Revocatoria fallimentare e interessi dalla domanda giudiziale

Corte di Cassazione, civile,Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31652.

Revocatoria fallimentare e interessi dalla domanda giudiziale

Massima: L’azione revocatoria fallimentare, ex art. 67, commi 1 e 2, l.fall., ha natura costitutiva e l’obbligazione restitutoria cui sia condannato l’accipiens integra un debito di valuta e non di valore, con la conseguenza che colui che agisce ha un autonomo diritto di ottenere, in relazione alla somma da restituirsi, anche la corresponsione degli interessi, che retroagiscono alla data della relativa domanda giudiziale, se proposta, ovvero, in caso contrario, decorrono dalla data della sentenza di accoglimento.

 

Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31652. Revocatoria fallimentare e interessi dalla domanda giudiziale

Integrale

Tag/parola chiave: Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Effetti – Sugli atti pregiudizievoli ai creditori (rapporti con l’azione revocatoria ordinaria) – Azione revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie – In genere azione revocatoria fallimentare – Natura – Obbligazione restitutoria dell’accipiens – Interessi – Decorrenza – Ragioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente
Dott. VELLA Paola – Relatore

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1318/2020 R.G. proposto da:

BANCA IF. Spa, elettivamente domiciliato in ROMA, VI.LI., presso lo studio dell’avvocato GA.AL. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CO.LE. (Omissis)

– ricorrente –

contro

Me.An. Spa IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PR.5., presso lo studio dell’avvocato CI.CA. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RI.AL. (Omissis)

– controricorrente –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1337/2019 depositata il 13/09/2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere PAOLA VELLA.

Revocatoria fallimentare e interessi dalla domanda giudiziale

FATTI DI CAUSA

1. – La Corte d’Appello di Ancona ha accolto la domanda ex art. 67, comma 1, n. 2, L.Fall. proposta da Me.An. Spa in Amministrazione Straordinaria (di seguito Me.An.) contro Banca IF. Spa (di seguito Banca), dichiarando inefficaci gli atti estintivi di debiti verso quest’ultima per complessivi Euro 9.029.542,38 – realizzati, nei quattro mesi antecedenti l’apertura della procedura, attraverso un’articolata operazione finanziaria, caratterizzata, sotto il profilo oggettivo, dalla combinazione di due contratti di factoring e una delegazione di pagamento e, sotto il profilo soggettivo, dal coinvolgimento di una società polacca debitrice della Me.An. e da questa controllata (Ar. s.a.) e di una filiale polacca della Banca (IF. Finance d.o.o.) – e ha condannato la Banca a restituire alla procedura di A.S. la somma suddetta, “oltre interessi legali dalla domanda al saldo”.

1.1. – In particolare, la corte territoriale ha ritenuto, diversamente dal giudice di primo grado, che l’esenzione da revocatoria ex art. 6, legge n. 52 del 1991 riguardi solo i pagamenti eseguiti con mezzi normali, ex art. 67, comma 2, L.Fall., e non anche quelli effettuati con mezzi anormali, come avvenuto nel caso di specie, in cui i pagamenti in questione “sono stati eseguiti nel contesto di un rapporto di factoring”, attraverso una “complessa operazione di pagamento posta in essere dal factor e dal debitore ceduto, a sua volta delegante del pagamento ad Ar., società infragruppo propria debitrice”, finalizzata “a estinguere in maniera preferenziale il credito vantato dal factor”, poiché “in tal modo Banca IF. ha controllato il flusso delle rimesse derivanti dalle cessioni, ed ha eliminato l’esposizione della Me.An. nei suoi confronti, sostituendo i crediti vantati verso la Me.An. Spa, in stato di difficoltà finanziaria, con i crediti, dotati di maggiore affidabilità, vantati verso i clienti della Ar.”. Le finalità di questa “complessa operazione negoziale” avrebbero esorbitato il “mero contratto di factoring”, nel quale “l’esenzione da revocatoria si giustifica con la volontà del legislatore di consentire alla società in difficoltà finanziaria il pronto reperimento di liquidità”.

1.2. – Una volta ritenuto applicabile l’art. 67, comma 1, n. 2, L.Fall., la corte territoriale ha registrato la mancanza di prova della inscientia decoctionis da parte della Banca convenuta.

2. – Avverso detta decisione Banca IF. Spa ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi, cui Me.An. Spa in Amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., con conseguente nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, n. 4, c.p.c.) per l’assenza (o mera apparenza) della motivazione. La corte territoriale avrebbe inutilmente operato una “ricostruzione dei rapporti intercorsi (…) unicamente finalizzata a qualificare come “non normale” il mezzo di pagamento utilizzato” – circostanza però “mai messa in discussione tra le parti” – piuttosto che spiegare le ragioni della divisata interpretazione restrittiva della locuzione “pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario”, contenuta nell’art. 6 della legge 21 febbraio 1991 n. 52, da essa riferita “esclusivamente ai pagamenti compiuti con mezzi normali”.

2.2. – Il secondo mezzo lamenta la violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 67, primo comma, n. 2, L.Fall., dell’art. 12 preleggi e dell’art. 6, L. n. 52 del 1991, poiché la suddetta affermazione, oltre che immotivata, sarebbe comunque infondata.

Secondo il ricorrente, premesso che “alcuna contestazione è stata mai formulata nel corso del giudizio in relazione alla validità, regolarità formale ed opponibilità dei contratti di factoring e dello schema negoziale adottato”, la lettera e la ratio dell’art. 6 della legge 52/1991 deporrebbero per l’applicabilità dell’esenzione ivi prevista all’intero art. 67 L.Fall., dunque non solo alle ipotesi contemplate dal secondo comma, ma anche a quelle contemplate dal primo, e segnatamente anche ai pagamenti ritenuti anormali, volendo la norma comunque sottrarre a revocatoria le banche cessionarie dei crediti, per consentirne l’esercizio solo contro i creditori cedenti, previo assolvimento dell’onere della prova, circa la loro scientia decoctionis, da parte del curatore fallimentare del debitore ceduto; onere che non deporrebbe per l’applicazione del solo secondo comma dell’art. 67 L.Fall., perché dovrebbe prediligersi una interpretazione della norma non letterale, ma sistematica ed anche evolutiva.

Sarebbero allora irrilevanti la modalità di pagamento in favore della banca cessionaria, realizzabile anche tramite una delegazione di pagamento, in quanto la ratio della legge speciale è innanzitutto incentivare le operazioni di factoring – per evitare che le piccole e medie imprese siano travolte dall’insolvenza del loro debitore – ma anche scongiurare un’azione simmetrica nei loro confronti da parte della banca attinta da revocatoria fallimentare.

2.3. – Il terzo motivo denuncia la violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 189 c.p.c. e 1282 c.c., per avere la Corte d’Appello riconosciuto gli interessi legali (domanda formulata per la prima volta “come per legge” in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale e poi non riproposta in sede di appello) e per giunta “dalla domanda al saldo”, mentre, trattandosi di azione costitutiva, essi potrebbero semmai riconoscersi solo a decorrere “dalla pronuncia di inefficacia”.

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3. – Il primo motivo è inammissibile ex art. 360-bis, n. 2, c.p.c., il secondo è infondato e il terzo può essere accolto.

4. – Del tutto inconsistente è la prima censura di nullità della sentenza d’appello per vizio di motivazione inesistente o apparente.

4.1. – Un simile vizio ricorre solo quando le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi, senza che possa venire più in rilievo la sufficienza delle argomentazioni (Cass. 395/2021, 26893/2020, 22598/2018).

Nel caso in esame, l’affermazione ritenuta immotivata è in realtà corredata da una serie di passaggi argomentativi nei quali la corte territoriale riporta anche le argomentazioni (disattese) del giudice di primo grado (pag. 3) e quelle (condivise) della procedura appellante (pag. 4), sicché, trattandosi di questione di puro diritto, l’iter logico seguito dai giudici di secondo grado è agevolmente ricostruibile. Sono anzi ravvisabili due rationes decidendi, fondate l’una sull’interpretazione restrittiva del termine “pagamento” e l’altra sulla non riducibilità dell’operazione ad un mero contratto di factoring, di modo che il cd. minimo costituzionale risulta pienamente rispettato (Cass. Sez. U, 8053/2014, 34474/2019, 20867/2020; Cass. 27501/2022, 4784/2023, 14703/2024).

5. – Le censure mosse col secondo motivo, che confermano la percepibilità e intellegibilità della motivazione, sono infondate.

La corte territoriale, dopo aver svolto le argomentazioni a sostegno di una interpretazione restrittiva del termine “pagamento” contenuto nell’art. 6 della legge n. 52/1991, ha qualificato la complessa operazione negoziale inter partes come “qualcosa di diverso dal mero contratto di factoring” disciplinato dalla legge n. 52 del 1991, così esprimendo, sia pure ellitticamente, una specifica ed ulteriore ratio decidendi sulla non applicabilità dell’esenzione da revocatoria ivi contemplata, che parte ricorrente contrasta isolando il profilo della violazione giuridica dalla fattispecie.

5.1. – In effetti, secondo l’apprezzamento dei giudici di merito, questa complessa operazione finanziaria è stata ideata attraverso una quadrangolazione tra due società italiane (Me.An. Spa, IF. Banca Spa) e due società polacche (Ar. s.a. e IF. Finance d.o.o.), quindi realizzata mediante un primo contratto di factoring (tra 24 fornitori di Me.An. e la Banca), una delegazione di pagamento (dal debitore ceduto Me.An. al suo debitore Ar. in favore della Banca) ed un secondo contratto di factoring (tra Ar. e IF. Finance, diretto a creare la provvista per soddisfare la Banca medesima), ed infine caratterizzata da singolari tempistiche e modalità dei pagamenti, che, iniziati a giugno 2008, si sono intensificati negli ultimi giorni antecedenti l’apertura della proceduta di amministrazione straordinaria (14.10.2008), tanto che “in soli 3 giorni, tra il 30.9.2008 e il 2.10.2008, banca IF. incassava con due versamenti circa Euro 5.100.000,00 giungendo a soddisfare tutte le proprie ragioni di credito” (la controricorrente sottolinea altresì che anche le modalità di imputazione dei pagamenti sono mutate in quei giorni per “chiudere il più rapidamente possibile l’intera operazione”).

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5.2. – In questa latitudine ricostruttiva dell’impianto negoziale, il “pagamento” viene in emersione non tanto in sé, quale momento realizzativo del factoring, quanto come elemento di un collegamento negoziale che contempla anche una delegazione di pagamento e un ulteriore contratto di factoring tra altri soggetti.

È questo il sostrato fattuale sotteso alla lettura ermeneutica restrittiva dei pagamenti di cui al secondo comma dell’art. 67 L.Fall. espressamente censurata col mezzo in esame.

Ed è allora evidente che nel caso si è radicalmente escluso che l’operazione revocata potesse rientrare nel concetto di semplice “pagamento” considerato dalla legge speciale, trattandosi di una più complessa e articolata operazione integrante semmai quegli “atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento”.

6. – Resta solo da aggiungere che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’anomalia degli atti estintivi di debito, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n.2 L.Fall., è ravvisabile all’esito di una valutazione del complessivo meccanismo posto in essere dalle parti per determinare l’effetto estintivo dell’obbligazione pecuniaria, allorquando il danaro non è strumento di immediata e diretta soluzione, ma solo un mezzo indiretto di adempimento, in quanto effetto terminale di altri negozi, secondo un processo satisfattorio non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali (Cass. 8917/2024, 10347/1996, 2706/1995).

Ed è costante l’orientamento che ravvisa nella delegazione di pagamento uno strumento solutorio anomalo (cfr. Cass. 21585/2022), qualificando come mezzi normali di pagamento diversi dal denaro soltanto quelli comunemente accettati nella pratica commerciale in sostituzione del denaro, come rinvenuto per casistica con riguardo agli assegni circolari e bancari e ai vaglia cambiari (Cass. 14316/2022, 15691/2011, 649/2003, 4040/1996).

7. – All’altezza della denunciata violazione di legge, la questione rimanda altresì al perimetro di tutela dei pagamenti nel factoring al cospetto dell’insolvenza. La figura è un contratto atipico complesso, il cui nucleo fondamentale prevede sempre un accordo in forza del quale un’impresa specializzata (il factor) si obbliga ad acquistare – pro soluto o pro solvendo – per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare. Di conseguenza il factor paga all’imprenditore i crediti ceduti secondo il loro importo nominale, decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell’attività da esso prestata, oppure gli concede delle anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso spettano al factor, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate (cfr. sul tema Cass. n. 16850/2017, 11589/2019, 282/2021).

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7.1. – L’ambito di applicazione della legge n. 52 del 1991 (recante la “Disciplina della cessione dei crediti di impresa”) è individuato dall’art. 1, secondo cui la cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo è in quel modo disciplinata quando concorrono le seguenti condizioni: a) il cedente è un imprenditore; b) i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa; c) il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia emanato ai sensi dell’art. 25, secondo comma, della legge 19 febbraio 1992, n. 142, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti d’impresa, o un soggetto, costituito in forma di società di capitali, che svolge l’attività di acquisto di crediti, vantati nei confronti di terzi, da soggetti del gruppo di appartenenza che non siano intermediari finanziari, oppure di crediti vantati da terzi nei confronti di soggetti del gruppo di appartenenza, ferme restando le riserve di attività previste ai sensi del citato testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

Per le cessioni di credito prive dei requisiti suddetti resta salva l’applicazione della disciplina ordinaria.

7.2. – È stato tra l’altro chiarito che, sebbene sul piano testuale gli artt. 5 (efficacia della cessione nei confronti dei terzi), 6 (revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto) e 7 (fallimento del cedente) si riferiscano esclusivamente alla fattispecie del fallimento, varie pronunce di legittimità si sono occupate dei limiti di resistenza di simili contratti all’insorgere di procedure diverse dal fallimento, come la liquidazione coatta amministrativa (Cass. 4774/1998, 16850/2017) o la stessa amministrazione straordinaria (Cass. 12901/2004, 574/2007, 17388/2007, 12994/2015).

E che nessun ostacolo a tale estensione derivi dall’utilizzo delle espressioni testuali di tali norme è stato spiegato col rilievo che l’omesso riferimento alle altre procedure deriva, per un verso, dal fatto che già all’epoca della legge Prodi (l. 3 aprile 1979, n. 95, art. 1), così come in prosieguo con la cd. Prodi-bis (D.Lgs. 8 luglio 1999, art. 36), l’amministrazione straordinaria rinviava alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa per quanto non più specificamente disposto; per altro verso, dal fatto che la specialità della legge n. 52/1991 costituisce l’ordinamento che disciplina per tutte le procedure concorsuali i principi di efficacia dettati in tema di cessione professionale dei crediti d’impresa (Cass. 282/2021).

7.3. – Ciò premesso, come visto il ricorrente si duole dell’interpretazione data dalla corte territoriale all’art. 6 della legge 52/1991, sostenendo che la relativa esenzione da revocatoria nei confronti delle banche cessionarie riguarderebbe non solo il secondo comma, ma anche il primo comma dell’art. 67 L.Fall., e dunque ogni sorta di pagamento, inclusi quelli ritenuti “anormali”, come tipicamente la delegazione di pagamento.

7.4. – Sul punto occorre ricordare che l’art. 6 della legge n. 52 del 1991 (rubricato “Revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto”) dispone che “1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non è soggetto alla revocatoria prevista dall’articolo 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Tuttavia, tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora il curatore provi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento al cessionario. 2. È fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario che abbia rinunciato alla garanzia prevista dall’articolo 4”.

7.5. – Il fatto, valorizzato dal ricorrente, che la norma rinvii in modo generico (e perciò apparentemente integrale) alla “revocatoria prevista dall’articolo 67” L.Fall. non è decisivo, e soffre proprio di quell’appiattimento sul brocardo “in claris non fit interpretatio” che il ricorrente imputa alla diversa esegesi dei giudici di appello.

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La condivisibilità dell’opzione ermeneutica che assegna invece all’art. 6 cit. una portata derogatoria solo rispetto alla revocatoria dei “pagamenti” effettuati ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.Fall. (e non di tutti gli atti estintivi di debiti pecuniari, in qualsivoglia forma adottati) deriva, in primo luogo, dal fatto che il menzionato art. 67 non contempla alcun “pagamento” nel primo comma, ove compare, al n. 2), la diversa espressione “atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili”, proprio in contrapposizione a quelli invece “effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento”.

Questa lettura è avallata dal secondo periodo dell’art. 6 cit., ove si dispone che “tale azione” – ossia la stessa presa in considerazione nel periodo precedente – che non può essere esercitata nei confronti del cessionario (banca), è ammessa invece nei confronti del creditore cedente (e ciò in ragione del vantaggio ricevuto dal cedente, e per scoraggiare cessioni quando si sia venuti a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore ceduto), sempre che il curatore del fallimento del debitore ceduto dimostri la sua scientia decoctionis; ciò significa che il paradigma di riferimento è appunto quello del secondo comma, e non quello del primo, ove quell’elemento soggettivo viene presunto, e grava sul convenuto la prova della inscientia decoctionis.

7.6. – Non v’è dubbio che l’esenzione prevista dall’art. 6 cit. sia volta a tutelare i soggetti che svolgono professionalmente l’attività di acquisto dei crediti in sofferenza, eliminando il rischio di dover subire la revocatoria dei pagamenti ricevuti in caso di fallimento del debitore ceduto, e al tempo stesso incentivando il ricorso al factoring a vantaggio degli imprenditori cedenti, parimenti esposti all’insolvenza di quel debitore.

Sarebbe eccessivo, però – anche nella prospettiva dell’intenzione del legislatore – ritenere che la legge speciale deroghi non solo alla revocabilità dei pagamenti nei confronti del cessionario, ma anche alla tradizionale regola di ripartizione dell’onere della prova che governa e discrimina le azioni revocatorie in punto di conoscenza dello stato di insolvenza.

7.7. – Anche in chiave sistematica la ratio della norma appare più ragionevolmente volta a tutelare solo l’ipotesi di una ordinaria operatività del contratto di factoring – in cui il factor incassa con mezzi normali di pagamento i crediti di cui si è reso cessionario – e non anche l’ipotesi in cui il factor si renda compartecipe di operazioni anomale, come quelle disciplinate dall’art. 67, comma 1, n. 2 L.Fall., al solo fine di avvantaggiarsi del rientro nei crediti assunti verso il debitore fallito.

Difatti, i pagamenti effettuati con mezzi anormali sono considerati potenzialmente pregiudizievoli per la massa dei creditori, ed un’interpretazione estensiva che includesse nell’esenzione da revocatoria anche i mezzi anormali di pagamento contrasterebbe frontalmente con la ratio della disciplina fallimentare, che mira a tutelare l’integrità del patrimonio del fallito e la par condicio creditorum.

Del resto se, come detto, la regola è quella della revocabilità, per la sua esclusione è richiesta una esplicita ed inequivocabile deroga legislativa (Cass. 12539/1999).

7.8. – Va infine osservato che le parti si soffermano in memoria su un passaggio di un arresto (Cass. 2990/2006) però privo di rilevanza ai fini del decidere.

Occupandosi della questione del regime intertemporale della legge n. 52 del 1991, in una fattispecie di revocatoria fallimentare contro il cedente ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.Fall., quella pronuncia ha infatti affrontato il tema della nozione di “pagamento” solo per chiarire che essa include non solo quello spontaneo, ma anche quello coattivo; in questa prospettiva va letta la frase per cui “non vi è alcun argomento letterale, logico o sistematico che possa indurre a ritenere che il sostantivo “pagamento” sia stato utilizzato, nella L. n. 52 del 1991, art. 6, in un senso diverso e più ristretto rispetto a quello che il medesimo vocabolo assume nella cornice della previsione della L.Fall. art. 67, peraltro testualmente richiamata”, prodromica alla conclusione che l’ambito di operatività della norma non è limitato “ai solo pagamenti spontanei”.

Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “In tema di factoring, l’esenzione da revocatoria stabilita dalla legge 21 febbraio 1991 n. 52, art. 6, primo comma, riguarda solo i pagamenti ordinari compiuti dal debitore ceduto al cessionario nell’ambito del contratto, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge fall., e non anche gli atti solutori anomali, di cui al primo comma, n. 2), dello stesso art. 67 legge fall.”.

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8. – Il terzo motivo è fondato.

8.1. – Contrariamente a quanto opinato dal controricorrente, per ormai consolidato orientamento di questa Corte, coerente con la tesi cd. anti-indennitaria, l’obbligazione restitutoria dell’accipiens soccombente nell’azione revocatoria fallimentare ex art. 67, commi 1 e 2, L.Fall., non è di valore, bensì di valuta, in quanto l’atto posto in essere dal debitore in bonis è originariamente valido e lecito, mentre la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo ad oggetto un diritto potestativo, e non un diritto di credito (Cass. Sez. U, 437/2000; ex multis, Cass. 5495/2022, 12850/2018).

Ciò non toglie che però – diversamente da quanto sostiene il ricorrente – gli interessi sulla somma da restituirsi decorrono non già dalla pronuncia, bensì dalla domanda giudiziale (Cass. 12736/2011, 27084/2011, 12850/2018), mentre il risarcimento del maggior danno, conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria, spetta solo ove l’attore lo alleghi specificamente e dimostri di averlo subito.

Difatti, dalla natura costitutiva della pronuncia di accoglimento dell’azione revocatoria deriva che è la sentenza ad eliminare gli effetti pregiudizievoli (per la massa) dell’atto revocato e che la corresponsione degli interessi legali rientra tra gli effetti restitutori rispetto ai quali la pronuncia retroagisce al momento della notificazione della citazione (Cass. Sez. U, 437/2000).

8.2. – Sennonché, depone per l’accoglimento del motivo la fondatezza del vizio di ultrapetizione con esso denunciato, non avendo il controricorrente contestato di aver chiesto gli “interessi come per legge” solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, senza poi riproporre in sede di appello la relativa domanda (in primo grado rimasta assorbita dal rigetto della domanda revocatoria).

Invero, la giurisprudenza di questa Corte si è assestata sul principio in base al quale, in tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi hanno fondamento autonomo rispetto al debito cui accedono (contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, di cui integrano una componente necessaria) e pertanto – corrispettivi, compensativi o moratori che siano – possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., soltanto su espressa domanda della parte (Cass. 36659/2021, 18292/2016, 19292/2016, 24858/2005, 4423/2004).

8.3. – In altri termini, la natura costitutiva dell’azione e il fatto che si tratta di debito “di valuta” non esonerano l’attore dall’onere di chiedere gli interessi; e proprio perché la loro debenza non origina da un rapporto preesistente inadempiuto, bensì dallo stesso titolo giudiziale, in difetto della relativa domanda, idonea a farne retroagire gli effetti, gli interessi possono essere riconosciuti solo a decorrere dalla sentenza, sino al saldo.

Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “In tema di revocatoria fallimentare, ex art. 67, commi 1 e 2, legge fall., la natura costitutiva dell’azione, il carattere dell’obbligazione restitutoria cui sia condannato l’accipiens, che integra un debito di valuta (e non di valore) e la conseguente autonomia del diritto, per chi agisce, alla corresponsione sulla somma da restituirsi altresì degli interessi comportano che gli stessi retroagiscono alla data della relativa domanda giudiziale mentre, in difetto, decorrono solo dalla data della sentenza di accoglimento”.

9. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata limitatamente al capo relativo alla condanna alla corresponsione degli “interessi legali dalla domanda al saldo” e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., disponendosi la decorrenza degli interessi legali dalla data della sentenza, come meglio in dispositivo.

10. – L’esito della lite giustifica la compensazione integrale delle spese del giudizio di merito e, stante il parziale accoglimento del ricorso, la compensazione per metà di quelle del giudizio di legittimità, con condanna del controricorrente al rimborso in favore del ricorrente nella misura indicata in dispositivo, già considerato il predetto criterio di contemperamento.

11. – Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Revocatoria fallimentare e interessi dalla domanda giudiziale

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dispone che gli interessi legali decorrano dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello fino al saldo; dichiara la compensazione integrale delle spese processuali dei gradi di merito; dichiara la compensazione per la metà delle spese del giudizio di legittimità e, per l’effetto, condanna il controricorrente al pagamento in favore del ricorrente della restante metà, che si liquida, già considerata la compensazione, in Euro 15.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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