Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 29 maggio 2019, n. 23796.
La massima estrapolata:
Ai fini della valutazione della possibile integrazione del reato di omesso versamento dell’Iva prevista dall’articolo 10-ter del Dlgs 74 del 2000 è normalmente irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il versamento. A meno che non sia stata provata l’adozione di tutte le iniziative possibili per provvedere alla corresponsione del tributo, ovvero che l’omesso versamento non sia dipeso dal mancato incasso dell’Iva per inadempimenti quando la fattura è stata emessa antecedentemente all’incasso del corrispettivo.
Sentenza 29 maggio 2019, n. 23796
Data udienza 21 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/04/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FIMIANI PASQUALE che conclude per l’inamnnissibilita’.
Udito il difensore (sost. proc. avv. Luponio Riccardo);
il difensore presente si riporta ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza del 23 aprile 2018 ha confermato la decisione con la quale, in data 26 marzo 2015, il Tribunale di Pesaro aveva affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) in ordine al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter, perche’, nella qualita’ di legale rappresentante di una societa’, ometteva di versare, entro il termine di legge, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta per l’anno 2010, per un importo pari ad Euro 491.394,00.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che, nel corso del procedimento penale, era emerso che l’IVA non era stata riscossa in quanto egli operava con regime fiscale in cui la genesi dell’obbligazione tributaria discendeva inevitabilmente dall’emissione della fattura e che, quindi, rendeva impossibile posticipare il pagamento dell’IVA non incassata; che l’importo da versare ammontava a centinaia di migliaia di Euro e che egli era rimasto in una situazione di incapienza fino al momento della scadenza del termine di rilevanza penale per il versamento ed, inoltre, che preso atto della natura irreversibile della crisi economica in cui versava l’azienda, nonostante i piani di ristrutturazione relativi a societa’ collegate alla sua, egli aveva presentato domanda di concordato preventivo con piano concordatario finalizzato al pagamento integrale dell’IVA in contestazione.
Fatta tale premessa, osserva che la Corte territoriale, in punto di valutazione dell’elemento soggettivo del reato, avrebbe effettuato un richiamo per relationem alla pronuncia di primo grado senza specificare espressamente quali parti della stessa condivideva e per quali ragioni.
Aggiunge che i giudici del gravame non avrebbero considerato la natura meramente cartolare dell’IVA ed il mancato incasso della stessa, limitandosi ad un sommario richiamo di massime giurisprudenziali, peraltro erroneamente considerate, senza tuttavia procedere ad una effettiva disamina del merito della questione.
Rileva, poi, che la Corte d’Appello avrebbe affermato la responsabilita’ facendo ricorso a mere presunzioni ed assunti apodittici, senza alcuna effettiva valutazione del compendio indiziario, configurando, peraltro, un giudizio esclusivamente colposo in capo all’imputato, anch’esso fondato su criteri astratti e, sostanzialmente, presuntivi laddove afferma, in modo del tutto assertivo, che vi sarebbero state altre possibilita’, in realta’ non esistenti, per onorare il debito tributario, come il ricorso ad altre societa’ del gruppo di appartenenza, le quali, pero’, versavano tutte in stato di grave crisi, ovvero ad eventuali risorse personali, anch’esse di fatto inesistenti o ad un residuo di liquidita’, pure inesistente.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce che i giudici del gravame sarebbero incorsi in un travisamento della prova laddove affermano che vi sarebbe la dimostrazione, in atti, del fatto che le risorse finanziarie sarebbero state destinate ad uno scopo diverso dai versamenti tributari a seguito di una scelta consapevole e che non sarebbe stato fatto ricorso al residuo di liquidita’, riferendosi quindi a fatti storici di fatto indimostrati.
Insiste, pertanto per l’accoglimento del ricorso.
La difesa del ricorrente ha poi depositato memoria, datata 4/3/2019, con la quale produce le motivazioni di altra pronuncia della medesima Corte di appello, la quale in diversa composizione, per analoghe condotte concernenti l’annualita’ successiva, ha assolto l’imputato con la formula “perche’ il fatto non costituisce reato”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Il ricorrente, come sintetizzato in premessa, non contesta la sussistenza del fatto nella sua oggettivita’, ma deduce, in maniera articolata, una erronea valutazione, da parte della Corte del merito, in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Viene sostanzialmente censurato l’approccio dei giudici dell’appello alla questione prospettata, lamentando, da un lato, che la sentenza si limita al mero richiamo di principi giurisprudenziali senza affrontare nello specifico il merito della questione rappresentata con i motivi di appello e, dall’altro, che quando tratta specificamente del fatto oggetto di imputazione, si richiama a dati fattuali in realta’ inesistenti.
3. Osserva il Collegio che la Corte di appello ha, in primo luogo, richiamato la sentenza di primo grado, del tutto legittimamente, per relationem affermando di condividerne i contenuti.
Non si tratta, come sostenuto in ricorso, di un riferimento generico, poiche’ il richiamo e’ chiaramente riferito al complessivo apparato motivazionale posto a sostegno della sentenza di primo grado e costituisce una premessa alle successive considerazioni, finalizzata a circoscriverne l’ambito senza ripetizioni dei contenuti della sentenza richiamata, rese inutili dalla saldatura della struttura motivazionale dei due provvedimenti.
La Corte del merito, peraltro, non si e’ limitata al mero richiamo, ma ha articolato le proprie considerazioni, ritenendo sussistente l’elemento soggettivo del reato.
Nel far cio’, ha menzionato la giurisprudenza di questa Corte ed ha ritenuto ininfluente la mancanza di liquidita’, ritenendo che l’imputato non aveva dimostrato di aver fatto il possibile per fronteggiare tale evenienza e che il mancato versamento dell’imposta non era conseguenza di una deliberata scelta aziendale, indicando, quali possibili soluzioni, l’utilizzazione delle risorse del gruppo di cui faceva parte la societa’ dell’imputato per garantire l’erogazione di eventuali crediti bancari e la immissione di nuove liquidita’, anche facendo ricorso alle risorse personali ed al residuo di liquidita’.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una motivazione adeguata e giuridicamente corretta, perche’ in linea con i principi giurisprudenziali richiamati.
4. Invero, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 37424 del 28/3/2013, Romano, Rv. 25575701) hanno chiarito, con riferimento al delitto in esame, che lo stesso e’ punibile a titolo di dolo generico e per la sua commissione e’ sufficiente la coscienza e volonta’ (che deve investire anche la soglia di punibilita’) di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. La prova del dolo e’ insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto e’ dovuto a titolo di imposta e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia entro il termine lungo previsto. Si e’ pure stabilito che il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA e’ collegato al compimento delle operazioni imponibili, sicche’, ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni, riscuote gia’ (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Lintroduzione della norma penale, precisano ancora le Sezioni Unite, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale, con la conseguenza che non puo’ essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidita’ del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
Tale ultima affermazione e’ stata successivamente confermata (Sez. 3, n. 15416 del 8/1/2014, Tonti, non massimata) ed, in tale occasione, si e’ anche affermato che ben potrebbero verificarsi casi in cui sia possibile invocare l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilita’ di adempiere all’obbligazione tributaria ed il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice del merito (e, come tale, insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato), ma si e’ anche aggiunto che sarebbe in ogni caso necessario l’assolvimento degli oneri di allegazione che, per cio’ che concerne la crisi di liquidita’, devono avere attinenza non soltanto all’aspetto della non imputabilita’ al sostituto di imposta della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche alla circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Segnatamente, e’ necessaria la prova che il contribuente non sia stato in grado, per cause indipendenti dalla sua volonta’, di reperire le necessarie risorse per l’adempimento dell’obbligo tributario nonostante abbia posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidita’, le somme necessarie (veniva richiamata, a tale proposito, Sez. 3, n. 5905 del 9 ottobre 2013, Maffei, non massimata. V. anche Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013 (dep. 2014), Mercutello, Rv. 258055).
Successivamente (Sez. 3, n. 3647 del 12/7/2017 (dep. 2018), Botter, Rv. 272073), analizzando le differenze intercorrenti tra il delitto in esame e quello di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis, si e’ osservato che, nel primo reato, a differenza del secondo, le somme da versare all’erario potrebbero non essere nella disponibilita’ del soggetto passivo di imposta a causa dell’insolvenza del debitore nei cui confronti e’ stata emessa la fattura, anche se, per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto, non sempre e non necessariamente la fattura deve essere emessa anteriormente al pagamento del corrispettivo. Viene fatto l’esempio delle prestazioni di servizio, che si considerano normalmente effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo stesso (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3), ricordando anche che, nel caso in cui beneficiario delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizio sia lo Stato o altro ente pubblico o altro ente indicato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 5, la costituzione del rapporto obbligatorio tributario e’ sempre subordinata al pagamento del corrispettivo, per cui, se la fattura viene emessa anticipatamente, l’immediata esigibilita’ dell’imposta, a prescindere dal pagamento del dovuto, deriva da una libera scelta dell’autore della cessione/prestazione (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, commi 4 e 5).
Nella medesima decisione si e’ quindi affermato che, nel caso in cui l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto sia conseguenza dell’inadempimento altrui, resta ferma la necessita’ di dover spiegare in modo rigoroso la ragione per la quale la fattura e’ stata emessa prima del pagamento del corrispettivo.
5. Si tratta di principi che il Collegio condivide ed ai quali intende dare continuita’, affermando che il reato di omesso versamento di Iva di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter e’ punito a titolo di dolo generico ed ai fini dell’esclusione della colpevolezza e’ irrilevante la crisi di liquidita’ del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo nonche’, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, dei motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo.
6. Alla luce dei ricordati principi, deve dunque rilevarsi che la Corte territoriale ha del tutto legittimamente ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ed irrilevante la dedotta crisi di liquidita’ in conseguenza del mancato assolvimento all’onere di allegazione di cui pure si e’ detto e che anche il giudice di primo grado aveva escluso.
Il Tribunale ha infatti osservato che l’accertata prosecuzione dell’attivita’ societaria in attesa di un piano di risanamento, lungi dal dimostrare l’impossibilita’ di adempiere al debito tributario, risultava, al contrario, indicativa del fatto che, astrattamente, sarebbe stato possibile modificare le priorita’ della societa’ e che la omissione accertata era dunque conseguenza di precise scelte gestionali.
A fronte di cio’, il ricorrente si limita a censurare il ragionamento dei giudici del gravame senza tuttavia fornire alcun elemento che consenta di ritenere che la dimostrazione dell’impossibilita’ di fare comunque fronte con altri mezzi alla crisi finanziaria sia stata fornita e non adeguatamente valutata, insistendo nell’affermare che la indisponibilita’ della somma da versare era conseguenza dell’inadempimento altrui, ma senza fornire chiarimenti circa le ragioni ed i tempi dell’emissione delle fatture non pagate nei termini dianzi specificati e sostenendo che i possibili rimedi alternativi indicati dalla Corte territoriale riguarderebbero situazioni fattuali inesistenti o non dimostrate, giungendo a rinvenire, del tutto apoditticamente, in tale situazione, un travisamento della prova.
8. Resta da aggiungere che la sentenza depositata con memoria dalla difesa del ricorrente non rileva in quanto, comunque, non definitiva perche’ impugnata dal Procuratore Generale.
7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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