Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 giugno 2022| n. 20054.
Remissione in termini e la causa impeditiva
L’istituto della rimessione in termini nell’ambito processuale mira a riparare ad ipotesi di decadenza determinate da una causa non imputabile alla parte o al suo difensore, perché cagionata da un fattore estraneo alla loro volontà. Il mancato compimento dell’atto nel termine stabilito deve trovare pertanto motivo in un fatto o in una situazione incolpevole che ha impedito al soggetto di osservare il termine previsto dalla legge. In tale prospettiva, deve escludersi che la mera incertezza interpretativa in ordine al significato precettivo di una norma processuale possa dar luogo ad una ipotesi che giustifichi la rimessione in termini, non potendo, per definizione, il dubbio interpretativo porsi come causa impeditiva determinante e non superabile al compimento dell’atto. Né, a maggior ragione, l’istituto in questione può trovare applicazione nel caso in cui l’inosservanza dipenda da un errore di interpretazione della norma, atteso che, per il principio di autoresponsabilità, è necessario che il fatto impeditivo non sia imputabile alla parte stessa (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso riconosciuto per l’attività di consulente tecnico d’ufficio reso in altro giudizio, in cui il tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso per tardività avverso il capo della sentenza impugnata, la Suprema Corte, rigettando l’impugnazione, ha ritenuto incensurabile il rigetto da parte del tribunale medesimo dell’istanza di rimessione in termini ai fini della tempestività dell’opposizione, trovando nella circostanza la stessa la sua unica giustificazione in una situazione d’incertezza interpretativa e non già da fatti obiettivi di carattere impeditivo). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3782; Cassazione, sezione civile VI, sentenza 29 luglio 2010, n. 17704).
Ordinanza|21 giugno 2022| n. 20054. Remissione in termini e la causa impeditiva
Data udienza 7 giugno 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Procedimento civile – Termini – Art. 34 dlgs 150/2011 – Modifica dell’art. 170 dpr 115/2002 – Incertezza interpretativa in ordine al significato precettivo di una norma processuale – Ricorso al rimedio della rimessione in termini – Esclusione – Dubbio interpretativo – Causa impeditiva determinante e non superabile al compimento dell’atto – Non configurabilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso per procura alle liti a margine del ricorso dagli Avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l.; (OMISSIS);
– intimati –
avverso l’ordinanza del Tribunale di Vicenza del 28. 3. 2017;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Mario Bertuzzi nella camera di consiglio del 7.6.2022.
Remissione in termini e la causa impeditiva
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ordinanza del 28. 3. 2017 il Tribunale di Vicenza dichiaro’ inammissibile, per tardivita’, il ricorso proposto da (OMISSIS) avverso il capo della sentenza n. 221 del 2015 pronunciata dal medesimo Tribunale che gli aveva liquidato, per l’attivita’ prestata quale consulente tecnico d’ufficio nel giudizio svoltosi tra la (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS), la somma di Euro 1.800,00.
Il Tribunale motivo’ tale conclusione rilevando che ai sensi del nuovo testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170 applicabile nella fattispecie, come modificato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34 le controversie ivi previste sono regolate dal rito sommario di cognizione, con l’effetto che, in base all’interpretazione accolta dalla sentenza di rigetto della Corte costituzionale n. 106 del 2016, l’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso dell’ausiliario del giudice deve essere proposta, a pena di decadenza, nel termine di 30 giorni stabilito in via generale dall’articolo 702 quater c.p.c., che nella specie non risultava osservato, essendo stato il provvedimento impugnato notificato all’interessato il 16. 6. 2015 e l’opposizione avanzata il 30.7.2016. Rigetto’ inoltre l’istanza di rimessione in termini avanzata dal ricorrente, reputando a tal fine irrilevante che la sentenza della Corte costituzionale suindicata, posta a sostegno della richiesta, fosse sopravvenuta nel corso del giudizio.
Per la cassazione di questa ordinanza, con atto notificato il 14.6.2017, ricorre, sulla base di due motivi, (OMISSIS).
Le parti intimate non hanno svolto attivita’ difensiva.
La causa e’ stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 153 c.p.c., comma 2, lamentando la reiezione da parte del Tribunale della istanza di rimessione in termini ai fini della tempestivita’ dell’opposizione. In particolare il ricorrente si duole che, nel decidere su tale richiesta, il giudice a quo non abbia considerato che la soluzione interpretativa prevalente al momento della proposizione della opposizione era nel senso che la modifica del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170 ad opera del Decreto Legislativo n. 115 del 2011, articolo 34 che, nell’abrogare la disposizione precedente, che fissava il termine per l’opposizione in 20 giorni, nulla disponeva al riguardo, avesse di fatto consentito la proposizione dell’opposizione sine die, nel termine di prescrizione del diritto, e che la sentenza della Corte costituzionale applicata dal giudicante era intervenuta in corso di causa, dopo vale a dire il deposito del ricorso. Si rappresenta inoltre che la conclusione sul punto della ordinanza impugnata e’ stata diametralmente opposta da altro provvedimento del Tribunale di Venezia, che invece, in un caso del tutto identico, aveva accolto la richiesta di rimessione in termini del ricorrente.
Il motivo e’ infondato.
L’istituto della rimessione in termini nell’ambito processuale mira a riparare ad ipotesi di decadenza determinate da una causa non imputabile alla parte o al suo difensore, perche’ cagionata da un fattore estraneo alla loro volonta’. Il mancato compimento dell’atto nel termine stabilito deve trovare pertanto motivo in un fatto o in una situazione incolpevole che ha impedito al soggetto di osservare il termine previsto dalla legge.
In tale prospettiva deve escludersi che la mera incertezza interpretativa in ordine al significato precettivo di una norma processuale possa dar luogo ad una ipotesi che giustifichi la rimessione in termini, non potendo per definizione il dubbio interpretativo porsi come causa impeditiva determinante e non superabile al compimento dell’atto (Cass. n. 3782 del 2018). Ne’, a maggior ragione, l’istituto in questione puo’ trovare applicazione nel caso in cui l’inosservanza dipenda da un errore di interpretazione della norma, atteso che, per il principio di autoresponsabilita’, e’ necessario che il fatto impeditivo non sia imputabile alla parte stessa (Cass. n. 17704 del 2010).
Remissione in termini e la causa impeditiva
Tanto precisato, il rigetto da parte del Tribunale della istanza di rimessione in termini avanzata dall’opponente si sottrae alla censura sollevata di violazione di legge alla luce della considerazione che l’istanza stessa era unicamente giustificata da una incertezza normativa e non da fatti obiettivi di carattere impeditivo.
In particolare l’incertezza interpretativa nasceva dalla considerazione di alcuni commentatori che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34 nel modificare del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, l’articolo 170 aveva abolito la previsione secondo cui l’opposizione doveva proporsi entro il termine di 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento, senza prevedere espressamente un altro termine, mancanza che aveva portato a formulare ipotesi diverse, tra cui quella secondo cui l’opposizione fosse divenuta proponibile sine die, entro il termine di prescrizione del credito, ed altra favorevole invece ad applicare il termine generale di impugnazione di cui all’articolo 327 c.p.c.. L’incertezza e’ stata poi risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 106 del 12. 5. 2016, che, disattendendo l’interpretazione – sostenuta dalla ordinanza di rimessione di questa Corte n. 6652 dell’1.4.2015 – secondo cui la nuova disposizione non fissava alcun termine per la proposizione dell’opposizione, ha affermato che tale termine era invece indicato in forza del richiamo fatto dall’articolo 170 al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 15 che dichiara applicabili al procedimento le norme del rito sommario di cognizione, cioe’ specificatamente dall’articolo 702 quater c.p.c., ritenuto applicabile, per esigenze di omogeneita’ del rito, sia all’opposizione avverso il decreto sulle spese di giustizia, sia all’appello avverso l’ordinanza di cui all’articolo 702 ter c.p.c.
Alla luce di tali considerazioni il motivo e’ respinto, dovendosi ribadire il principio che le questioni interpretative di diritto non sono suscettibili di dar luogo a situazioni idonee ad attivare l’istituto della rimessione in termini.
Merita aggiungere, per completezza, che nel caso di specie nemmeno poteva trovare applicazione la diversa figura dell’overruling, come elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte con la sentenza a Sezioni unite n. 15144 del 2011, non sussistendo al momento della proposizione del ricorso un orientamento consolidato della giurisprudenza favorevole alla tesi della proponibilita’ dell’opposizione senza termine, su cui la parte avrebbe confidato incolpevolmente prima dell’affermazione dell’orientamento contrario.
Il secondo motivo, che denunzia violazione dell’articolo 702 quater c.p.c., contesta l’interpretazione seguita dall’ordinanza impugnata del Tribunale di Vicenza, circa l’applicabilita’ all’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione delle spese di giustizia del termine di decadenza di 30 giorni fissato dalla citata disposizione.
Il motivo e’ manifestamente infondato.
La questione sollevata dal ricorrente risulta gia’ affrontata da questa Corte con la sentenza n. 4423 del 2017, che il Collegio condivide, che, ponendosi sulla linea interpretativa tracciata dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 106 del 2016, ha affermato che l’opposizione avverso il decreto di pagamento dei compensi degli ausiliari del giudice deve essere proposta entro il termine previsto dall’articolo 702 quater c.p.c., precisando che tale disposizione trova applicazione non in via analogica, ma direttamente, in forza dell’esplicito rinvio contenuto nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170 al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 15 che dichiara applicabili al procedimento le disposizioni dettate per il rito sommario di cognizione.
Il ricorso non offre del resto elementi validi di confutazione di tale orientamento, idonei a prospettarne un mutamento in senso favorevole al ricorrente.
Il ricorso va pertanto respinto.
Nulla sulle spese, non avendo le parti intimate svolto attivita’ difensiva.
Si da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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