Corte di Cassazione, sezioni unite penali, Sentenza 9 aprile 2020, n. 11803.
Massima estrapolata:
Nel procedimento di riesame contro i provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive il detenuto o internato o sottoposto a misura limitativa della partecipazione all’udienza camerale può esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentito su specifici temi con l’istanza di differimento ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen.
Sentenza 9 aprile 2020, n. 11803
Data udienza 27 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Misure cautelari – Personali – Procedimento di riesame – Udienza camerale – Partecipazione personale del detenuto – Richiesta con istanza di riesame – Necessità – Richiesta di essere sentito su specifici temi con istanza di differimento – Facoltà
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. RAGO Geppino – Consigliere
Dott. CIAMPI Francesco Mar – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 29/04/2019 del Tribunale della Liberta’ di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Componente Dr. Caputo Angelo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Tocci Stefano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza deliberata il 29 aprile 2019, il Tribunale del riesame di Napoli ha sostituito con la misura degli arresti domiciliari con “braccialetto elettronico” la misura cautelare della custodia in carcere applicata a (OMISSIS) dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata in relazione all’imputazione provvisoria di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al reato di corruzione elettorale ex Decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, articolo 86.
2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli (OMISSIS), per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il primo motivo denuncia la nullita’ dell’ordinanza impugnata: premesso che in data 23 aprile 2019 (OMISSIS), detenuto nel carcere di (OMISSIS), aveva presentato richiesta di partecipazione all’udienza camerale dinanzi al Tribunale del riesame, fissata per il 29 aprile 2019 e che la richiesta era stata rigettata in quanto non proposta contestualmente all’istanza di riesame, si sostiene che l’articolo 309 c.p.p., comma 6, prevede che l’imputato puo’, e non deve, chiedere di comparire personalmente con l’istanza di riesame, sicche’ la richiesta doveva ritenersi tempestiva, anche alla luce di un recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’.
Il secondo motivo eccepisce l’illegittimita’ costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost., dell’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis, se interpretati nel senso contrario a quello sostenuto con il primo motivo.
Il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo, in un quadro di diffusi riferimenti alla giurisprudenza di legittimita’ in materia, che non siano emersi il ruolo e il contributo dell’indagato nel sodalizio, ne’ la sua consapevolezza della partecipazione ad un’associazione; il ricorrente, inoltre, richiama alcuni passaggi di intercettazioni telefoniche di conversazioni tra lo stesso (OMISSIS) ed un coindagato ( (OMISSIS)), che dimostrerebbero l’estraneita’ del primo all’associazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo egli mosso da fini esclusivamente personali.
3. Con memoria depositata il 6 settembre 2019, il Sostituto Procuratore Generale ha concluso per l’infondatezza del ricorso, condividendo l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui, nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, il soggetto sottoposto a misura privativa o limitativa della liberta’ personale, che intenda esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza camerale ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 8-bis, deve formularne istanza, personalmente o a mezzo del difensore, nella richiesta di riesame.
4. Investita della cognizione del ricorso, la Quinta Sezione penale, con ordinanza n. 43406 del 13 settembre 2019, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, ravvisando un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’ in ordine alla questione posta con il primo motivo.
5. In data 19 novembre 2019, il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, deve rilevarsi che, successivamente alla presentazione del ricorso, l’imputato, condannato a pena condizionalmente sospesa, e’ stato rimesso in liberta’, sicche’ il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta mancanza di interesse, in difetto di una specifica e motivata deduzione circa un perdurante interesse all’impugnazione (Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini, Rv. 249002).
2. Poiche’ la causa di inammissibilita’ e’ sopravvenuta al ricorso, le Sezioni unite, a norma dell’articolo 618 c.p.p., comma 1-ter, ritengono comunque di affrontare la questione di diritto in relazione alla quale il ricorso e’ stato ad esse rimesso, che puo’ essere cosi’ sintetizzata: se, nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, il soggetto sottoposto alla misura, che intenda esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza camerale ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 8-bis, debba formularne istanza nella richiesta di riesame, oppure possa presentare la richiesta anche non contestualmente ad essa, ma comunque in tempo utile per consentire di organizzare la tempestiva traduzione ai fini del regolare svolgimento del procedimento.
3. La questione si pone in relazione alle modifiche apportate all’articolo 309 c.p.p. dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, articolo 11. Prima della novella la disciplina della partecipazione all’udienza di riesame dell’imputato detenuto che ne avesse fatto richiesta era affidata all’articolo 309 c.p.p., comma 6, e al rinvio operato dall’articolo 309, comma 8, c.p.p. al procedimento in camera di consiglio ex articolo 127, il cui comma 3 stabilisce che “se l’interessato e’ detenuto o internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo”. Per un miglior inquadramento della questione rimessa alla cognizione delle Sezioni unite e’ opportuno richiamare, sia pure a grandi linee, i diversi orientamenti formatisi nella giurisprudenza di legittimita’ – anche alla luce della giurisprudenza costituzionale – in relazione alla disciplina previgente.
3.1. Sez. U, n. 40 del 22/11/1995, dep. 1996, Carlutti, Rv. 203771-2 ha affermato, per un verso, che la mancata traduzione, perche’ non disposta o non eseguita, dell’imputato, indagato o condannato che ne abbia fatto richiesta, all’udienza di riesame determina la nullita’ assoluta e insanabile, a norma dell’articolo 179 c.p.p., dell’udienza camerale e della successiva pronuncia del Tribunale sull’istanza di riesame e, per altro verso, che la nullita’ di tale ordinanza non comporta la cessazione di efficacia della misura coercitiva disposta.
Sez. U, Carlutti ha avuto modo di sottolineare come la questione si ponesse negli stessi termini per l’indagato detenuto nell’ambito o fuori della circoscrizione del Tribunale, dopo l’interpretazione dell’articolo 127 c.p.p. offerta dalla sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale secondo cui, in tale seconda ipotesi, il giudice del riesame e’ tenuto ad assicurare la presenza dell’interessato dinanzi a se’ qualora questi ne faccia specifica richiesta. Ha osservato ancora la sentenza Carlutti che la sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale, insieme con la sentenza n. 98 del 1982 sempre del giudice delle leggi, attribuisce “un rilievo decisivo, ai fini della corretta applicazione dell’articolo 24 Cost., comma 2, e della conseguente interpretazione della legge conforme a tale norma, alla presenza all’udienza camerale dell’imputato detenuto che abbia manifestato espressamente la volonta’ di comparire in quanto unico mezzo idoneo a consentirgli di esprimere le sue ragioni, in special modo quando queste vertono su questioni di fatto”.
Analoga valorizzazione delle indicazioni interpretative offerte dalla sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale si rinviene in una successiva pronuncia delle Sezioni unite, ossia in Sez. U, n. 9 del 25/03/1998, D’Abramo, Rv. 210799, secondo cui l’indagato, detenuto in luogo esterno al circondario ove ha sede il tribunale competente a decidere, ha diritto alla traduzione per essere sentito davanti al magistrato di sorveglianza o a quello del riesame, a condizione che vi sia stata una sua esplicita richiesta in questo senso, pur se l’indicazione di tale diritto nell’avviso di udienza non e’ prevista da alcuna disposizione, ne’ la sua omissione puo’ integrare alcuna nullita’.
3.2. Sul tema della partecipazione dell’imputato all’udienza camerale di cui all’articolo 127 c.p.p., e’ intervenuta Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010, Rv. 247835-6-7, concernente, in particolare, la partecipazione al giudizio camerale di appello ex articolo 599 c.p.p., ma contenente anche indicazioni di portata piu’ generale.
Richiamate la sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale e la sentenza Carlutti del 1995, le Sezioni unite n. 35399 del 2010 escludono, ai fini della partecipazione, la necessita’ che l’imputato sia ristretto nel medesimo distretto della corte d’appello, sicche’ “l’imputato detenuto o soggetto a misure limitative della liberta’, che manifesti in qualsiasi modo e tempestivamente la volonta’ di comparire, ha diritto di presenziare al giudizio camerale di appello avverso la sentenza pronunciata in giudizio abbreviato anche qualora sia ristretto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice procedente”, sottolineando altresi’ che un’interpretazione in virtu’ della quale si escluda l’applicabilita’ del rigido e prefissato termine previsto dall’articolo 127 c.p.p., comma 2 “garantisce maggiormente il soddisfacimento della volonta’ dell’imputato di partecipare all’udienza” ed appare pertanto piu’ conforme ai principi costituzionali e di diritto internazionale pattizio.
Al problema della tempistica della richiesta di partecipazione all’udienza camerale, la sentenza n. 35399 del 2010 dedica particolare attenzione. A differenza del giudizio ordinario, nel giudizio camerale di appello “l’imputato detenuto ha l’onere di comunicare al giudice di appello la sua volonta’ di comparire” e il diritto alla partecipazione e’ correlato alla regolarita’ e alla tempestivita’ dell’adempimento, ossia alla circostanza che “la comunicazione sia fatta con modalita’ tali da permettere la traduzione dell’imputato per l’udienza”, non potendosi prescindere da un “bilanciamento tra il diritto fondamentale dell’imputato di essere presente e la necessita’ di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerita’ del rito prescelto dal medesimo imputato e di assicurare che la durata del processo non sia irragionevolmente e senza necessita’ prolungata per effetto di condotte dell’imputato maliziose o non giustificate”.
3.3. Le indicazioni delle Sezioni unite e quelle della Corte costituzionale non avevano fugato tutti i dubbi sulla questione, tanto che, ancora in epoca prossima all’introduzione della L. n. 47 del 2015, permaneva un contrasto circa la riconoscibilita’ – e in quali termini – del diritto dell’imputato detenuto fuori dalla circoscrizione del giudice a partecipare all’udienza di riesame.
3.3.1. L’indirizzo maggioritario propendeva per il riconoscimento di tale diritto: infatti, anche alla stregua dei principi affermati dalla gia’ richiamata sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale, l’orientamento in esame sottolinea come “qualora l’interessato, detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, avanzi richiesta di essere sentito personalmente, il giudice sia vincolato, a pena di nullita’, a disporne la traduzione davanti a se’, senza possibilita’ di alcuna valutazione discrezionale” (Sez. 2, n. 1099 del 04/12/2006, dep. 2007, Di Girolamo, Rv. 235621), ferma restando la condizione che “la sollecitazione dell’indagato detenuto fuori dalla circoscrizione del giudice sia tempestiva in relazione al momento in cui lo stesso ha ricevuto la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza” (Sez. 6, n. 44415 del 17/10/2013, Blam, Rv. 256689; conf. Sez. 5, n. 37034 del 27/09/2006, Sciascia, Rv. 235284): tempestivita’ correlata alla ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza camerale dinanzi al tribunale del riesame (Sez. 6, n. 42710 del 04/10/2011, Ventrici, Rv. 251277; Sez. 2, n. 20883 del 30/04/2013, Campo, Rv. 255819).
Al riguardo, mette conto rimarcare che, secondo l’impostazione di alcune decisioni, la necessita’ di un’istanza “tempestiva” per la partecipazione all’udienza di riesame era riferita a tutti gli imputati e non solo a quelli detenuti fuori circoscrizione: “nell’ipotesi in cui l’imputato detenuto, in qualunque istituto si trovi ristretto e dunque anche al di fuori della circoscrizione del giudice che procede, manifesti tempestivamente la volonta’ di comparire nel giudizio camerale di riesame disciplinato dagli articoli 127 e 309 c.p.p., ne (deve) essere disposta la traduzione ed assicurata la possibilita’ di presenziare all’udienza (…), a pena di nullita’ assoluta ed insanabile” (Sez. 2, n. 42158 del 06/11/2002, Bello, Rv. 223357).
3.3.2. In una diversa prospettiva, si era sostenuto che l’indagato detenuto in luogo esterno alla circoscrizione del giudice non ha il diritto di essere sentito all’udienza fissata per il riesame della misura cui e’ stato sottoposto, ma solo il diritto ad essere sentito dal magistrato di sorveglianza (Sez. 4, n. 39834 del 12/07/2007, Cammarata, Rv. 237886; conf. Sez. 2, n. 24245 del 25/02/2004, Mini, Rv. 228632): audizione, questa dinanzi al magistrato di sorveglianza, sostitutiva dell’intervento in udienza (Sez. 4, n. 26993 del 29/05/2013, Iorio, Rv. 255461).
3.3.3. Una prospettiva parzialmente diversa riconosceva si’ all’imputato il diritto di presenziare all’udienza di riesame, ma ne condizionava l’esercizio ad un duplice dato “contenutistico” correlato alla volonta’ di rendere dichiarazioni e all’oggetto delle stesse: esclusa l’esistenza di “un diritto pieno ed indiscutibile dell’interessato, detenuto in un luogo esterno al circondario, ad essere sentito nell’udienza camerale fissata per il riesame della misura cautelare proprio dal Giudice del riesame, poiche’ la regola generale prevista dall’articolo 127 c.p.p., comma 3, e’ quella dell’audizione, a richiesta, da parte del Giudice di Sorveglianza”, si e’ rimarcato che detta regola “puo’, anzi deve essere disattesa quando l’indagato voglia interloquire per contestare le risultanze probatorie ed indicare – anche con la produzione di documenti – circostanze a lui favorevoli avendo egli diritto di esplicare quelle attivita’ che non possono essere adeguatamente ed efficacemente svolte davanti al Giudice di Sorveglianza delegato” (Sez. 2, n. 29602 del 27/06/2006, Scarcia, Rv. 235313), ossia quando vengano in rilievo “ipotesi nelle quali sono prese in esame questioni di fatto concernenti la condotta dell’interessato, ovvero quando costui voglia contestare le risultanze probatorie ed indicare eventualmente circostanze a lui favorevoli, restando invece ferma la facolta’ del giudice di disattendere richieste di audizione formulate genericamente o a fini puramente defatigatori” (Sez. 6, n. 15717 del 04/02/2003, Leontino, Rv. 225435; Sez. 2, n. 6023 del 05/11/2014, dep. 2015, Di Tella, Rv. 262312).
4. La L. 16 aprile 2015, n. 47, articolo 11 ha apportato varie modifiche alla disciplina dettata dall’articolo 309 c.p.p., modifiche volte, ad uno sguardo complessivo, a rafforzare la tutela dei tempi prescritti dal codice per la definizione del procedimento di riesame e, allo stesso tempo, a consentire all’imputato di fruire di un maggior periodo di tempo per preparare la propria difesa.
Ai due termini alla cui inosservanza e’ associata l’inefficacia della misura cautelare applicata (quello della trasmissione degli atti entro cinque giorni dalla richiesta e quello della decisione entro dieci giorni dalla ricezione), la novella del 2015 ha aggiunto un ulteriore termine – quello del deposito dell’ordinanza (entro trenta giorni, prorogabile fino a quarantacinque) – per la cui inosservanza e’ pure comminata la perdita di efficacia della misura. Comminatorie di inefficacia, quelle previste dalla prima parte dell’articolo 309 c.p.p., comma 10 rafforzate dalla novella di cui alla L. n. 47 del 2015 attraverso la previsione che, in tali casi, la misura coercitiva puo’ essere rinnovata solo in presenza di eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 9-bis introdotto dalla L. n. 47 del 2015, articolo 11, l’imputato, entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, puo’ chiedere, personalmente, il differimento della data di udienza, differimento che il tribunale dispone da un minimo di cinque ad un massimo di 10 giorni qualora dall’istanza emergano giustificati motivi. Il differimento della data di udienza comporta il corrispondente differimento del termine per la decisione e di quello per il deposito (articolo 309 c.p.p., comma 9-bis, ultimo periodo).
Le ulteriori innovazioni introdotte dalla L. n. 47 del 2015, articolo 11, chiamano immediatamente in causa la questione controversa oggi all’esame delle Sezioni unite: l’articolo 11, comma 1 ha aggiunto alla fine del primo periodo dell’articolo 309 c.p.p., comma 6 le parole “e l’imputato puo’ chiedere di comparire personalmente”, mentre sempre il cit. articolo 11., comma 2, ha aggiunto alla fine dell’articolo 309, comma 8 bis, il periodo “L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente”. Le modifiche riprendono le proposte avanzate dalla Commissione per elaborare proposte di interventi in tema di processo penale istituita con Decreto Ministeriale 10 giugno 2013 (cd. “Commissione Canzio”), la quale ne aveva indicato la ratio rilevando che “nei commi 6 e 8-bis e’ stato previsto il diritto dell’imputato di comparire personalmente, oggi rimesso alla discrezionalita’ del giudice secondo l’articolo 127, talvolta ancora interpretato, anche dopo l’intervento della Corte costituzionale, nel senso che la richiesta dell’imputato non sia vincolante”. Se, dunque, la ragione ispiratrice delle modifiche era ricollegata alle divergenze giurisprudenziali sopra richiamate, i primi commenti dottrinali le salutarono come foriere del superamento di tali divergenze; auspicio che, pero’, non si e’ realizzato, posto che sulla nuova disciplina e’ sorto il contrasto tra i due orientamenti richiamati nell’ordinanza di rimessione.
5.1. Il primo, di gran lunga maggioritario, orientamento propende per la tesi secondo cui, nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, per effetto della modifica dell’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis, operata dalla L. n. 47 del 2015, il soggetto sottoposto a misura privativa o limitativa della liberta’ personale puo’ esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza camerale solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, nell’istanza di riesame, mentre non sono piu’ applicabili le disposizioni di cui all’articolo 127 c.p.p., comma 3 e articolo 101 disp. att. c.p.p., che prevedono il diritto dell’interessato detenuto o internato fuori dal circondario ad essere sentito dal magistrato di sorveglianza (Sez. 2, n. 13707 del 11/03/2016, Ciarfaglia, Rv. 266519; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 34181 del 26/06/2019, Basso, Rv. 276904; Sez. 3, n. 16785 del 19/02/2019, Riviezzi; Sez. 6, n. 43296 del 03/07/2018, Siena; Sez. 6, n. 35939 del 14/06/2017, Sailouh; Sez. 1, n. 31400 del 11/04/2017, Gabrieli; nonche’, Sez. 6, n. 54048 del 03/10/2017, Paladino, Rv. 271574, ove si sottolinea che la richiesta di comparizione personale ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis puo’ essere presentata anche dal difensore con la richiesta di riesame).
Le modifiche introdotte dalla L. n. 47 del 2015, infatti, sono volte ad “affermare, in modo inequivoco, il diritto del ricorrente di comparire all’udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto”, mentre la possibilita’ di esercitare tale diritto “risulta strettamente correlata, per l’impugnante detenuto o internato, alla formulazione della richiesta nell’atto di riesame”: invero, dall'”inequivoco significato letterale delle disposizioni in commento” discende che esse “subordinano il “diritto di comparire personalmente” attribuito all'”imputato” – espressione, quest’ultima, che, ovviamente, va intesa estensivamente ricomprendendovi anche l'”indagato”, ai sensi dell’articolo 61 c.p.p., comma 1, – all’adempimento/condizione di averne fatto richiesta “ai sensi del comma 6”, ovvero contestualmente alla istanza di riesame (“Con la richiesta di riesame… l’imputato puo’ chiedere di comparire personalmente”)”, mentre ad “opinare diversamente, disancorando, quindi, il diritto dell’interessato di comparire dalla previa “richiesta ai sensi del comma 6″, si finirebbe con il privare il comma 8-bis di un qualsivoglia ambito di pratica applicazione, facendo di detto comma una norma inutiliter data” (Sez. 1, n. 49882 del 06/10/2015, Pernagallo, Rv. 265546; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 50211 del 05/10/2017, Loschiavo; Sez. 2, n. 7997 del 01/02/2017, Marotta; Sez. 4, n. 28596 del 25/05/2016, Genica; Sez. 1, n. 49284 del 17/03/2016, Grande Aracri). Nell’impostazione del primo orientamento, se e’ pacifico anche per le decisioni riconducibili al secondo orientamento che “l’esercizio del diritto di presenziare resta comunque subordinato alla possibilita’ di garantire la presenza e percio’ pur sempre condizionato da un limite temporale, non si vede per quale ragione non possa ritenersi ragionevole che il legislatore preveda tale limite in modo certo per ogni situazione, richiedendo un semplicissimo adempimento, di persona o del difensore, nello stesso momento della presentazione dell’istanza di riesame, senza che comunque da tale anticipazione possa poi derivare alcun pregiudizio, essendo manifestabile la rinunzia con ogni mezzo in ogni momento” (Sez. 1, n. 41935 del 19/07/2019, Azzouz).
Ai rilievi tesi a valorizzare il dato testuale delle disposizioni in questione le decisioni riconducibili al primo orientamento associano una serie di argomenti di ordine sistematico. Muovendo dalla considerazione della “struttura semplificata dell’impugnazione avverso i provvedimenti che dispongono vincoli cautelari personali”, struttura che “risponde all’esigenza di offrire una tutela immediata alle persone ristrette da vincoli che limitano la liberta’ personale, generando un diritto alla revisione tempestiva dell’ordinanza genetica”, si e’ sottolineato che “tale diritto deve essere tuttavia coniugato con il diritto alla partecipazione, declinazione del piu’ generale diritto al contraddittorio nella dimensione dell’oralita’, che trova la sua matrice sia nell’articolo 111 della Carta costituzionale, che nell’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti umani, la cui tutela nella cognizione cautelare e’ stata riconosciuta espressamente dalla Corte costituzionale” (con la citata sentenza n. 45 del 1991): in questa prospettiva, la novella legislativa, cosi’ come interpretata dal primo orientamento, realizza ex lege “un equilibrato bilanciamento tra la tutela del diritto alla partecipazione e quello alla celerita’ del procedimento incidentale di revisione dell’ordinanza cautelare”, che non necessita di “amplificazioni interpretative, essendo gia’ coerente con le indicazioni costituzionali e convenzionali che richiedono anche la tutela del diritto di eguaglianza” (Sez. 2, n. 12854 del 15/01/2018, Mirenda, Rv. 272467; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 9976 del 20/12/2017, dep. 2018, Angrisano). Invero, se la volonta’ dell’imputato detenuto di comparire personalmente non fosse sottoposta a decadenze e, dunque, potesse essere manifestata anche oltre il termine indicato dall’articolo 309 c.p.p., comma 6, alla sola condizione che la traduzione non costituisca un pregiudizio per la celerita’ del procedimento di riesame, “l’effettiva tutela di un diritto fondamentale, come la partecipazione all’udienza, sarebbe affidato in via esclusiva alla capacita’ di organizzare in modo tempestivo la traduzione, ovvero ad una competenza amministrativa disomogenea nel territorio nazionale, e prevedibile fonte di diseguaglianze”, mentre, al contrario, la previsione generale contenuta nell’articolo 309, commi 6 e 8-bis, “garantisce una tutela omogenea del diritto fondamentale in questione”, assicurando l’equilibrata tutela del diritto alla partecipazione e di quello alla celerita’ del procedimento incidentale di revisione dell’ordinanza cautelare in linea con le previsioni costituzionali e convenzionali “che richiedono anche la tutela del diritto di eguaglianza” (Sez. 1, n. 30714 del 10/05/2019, Rinella, Rv. 276607). Nella prospettiva tesa a rimarcare l’articolarsi del procedimento di riesame secondo scansioni temporali rigidamente predeterminate dal legislatore, si e’ sottolineato come la “peculiarita’ del procedimento de libertate (che esclude assimilazioni con altri procedimenti di tipo camerale), caratterizzato dai tempi stringenti della decisione” imponga “scansioni certe e prestabilite nell’interesse precipuo dello stesso soggetto sottoposto a cautela il cui obbiettivo primario e’ quello di giungere nella maniera piu’ celere possibile al risultato finale”: ne consegue che la previsione di un termine, certo, quale quello ancorato alla richiesta di riesame si risolve, in definitiva, “in una garanzia di certezza e di effettivita’ dell’esercizio del diritto medesimo di comparire” (Sez. 5, n. 34181 del 2019, Basso, cit.).
Superando le asimmetrie derivanti dal luogo di detenzione dell’imputato, l’assetto normativo prefigurato dalla L. n. 47 del 2015 “riconosce il diritto di partecipare all’udienza pieno ed identico per ogni indagato, senza differenze derivanti dal luogo della detenzione” (Sez. 4, n. 12998 del 23/02/2016, Griner, Rv. 266296; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 50189 del 13/07/2017, Bakaj; Sez. 4, n. 45874 del 20/06/2017, EI Boussetaoui), oltre tutto dirimendo ogni incertezza ed “eliminando la relativa discrezionalita’ in capo ai giudici de libertate, in ordine alla individuazione della concreta nozione di “tempestivita’” (della richiesta di comparire)”, attraverso l’ancoraggio del diritto del detenuto a comparire all’udienza di riesame “ad un dato obiettivo, certo e incontrovertibile – insuscettibile di interpretazioni “elastiche” e volto a prevenire eventuali atteggiamenti dilatori e/o di mera ostruzione – costituito dall’inserimento della richiesta di comparire nel corpo dell’istanza di riesame, che sia questa sottoscritta dall’interessato o dal suo difensore” (Sez. 1, n. 49882 del 2015, Pernagallo, cit.).
Pertanto, la richiesta ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis, se tempestivamente avanzata, “trasforma l’istante in un soggetto “a partecipazione necessaria” e genera in capo all’autorita’ procedente il correlato obbligo di traduzione, il mancato adempimento del quale produce la nullita’ assoluta ed insanabile dell’udienza camerale ai sensi degli articoli 178 e 179 c.p.p., restando impregiudicata l’efficacia della misura imposta” (Sez. 2, n. 12854 del 2018, Mirenda, cit.; conf. ex plurimis, Sez. 2, n. 363 del 30/10/2018, dep. 2019, Fai).
Le decisioni ascrivibili al primo orientamento hanno infine affrontato il tema dei rapporti tra la disciplina introdotta dalla L. n. 47 del 2015 e quella anteriore, rappresentata dal rinvio dell’articolo 309, comma 8, al procedimento in camera di consiglio ex articolo 127 c.p.p., rilevando come non sia dubbio che, dopo l’introduzione dell’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis, “le disposizioni di cui all’articolo 127 c.p.p., comma 3 e articolo 101 disp. att. c.p.p., debbano intendersi non piu’ applicabili all’udienza di riesame, in quanto, se lo fossero, comporterebbero una irragionevole “rimessione in termini” a beneficio esclusivo di chi e’ detenuto o internato in luogo posto fuori del circondario del Tribunale competente (Sez. 1, n. 49882 del 2015, Pernagallo, cit.; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 13707 del 2016, Ciarfaglia, cit.; Sez. 1, n. 30714 del 2019, Rinella, cit.; Sez. 6, n. 46801 del 03/07/2018, Siena).
5.2. Il secondo orientamento, invece, propende per la tesi secondo cui il diritto della persona sottoposta a restrizione della liberta’ di partecipare all’udienza dinanzi al tribunale del riesame non e’ sottoposto a limitazioni o decadenze, quando la relativa richiesta sia stata tempestivamente esercitata in modo da permettere, senza interruzioni, il regolare ed ordinato svolgimento del procedimento di cui all’articolo 309 c.p.p. (Sez. 2, n. 36160 del 03/04/2017, Giordano, Rv. 270683). Anche questo orientamento fa leva su argomenti letterali e argomenti di ordine sistematico.
Quanto ai primi, si e’ sottolineato che “l’articolo 309 c.p.p., comma 6 stabilisce che l’imputato, con la richiesta di riesame “puo'” chiedere di comparire, e non che “deve” farlo” e che la disposizione “non prevede alcuna sanzione processuale espressa, per il caso che cio’ non avvenga”, mentre il medesimo periodo, non oggetto di modifiche da parte della novella del 2015, stabilisce “che, sempre con la richiesta di riesame, “possono” essere enunciati anche i motivi d’impugnazione: e nessuno revoca in dubbio – secondo un’interpretazione ormai sedimentatasi nei decenni di vigenza immutata di tale disciplina – che quelli possano essere proposti anche con atto separato e successivo rispetto a quello introduttivo dell’incidente cautelare”; in ordine poi all’articolo 309 c.p.p., comma 8-bis, in esso ben puo’ essere ravvisata “l’affermazione, con specifico riguardo al sottosistema delle procedure cautelari, del diritto di comparire in udienza dell’imputato (o indagato, va da se’, ex articolo 61 c.p.p.), purche’ esercitato nelle forme previste dalla disposizione specifica che lo regola: appunto, il precedente comma 6”; cosi’ interpretata, la disposizione non sarebbe superflua, perche’ segnerebbe comunque “un mutamento rispetto alla, meno netta, disciplina generale dell’articolo 127 c.p.p., anteriormente applicabile, e trovando percio’ una sua ragion d’essere nella necessita’ di dirimere ogni incertezza interpretativa sullo specifico punto” (Sez. 6, n. 24894 del 07/03/2019, La Scala, Rv. 275887).
Sul piano sistematico, il secondo orientamento, richiamando la giurisprudenza costituzionale, ma anche fonti sovranazionali (quali la direttiva 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali), sottolinea la particolare valenza difensiva del diritto di partecipazione all’udienza di riesame: infatti, l‘”intento del legislatore di individuare un momento certo e preciso per avanzare la richiesta di comparire deve opportunamente bilanciarsi con la valenza difensiva del diritto di partecipare all’udienza camerale e con le concorrenti esigenze di concreta garanzia dell’esplicazione delle facolta’ e dei diritti dell’interessato, la cui effettivita’ non puo’ essere formalisticamente compressa cristallizzandone l’esercizio in un momento (la presentazione della richiesta di riesame) ancora inevitabilmente connotato dalla fluidita’ delle strategie difensive, il cui orientamento ben potrebbe richiedere, nelle more, delle modifiche o integrazioni, finanche attraverso la facolta’ di enunciare nuovi motivi prima dell’inizio della discussione dinanzi al giudice del riesame”, sicche’ la richiesta di presenziare puo’ essere formulata anche successivamente alla richiesta di riesame, comunque “in tempo utile per organizzare la traduzione senza pregiudicare la celerita’ del procedimento, nell’interesse della stessa persona in vinculis” (Sez. 6, n. 21779 del 22/03/2019, Spina, Rv. 275674). Invero, “il diritto dell’interessato di partecipare personalmente al giudizio, tanto piu’ se egli sia sottoposto a restrizioni della liberta’ personale”, costituisce “espressione qualificata del fondamentale diritto di difesa” e non puo’ essere “recessivo rispetto ad esigenze di tipo organizzativo della pubblica amministrazione, quali sono quelle che l’opposta tesi in discussione verrebbe a salvaguardare”, sicche’ “pur dopo la modifica normativa dell’articolo 309 c.p.p., comma 6, apportata dalla L. n. 47 del 2015, la richiesta di presenziare all’udienza nel procedimento di riesame non deve necessariamente essere presentata dall’indagato o imputato con l’atto introduttivo del giudizio, ma puo’ essere formulata con atto separato ed anche successivo; in quest’ultimo caso, il tribunale sara’ tenuto ad accoglierla, disponendo quanto necessario alla traduzione dell’interessato od autorizzandolo a comparire senza accompagnamento, purche’ la richiesta pervenga in tempo utile, in concreto, a predisporre tali incombenze, potendo altrimenti respingere detta richiesta, tuttavia dando conto delle relative ragioni nel provvedimento di rigetto o nell’ordinanza emessa all’esito della procedura incidentale” (Sez. 6, n. 24894 del 2019, La Scala, cit.).
6. Le Sezioni unite ritengono di dover pervenire a una soluzione della questione controversa che prenda le mosse dall’impostazione del primo orientamento, ma valorizzi anche la facolta’ di chiedere il differimento dell’udienza al fine di consentire all’imputato di essere sentito su specifici temi. Convergono verso questa soluzione argomenti incentrati sul dato letterale delle disposizioni come modificate dalla novella del 2015 e ragioni di ordine sistematico inerenti, per un verso, alla serrata scansione temporale del procedimento di riesame e al rigoroso ed articolato apparato di rimedi posti a presidio di detta scansione e, per altro verso, alla nuova disciplina di cui l’articolo 309 c.p.p., comma 9 bis.
6.1. In limine, e’ necessaria una puntualizzazione che contribuisce a definire la stessa portata della questione controversa rimessa alla cognizione delle Sezioni unite. La disciplina in esame sull’esercizio del diritto di comparizione dinanzi al giudice del riesame trova applicazione nei confronti dell’imputato detenuto o internato ovvero sottoposto a misura coercitiva in concreto limitativa della possibilita’ di partecipare all’udienza: fuori da questi casi e, dunque, in presenza di una misura coercitiva che in concreto non limiti tale possibilita’, la necessita’ stessa di disciplinare l’esercizio del diritto di comparizione risulterebbe del tutto irragionevole e, in buona sostanza, estranea al sistema, sicche’ nessuna limitazione alle modalita’ di esercizio del diritto puo’ essere correlata alla disciplina in esame.
7. Per una migliore disamina dei problemi posti dalla questione controversa, e’ opportuno un ulteriore approfondimento del quadro normativo che viene in rilievo.
Il riferimento alla sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale e’ senz’altro ineludibile nella parte in cui il giudice delle leggi ha affermato il diritto dell’imputato detenuto a comparire all’udienza di riesame; diritto che, come si vedra’, l’assetto scaturito dalla L. n. 47 del 2015, superando le incertezze che attraversavano la giurisprudenza di legittimita’ fino alla vigilia della novella, garantisce a tutti gli imputati e indipendentemente dal luogo di detenzione e da qualsiasi valutazione del giudice del riesame collegata a determinazioni o all’attivita’ dell’amministrazione penitenziaria (nel senso di seguito chiarito).
Quanto agli ulteriori rilievi della sentenza n. 45 del 1991, gli stessi non possono essere valutati senza considerare la rilevante evoluzione legislativa successiva al 1991, che ha modificato il quadro normativo di riferimento sotto profili centrali ai fini della valutazione della coerenza costituzionale delle diverse soluzioni.
Modifiche, queste, intervenute, per cosi’ dire, “a monte” del procedimento di riesame, ossia nella disciplina relativa ai segmenti processuali che ne precedono l’instaurazione, con riguardo al medesimo procedimento e a “momenti” della vicenda processuale successivi ad esso.
7.1. Sotto il primo profilo, viene in rilievo il progressivo rafforzamento della conoscibilita’ degli atti posti a sostegno dell’ordinanza cautelare sancito, innanzitutto, dalle modifiche all’articolo 293 c.p.p., comma 3, introdotte dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, articolo 10, che, al deposito presso la cancelleria del giudice che ha emesso l’ordinanza dello stesso provvedimento applicativo, ha aggiunto la prescrizione del deposito anche della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa.
Con la sentenza n. 192 del 1997, la Corte costituzionale ha poi dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 293, comma 3, nella parte in cui non prevede la facolta’ per il difensore di estrarre copia, insieme con l’ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa: il giudice delle leggi richiamo’ la ratio del deposito degli atti in cancelleria a disposizione delle parti, che, di regola, deve comportare necessariamente, insieme con il diritto di prenderne visione, la facolta’ di estrarne copia.
La giurisprudenza di legittimita’ ha valorizzato la ratio garantistica della disciplina del deposito degli atti ex articolo 293 c.p.p., comma 3. In una prima direzione, invero, ha chiarito che l’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, prescritto dall’articolo 294 c.p.p., e’ viziato da nullita’ a regime intermedio – a prescindere dalla dimostrazione di un concreto e reale pregiudizio – qualora non sia stato preceduto dal deposito nella cancelleria del giudice, a norma dell’articolo 293, comma 3, dell’ordinanza applicativa, della richiesta del pubblico ministero e degli atti con essa presentati: soluzione, questa, idonea a garantire “l’esercizio del diritto di difesa di cui all’articolo 24 Cost. in una delle sue componenti essenziali, rappresentata dalla necessita’ di ampia e congrua conoscenza, necessita’ riconosciuta dal giudice delle leggi ed attualmente ribadita dall’articolo 111 Cost.” (Sez. U, n. 26798 del 28/06/2005, Vitale, Rv. 231349; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 44187 del 17/10/2019, Borganeuf; Sez. 6, n. 13309 del 22/02/2018, Miceli, Rv. 272734, che ha sottolineato come l’omessa notifica al difensore dell’avviso di deposito dell’ordinanza cautelare prima dell’interrogatorio non determini alcuna nullita’ di quest’ultimo, la quale consegue esclusivamente alla mancata disponibilita’, per lo stesso difensore, degli atti – ordinanza, richiesta del P.M. e documenti su cui la richiesta si fonda – nella cancelleria del giudice che ha emesso l’ordinanza).
In un’ulteriore prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte ha messo in luce che il termine per la proposizione della richiesta di riesame dell’ordinanza che dispone una misura coercitiva decorre, per il difensore dell’imputato, dal giorno in cui gli e’ stato notificato, a norma dell’articolo 309 c.p.p., comma 3, l’avviso del deposito dell’ordinanza che dispone la misura insieme con la “richiesta del pubblico ministero e gli atti presentati con la stessa” e non da quello della sua partecipazione all’interrogatorio previsto dall’articolo 294 o di altro evento che faccia presumere la sua conoscenza, altrimenti conseguita, del provvedimento medesimo (Sez. U, n. 18751 del 26/02/2003, Mario, Rv. 224183; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 26045 del 15/05/2018, Iazzetta; Sez. 6, n. 52596 del 04/11/2016, Mbaye).
Quanto alla peculiare disciplina del deposito delle registrazioni intercettate ed utilizzate ai fini dell’adozione di una misura cautelare, va ricordata la declaratoria di illegittimita’ dell’articolo 268 c.p.p. “nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate” (Corte Cost., sent. n. 336 del 2008).
Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246908 ha ritenuto che la richiesta del difensore volta ad accedere, prima del loro deposito ai sensi dell’articolo 268 c.p.p., comma 4, alle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cc.dd. brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, determini l’obbligo per il pubblico ministero di provvedere in tempo utile a consentire l’esercizio del diritto di difesa nel procedimento incidentale de libertate: dunque, anche se non posta in correlazione con gli adempimenti esecutivi di cui all’articolo 293 c.p.p., la decisione della Corte costituzionale assicura comunque l’accesso alle registrazioni in tempo utile a consentire l’esercizio del diritto di difesa nel procedimento del riesame.
D’altra parte, il Decreto Legislativo 29 dicembre 2017, n. 216 (oggetto di varie proroghe quanto all’entrata in vigore) ha “codificato”, con l’articolo 3, comma 1, lettera f), il dictum del giudice delle leggi, inserendo, alla fine dell’articolo 293 c.p.p., comma 3, due periodi in forza dei quali al difensore era riconosciuto il diritto di esame e di estrazione di copia dei verbali e delle conversazioni e, in ogni caso, alla trasposizione su supporto idoneo alla riproduzione dei dati delle relative registrazioni. Tali periodi, in un primo momento, sono stati soppressi dal Decreto Legge 30 dicembre 2019, n. 161, articolo 2, comma 1, lettera i); tuttavia, in sede di conversione del decreto-legge, approvata definitivamente dalla Camera dei deputati il 27 febbraio 2020 e promulgata con la L. 28 febbraio 2020, n. 7, il testo dell’articolo 293 c.p.p., comma 3 come modificato dal Decreto Legislativo n. 216 del 2017 e’ stato sostanzialmente ripristinato (articolo 2, comma 1, lettera i Decreto Legge come modificato dalla legge di conversione), sicche’ e’ destinata ad essere stabilita una piena conoscibilita’ anche dei risultati delle intercettazioni fin dal deposito degli atti successivo all’esecuzione della misura.
Inoltre, un altro rafforzamento della disciplina tesa ad assicurare all’imputato la conoscenza degli elementi sui quali si fonda la misura si e’ registrato con il Decreto Legislativo 1 luglio 2014, n. 101 (con il quale si e’ data attuazione alla Direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali), il cui articolo 1, comma 1, lettera a), ha sostituito l’articolo 293 c.p.p., comma 1, stabilendo che la comunicazione scritta alla quale si accompagna l’ordinanza applicativa deve informare l’imputato, tra l’altro, del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; previsione, questa, che si salda a quella di cui al sempre articolo 293 c.p.p., comma 3.
7.2. Vista nel suo insieme, la disciplina del segmento della complessiva vicenda cautelare che intercorre tra l’esecuzione della misura e la richiesta di riesame consegna un assetto in virtu’ del quale alla difesa e’ assicurata un’ampia conoscenza degli atti e degli elementi posti a sostegno dell’applicazione della misura coercitiva, conoscenza per di piu’ stimolata dall’espressa indicazione contenuta nella comunicazione scritta destinata ad accompagnare l’ordinanza cautelare; l’interrogatorio di garanzia, che presuppone, a pena di nullita’, il previo deposito nella cancelleria del giudice dell’ordinanza applicativa, della richiesta del pubblico ministero e della documentazione presentata unitamente alla domanda cautelare, si svolge in un contesto che ha consentito alla difesa l’accesso agli atti, con conseguente possibilita’ di attivare, in quella sede, un effettivo confronto con le ragioni dell’accusa; il termine per la presentazione della richiesta di riesame da parte del difensore decorre dalla notifica dell’avviso del deposito di cui all’articolo 293 c.p.p., comma 3, ossia dal momento in cui e’ possibile acquisire, nei termini indicati, la conoscenza (e la copia) degli atti posti a sostegno della misura applicata.
I dati normativi richiamati convergono nel riconoscimento che l’ancoraggio della richiesta di comparire all’udienza camerale alla presentazione della richiesta di riesame si inserisce in un quadro nel quale e’ assicurata, in quel momento, la conoscenza degli elementi in base ai quali operare la scelta sulla comparizione dell’imputato: il che rende ragione del rilievo che, al momento della presentazione della richiesta di riesame, la difesa e’ senz’altro in grado di operare le valutazioni sottese alla partecipazione o meno del detenuto all’udienza camerale.
7.3. A cio’ si aggiunga che, sempre rispetto al quadro normativo nel quale si colloco’ la sentenza n. 45 del 1991 della Corte costituzionale, la L. n. 332 del 1995, articolo 13, ha inserito nel corpo dell’articolo 299 c.p.p. il comma 3-ter in forza del quale se l’istanza di revoca o sostituzione e’ basata su elementi nuovi o diversi da quelli gia’ valutati, il giudice deve assumere l’interrogatorio dell’imputato che ne ha fatto richiesta: si tratta di una sorta di “valvola di garanzia”, che, anche dopo la definizione del procedimento incidentale di riesame, consente all’imputato, con la deduzione di elementi nuovi o diversi rispetto a quelli gia’ valutati, di far valere, attraverso il diretto contatto con il giudice, le proprie ragioni, anche qualora quest’ultimo ritenga non concludenti o non decisivi gli elementi posti alla base della richiesta (ex plurimis, Sez. 3, n. 55122 del 29/09/2016, Rv. 268842).
8. Delineato il quadro normativo alla luce del quale va esaminata la questione controversa, puo’ prendersi le mosse dagli argomenti letterali, a proposito dei quali sono gia’ state richiamate le modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, articolo 11, commi 1 e 2, rispettivamente, all’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis: modifiche, queste, del tutto allineate nell’indentificare, indipendentemente dal luogo in cui il detenuto si trova ristretto, nella richiesta di riesame la sede esclusiva in cui l’imputato – anche per il tramite del difensore, non trattandosi di atto personalissimo (Sez. 6, n. 54048 del 2017, Paladino, cit.) – deve esercitare il diritto di comparire personalmente, posto che il chiaro tenore del dato testuale e’ univoco nello stabilire che la richiesta di comparizione personale dell’imputato dev’essere avanzata con la richiesta di riesame di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 6.
8.1. Le pronunce riconducibili al secondo orientamento svalutano il dato letterale, sottolineando, per un verso, l’utilizzo, nel corpo dell’articolo 309 c.p.p., comma 6, del verbo “puo'”, anziche’ del verbo “deve” (“… l’imputato puo’ chiedere di comparire personalmente”) e, per altro verso, che il comma 8-bis del medesimo articolo “nulla dice sui tempi e sulle modalita’ di presentazione della richiesta di comparire, rinviando interamente, sul punto, alla regola del comma 6” (Sez. 6, n. 24894 del 2019, La Scala, cit.).
Nessuno dei due argomenti e’ convincente.
Quanto al primo, all’utilizzo della locuzione verbale “puo'” deve riconoscersi semplicemente valenza ricognitiva della configurazione legislativa del procedimento di riesame come a partecipazione eventuale dell’interessato e, dunque, della sua riconducibilita’ nel genus del procedimento in camera di consiglio, ossia nel modello delineato dall’articolo 127 c.p.p., la cui disciplina di base e’ “diretta ad esaltare i profili di garanzia del contraddittorio orale mediante la – eventuale – partecipazione delle parti” (Sez. U, n. 26156 del 28/05/2003, Di Filippo, Rv. 224612 – 3). Il legislatore del 2015 ha dunque confermato la collocazione del procedimento di riesame nell’ampia categoria dei procedimenti in camera di consiglio a partecipazione eventuale delle parti: la locuzione verbale “puo'” deve dunque essere letta, semplicemente, in questa prospettiva.
Quanto all’articolo 309 c.p.p., comma 8-bis, esso ribadisce che il diritto di comparizione personale dinanzi al giudice del riesame deve essere esercitato attraverso la “richiesta di cui al comma 6”, ossia con la richiesta di riesame, sicche’ l’innovazione normativa non si risolve nell’accreditare il primo dei due orientamenti affermatisi, come si e’ visto, nella vigenza della disciplina anteriore alla novella, ma instaura una correlazione in termini di contestualita’ tra richiesta di riesame e richiesta di comparizione personale.
La ricostruzione della portata della novella in linea con il tenore letterale delle due disposizioni modificate dalla L. n. 47 del 2015 conduce a rilevare che la diversa tesi priverebbe il rinvio esclusivo alla richiesta di riesame operato dal citato comma 8-bis di qualsiasi significato normativo.
D’altra parte, una conferma dell’univoca significativita’ delle due disposizioni in esame si trae, a contrario, dalle varie disposizioni che attribuiscono al detenuto la facolta’ di comparire a sua richiesta (“L’imputato che ne fa richiesta…”: articolo 666 c.p.p., comma 4, in tema di procedimento di esecuzione; “Se l’interessato e’ detenuto… e ne fa tempestiva richiesta…”: Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 7, in tema di procedimento di prevenzione), senza le specificazioni (“Con la richiesta di riesame… “, il comma 6; “L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6…”, il comma 8-bis) rinvenibili, invece, in quelle modificate dalla L. n. 47 del 2015.
8.2. La nuova formulazione delle disposizioni indicate ha determinato l’inapplicabilita’, in quanto incompatibile, della norma di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 8 e articolo 127 c.p.p., comma 3, nella sola parte relativa alla comparizione dell’interessato all’udienza di riesame, nonche’ dell’articolo 101 disp. att. c.p.p., comma 2; tratto essenziale della disciplina introdotta dalla novella, infatti, e’ il pieno riconoscimento del diritto dell’imputato a comparire dinanzi al giudice del riesame e, con esso, il superamento di qualsiasi differenza nella disciplina della partecipazione all’udienza di riesame correlata al luogo di detenzione: sia al detenuto in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, sia al detenuto entro la medesima circoscrizione, e’ assicurato il diritto di comparire personalmente dinanzi al tribunale della liberta’, a condizione che la relativa istanza sia stata avanzata con la richiesta di riesame.
Invero, centrale nella ratio della nuova disciplina e’ il riconoscimento, in modo non equivoco, del “diritto del ricorrente di comparire all’udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto” (Sez. 1, n. 49882 del 2015, Pernagallo, cit.), cosi’ configurando “un diritto di partecipazione uguale per ciascun indagato, cioe’ senza differenze originate dal luogo di detenzione” (Sez. 5, n. 34181 del 2019, Basso, cit.).
Ne consegue, da una parte, la sopravvenuta incompatibilita’ delle norme relative alla possibilita’, per il detenuto al di fuori della circoscrizione, di rendere dichiarazioni, nel procedimento ex articolo 309 c.p.p., al magistrato di sorveglianza (articolo 101 disp. att. c.p.p., comma 2). Tale possibilita’, infatti, ripristinerebbe profili di distinzione tra le modalita’ di esercizio del diritto di comparizione che la nuova disciplina ha voluto superare in toto, ferma restando, naturalmente, la possibilita’, sussistendone le condizioni di legge, di procedere all’esame a distanza ai sensi dell’articolo 45-bis disp. att. c.p.p.; dall’altra, come conseguenza del superamento della distinzione indicata, l’incompatibilita’ sopravvenuta anche della norma di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 8 e articolo 127 c.p.p., comma 4, nella parte in cui, sempre con esclusivo riferimento al procedimento di riesame, esclude la posizione del detenuto o dell’internato in un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice del riesame dalla disciplina del rinvio dell’udienza per legittimo impedimento (ferma restando l’applicabilita’ dell’articolo 101 disp. att. c.p.p., comma 1, in tema di decorrenza del termine per la decisione).
8.3. La gia’ richiamata contestualita’ necessaria tra richiesta di riesame e richiesta di comparizione personale non introduce (come ritenuto da alcune pronunce espressive del primo orientamento: Sez. 2, n. 12854 del 2018, Mirenda, cit.; Sez. 1, n. 30714 del 2019, Rinella, cit.) una decadenza dalla facolta’ di comparire all’udienza di riesame, posto che tale istituto presuppone la previsione – e l’inosservanza – di termini ex articolo 172 c.p.p., termini assenti nella disciplina introdotta dalla L. n. 47 del 2015.
L’articolo 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis, nella formulazione introdotta dalla legge ora citata, si limitano, invece, a disciplinare le modalita’ di esercizio del diritto a comparire dinanzi al giudice del riesame, prescrivendo la contestualita’ della relativa richiesta rispetto a quella di riesame, secondo un modello, che vede l’esercizio di un diritto disciplinato in modo da prescriverne appunto la contestualita’ con una domanda o una richiesta, gia’ previsto a proposito di altri istituti codicistici. Ad esempio, come si e’ puntualmente osservato nel dibattito dottrinale, e’ il caso dell’articolo 461 c.p.p., comma 3, in forza del quale, con l’atto di opposizione al decreto penale di condanna, l’imputato puo’ chiedere i riti alternativi; contestualita’, quella prevista dall’articolo 461 c.p.p., comma 3 per l’opposizione e la richiesta di riti alternativi, alla quale si ricollega la preclusione di cui all’articolo 464 c.p.p., comma 3, (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 36782 del 03/07/2015, Vassallo, Rv. 264412; Sez. 3, n. 20517 del 12/05/2005, Morelli, Rv. 231921).
D’altra parte, l’imprescindibile necessita’ di definire un limite alle modalita’ di esercizio del diritto a comparire dinanzi al giudice del riesame si coglie anche nelle pronunce espressive del secondo orientamento, li’ dove riconoscono che la manifestazione della volonta’ di comparire deve essere “tempestivamente esercitata dalla persona interessata, cioe’ in modo tale da permettere, senza interruzioni, il regolare ed ordinato svolgimento dell’iter procedimentale descritto dall’articolo 309 c.p.p. ” (Sez. 2, n. 36160 del 2017, Giordano, Rv. 270683): l’affermazione generale del diritto a comparire viene cosi’ modulata in funzione del regolare e ordinato svolgimento del procedimento di riesame, il che, invece, conferma la ragionevolezza dell’opzione legislativa concretizzatasi in un pieno riconoscimento del diritto di partecipazione per tutti i detenuti associato ad una disciplina delle modalita’ di esercizio di tale diritto che in nessun modo si risolve in una sua menomazione.
9. Le ragioni di ordine sistematico che concorrono nel confermare la soluzione accolta ineriscono, come si e’ anticipato, alla configurazione, del tutto peculiare, del procedimento di riesame e al suo articolarsi secondo una serrata scansione temporale presidiata dalla comminatoria della perdita di efficacia della misura coercitiva in caso di superamento dell’arco temporale previsto per ciascun segmento procedimentale; comminatoria a sua volta rafforzata dalla previsione di presupposti molto rigorosi per la rinnovazione della misura che ha visto perdere la propria efficacia per l’inosservanza della tempistica stabilita dall’articolo 309 c.p.p..
9.1. Gia’ nella configurazione originaria dell’articolo 309 c.p.p. era previsto, nella prospettiva di assicurare la “caratteristica di rapidita’ coessenziale” al procedimento di riesame, un termine massimo per la decisione, alla cui inosservanza conseguiva l’effetto per cui “la misura cautelare disposta con l’ordinanza assoggettata a riesame deve ritenersi immediatamente caducata” (Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in Supp. Ord. n. 2 alla G.U. n. 250 del 24 ottobre 1988 – Serie generale); disciplina, questa, in linea, del resto, con quella stabilita dall’articolo 263-ter del previgente codice di rito. Le vicende normative successive, da ultimo innescate dalla L. n. 47 del 2015, hanno avuto quale tratto comune il rafforzamento della disciplina volta ad assicurare tempi rapidi e certi al procedimento di riesame, rafforzamento assicurato, prima di tutto, dall’ampliamento del catalogo dei termini a tutela dei quali la legge prevede la perdita di efficacia della misura.
Un prima tappa di questo rafforzamento e’ rappresentata dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, il cui articolo 16 ha modificato, tra l’altro, l’articolo 309 c.p.p., comma 10 assimilando alla disciplina del termine per la decisione quella del termine per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame da parte dell’autorita’ procedente. Anche a questo secondo termine il legislatore ha associato, per l’ipotesi dell’inosservanza, la comminatoria dell’inefficacia della misura, cosi’ superandosi un’obiettiva inadeguatezza della disciplina originaria del codice, che prevedeva si’ un termine perentorio per la decisione, ma innestandolo su una procedura cadenzata su un dies a quo non rigidamente predeterminato, ma “mobile” (e privo di sanzioni in caso di inosservanza): come ha osservato il giudice delle leggi, “la ratio del nuovo termine perentorio stabilito dal legislatore del 1995 per la trasmissione degli atti e’ quella di impedire che il termine per la decisione decorra da un dies a quo lasciato alla determinazione degli organi giudiziari, non astretti nei loro adempimenti a vincoli temporali assistiti da sanzione processuale”, lacuna superata dalla riforma del 1995 attraverso il “conferimento del carattere di perentorieta’, a pena di decadenza della misura, anche al termine per la trasmissione degli atti” (Corte Cost., sent. n. 232 del 1998).
La piu’ recente riforma introdotta dalla L. n. 47 del 2015 ha previsto altresi’ un termine per il deposito della motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame, stabilendo anche in relazione ad esso la perdita di efficacia della misura in caso di inosservanza. L’assetto complessivo che deriva dalla novella del 2015 vede una serrata articolazione di segmenti del procedimento del riesame, ciascuno dei quali presidiato, quanto all’osservanza dei termini, dalla comminatoria dell’inefficacia della misura. Tale comminatoria, dunque, riguarda la fase iniziale del procedimento cautelare (la trasmissione degli atti), il suo svolgimento, fino alla decisione, e, da ultimo, il deposito della motivazione e, quindi, l’impugnabilita’ della decisione.
Come si e’ sopra anticipato, le comminatorie di inefficacia previste dall’articolo 309 c.p.p., comma 10, prima parte per i tre termini in cui e’ scandito il procedimento di riesame sono ulteriormente rafforzate dalla previsione, introdotta sempre dalla L. n. 47 del 2015, che, in tali casi, la misura coercitiva puo’ essere rinnovata solo in presenza di eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate: la norma, come ha osservato la Corte costituzionale escludendone profili di illegittimita’ in riferimento agli articoli 3, 101 e 104 Cost., si colloca in un quadro di innovazioni con le quali e’ stata affrontata in maniera unitaria la tematica delle impugnazioni cautelari, cosi’ da “rendere piu’ certa la tempistica del giudizio di riesame (anche in sede di rinvio) ed effettiva la previsione della perdita di efficacia conseguente all’inosservanza dei termini perentori fissati” (Corte Cost., sent. n. 233 del 2016).
9.2. Le modifiche della disciplina della partecipazione dell’imputato all’udienza di riesame si inseriscono nel quadro appena descritto nei suoi profili essenziali. Come hanno sottolineato, nella prospettiva dell’interpretazione sistematica, alcune decisioni espressive del primo orientamento, la nuova disciplina risulta “finalizzata a dirimere ogni incertezza, eliminando la relativa discrezionalita’ in capo ai giudici de libertate, in ordine alla individuazione della concreta nozione di “tempestivita’” (della richiesta di comparire)”, ancorando, allo stesso tempo, il diritto dell’imputato a comparire “ad un dato obiettivo, certo e incontrovertibile – insuscettibile di interpretazioni “elastiche” e volto a prevenire eventuali atteggiamenti dilatori e/o di mera ostruzione – costituito dall’inserimento della richiesta di comparire nel corpo dell’istanza di riesame” (Sez. 1, n. 49882 del 2015, Pernagallo, cit.). D’altra parte, si e’ rimarcato come “la previsione di un termine, certo, quale quello ancorato alla richiesta di riesame si risolva, in definitiva, in una garanzia di certezza e di effettivita’ dell’esercizio del diritto medesimo di comparire” (Sez. 5, n. 34181 del 2019, Basso, cit.).
Dunque, la nuova disciplina della comparizione dell’imputato all’udienza di riesame solleva il giudice del riesame dall’onere di valutare la “tempestivita’” della richiesta di comparizione (assumendo una decisione suscettibile di risultare controversa e, come si e’ osservato in dottrina, di alimentare un contenzioso che appesantirebbe senza necessita’ la materia del procedimento di riesame); svincola l’esercizio del diritto partecipativo da fattori rimessi, in larga misura, alle determinazioni dell’amministrazione penitenziaria (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, articolo 85) e, comunque, estranee alla sfera di “governabilita’” del tribunale del riesame; infine, mette al riparo la tempistica dello svolgimento del procedimento di riesame da variabili quali quelle relative all’interazione con il magistrato di sorveglianza (ai sensi dell’articolo 101 disp. att. c.p.p., comma 2, da ritenersi non piu’ applicabile, come si e’ detto).
In altri termini, l’interpretazione della disciplina in esame qui delineata consente, fin dal momento della fissazione dell’udienza (o delle udienze, in caso di pluralita’ di detenuti richiedenti) di riesame, una programmazione tendenzialmente affidabile del lavoro dei giudici del riesame: condizione, questa, decisiva per assicurare, al contempo, l’osservanza dei termini perentori per la decisione e per il deposito della motivazione previsti dal legislatore a tutela della certezza dei tempi della decisione stessa e della sua eventuale impugnazione. E’ in questo legame tra l’affidabilita’ della programmazione dei lavori del tribunale del riesame (all’evidenza di assoluto rilievo, in particolare, nei casi di ordinanze applicative relative a piu’ – talora molti – indagati) e la disciplina dei termini resa ancora piu’ rigorosa dalla L. n. 47 del 2015 che si coglie la valenza sistematica dell’interpretazione qui accolta.
10. Interpretazione, questa, che valorizza l’ulteriore arricchimento del patrimonio di garanzie del detenuto sancito dalla L. n. 47 del 2015 con l’attribuzione all’imputato della possibilita’ di ottenere, in presenza di giustificati motivi, il differimento della data di udienza ex articolo 309 c.p.p., comma 9-bis. Tra le varie ipotesi potenzialmente idonee a giustificare il differimento, va senz’altro annoverata quella dell’imputato che, personalmente, puo’ esercitare non gia’ il diritto, bensi’ – la facolta’ di chiedere con l’istanza di differimento, entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, di essere sentito su specifici temi (riguardanti, eminentemente, la quaestio facti): qualora la richiesta e le allegazioni su cui si fonda siano ritenute idonee a dar corpo a giustificati motivi, attinenti ad esigenze di difesa sostanziale e non meramente pretestuosi (Sez. 6, n. 13050 del 03/03/2016, Dall’Acqua, Rv. 267018), il tribunale del riesame disporra’, a norma dell’articolo 309 c.p.p., comma 9-bis, il differimento della data di udienza cosi’ come stabilito dalla disposizione (da cinque a dieci giorni) e con le conseguenze in punto di proroga dei termini per la decisione e per il deposito dalla stessa previsti.
Attraverso l'”utilizzazione” dell’istituto del differimento dell’udienza (con il conseguente “slittamento” dei vari termini, idoneo a salvaguardare le esigenze connesse alla programmazione del lavoro del tribunale del riesame), nella disciplina codicistica, sotto il profilo qui in esame, viene cosi’ prevista la facolta’ dell’imputato di chiedere, pur dopo la presentazione della richiesta ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 6 di essere sentito nell’udienza camerale. Facolta’ che, sussistendo i presupposti di legge, offre all’imputato uno strumento per far valere le ragioni alla base della rivalutazione – rispetto al momento della richiesta di riesame – dell’opzione relativa al suo intervento all’udienza: tale strumento completa l’assetto normativo del procedimento di riesame, che, anche attraverso l’esercizio della facolta’ di chiedere il differimento ex articolo 309 c.p.p., comma 9-bis, in funzione della partecipazione dell’imputato all’udienza camerale, risponde alle esigenze di fondo sottese al secondo orientamento in termini del tutto coerenti con il quadro sistematico descritto.
11. Le conclusioni raggiunte consentono di escludere che la soluzione della questione controversa accolta comporti una deminutio del patrimonio di garanzie del detenuto che richiede il riesame dell’ordinanza applicativa: essa, al contrario, risulta del tutto in linea con la fisionomia del procedimento di riesame, un procedimento “non inerente al merito della pretesa punitiva (non diretto, cioe’, a stabilire se l’imputato sia colpevole o innocente), ma finalizzato esclusivamente a verificare, in tempi ristrettissimi e perentori, la sussistenza dei presupposti della misura cautelare applicata”, sedes non “deputata all’acquisizione della prova” e destinata a sfociare in una decisione “intrinsecamente provvisoria” (Corte Cost., sent. n. 263 del 2017). Al riguardo, mette conto sottolineare che la soluzione accolta non puo’ essere contraddetta instaurando un’insuperabile correlazione tra comparizione del detenuto all’udienza di riesame e possibilita’ – ex articolo 309 c.p.p., comma 6, – di enunciare motivi nuovi prima dell’inizio della discussione (un cenno, in tal senso, si rinviene in Sez. 6, n. 24894 del 2019, La Scala, cit.). Una siffatta correlazione, invero, presupporrebbe, come regola (e non come eventualita’), la presenza del detenuto in udienza, sicche’ risulterebbe incompatibile anche con il secondo orientamento (che, come si e’ visto, ancora la facolta’ di chiedere la comparizione personale successivamente alla richiesta di riesame alla circostanza che essa sia comunque esercitata in tempo utile per organizzare la tempestiva traduzione: cfr. Sez. 6, n. 24894 del 2019, La Scala, cit.) e, a ben vedere, con la stessa configurazione dell’udienza camerale ex articolo 127 c.p.p. Naturalmente, nella prospettiva qui accolta la difesa non perde la possibilita’ di enunciare motivi nuovi anche a ridosso dell’avvio della discussione in udienza camerale, ma, nel caso in cui il detenuto non abbia chiesto di comparire contestualmente alla richiesta di riesame e non abbia fruttuosamente esercitato la facolta’ di chiedere il differimento, tale possibilita’ ben potra’ essere coltivata dal difensore, tanto piu’ che, anche sotto questo profilo, potra’ essere valorizzata la stessa facolta’ ex articolo 309 c.p.p., comma 9-bis al fine di approntare al meglio, nel confronto con il difensore, le piu’ opportune deduzioni difensive.
Il rilievo consente di riprendere, per un ulteriore, conclusivo, approfondimento, quanto gia’ osservato a proposito del collegamento assicurato, sul piano sistematico, dalla soluzione qui accolta – tra la possibilita’ dei giudici del riesame di organizzare il proprio lavoro sulla base di un’affidabile programmazione (in uno con il venir meno dell’onere di valutare la “tempestivita’” della richiesta di comparizione sulla base di variabili rimesse all’amministrazione penitenziaria) e la rigida disciplina dei termini che scandiscono, dall’inizio fino al deposito della motivazione del provvedimento adottato, l’iter del procedimento di riesame.
Il riferimento alla possibilita’ di organizzazione del lavoro del tribunale del riesame e all’alleggerimento dei suoi compiti decisionali – l’una e l’altro associabili alla soluzione qui accolta – non va inteso in termini di adesione ad una prospettiva di mera efficienza organizzativa, non essendo in discussione che “un processo non “giusto”, perche’ carente sotto il profilo delle garanzie, non e’ conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata” (Corte Cost., sent. n. 317 del 2009). Nella prospettiva qui accolta, al contrario, la disciplina codicistica assicura un bilanciamento – non piu’, dunque, rimesso al giudice, ma definito dalla legge – all’evidenza non irragionevole tra, da un lato, le modalita’ di esercizio del diritto del detenuto alla partecipazione all’udienza camerale (diritto messo al riparo dalle interferenze riconducibili a determinazioni non “governabili” dal giudice del riesame) e, dall’altro, la celerita’ del procedimento ex articolo 309 c.p.p., che rappresenta essa stessa una fondamentale componente del patrimonio di garanzie dell’imputato. A tutela di tale componente e, dunque, della certezza dei tempi della decisione di riesame e della sua impugnabilita’, la disciplina codicistica fa leva su un regime assai rigoroso incentrato sulle varie ipotesi di inefficacia della misura cautelare (oltre che sugli stringenti limiti per la rinnovazione della misura dichiarata inefficace), rispetto al quale le esigenze lato sensu organizzative assicurate dalla nuova disciplina dell’esercizio del diritto di partecipazione dell’imputato all’udienza ex articolo 309 c.p.p. si pongono in rapporto servente, fermo restando che detta nuova disciplina, nel collocare la richiesta di comparizione in un segmento della vicenda cautelare in cui la difesa ha ampia contezza degli atti posti a sostegno dell’ordinanza applicativa, ha avuto la possibilita’ di confrontarsi con le ragioni dell’accusa nell’interrogatorio di garanzia e ha un congruo termine a disposizione per la richiesta di riesame, risulta – anche in virtu’ della facolta’ di chiedere il differimento, nei termini indicati – senz’altro idonea ad assicurare l’effettivita’ di tale diritto.
12. Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive la persona detenuta o internata ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilita’ di partecipare all’udienza camerale puo’ esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza stessa solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l’istanza di riesame, ferma restando la facolta’ di chiedere di essere sentita su specifici temi con l’istanza di differimento ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 9-bis”.
13. In conclusione, come si e’ anticipato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di interesse sopravvenuta, sicche’ alla dichiarazione di inammissibilita’ non consegue la condanna del ricorrente ne’ alle spese del procedimento, ne’ al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208166).
P.Q.M.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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