Ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza di applicazione della pena

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 21 maggio 2019, n. 22187.

La massima estrapolata:

È inammissibile il ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza di applicazione della pena, sul presupposto dell’inapplicabilità del c.d. patteggiamento allargato in ragione della contestata recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale, qualora lo stesso non indichi nel ricorso lo specifico interesse all’annullamento della sentenza. (In motivazione la Corte ha precisato che, nella specie, l’illegalità non connota la determinazione della sanzione in quanto tale, bensì le condizioni di accesso al rito, che escludono l’effetto premiale ove la pena concordata superi i due anni).

Sentenza 21 maggio 2019, n. 22187

Data udienza 19 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. DE SANTIS Anna Mar – rel. Consigliere

Dott. SARACO Antonio – Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza resa dal Tribunale di Fermo in data 27/9/2018;
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
Udita nell’udienza camerale del 19 aprile 2019 la relazione del Consigliere, Dott.ssa De Santis Anna Maria;
Letta la requisitoria del Sost. Proc. Gen., Dott. Fimiani Pasquale, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza il Tribunale di Fermo applicava a (OMISSIS), su richiesta del medesimo e con il consenso del P.m., la pena di anni tre di reclusione ed Euro mille di multa in relazione ai delitti di rapina aggravata in danno del supermercato (OMISSIS) ubicato in (OMISSIS) e di lesioni aggravate ai danni del cassiere (OMISSIS), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ascritte, ivi compresa la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale ritualmente contestata.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, Avv. (OMISSIS), il quale ha dedotto con unico motivo la violazione dell’articolo 444 c.p.p., comma 1 bis e la mancanza di motivazione. Osserva la difesa che il primo giudice ha ammesso l’imputato al patteggiamento c.d. allargato nonostante l’entita’ della pena concordata, superiore ad anni due, e in presenza dell’aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale in patente contrasto con l’esclusione sancita all’articolo 444 c.p.p., comma 1 bis. Deve, inoltre, ritenersi, in conformita’ alle fonti convenzionali e, in particolare, alle decisioni della CEDU, che l’accesso al rito premiale in casi non consentiti configuri l’applicazione di una pena illegale che la Corte di Legittimita’ e’ autorizzata a rilevare d’ufficio anche in caso di ricorso inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Osserva la Corte che nella specie, pacificamente, l’accesso al rito e’ avvenuto in violazione dell’articolo 444 c.p.p., comma 1-bis, in forza del quale e’ esclusa la possibilita’ di applicazione di una pena concordata – diminuita fino ad un terzo – nei confronti dei soggetti dichiarati recidivi ai sensi dell’articolo 99 c.p., comma 4, allorche’ la sanzione proposta superi anni due di reclusione, anche congiunti a pena pecuniaria.
La giurisprudenza di legittimita’ ha, infatti, chiarito, sulla scia dei principi affermati da Sez. U. n. 35738/2010, Calibe’, che ai fini della preclusione al patteggiamento a pena detentiva superiore a due anni, e’ sufficiente che la recidiva, contestata ai sensi dell’articolo 99 c.p., comma 4, sia stata riconosciuta dal giudice, anche se in concreto non applicata per effetto del giudizio di equivalenza con circostanze attenuanti (Sez. 6, n. 23052 del 04/04/2017, P.G. in proc. Nahi e altro, Rv. 270489).
4. Al fine della delibazione in ordine all’ammissibilita’ del ricorso, alla luce del novero dei vizi deducibili ex articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, e’ preliminare la delimitazione del concetto di pena illegale. Deve rilevarsi al riguardo che la giurisprudenza di legittimita’ (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207) ricomprende nella categoria patologica in esame la pena non corrispondente per specie ovvero per quantita’ (sia in difetto che in eccesso) a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice e che si colloca, quindi, al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale.
Questa Corte ha, in particolare, escluso la configurabilita’ di ipotesi di illegalita’ della pena in presenza di un trattamento sanzionatorio complessivamente legittimo, anche se frutto di un percorso argomentativo viziato, con conseguente possibilita’ che, in tal caso, essa stessa riconduca direttamente nei limiti legali la sanzione inflitta, ribadendo che illegale deve ritenersi solo la pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o superiore, per quantita’, ai relativi limiti edittali (Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno e altri, Rv. 255197; Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, P.G. in proc. Tanzi, Rv. 260326; Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De Paola e altri, Rv. 266080).
Con riferimento ad una pena inflitta contra legem e’ costante l’affermazione circa la rilevabilita’ d’ufficio in sede di giudizio di legittimita’ ex articolo 609 c.p.p., comma 2, in presenza di ricorso inammissibile (con solo limite ostativo della tardivita’) dell’illegittima applicazione di una pena non piu’ prevista dall’ordinamento (Sez. 4, n. 24661 del 20/04/2004, Rismondo, Rv. 228962), ovvero non irrogabile per legge (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi e altro, Rv. 255729); “ab origine” contraria all’assetto normativo vigente al momento consumativo del reato (Sez. 5, n. 46122 del 13/06/2014, Oguekemma, Rv. 262108; Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017,C, Rv. 272090), o, ancora, affetta da illegalita’ sopravvenuta determinata da una modifica normativa incidente in maniera rilevante sui limiti sanzionatori edittali sia minimi sia massimi (Sez. 4, n. 27600 del 13/03/2014, Buonocore, Rv. 259368; n. 41820 del 02/07/2014, Diop, Rv. 260636); conseguente a dichiarazione di incostituzionalita’ di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207) ovvero di circostanze quali la recidiva obbligatoria di cui all’articolo 99 c.p., comma 5, applicata in epoca antecedente alla sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015 (Sez. 2, n. 37385 del 21/06/2016, Arena, Rv. 267912); derivante dalla erronea applicazione, da parte del Tribunale, delle sanzioni previste dagli articoli 22 c.p. e ss. in luogo di quelle previste dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articoli 52 e ss., (Sez. 5, n. 552 del 07/07/2016, Jomle, Rv. 268593; n. 51726 del 12/10/2016, Sale, Rv. 268639). Inoltre, l’illegalita’ della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimita’ per tardivita’ del ricorso, e’ comunque deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’articolo 666 c.p.p. (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera e altro, Rv. 265108).
I richiamati indirizzi interpretativi sono espressione del principio di legalita’ che informa l’intero ordinamento giuridico penale e trova ulteriore conferma nell’articolo 7 CEDU, il quale deve ritenersi operante non solo con riferimento alla norma incriminatrice penale, ma anche alla sanzione ad esso collegata, risultando incompatibile con il precetto costituzionale dell’articolo 25, comma 2, una pena non prevista dall’ordinamento o determinata in contrasto con il dato normativo. Inoltre, come sottolineato da Sez. U. n. 18821/2013, Ercolano, la conformita’ a legge della pena deve essere costantemente garantita dal momento della sua irrogazione fino a quello della sua esecuzione, principio che giustifica l’affermata cedevolezza del giudicato a fronte di eventi giuridici, quali la dichiarazione d’incostituzionalita’ di norme sanzionatorie, cui accede la necessita’ di ricomposizione dell’apparato afflittivo in ipotesi d’illegalita’ sopravvenuta della pena.
5. La giurisprudenza di legittimita’ ha recentemente affermato che l’accesso al patteggiamento allargato nei casi non consentiti di cui all’articolo 444 c.p.p., comma 1 bis, integra un’ipotesi di pena illegale, con la conseguenza che avverso la sentenza e’ ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi del novellato articolo 448 c.p.p., comma 2bis (Sez. 6, n. 3828 del 10/01/2019, PG Taha Bouzekri, Rv. 274981; nello stesso senso Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, P.G., D’Onofrio, Rv. 271526). Si e’, infatti, osservato, che alle norme del codice di procedura che disciplinano i riti premiali nella parte relativa alla previsione di riduzioni di pena deve riconoscersi natura sostanzialmente sanzionatoria, anche alla luce delle valutazioni espresse dalla Corte EDU nella sentenza della Grande Camera del 17/9/2009 nel caso Scoppola c/ Italia in relazione al giudizio abbreviato. In detta prospettiva l’illegalita’ della pena deve essere apprezzata tenendo presenti tutti i limiti che influiscono nella sua concreta determinazione, la cui violazione si presti ad essere qualificata come contraria al dettato normativo. Si e’ evidenziato, tuttavia, che il controllo di legittimita’ incontra il limite costituito dal divieto di reformatio in peius dato che nel giudizio di legittimita’, l’illegalita’ “ab origine” della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, puo’ essere corretta solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d’ufficio ai soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato (Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529; Cass. Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013 Rv. 257672).
6. In esito all’excursus che precede, osserva la Corte che, nella specie, alla luce dei principi richiamati dalla sentenza Jazouli in tema di pena illegale e tenuto conto del contenuto precettivo dell’articolo 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo (sul punto Sez. U, n. 34472 del 19/04/2012, Ercolano, Rv. 252934) l’erronea ammissione al rito per effetto dell’omessa considerazione della preclusione stabilita per i recidivi qualificati dall’articolo 444 c.p.p., comma 1 bis, non ridonda in termini necessitati sulla natura della pena, che risulta correttamente determinata in relazione alla forbice edittale del delitto di rapina aggravata in esito al giudizio di comparazione, al successivo aumento a titolo di continuazione e alla riduzione per il rito. L’illegalita’ non connota, dunque, la determinazione della sanzione in senso proprio sibbene le condizioni d’accesso che escludono la premialita’ ove la pena concordata superi i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, in relazione alle specifiche categorie di delitti previste dall’articolo 444, comma 1 bis, ovvero a soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza o, ancora, recidivi ex articolo 99 c.p., comma 4. Tanto si evince in primo luogo dal dato testuale della norma di cui al comma 1 bis che “esclude” l’operativita’ dell’istituto dell’applicazione della pena nelle ipotesi ivi contemplate, delimitandone ab estrinseco i presupposti, la cui violazione, pertanto, si riflette solo indirettamente sulla misura della pena per effetto del riconoscimento della diminuente premiale.
AI fine della delimitazione dell’area d’impugnabilita’ della sentenza ex articolo 444 c.p.p. alla luce del tassativo catalogo enunziato all’articolo 448 c.p.p., comma 2bis, appare, pertanto, controvertibile la sussunzione nell’area dell’illegalita’ della pena delle violazioni che concernono i limiti oggettivi e soggettivi che restringono l’area di accesso al rito, non risultando all’uopo dirimente il richiamo alla giurisprudenza CEDU circa la natura sostanziale delle norme a carattere premiale. Invero, alla stregua delle cospicua elaborazione giurisprudenziale sul tema deve ritenersi che l’illegalita’ della pena postuli come tratto qualificante un difetto di corrispondenza, qualitativo o quantitativo, tra la previsione sanzionatoria e il trattamento in concreto inflitto che rende quest’ultimo contrario al dettato della legge sicche’ l’estensione interpretativa finalizzata a ricondurvi violazioni di altra e diversa natura, prodromiche e strumentali rispetto alla determinazione della pena, appare dubbia.
7. Per altro verso e ai fini della rilevabilita’ d’ufficio del vizio, deve osservarsi come l’orientamento che assume la ricorrenza di un’ipotesi di pena illegale in presenza di pena patteggiata in violazione dell’articolo 444 c.p.p., comma 1 bis, evocando la necessaria pervasivita’ del controllo sulla legalita’ della sanzione demandato alla Corte Suprema, riconosce, tuttavia, che tale controllo incontra il limite costituito dal divieto di reformatio in peius che in caso di illegalita’ ab origine della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, puo’ essere superato solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero (cosi’ Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, P.G., D’Onofrio, Rv. 271526; Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529; Cass. Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013 Rv. 257672).
Detta considerazione introduce al tema dell’interesse a ricorrere del prevenuto, avendo in piu’ occasioni la giurisprudenza di legittimita’ evidenziato che e’ inammissibile il ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza di applicazione della pena, sul presupposto dell’inapplicabilita’ del c.d. patteggiamento allargato in ragione della contestata recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale qualora l’imputato non indichi nel ricorso lo specifico interesse all’annullamento della sentenza (Sez. 4, n. 40060 del 21/06/2012, Broccolato, Rv. 253722; Sez. 2, n. 31048 del 13/06/2013, Marinelli, Rv. 257066; Sez. 3, n. 49204 del 07/10/2014, M., Rv. 261207), posizione che declina il piu’ generale principio che vieta al giudice dell’impugnazione, in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, di modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo (Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2018, Xhixha, Rv. 273677).
7.1 Questa Corte ha da tempo chiarito che l’interesse richiesto dall’articolo 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilita’ di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica piu’ vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; pertanto puo’ ritenersi la sussistenza di un interesse concreto ad ottenere l’esatta applicazione della legge solo quando da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, P.M. in proc. Timpani, Rv. 203093; da ultimo, Sez. 6, n. 17686 del 07/04/2016,Conte, Rv. 267172; Sez. 5, n. 40822 del 15/06/2017, P.g. in proc. C., Rv. 271424).
Non esiste, dunque, un interesse in senso assoluto delle parti alla correttezza tecnico-giuridica delle decisioni che li riguardano, dovendo l’interesse ad impugnare tradursi nella concreta possibilita’ di conseguire – dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento censurato – un plausibile vantaggio.
Nel caso di specie la difesa del ricorrente nulla argomenta al riguardo, essendosi limitata alla testuale e pedissequa riproduzione della motivazione della sentenza Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, P.G., D’Onofrio, Rv. 271526, pagg. 3 e 4, par. 2.1 e 2.2 (con la sola eccezione dell’ultimo periodo). Pertanto, avendo il prevenuto chiesto l’accesso al patteggiamento tramite il difensore in veste di procuratore speciale e beneficiato di un trattamento di assoluto favore in ragione della ratifica di un accordo non consentito, dello stesso egli non ha interesse a dolersi.
8. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve pervenirsi a declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso con condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e della sanzione precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni d’esonero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

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