Qualora la denuncia al tribunale ex art. 2409 cod. civ. di sospetto di gravi irregolarità commesse da parte degli organi sociali della società di capitali si riveli infondata

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23199.

La massima estrapolata:

Qualora la denuncia al tribunale ex art. 2409 cod. civ. di sospetto di gravi irregolarità commesse da parte degli organi sociali della società di capitali si riveli infondata, e la gestione sociale da parte degli organi in carica non sia risultata in contrasto con gli interessi della società, le spese per l’attività difensiva affrontate nell’arco di durata di detto procedimento dagli organi sociali in carica, ancorchè dimissionari o revocati per effetto del provvedimento giudiziale interinale di revoca, devono considerarsi in rapporto causale diretto con il mandato loro conferito, da rimborsare ai sensi dell’articolo 1720 c.c., commi 1 e 2.

Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23199

Data udienza 19 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26607-2016 proposto da:
(OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1513/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS), con ricorso notificato per via telematica il 16 novembre 2016, impugna la sentenza della Corte d’appello di Napoli numero 1513/2016 pubblicata 19/4/2016 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Avellino, ha ridotto nella minor somma di Euro 8000,00 la somma dovuta dalla Societa’ (OMISSIS) S.p.A. al ricorrente a titolo di rimborso delle spese giudiziali sostenute per resistere, in qualita’ di amministratore della medesima societa’, in un procedimento ex articolo 2409 cod. civ. che si e’ svolto, nella prima fase, innanzi al Tribunale di Avellino (con finale provvedimento di revoca dell’intero collegio sindacale e del consiglio di amministrazione) e, nella seconda fase di reclamo, innanzi alla Corte d’appello di Napoli, che ha definito il procedimento revocando il provvedimento del Tribunale, stante la constatata infondatezza delle gravi irregolarita’ addebitate agli organi della societa’, risultate invece imputabili alla passata gestione condotta dallo stesso socio che aveva denunciato i fatti di mala gestio al Tribunale.
2. Con separata azione giudiziale l’attuale ricorrente (OMISSIS) chiedeva al tribunale di Avellino il rimborso da parte della societa’ della somma di Euro 17.215,33 sostenuta per resistere nei due gradi del procedimento di denuncia al tribunale ex articolo 2409 cod. civ.. La societa’ si costituiva per resistere alla domanda. Il Tribunale accoglieva la domanda con sentenza numero 1537 del 23 settembre 2009, sull’assunto che le spese fossero afferenti alla carica di presidente del Cda e dunque al mandato societario all’epoca ricevuto. La sentenza veniva impugnata dalla societa’ innanzi alla Corte d’appello di Napoli la quale, in parziale accoglimento dell’appello, riteneva non giustificata la somma relativa al giudizio di reclamo svoltosi innanzi alla Corte d’appello di Napoli, in quanto a quel tempo il ricorrente si era dimesso dal Cda della societa’, e pertanto riduceva la condanna della societa’ alla rifusione delle spese nella minor somma di Euro 8.000, oltre interessi legali dall’esborso al soddisfo, ritenendo non giustificata parte della spesa relativa alla fase di reclamo, compensando le spese tra le parti.
3. Il ricorrente deduce tre motivi di ricorso. La parte intimata non e’ comparsa.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1720 cod. civ. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, denunciando che la Corte d’appello ha decurtato di oltre il 50% il rimborso delle spese sostenute dal ricorrente per difendersi nel citato procedimento di volontaria giurisdizione, erroneamente affermando che le sopravvenute dimissioni dall’incarico hanno “reciso il collegamento necessario con le successive spese” affrontate quale amministratore dimissionario nella fase di procedimento svoltosi davanti alla Corte d’appello in qualita’ di amministratore dimissionario. Ritiene il ricorrente che la prestazione resa dai propri difensori nell’intera vicenda processuale deve essere intesa come complessivamente unitaria, e deve essere riconosciuto il diritto al rimborso delle spese riconducibili all’attivita’ difensiva e stragiudiziale connessa anche alla seconda fase del procedimento.
1.1. Il motivo e’ fondato.
1.2. L’articolo 1720 c.c., commi 1 e 2, ritenuto applicabile al procedimento de quo dallo stesso giudice d’appello, prevede che il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali dal giorno in cui esse sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta, nonche’ risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico. Partendo dalla interpretazione data dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n 10680/1994, l’articolo 1720 c.c., comma 2, malgrado la formula impropria, tratta non gia’ di un risarcimento danni nascente da un illecito del mandante, ma di “danni” intesi nel senso di comprendervi ogni perdita economica che il mandante deve rifondere al mandatario. In particolare deve ritenersi che l’assenza di una disposizione riferita specificamente alle perdite sopportate dall’amministratore di societa’ di capitale da’ luogo – in presenza di un principio legislativo di rimborsabilita’ delle spese, o comunque di ristoro delle perdite sopportate nella gestione dell’interesse altrui, principio desumibile, oltre che dal citato articolo 1720 c.c., comma 2, dall’articolo 2031 c.c., comma 1, in materia di gestione di affari, e dall’articolo 2234 cod. civ., in materia di rapporti tra cliente e professionista intellettuale – ad una lacuna in senso proprio che richiede, ai sensi dell’articolo 12 preleggi, comma 2, il ricorso all’interpretazione analogica, il quale evita altresi’ il determinarsi di una situazione normativa contrastante con il principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 Cost., comma 1, (v. Sez. U, Sentenza n. 10680 del 14/12/1994 (Rv. 489167 – 01).
1.3. In riferimento al caso de quo, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha precisato che l’amministratore di una societa’ di capitali ha diritto al rimborso con riferimento alle spese sostenute in stretta dipendenza dall’adempimento dei propri obblighi, poiche’ la disposizione citata, riferendosi ai danni o agli esborsi subiti a causa dell’incarico, inerisce a spese che, per loro natura, si collegano necessariamente all’esecuzione dell’incarico conferito, in quanto rappresentino il rischio inerente all’esecuzione dell’incarico (Cass. N. 23138 del 2004 (Rv. 578477 – 01); Cass. n. 10052 del 2008 (Rv. 602710 – 01); Cass. n. 5718 del 2011 (Rv. 616440 – 01); Sez. 1, Sentenza n. 3737 del 09/03/2012 (Rv. 621902 – 01)).
1.4. Non vi e’ dubbio che l’attivita’ difensiva svolta da amministratori e sindaci nell’ambito di un procedimento instaurato ex articolo 2409 cod. civ., trovi per lo piu’ origine e giustificazione diretta nel rapporto organico che lega amministratori e sindaci alla societa’ per la loro funzione di rappresentanza o di immedesimazione organica ricoperta nell’ambito dell’organizzazione societaria. In merito, occorre distinguere l’ipotesi qui considerata da quella, certamente diversa e non equiparabile, inerente alle spese sopportate da un organo sociale per difendersi in un giudizio penale, ove e’ stato gia’ affermato il principio secondo cui “l’amministratore di una societa’ di capitali, nella specie componente del comitato esecutivo, puo’ ottenere il rimborso previsto dall’articolo 1720 cod. civ. solo con riferimento alle spese sostenute in stretta dipendenza dall’adempimento dei propri obblighi, poiche’ la disposizione citata, riferendosi ai danni “subiti a causa dell’incarico”, inerisce a spese che, per loro natura, si collegano necessariamente all’esecuzione dell’incarico conferito, in quanto rappresentino il rischio inerente all’esecuzione dell’incarico. Ne consegue che l’amministratore di societa’ non puo’ pretendere il rimborso delle spese effettuate per difendersi in un processo penale iniziato per fatti connessi all’incarico, neppure se concluso con decisione di proscioglimento, posto che, anche in tal caso, la necessita’ di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalita’ diretta con l’esecuzione del mandato, ma tra l’uno e l’altro fatto si pone un elemento intermedio, dovuto all’attivita’ di una terza persona, pubblica o privata, costituito dall’accusa poi rivelatasi – infondata” (Sez. 1, Sentenza n. 3737 del 09/03/2012 (Rv. 621902 – 01); Sez. 5, Sentenza n. 23089 del 14/12/2012 (Rv. 625175 – 01)). Di contro, il procedimento di volontaria giurisdizione che scaturisce dalla denuncia al Tribunale da parte del socio non acquista una natura pubblicistica, anche ove si realizzi l’intervento del pubblico ministero previsto per legge, e soprattutto non fa venire meno il nesso di causalita’ diretta con il mandato ricevuto nel caso in cui la difesa si riveli svolta nell’interesse in concreto della societa’, posto che il procedimento de quo tende a incidere direttamente nella gestione della societa’, ragione per cui la societa’ medesima non puo’ rimanere indifferente all’esito di detto procedimento (essendo oggi prevista anche la possibilita’ di intervenirvi). Pertanto, nell’ipotesi in cui nel suddetto procedimento non si manifesti una divaricazione tra gli interessi della societa’, eventualmente intervenuta nel procedimento, e quelli degli organi sociali chiamati a dar conto della gestione, la necessita’ di effettuare le spese di difesa da parte degli organi sociali deve intendersi in nesso di causalita’ diretta con l’esecuzione del mandato.
1 5. Piu’ in generale, il procedimento di cui all’articolo 2409 cod. civ., ora come all’epoca del fatti (ove era vigente la versione prima della novella apportata con il Decreto Legislativo n. 6 del 2003 che prevedeva l’impulso anche del pubblico ministero nelle societa’ chiuse, oltre che di una quota minoritaria dei soci), involge un esame sulla corretta esecuzione del mandato di amministratori e sindaci ed e’ un procedimento precipuamente volto a verificare la correttezza della gestione societaria da parte degli organi sociali in carica nell’interesse della societa’, e non solo del socio denunciante il sospetto di gravi irregolarita’ gestorie, allo scopo di adottare, in caso fondatezza della denuncia, provvedimenti interinali sulla gestione che prevedono, infine, anche la sostituzione degli amministratori e sindaci con un amministratore giudiziario. Seppur si volesse inquadrare il controllo giudiziario sulle societa’ di capitali in una dimensione prettamente privatistica (come parte della dottrina, peraltro non minoritaria, oggi suggerisce con riguardo alle societa’ di tipo chiuso ove non e’ piu’ previsto l’impulso del pubblico ministero), va aggiunto che, qualora l’articolo 2409 c.c., oltre agli interessi privati della societa’, tutelasse un interesse altrettanto privato dei soci, esso sarebbe comunque inscindibile da quello della stessa societa’ alla conservazione e all’incremento del suo patrimonio sociale, la cui lesione potrebbe cagionare un danno riflesso al patrimonio dei soci. Costoro, pertanto, sarebbero latori di un interesse personale indiretto, e non potrebbero agire in funzione di un interesse puramente extrasociale, soprattutto se quest’ultimo fosse addirittura confliggente con gli interessi della societa’: l’interesse egoistico da cui fosse mosso il socio dovrebbe sempre legarsi alla tutela della sua personale posizione nell’organizzazione sociale, e l’esercizio della facolta’ d’azione non dovrebbe concretare un abuso del processo e porsi in conflitto con l’interesse della societa’. Purtuttavia occorre considerare che e’ possibile, e il caso in realta’ non e’ cosi’ infrequente, che il procedimento venga avviato da soci protesi a difendere i propri interessi egoistici, in contrasto con quelli della societa’, e che gli organi sociali si trovino cosi’ a rappresentare congiuntamente gli interessi propri come anche quelli sociali.
1.6. Occorre poi considerare che, sotto il profilo processuale, i provvedimenti giudiziali che possono scaturire dal procedimento di cui all’articolo 2409 cod. civ., sono atti di volontaria giurisdizione, e si esauriscono in misure cautelari e interinali che, pur coinvolgendo diritti soggettivi di amministratori e sindaci, non statuiscono su di essi a definizione di un conflitto tra parti contrapposte, con attitudine ad acquistare autorita’ di giudicato sostanziale (v. tra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 30052 del 29/12/2011 (Rv. 620890 – 01); Sez. 1, Ordinanza n. 10349 del 17/05/2005 (Rv. 580806 – 01); Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8226 del 16/06/2000). Risultando il procedimento avviato, secondo l’accezione piu’ comune, un’attivita’ di amministrazione pubblica di interessi privati, definita di volontaria giurisdizione, essa comporta un’attivita’ oggettivamente amministrativa, connotata dalla modificabilita’ e revocabilita’ dei provvedimenti, ed e’ quindi evidente che, anche per tale ragione, l’attivita’ difensiva prestata dall’amministratore o dal sindaco nell’ambito di quel medesimo procedimento trova la propria diretta derivazione dal mandato sociale ricevuto, al quale non e’ connessa solo ed esclusivamente da un rapporto di occasionalita’, atteso che la verifica della fondatezza del sospetto di gravi irregolarita’ viene svolta nell’interesse precipuo della societa’ ad essere correttamente gestita e amministrata (vedi anche, nello stesso senso, Corte d’appello di Milano, decreto del 13/3/2001, citato dal ricorrente).
1.7. In conclusione, occorre considerare che, nel caso in esame, le gravi irregolarita’ che il Tribunale ha posto a fondamento del decreto di nomina dell’amministratore giudiziario (poi revocato dalla Corte d’appello), per la Corte investita del reclamo non sono risultate riconducibili alla gestione societaria riferibile all’amministratore qui ricorrente e, di conseguenza, le spese di difesa tecnica e legale sostenute dall’amministratore coinvolto nell’intero arco di durata del procedimento, dimessosi in conseguenza della revoca giudiziale, sono causalmente riconducibili al mandato di gestire gli interessi della societa’ dovendo, quindi, essere ricomprese nella previsione di cui all’articolo 1720 c.c., comma 2, trattandosi di un’ipotesi rientrante nel piu’ ampio concetto di negotiorum gestio.
1.8. Deve pertanto affermarsi il principio di diritto in base al quale, “qualora la denuncia al tribunale ex articolo 2409 cod. civ. di sospetto di gravi irregolarita’ commesse da parte degli organi sociali della societa’ di capitali si riveli infondata, e la gestione sociale da parte degli organi in carica non sia risultata in contrasto con gli interessi della societa’, le spese per l’attivita’ difensiva affrontate nell’arco di durata di detto procedimento dagli organi sociali in carica, ancorche’ dimissionari o revocati per effetto del provvedimento giudiziale interinale di revoca, devono considerarsi in rapporto causale diretto con il mandato loro conferito, da rimborsare ai sensi dell’articolo 1720 c.c., commi 1 e 2”. Al suddetto principio dovra’ pertanto conformarsi il Giudice del rinvio nello scrutinare il diritto dell’amministratore ricorrente a ottenere la rifusione delle spese legali sostenute in proprio nel corso del procedimento ex articolo 2409 cod. civ. svoltosi innanzi alla Corte d’appello, ai sensi dell’articolo 1720 c.c., comma 2.
2. L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo motivo teso a denunciare l’illegittimita’ della riduzione della pretesa di rimborso delle spese affrontate, svolta in termini equitativi dalla Corte d’appello, nonche’ il terzo motivo inteso a far valere la violazione del principio di soccombenza in merito alla disposta compensazione delle spese di lite.
3. Conclusivamente la sentenza va annullata alla luce del suddetto principio di diritto, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli perche’ decida, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

I. Cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese.

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