Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 27 marzo 2019, n. 13363.
La massima estrapolata:
In caso di reiterate telefonate, anche mute o anonime, ai fini della configurabilità del reato di molestia o disturbo alle persone è necessario che queste suscitino nella vittima una situazione di turbamento psichico idonea ad influire nella propria sfera privata. Non sussiste particolare tenuità del fatto se tali condotte, reiterate e dunque munite del carattere della petulanza, risultano in ogni caso idonee ad influire negativamente nella sfera privata della persona.
Sentenza 27 marzo 2019, n. 13363
Data udienza 10 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Mariastefan – Presidente
Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere
Dott. FIORDALISI Domeni – rel. Consigliere
Dott. CASA Filippo – Consigliere
Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/11/2017 del TRIBUNALE di LANCIANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. DOMENICO FIORDALISI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott.ssa PICARDI ANTONIETTA, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per riconoscimento articolo 131 bis.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano del 3 novembre 2017, con la quale e’ stato condannato alla pena di Euro 200,00 di ammenda, in ordine al delitto di molestia e disturbo alle persone, ai sensi dell’articolo 660 c.p., perche’, per mezzo del telefono e per biasimevole motivo, recava molestia a (OMISSIS), effettuando numerosissime telefonate, di giorno e di notte, molte delle quali pervenivano sul cellulare della stessa e risultavano “mute” e anonime. Fatto accertato in (OMISSIS).
2. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che l’imputato, che aveva gia’ riportato condanne penali per fatti analoghi, era stato identificato grazie all’acquisizione dei tabulati della persona offesa, la quale impaurita aveva denunciato in modo preciso gli orari in cui erano pervenute le telefonate moleste al proprio cellulare. Gli squilli reiterati e le telefonate, pur essendo mute, avevano creato turbamento emotivo nella persona offesa. Per il giudice di merito, (OMISSIS), infatti, aveva reso una dettagliata testimonianza, manifestando uno stato di “sofferenza” anche nel corso della deposizione.
3. Denuncia il ricorrente illogicita’ della motivazione in presenza di elementi trascurati dal giudicante, nonche’ violazione e falsa applicazione dell’articolo 660 c.p., perche’ il Tribunale non avrebbe considerato che, dalla lettura della deposizione testimoniale della persona offesa, non si evince un’interferenza nella sua liberta’, ne’ alcuna mutazione delle sue condizioni di vita conseguente alla ricezione delle telefonate. Non risulterebbe, altrimenti, la prova di un grave disagio psichico o di un giustificato timore per la propria sicurezza, come richiesto dall’articolo 660 c.p..
Il ricorrente lamenta, altresi’, il mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131 bis c.p., essendo stato dimostrato che i contatti telefonici erano consistiti in un mero scherzo tra amici, circostanza che sarebbe stata confermata dalla stessa persona offesa nel corso della deposizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Giova premettere che il reato di molestie o di disturbo alla persona mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillita’ attuato mediante l’offesa alla quiete privata. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; onde l’interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, cosicche’ la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volonta’ delle persone molestate (Sez. 1, n. 32165 del 27/06/2014, Terzi, Rv. 261234).
Il reato in oggetto consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita di relazione (Sez. 1, n. 8198 del 19/01/2006, Paolini, Rv. 233438).
In particolare, ai fini della sussistenza del reato de quo, gli intenti scherzosi o persecutori dell’agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso e’ connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della liberta’ delle persone.
2. La Corte ritiene infondato il ricorso, perche’ il giudice di merito, indipendentemente dalle affermazioni della persona offesa che si era tranquillizzata dopo aver scoperto – grazie alle indagini di polizia giudiziaria svolte – l’identita’ dell’autore del fatto, ha evidenziato il persistente turbamento della stessa persona offesa da (OMISSIS), per le modalita’ della condotta posta in essere, consistita in telefonate mute e anonime, effettuate anche in tempo di notte sulla sua utenza telefonica.
Sicche’, correttamente il Tribunale ha fatto applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, per i quali anche i semplici squilli, se idonei a cagionare un turbamento o una molestia, integrano il reato contestato ed ha coerentemente disatteso la richiesta di applicazione dell’articolo 131 bis c.p., evidenziando il numero delle telefonate e degli squilli accertati sulla base dei tabulati, lo stato di sofferenza della vittima, manifestato anche durante la deposizione in aula e soprattutto che il condannato “non e’ nuovo a simili fatti”, cosi’ prendendo atto che non ricorre il caso di particolare tenuita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., che puo’ essere ravvisato solo quando il comportamento non e’ abituale e non e’ stato posto in essere con condotte plurime, abituali e reiterate.
3. Alla luce di quanto sopra, il ricorso appare infondato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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