che il definitivo avrebbe dovuto essere stipulato il 30 agosto 2015, ha dato conto delle citate email del 3 e 4 settembre evidenziando che da esse emergeva la persistenza dell’interesse del Ro.Vi. all’acquisto, ha precisato che il Ro.Vi. era receduto dal contratto con email del 27 settembre 2015.

13.2. Va ricordato che “L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un’obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza; il relativo accertamento costituisce apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che deve essere condotto in relazione all’oggetto ed alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, ed al persistente interesse dell’altro contraente alla prestazione dopo un certo tempo” (Cass. Sez. 2, sentenza n.4314 del 04/03/2016).

13.3. La Corte di Appello ha dato conto del fatto che “il Sig, La., dante causa della madre del signor Mo.Gi.”, aveva realizzato nell’immobile de quo un bagno e “non aveva però provveduto a comunicare al catasto la nuova disposizione interna dell’alloggio”. Ha poi escluso l’incommerciabilità dell’immobile tra le parti in causa dicendo che “l’atto di compravendita del bene non accatastato alla madre dell’odierno appellante si è perfezionato regolarmente”, precisando trattarsi di atto “datato 12.5.2005”.

La disposizione di cui all’art. 29, comma 1bis, della L. n. 52 del 1985, come introdotta dall’art. 19 del D.L. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 2010, secondo cui gli atti e le scritture autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali sui fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, non si applica agli accordi conclusi anteriormente al 1 luglio 2010, in considerazione della norma transitoria contenuta nel comma 16 dell’art. 19 del ridetto D.L. n. 78 del 2010 (Cass. 5061/2021).

Dal fatto che, nel 2005, fosse stato possibile trasferire l’immobile malgrado la non conformità allo stato reale dei dati catastali (per non essere stati questi aggiornati alle modifiche interne apportate dal La.) non deriva che fosse possibile trasferire l’immobile, in esecuzione del preliminare stipulato inter partes, entro il termine previsto del 31.8.2015.

Tuttavia, avendo la Corte di Appello accertato la non essenzialità di questo termine ed essendo quindi ancora possibile conseguire l’accatastamento del bagno, è sostanzialmente corretta la decisione della Corte di Appello che, per un verso, ha escluso che la non corrispondenza, alla data del 31.8.2015, “tra lo stato di fatto (dell’immobile) e le planimetrie catastali”, potesse giustificare il recesso dal contratto dell’attuale ricorrente e, per altro verso, non ha ritenuto l’inadempimento del Mo.Gi. all’obbligo di provvedere all’accatastamento del bagno entro il 31.8.2015 elemento integrativo della risoluzione in suo danno;

14. con il settimo motivo di ricorso si lamenta, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., nonché violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n.2, c.p.c., in relazione art. 96 c.p.c., per avere la Corte di Appello “omesso di pronunciarsi sulla richiesta di condanna del Sig. Mo.Gi. per non avere riscontrato l’invito alla negoziazione assistita”;

15. il motivo è inammissibile non risultando che la dedotta richiesta di condanna sia stata prospettata alla Corte di Appello. Il ricorrente si limita a ricordare di aver avanzato tale richiesta “nell’atto introduttivo”. A pagina 3 della sentenza impugnata sono riportate tra virgolette le conclusioni sottoposte dal Ro.Vi. alla Corte di Appello e tra esse non vi è menzione di tale richiesta;

16. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;

17. le spese seguono la soccombenza;

Risoluzione per ritardo eccessivo anche senza diffida

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7800,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del D.P.R. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 21 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 gennaio 2025.

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