Corte di Cassazione, penale, Sentenza|22 marzo 2022| n. 9705.
In tema di responsabilità medica, l’accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestiva di una malattia tumorale e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutare l’incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenza di decorsi causali alternativi, l’esito infausto. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo del medico che abbia ritardato la diagnosi di sarcoma a cellule chiare, in quanto, per la particolare aggressività del tumore, con una percentuale di sopravvivenza a cinque anni non superiore al 25%, anche nel caso di diagnosi e cure tempestive, si sarebbe verificata una elevata probabilità di morte della paziente).
Sentenza|22 marzo 2022| n. 9705. Responsabilità medica l’accertamento del nesso causale
Data udienza 15 dicembre 2021
Integrale
Tag – parola: Reato ex art. 589 c.p. – Ritardata diagnosi neoplasia – Ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna – Fondatezza – Nesso causale – Giudizio controfattuale – Concetto di probabilità logica
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente
Dott. DI SALVO Emanuele – rel. Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/05/2020 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DI SALVO EMANUELE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DI NARDO MARILIA;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore:
In difesa di (OMISSIS) sono presenti l’avvocato (OMISSIS) del foro di BRESCIA e l’avvocato (OMISSIS) del foro di MILANO. I difensori illustrano i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale e’ stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all’articolo 589 c.p., perche’, in qualita’ di medico dello sport che ebbe in cura (OMISSIS), omettendo di richiedere la necessaria consulenza specialistica ortopedica gia’ nel (OMISSIS) nonche’ di valutare il progressivo accrescimento della massa e il peggioramento delle condizioni della paziente, perseverando per mesi nella prescrizione di trattamenti fisiokinesiterapici per la cura di ematomi nonostante il continuo accrescimento delle dimensioni della neoformazione, evidenziata sin dal (OMISSIS); non diagnosticando la patologia da cui era affetta la parte lesa e cosi’ non consentendo il corretto trattamento terapeutico, intrapreso con un ritardo di circa 9 mesi, cagionava, in cooperazione con un medico radiologo, la cui posizione processuale e’ stata definita separatamente, la morte della paziente, verificatasi il (OMISSIS) a causa dell’evoluzione di un sarcoma a cellule chiare partito dalla coscia destra.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale, poiche’ il perito ha concluso nel senso che non e’ possibile stabilire, sulla base dei dati disponibili in letteratura, in considerazione della rarita’ del tumore (300 casi al mondo), se la persona offesa sarebbe sopravvissuta piu’ a lungo in caso di diagnosi tempestiva. Non e’ infatti possibile istituire un nesso causale con un livello prossimo alla certezza tra l’evoluzione del tumore correlata al ritardo diagnostico e il decesso della parte lesa ne’ stabilire per quanto tempo la persona offesa sarebbe sopravvissuta ove fosse stata diagnosticata la patologia gia’ nel (OMISSIS). Non puo’, infatti, affermarsi che sussista una legge scientifica, universale o statistica, o una generalizzata regola di esperienza, che consenta di stabilire, con riguardo al sarcoma a cellule chiare da cui era affetta la persona offesa, che sia stata la condotta asseritamente omissiva dell’imputato a determinare in concreto l’evento lesivo. La perizia ha infatti evidenziato che la scarsita’ dei casi che la ricerca scientifica ha potuto esaminare fa si’ che gli studi effettuati, con le correlate statistiche, siano da ritenersi meramente indicativi e non possano assurgere a legge scientifica. Nel caso di specie si trattava di un tumore al terzo stadio, astrattamente operabile ma rispetto al quale la prognosi rimaneva particolarmente grave e senza alcuna sicurezza in termini di possibilita’ di sopravvivenza, anche in caso di asportazione. Il che rende particolarmente difficile, in sede controfattuale, e quindi considerando il caso di immediata diagnosi, ritenere sussistente nella fattispecie concreta in disamina un’alta probabilita’ logica di prognosi favorevole od un livello di certezza idoneo a superare il limite del ragionevole dubbio quanto a chances terapeutiche e quindi a un prolungamento significativo della vita. Il giudice a quo si e’ confrontato in maniera soltanto apparente e comunque parziale sia con le risultanze tecnico -scientifiche desumibili dalla perizia sia con gli argomenti formulati dalla difesa nell’atto di appello.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
Responsabilità medica l’accertamento del nesso causale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le doglianze formulate dal ricorrente, in ordine alla sussistenza del nesso causale, sono fondate. Secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente dominanti, e’ “causa” di un evento quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano e’ dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo e’ se anche in mancanza di tale comportamento l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa). Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale (“contro i fatti”), che e’ l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione cosi’ mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell’imputato non costituisce causa dell’evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalita’ accolta dal nostro codice e cioe’ della teoria condizionalistica.
Naturalmente, il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede preliminarmente l’accertamento di cio’ che e’ effettivamente accaduto e cioe’ la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Cass., Sez. 4, n. 23339 del 31 gennaio 2013 Rv. 256941). Per effettuare il giudizio controfattuale, e’ quindi necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall’agente, l’evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4 ottobre 2012, Rv. 255008). In tema di responsabilita’ medica, e’ dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo e’ possibile verificare se, laddove il sanitario avesse posto in essere la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o differito (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4 ottobre 2012, Rv. 255008). L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica e’ stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si e’ affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si puo’ prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacche’ solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia e’ possibile analizzare la condotta colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto (Cass., Sez. 4, 25 maggio 2005, Lucarelli). Occorre pertanto tenere ben distinto il profilo della ricostruzione della sequenza eziologica che, in rerum natura, ha portato alla verificazione dell’evento da quello del giudizio controfattuale. Il primo profilo inerisce alla causalita’ materiale; il secondo alla c.d. “causalita’ giuridica”. La causalita’ materiale attiene al meccanismo che, in linea di fatto, ha cagionato l’evento e puo’ essere costituita sia da un evento naturale (ad esempio, un’inondazione cagionata da una frana) sia da un evento provocato dall’uomo (ad esempio, un’emorragia derivante dalla mancata sutura di una ferita da parte del sanitario). Una volta accertata la causa materiale dell’evento ci chiederemo se, ove quella condotta umana fosse stata assente – o fosse stata presente -, l’evento si sarebbe verificato egualmente. Si consideri il caso di chi si presenti al Pronto soccorso, accusando un grave malessere. Ove il medico non intervenga o intervenga in modo del tutto inadeguato e il paziente muoia, occorrera’ in primo luogo individuare la causa della morte. Qualora, ad esempio, si appuri che l’exitus e’ dovuto ad un infarto del miocardio, cio’ inerira’ all’accertamento della causalita’ materiale. Ben distinta e’ la problematica inerente al quesito controfattuale, che consistera’ nel chiedersi se il decesso avrebbe potuto essere evitato o almeno significativamente ritardato ove il medico fosse intervenuto tempestivamente e in modo adeguato.
L’accertamento della causalita’ materiale e’ dunque assolutamente preliminare. E, sotto questo profilo, non e’ possibile in alcun modo accedere ad una prospettiva probabilistica. Se residua un margine d’incertezza sull’effettivo snodarsi, sul piano naturalistico, della catena causale, non vi e’ strumento argomentativo che possa trasformare tale incertezza in imputazione causale. Il dubbio riguarda infatti la concreta individuazione, in termini naturalistici, dell’effettiva catena causale che ha condotto all’exitus. E, sotto questo profilo, costituendo il nesso di causalita’ un requisito di fattispecie, esso andra’ dimostrato, come ogni altro requisito di fattispecie, “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”. Ne deriva che alla ricostruzione dell’iter eziologico che, sul piano della causalita’ materiale, ha condotto all’exitus e’ del tutto estraneo il concetto di probabilismo. Qualora infatti le risultanze probatorie non consentano di appurare con assoluta certezza l’eziologia della morte e si debba concludere che “probabilmente” la causa del decesso e’, in ipotesi, un infarto, questa affermazione si risolverebbe in un’incertezza probatoria dalla quale il giudice non potrebbe che trarre le dovute conseguenze, alla stregua delle ordinarie regole di giudizio. In altre parole, se non si ricostruisce in termini di certezza l’iter eziologico “naturalistico”, viene meno uno dei tasselli fondamentali del mosaico accusatorio e non e’ pertanto giuridicamente possibile addivenire a declaratoria di responsabilita’. Ancor meno e’ possibile procedere al giudizio controfattualle, appurando in che cosa avrebbe dovuto consistere il comportamento alternativo doveroso, e cioe’, per rimanere all’esempio dianzi considerato, quali misure terapeutiche il medico avrebbe dovuto adottare e se esse avrebbero o meno scongiurato l’exitus, laddove non si sappia con sicurezza quale e’ la causa della morte. In queste ipotesi, pertanto, l’incertezza nelle conclusioni del giudizio controfattuale non ha un rilievo concettuale autonomo, costituendo null’altro che il riverbero dell’incertezza inerente alla causalita’ materiale.
Ben diverso il discorso ove il dubbio afferisca al giudizio controfattuale in se’. Il controfattuale e’, infatti, per definizione, un giudizio ipotetico e a tale caratteristica e’ connaturale un determinato tasso di probabilismo. E dunque su questo versante – e solo su questo – che il giudice si trova di fronte il concetto di probabilita’. Nell’esempio poc’anzi prospettato, le leges artis prescrivono l’adozione di una serie di rimedi terapeutici che, nel loro insieme, hanno una rilevante attitudine a scongiurare l’infarto. Tuttavia essi non sono tali da assicurare sempre, comunque e con certezza l’esito positivo. La loro omissione ha pertanto senz’altro esplicato influenza sul processo eziologico, facendo si’ che i fattori patologici dispiegassero appieno la loro efficacia, senza incontrare ostacoli di sorta. Tuttavia, anche laddove il medico avesse operato in modo del tutto conforme alle prescrizioni della scienza medica, in molti casi non sarebbe stato possibile affermare con sicurezza che l’intervento avrebbe avuto efficacia salvifica. Ogni asserto, al riguardo, non avrebbe potuto che essere formulato in termini di piu’ o meno elevata probabilita’. Ci troviamo dunque di fronte, in ipotesi come quella appena esemplificata, ad una costitutiva incertezza sull’efficacia salvifica del comportamento alternativo lecito. Questa incertezza nell’esito del giudizio controfattuale, in quanto immanente ed intrinseca alla sua natura di giudizio ipotetico, e’ da tener ben distinta da quella derivante da fragilita’ della piattaforma probatoria che sorregge il procedimento ricostruttivo della catena eziologica che, in rerum natura, ha condotto all’evento. Quest’ultima situazione trova senz’altro, in sede decisoria, il suo referente nell’articolo 530 c.p.p., comma 2, come ogni altro caso di incertezza del quadro probatorio.
2. Un’adeguata analisi del concetto di giudizio controfattuale non puo’ pero’ prescindere dalla disamina della crisi che ha progressivamente investito il modello causale d’impronta nomologica. Si e’ infatti rilevata la sempre piu’ frequente presenza di trame causali oscure, a fronte della quali si registra un chiaro deficit dei paradigmi conoscitivi di matrice scientista. E si e’ quindi constatato come la causalita’ di impronta deterministica soffra di una crisi profonda, generata dall’impossibilita’ di spiegare nomologicamente gli eventi. Dunque, il carattere “indominabile” delle seriazioni causali ha messo a nudo i limiti della scienza e la contraddittorieta’ delle sue valutazioni. In questi casi – di causalita’ sinergica – il paradigma nomologico si rivela inutilizzabile per spiegare l’evento: la scienza, infatti, non e’ in grado di conoscere le interazioni tra i diversi fattori eziologici, sicche’ diviene impossibile isolare, nella rete causale multipla, le condizioni necessarie dell’evento. Paradigmatica, al riguardo, e’ la fenomenologia che si presenta nel settore della responsabilita’ professionale medica. Esattamente si e’ posto in rilievo come, allo stato attuale delle conoscenze, la medicina costituisca il regno del ragionamento incerto. Il “campo d’esistenza “dei modelli di tipo deterministico, che pure hanno rivestito un ruolo fondamentale nella storia della medicina, e’ stato infatti circoscritto entro limiti assai ristretti. Cosi’, il settore della patologia delle malattie infettive e’ dominato dal paradigma della microbiologia, che e’ di impronta chiaramente meccanicistica. Esso si basa infatti sull’individuazione di un solo anello della catena causale: la presenza, nell’organismo, di uno specifico germe al quale la medicina attribuisce un preciso ruolo causale nel determinismo di una malattia infettiva. In questa cornice, dunque, il microrganismo funge da causa necessaria e sufficiente dell’evento, accertabile mediante l’autopsia, che e’ il mezzo che permette di “svelare” la causa della malattia e di avviare l’attivita’ di classificazione. Emblematica, in tale contesto, e’ la fenomenologia inerente alle patologie da covid-19.
Ma questo schema deterministico non si attaglia a una molteplicita’ di altri settori della fenomenologia d’interesse medico-chirurgico, in cui il paradigma monocausale viene sostituito da un concetto di causazione multipla e reticolare. La relazione eziologica diventa piu’ complessa e i criteri per il suo riconoscimento ne escono indeboliti, cosi’cche’ la spiegazione causale assume un carattere inevitabilmente probabilistico, incapace di fornire predizioni individuali. In questo orizzonte viene in rilievo il concetto di causalita’ sistemica o circolare.
In generale, vi e’ ampia convergenza, in sede scientifica ed epistemologica, sul concetto di sistema come complesso di componenti in interazione fra loro. Il concetto piu’ generale di sistema e’ pertanto quello di interazione dinamica fra molte variabili. Sistema e’ il corpo umano; sistema e’ la psiche; ma sistema e’ anche una centrale nucleare, un aeroporto o un’impresa industriale, in cui entrano in gioco componenti umane, materiali, tecnologiche, finanziarie e via dicendo. Essendovi dunque una connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario, i fenomeni sistemici non sono decifrabili nei termini di una correlazione causa-effetto, dovendo invece essere inquadrati come l’esito di reciproci condizionamenti tra le componenti del sistema. Si prenda ad esempio il corpo umano. Il corpo umano e’, come si diceva, un sistema, vale a dire un insieme di componenti in costante interazione tra loro. E dunque il corpo umano e’ uno dei luoghi privilegiati per l’esplicarsi di fenomeni di causalita’ sinergica. Ma ben possono innescarsi anche sequenze causali di natura lineare. Si consideri il caso in cui alla somministrazione di un medicinale a cui un paziente sia allergico, consegua l’exitus. Muovendo dalla premessa in facto costituita dalla somministrazione del medicinale e dal dato anamnestico, in ipotesi risultante dalla documentazione sanitaria, relativo alla sussistenza dell’allergia, e’ assai agevole concludere, eliminando mentalmente il fattore somministrazione del medicinale in questione, che il decesso del paziente non si sarebbe verificato. Dunque sara’ sempre formulabile in termini di certezza o di probabilita’ prossima alla certezza, il giudizio controfattuale, poiche’ in queste sequenze dato il fattore A, consegue deterministicamente l’effetto B. La catena causale e’ quindi, in tali casi, trasparente e del tutto decifrabile. Nel contesto delle sequenze eziologiche di carattere lineare, e’ infatti possibile, sulla base di un parametro nomologico di elevata affidabilita’, isolare, nell’ambito della serie eziologica, un ben preciso fattore da porre in correlazione causale con l’evento morte o lesioni. Ma in moltissimi altri contesti i collaudati schemi deterministici di interpretazione della malattia sono stati sostituiti, come abbiamo visto, da un paradigma imperniato sulla causazione multipla e reticolare. In questo quadro, la complessita’ della ricostruzione eziologica e’ da ricercare nella sua circolarita’. Si consideri, ad esempio, il meccanismo della cancerogenesi, oggetto della fattispecie concreta in esame. In esso la circolarita’ dei fattori eziologici, attenendo all’attivazione dei complessi dispositivi di difesa dell’organismo che cercano di arrestare la forza espansiva della patogenesi, da’ luogo ad un fenomeno la cui complessita’ e’ destinata ad accrescersi perche’ le resistenze individuali dipendono, a loro volta, dalle condizioni generali dell’individuo, dalla sua storia personale, dalla sua conformazione genetica e via dicendo. Di qui la natura essenzialmente probabilistica dei tumori e l’impossibilita’ di formulare predizioni individuali. In questa prospettiva e’ stato evidenziato come l’affermazione “questa sostanza e’ cancerogena” sia sempre avvolta da incertezza, in quanto non esiste nessuna conoscenza nomologico-deduttiva o meccanicistica circa la biologia tumorale. Sebbene la scienza abbia iniziato a far luce sui misteri molecolari legati al cancro, conclusioni deduttive circa la cancerogenesi non sembrano tuttora possibili ne’ sembra possibile che i ricercatori possano a breve fare scoperte significative. L’epidemiologia dei tumori, cosi’ come quella delle patologie cardiovascolari, ha da tempo rinunciato alla tradizionale concezione aristotelica fondata su cause necessarie e sufficienti, sulla ricerca di lesioni anatomiche univoche e caratteristiche per ogni malattia e su una rigida tassonomia delle cause e delle malattie (cioe’ su una concezione semplificata ed astratta della causalita’). Nello studio dei tumori, il modello causale distingue tra le cause esterne (esposizioni cui l’individuo e’ sottoposto nel corso della vita), il meccanismo interno (sequenza di stadi documentabili a livello molecolare) e la suscettibilita’ individuale, basata, per esempio, su una diversa capacita’ di metabolizzare le sostanze cancerogene e su diverse capacita’ riparative del DNA. Un modello multifattoriale analogo, in cui siano pertinenti sia “esposizioni” esterne di tipo relazionale-ambientale, sia una predisposizione di tipo poligenico, cioe’ dovuta al concorso di piu’ geni, puo’ essere fruttuoso anche in psichiatria.
E, in quest’ordine di idee, e’ stato evidenziato come, sul piano della ricerca delle cause, anche lo studio delle malattie croniche sia approdato all’enucleazione di un modello causale probabilistico e multifattoriale, che, con ogni verosimiglianza, e’ valido anche per le patologie cardiovascolari e per quelle psichiatriche.
Occorre prendere atto, in questo orizzonte, della mancanza di leggi di copertura che siano connotate da una regolarita’ tale da consentire di istituire una correlazione tra le concause e l’evento che permetta di affermare che, ove ricorra un dato plesso eziologico, l’accadimento lesivo conseguira’ con elevata probabilita’. Il modello deterministico viene sostituito da reti di causazione multipla, in cui la spiegazione causale assume un carattere probabilistico e nel contesto delle quali il verificarsi dell’evento deriva da una pluralita’ di fattori che raramente si prestano ad essere interpretati come condizioni necessarie dell’evento stesso. Abbiamo dunque avuto modo di evidenziare come, laddove le interazioni causali diventino complesse e assumano una fisionomia “reticolare”, la scienza si dimostri spesso incapace di decrittarle. Se cio’, da un lato, refluisce sulla tematica della colpa, implicando la questione della ravvisabilita’ del requisito della prevedibilita’, e’ innegabile come, per altro verso, si ripercuota sulla problematica relativa alla ricostruzione della seriazione causale, rivelando come, nell’ambito di un circuito eziologico di natura sistemica, sia assai spesso difficile, se non impossibile, individuare condizioni “necessarie” e cioe’ fattori eliminando mentalmente i quali possa asserirsi, in termini di elevata probabilita’ ed ancor meno di certezza, che l’evento non si sarebbe verificato. Ne deriva l’impossibilita’ di formulare il giudizio controfattuale in termini di certezza od anche soltanto di probabilita’ prossima alla certezza. Qui dunque non siamo di fronte ad una semplice difficolta’ probatoria ma una vera e propria inadeguatezza del concetto tradizionale di “causa”, nell’accezione adottata dalla teoria condizionalistica. E’ questo quindi il punto focale della problematica in disamina: nell’ambito della causalita’ sistemica, si registra un interagire di fattori nel contesto del quale e’ certo che un determinato fattore abbia arrecato un contributo eziologico talora di rilevante portata ma e’ assai incerto se, in assenza di esso, l’evento si sarebbe verificato o meno. In questo orizzonte, la ricostruzione delle sequenze causali si risolve talora in una relazione di mera possibilita’ implicativa fra l’antecedente e il conseguente. Di qui in passato il frequente ricorso al paradigma dell’aumento del rischio, che aveva, di fatto, soppiantato il modello nomologico.
3. In questo quadro, in relazione specificamente al caso dell’omessa diagnosi precoce di un tumore, si sostiene che, poiche’ la sopravvivenza si riduce in funzione del progredire della patologia, esista nesso di causalita’ tra la mancata tempestiva diagnosi della neoplasia e l’evoluzione del tumore, cui sia conseguito l’exitus. E’ pero’ evidente come tale correlazione non possa essere istituita in termini deterministici, esistendo innumerevoli casi di tumori diagnosticati e trattati adeguatamente ad uno stadio iniziale che, cio’ nonostante, conducono a morte il soggetto in tempi quanto mai rapidi. In queste ipotesi, l’accertamento della causalita’ si esaurisce, in ultima analisi, nella verifica dell’aumento – o meglio della mancata diminuzione del rischio – per effetto della condotta del sanitario. Da un lato, infatti, non e’ sostenibile che il ritardo diagnostico-terapeutico non apporti alcun contributo eziologico nel processo patologico sfociato nell’exitus, in quanto non vi e’ dubbio che, ove la diagnosi del tumore e le conseguenti terapie medico-chirurgiche intervengano tempestivamente, si evita di lasciar trascorrere un lasso di tempo durante il quale la patologia ha modo di progredire e, in ipotesi, di metastatizzare. Dunque, siamo certi dell’apporto eziologico arrecato dalla condotta del medico alla sequenza causale. Ma, di fronte al quesito controfattuale, noi ben difficilmente possiamo giungere alla formulazione di risposte tassative. Quale e’ stato l’effettivo peso eziologico del ritardo- Ove il medico avesse posto in essere il comportamento alternativo lecito e cioe’ ove fosse venuto a mancare il fattore eziologico costituito dal detto ritardo, quale sarebbe stata l’evoluzione della malattia e quali i tempi- Ove si sostenga che la sopravvivenza si riduce in funzione della crescita del cancro e che dunque esiste nesso di causalita’ tra la mancata tempestiva diagnosi della neoplasia e l’evoluzione del tumore, cui sia conseguito l’exitus, e’ evidente come tale correlazione non possa essere istituita in termini deterministici. In sostanza, l’evento ri-descritto, cui si rapporta la detta verifica, non coincide piu’ con la morte o con le lesioni bensi’ con le chances di salvezza. La verita’ e’ che, in un contesto di causalita’ sistemica, come e’ quello relativo alla genesi e allo sviluppo delle patologie neoplastiche, e’ estremamente difficile – e spesso impossibile stabilire, in sede controfattuale, cosa sarebbe successo in mancanza di un determinato fattore eziologico.
Cio’ deriva dalla natura stessa dei fenomeni biologici, ai quali e’ estraneo il determinismo proprio delle leggi della fisica ed e’ invece connaturale una incertezza non dovuta a lacune o ad oggettive difficolta’ di prova ma immanente al giudizio controfattuale, come giudizio, per definizione, ipotetico. In questo quadro e’ assai spesso difficile stabilire se l’errore umano abbia costituito o meno “condizione necessaria” dell’evento. Nell’articolata trama dell’interagire sistemico e’, infatti, nell’id quod plerumque accidit, estremamente difficile stabilire se l’evento si sarebbe verificato o meno ove lo specifico fattore costituito dall’errore umano non vi fosse stato. Cio’ d’altronde appare determinato da un fatto oggettivo, che e’ alla base della crisi della causalita’ d’impronta nomologica: la mancanza di leggi di copertura che siano connotate da una regolarita’ tale da consentire di istituire una correlazione tra le concause e l’evento che consenta di affermare che, ove ricorra un dato plesso eziologico, l’accadimento lesivo conseguira’ con elevata probabilita’. Ove il modello deterministico venga sostituito da reti di causazione multipla, in cui la spiegazione causale assuma carattere probabilistico; oppure laddove dall’interazione di singole condotte scaturiscano eventi di dimensioni quantitativamente e qualitativamente diverse da quelle eziologicamente ricollegabili al contributo di ciascuna condotta; o il verificarsi dell’evento derivi, come avviene di norma nel contesto di un sistema, da una pluralita’ di condotte seriali che raramente si prestano ad essere ricostruite come condizioni necessarie dell’evento stesso, il paradigma condizionalistico di stampo nonnologico-deduttivo viene messo seriamente alla frusta nelle sue capacita’ esplicative.
4. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha affermato che, se la diagnosi fosse stata posta, come ritenuto possibile dal perito, gia’ dal gennaio 2014, quando le dimensioni della massa tumorale erano assai piu’ contenute rispetto a quelle accertate alla fine di quell’anno (7 cm contro 14 cm), sarebbe stato possibile il trattamento di elezione del sarcoma ossia la sua asportazione, risultando, del resto, pacifico un dato fondamentale ossia che, a quella data, non vi era un interessamento dei linfonodi. Il perito ha ribadito, nel corso del suo esame, che l’approccio principale e’ quello chirurgico di asportazione del tumore, quando cio’ e’ tecnicamente possibile. Ha sostenuto che il tumore, cosi’ come emergente dalla risonanza magnetica nucleare del (OMISSIS), fosse certamente resecabile e che non vi erano elementi per sostenere che fossero presenti metastasi linfonodali. In ogni caso, a fronte di una diagnosi tempestiva, anche se ci fossero state delle micro metastasi, esse potevano essere identificabili con appropriati strumenti diagnostici e sarebbe stata effettuata quella che viene chiamata dissezione linfonodale terapeutica” che avrebbe dato dei risultati. Diversamente, dal (OMISSIS) l’operazione di dissezione del tumore non era piu’ possibile, poiche’ la massa si era raddoppiata, raggiungendo le dimensioni di circa 14 cm e vi era infiltrazione nei tessuti delle fasce muscolari, si’ da rendere la massa non piu’ asportabile. Dunque la mancata diagnosi comporto’ una riduzione delle possibilita’ terapeutiche, avendo reso impraticabile l’asportazione del tumore, ritenuta invece possibile alla data del gennaio 2014, quando questo avrebbe dovuto essere diagnosticato. La mancata tempestiva diagnosi impedi’ altresi’ la terapia radiante, pure indicata come terapia coadiuvante di quella chirurgica. Comporto’ altresi’ un aggravamento delle condizioni cliniche della paziente perche’ si e’ passati dall’assenza di linfonodi all’estesa disseminazione metastatica linfonodale, con impossibilita’ di procedere altresi’ alla dissezione linfonodale. Tuttavia lo stesso giudice a quo rileva come il perito avesse evidenziato nella relazione a sua firma, e ribadito nel corso del suo esame, che una diagnosi tumorale tempestiva di una neoplasia quale quella che aveva colpito la persona offesa aveva una percentuale di sopravvivenza a cinque anni intorno al 20-25%. Il perito – argomenta il giudice a quo – aveva correttamente indicato come, nel caso di specie, ci si trovasse dinanzi a una forma tumorale particolarmente aggressiva (sarcoma a cellule chiare), di dimensioni superiori a 5 cm gia’ nel (OMISSIS), posta in sede profonda, ad elevato indice cinetico, con scarsa o nulla risposta alla chemioterapia: fattori che consentivano di classificare il tumore come una forma estremamente aggressiva fin dall’esordio, allorche’ poteva essere collocata nello stadio terzo. La riconduzione del tumore, a fine 2014, allo stadio quarto derivava dalle dimensioni assunte dalla documentata presenza di metastasi linfonoclali regionali, assenti nel dicembre 2018. Dunque il ritardo diagnostico aveva certamente determinato un salto di stadio. Orbene – precisa la Corte d’appello se si tiene conto della particolare aggressivita’ del tumore, devono utilizzarsi le percentuali di sopravvivenza a cinque anni, riportate in letteratura, piu’ sfavorevoli e dunque, quanto allo stadio terzo, pari al 19% e quanto allo stadio quarto pari a zero. Ne consegue che le chances di sopravvivenza si erano ridotte per il caso in esame del 19%. Tali conclusioni contrastano con l’asserto relativo alla ravvisabilita’ di un’alta probabilita’ logica.
5. Per comprendere il concetto di probabilita’ logica occorre muovere dalla summa divisio, nell’ambito della categoria delle leggi scientifiche, tra leggi di carattere universale e leggi di carattere statistico. Le prime sono quelle che asseriscono, nella successione di determinati eventi, invariabili regolarita’, senza eccezioni. Le seconde si limitano invece ad affermare che il verificarsi di un evento e’ accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa. Sono leggi universali, ad esempio, le asserzioni: tutte le volte in cui una sbarra di ferro magnetizzata viene spezzata in due, entrambe le sue parti sono ancora magneti; se un individuo viene lasciato senza mangiare ne’ bere, muore. Sono invece leggi statistiche le asserzioni del tipo: se viene lanciato un dado simmetrico, la probabilita’ che esso si arresti volgendo verso l’alto una determinata faccia e’ di uno a sei; il fumo provoca il cancro al polmone; l’esposizione a cloruro di vinile monomero provoca l’angiosarcoma epatico. Leggi probabilistiche si incontrano praticamente in tutte le discipline, dalla fisica all’economia, dalla biologia alla medicina, dalla psicologia alle scienze sociali. Si distinguono leggi probabilistiche epistemiche e leggi probabilistiche intrinseche: le prime assumono che esistano, in relazione ai fenomeni oggetto d’indagine, autentiche leggi universali, che pero’ sono ignote, ragion per cui il probabilismo e’ soltanto frutto dei limiti della conoscenza scientifica attuale; le seconde costituiscono invece, per quel che ad oggi e’ dato sapere, autentiche leggi stocastiche, irriducibili a leggi universali. La Corte di cassazione ha affermato che il ricorso alle leggi statistiche da parte del giudice e’ piu’ che legittimo perche’ il modello della sussunzione sotto leggi sottende, il piu’ delle volte, necessariamente il distacco da una spiegazione causale deduttiva che implicherebbe una impossibile conoscenza di tutti i fatti e di tutte le leggi pertinenti (Cass., Sez. 4, 6 dicembre 1990, Bonetti, relativa alla frana di Stava, verificatasi il 9 luglio 1985). E, correttamente” le Sezioni unite hanno sottolineato che, ove si ripudiasse la natura eminentemente induttiva dell’accertamento giudiziale e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di utopistica certezza assoluta, si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari, stabilendo conseguentemente che la spiegazione causale dell’evento puo’ essere tratta da leggi scientifiche, universali o statistiche, enucleabili anche da rilevazioni epidemiologiche (Sez. U, 10 luglio 2002, Franzese, cit.).
Indubbiamente, pero’, qualora si circoscrivesse lo spettro cognitivo alla sola considerazione dello spessore statistico-quantitativo del parametro nomologico utilizzato, laddove venisse adottata, come premessa maggiore del sillogismo esplicativo, una legge statistica con coefficiente percentualistico elevato ma non prossimo al 100%, gli approdi decisori assai raramente si configurerebbero in termini di certezza. Ad esempio, si considera statisticamente provato che il fumo possa produrre il cancro al polmone. Tuttavia, non soltanto vi sono accaniti fumatori che non contraggono il cancro al polmone ma vi sono anche molte persone che contraggono questo tipo di tumore senza aver mai fumato: quindi il fumo non ne costituisce condicio sine qua non. Ne deriva che perfino se riscontrassimo un cancro al polmone in un fumatore, non potremmo concludere con certezza che il fumo ne sia stato la causa. A fortiori, una correlazione statistica di bassa frequenza non e’ in grado di fondare l’imputazione causale dell’evento singolo. Per colmare le carenze epistemiche derivanti dall’utilizzo di parametri nomologici che, di per se’, non assicurano la certezza, e’ stato dunque elaborato, in giurisprudenza, il concetto di “probabilita’ logica”. Su questo versante, viene in rilievo la differenza fra probabilita’ statistica e probabilita’ logica. Mentre la prima attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi, la seconda contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilita’ dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilita’ dell’accertamento giudiziale. Dunque, il concetto di probabilita’ logica impone di tener conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi astrattamente idonei a modificarla. Ad esempio: dall’indagine statistica si rileva che la somministrazione di una determinata terapia per contrastare una certa patologia, ha avuto efficacia positiva nell’80% dei casi. Rimanendo ancorati al dato statistico, non e’ possibile affermare il nesso di condizionamento tra la condotta del medico che abbia omesso di prescrivere la terapia e la morte del paziente perche’ residuerebbe un rischio troppo elevato di condannare un innocente, dato che nel 20% dei casi la terapia non ha avuto efficacia risolutiva. Se la probabilita’ statistica viene invece integrata da tutti gli elementi forniti dall’evidenza disponibile, e’ possibile pervenire ad una valutazione, in un senso o nell’altro, connotata da un elevato grado di credibilita’ razionale, non piu’ espresso in termini meramente percentualistici. Le caratteristiche del caso concreto da prendere in considerazione potranno inerire all’eta’, al sesso del paziente, allo stadio cui era pervenuta la patologia, alla tempestivita’ dell’accertamento della malattia, alle condizioni di salute generale del soggetto, alla presenza di altre patologie, alla necessaria assunzione, da parte del paziente, di altri farmaci che interferiscono con la terapia praticata e, in generale, a tutte le circostanze che possono aumentare o diminuire le speranze di sopravvivenza. E le Sezioni unite, nella sentenza Franzese, hanno affermato che anche coefficienti medio-bassi di probabilita’ c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica o da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche, pur imponendo verifiche particolarmente attente sia in merito alla loro fondatezza che alla specifica applicabilita’ alla fattispecie concreta, possono essere utilizzati per l’accertamento del nesso di condizionamento, ove siano corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza, nel caso di specie, di altri fattori interagenti in via alternativa. Il procedimento logico, non dissimile, secondo le Sezioni unite, dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettata, in tema di prova indiziaria, dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, deve pertanto condurre alla conclusione, caratterizzata da “un alto grado di credibilita’ razionale”, quindi alla “certezza processuale “, che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell’imputato, alla luce della cornice nomologica e dei dati ontologici, sia stata condizione “necessaria” dell’evento, attribuibile percio’ all’agente come fatto proprio.
L’ulteriore passo sara’ costituito, nell’ottica del giudizio di probabilita’ logica, dalla ricerca – ed eventualmente, dall’esclusione – di decorsi causali alternativi. Dunque l’attivita’ investigativa del pubblico ministero prima e quella istruttoria del giudice poi non devono essere dirette soltanto ad ottenere la conferma dell’ipotesi formulata ma devono riguardare anche l’esistenza di fattori causali alternativi, che possano costituire elementi di smentita dell’ipotesi prospettata. L’impossibilita’ di escludere, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di fattori causali alternativi non consente di ritenere processualmente certo il rapporto di causalita’ e dunque di attribuire, sotto il profilo oggettivo, l’evento all’imputato. In giurisprudenza, si e’, in proposito, precisato pero’ che il giudice deve adeguatamente motivare la conclusione sulla possibile esistenza di fattori alternativi di spiegazione dell’evento e non puo’ contrapporre ai dati di fatto accertati mere congetture per ipotizzare tali spiegazioni alternative (Cass., Sez. 4, 2 marzo 2005, Herreros). E le Sezioni unite hanno ribadito che il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sulla base dell’analisi delle connotazioni del fatto storico e delle peculiarita’ del caso concreto. (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261103).
6. Nel caso in esame dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che anche se la diagnosi fosse stata tempestiva la probabilita’ di sopravvivenza a cinque anni non avrebbe superato il 25%: da cio’ si evince come nel 75% delle probabilita’, anche se la diagnosi e la terapia fossero state tempestive, la persona offesa sarebbe morta lo stesso. Non e’ dunque possibile formulare in termini di alta probabilita’ logica o credibilita’ razionale il giudizio controfattuale. A cio’ si aggiunga che la Corte d’appello sembra aver ignorato l’effettiva portata delle conclusioni della perizia espletata, cosi’ come emergono dal relativo elaborato, allegato al ricorso. Il perito ha infatti concluso nel senso che non e’ possibile stabilire un nesso causale con un livello di probabilita’ prossimo alla certezza tra il ritardo diagnostico di circa nove mesi e il decesso di (OMISSIS), che invece va piu’ che verosimilmente attribuito all’aggressivita’ intrinseca della neoplasia, gia’ apprezzabile nel (OMISSIS), in considerazione delle sue dimensioni, della sede profonda e del tipo istologico. Sono certamente ravvisabili profili di negligenza e imprudenza nell’operato del medico, che non rilascio’ alcun referto clinico ecografico utile ai fini dell’inquadramento diagnostico della malattia, anche da parte di terzi, e soprattutto non avvio’ la paziente a visita specialistica ortopedica ne’ ad ulteriore esame di risonanza magnetica, nonostante quanto raccomandato dal medico che referto’ la risonanza magnetica del ginocchio e della gamba destra del (OMISSIS). Da tali profili di responsabilita’ professionale derivo’ un ritardo diagnostico quantificabile nell’ordine di circa nove mesi, durante i quali la neoplasia registro’ una evoluzione clinica dal terzo al quarto stadio. Tale progressione neoplastica decurto’ ulteriormente le chances di sopravvivenza della paziente ma non e’ possibile stabilire un nesso causale con un livello di probabilita’ prossimo alla certezza tra l’evoluzione del tumore correlata al ritardo diagnostico e il decesso della persona offesa. Non e’ infatti possibile stabilire se la persona offesa sarebbe sopravvissuta per un maggior periodo di tempo in caso di diagnosi piu’ tempestiva, poiche’ nel caso di specie ci si trovava in presenza di una forma tumorale particolarmente aggressiva (sarcoma a cellule chiare), oltre che rara, di dimensioni superiori ai 5 cm gia’ nel (OMISSIS), posta in sede profonda, ad elevato indice cinetico (40%), con aree di necrosi all’imaging e con scarsa o nulla risposta alla chemioterapia: tutti fattori questi che la classificano come una forma estremamente aggressiva fin dall’esordio.
La Corte d’appello avrebbe dunque dovuto confrontarsi con tali conclusioni dell’indagine peritale che invece ha completamente ignorato. Cio’ costituisce, pertanto, vizio della sentenza impugnata che non puo’ non imporre un pronunciamento rescindente.
7. La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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