Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 7 novembre 2018, n. 50128
La massima estrapolata:
La qualifica di legale rappresentante di una società che gestisce un locale pubblico da cui promanano le immissioni sonore, non viene meno con la materiale gestione del locale ceduta dalla società amministrata ad altre persone; tale circostanza non sottrae quindi il legale rappresentante dalla responsabilità per la violazione dell’art. 659 cod. pen., ove lo stesso, titolare nella sua predetta qualità delle autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale, non fornisca la prova anche di avere, quanto meno, impartito ai materiali gestori del locale idonee istruzioni onde non provocare le immissioni sonore e non dimostri di avere svolto un’attività di sorveglianza in ordine al rispetto di esse.
Sentenza 7 novembre 2018, n. 50128
Data udienza 28 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 12015/17 del Tribunale di Roma del 16 ottobre 2017;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro GAETA, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione;
sentito, altresi’, per la ricorrente, l’avv. (OMISSIS), del foro di Roma, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 ottobre 2017, il Tribunale di Roma, dichiarata la penale responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine al reato di cui all’articolo 659 c.p., per avere, in qualita’ di titolare di un locale pubblico, mediante emissioni sonore ad altro volume, disturbato il riposo e la quiete dei soggetti residenti negli stabili limitrofi al locale in questione, la ha condannata alla pena di Euro 300,00 di ammenda.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso in appello la (OMISSIS), assistita dal proprio difensore fiduciario, deducendo la insussistenza del fatto o comunque la non attribuibilita’ di esso alla imputata o, in ulteriore subordine, la sua non punibilita’ ai sensi dell’articolo 131 bis c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
Deve preliminarmente rilevarsi che, avendo la sentenza impugnata disposto la condanna della imputata esclusivamente alla pena della ammenda, la stessa non e’ suscettibile di essere impugnata in sede di appello.
Il ricorso presentato dalla (OMISSIS), pertanto, deve essere convertito, in ossequio al principio del favor impugnationis, in ricorso per cassazione.
Fatta questa premessa, rileva, tuttavia il Collegio, che le ragioni di censura formulata dalla imputata sono inammissibili in questa sede di legittimita’.
Invero la ricorrente deduce, in termini peraltro piuttosto generici, elementi di fatto, quali l’avvenuta misurazione da parte dei tecnici della Regione Lazio del livello di immissioni sonore che sarebbe stato da questi considerato nell’ambito della normale tollerabilita’; quali la circostanza che mai gli interventi eseguiti sul luogo dei fatti dalle forze dell’ordine abbiano portato all’accertamento delle molestie e delle immissione sonore tali da impedire il riposo e la quiete ei soggetti dimoranti nelle immediate prossimita’ del locale pubblico gestito dalla imputata; quali il fatto che, in ogni caso, le lamentele erano tutte provenienti esclusivamente dagli abitanti di un solo palazzo, limitrofo al locale della (OMISSIS).
Si tratta, come e’ evidenti di elementi tutti volti alla rivalutazione dei fatti di causa, la cui deduzione poteva ritenersi congrua rispetto all’originario mezzo di impugnazione prescelto dalla difesa della imputata; ma essa e’, invece, inammissibile una volta convertita, come era doveroso fare, la impugnazione in questione in ricorso per cassazione.
Parimenti relativo a profili di merito e’ il motivo di impugnazione riferito alla attribuibilita’ personale del fatto di reato alla (OMISSIS); questa e’ stata desunta dalla circostanza che la (OMISSIS) ha la qualifica di legale rappresentante della societa’ che gestisce il locale pubblico da cui promanano le immissioni sonore di cui alla imputazione; circostanza di mero fatto, peraltro non oggetto di istruttoria dibattimentale, e’ che la materiale gestione del locale sia stata ceduta dalla societa’ amministrata dalla (OMISSIS) ad altre persone; va, peraltro, osservato che, seppure tale circostanza fosse stata oggetto di dimostrazione in sede processuale, cio’ non avrebbe sottratto la imputata dalla responsabilita’ per la violazione dell’articolo 659 c.p., ove la stessa, titolare nella sua predetta qualita’ delle autorizzazioni commerciali per la conduzione del locale, non avesse fornito la prova anche di avere, quanto meno, impartito ai materiali gestori del locale idonee istruzioni onde non provocare le immissioni di cui alla imputazione e non avesse dimostrato di avere svolto un’attivita’ di sorveglianza in ordine al rispetto di esse.
Infine, quanto alla richiesta applicazione della speciale causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., anche in questo caso la deduzione difensiva e’ inammissibile in questa sede, atteso che, secondo quanto emerge dallo stesso atto impugnatorio, che sul punto non fa riferimento ad una qualche manchevolezza motivazionale della sentenza gravata, lo stesso non aveva formato oggetto di discussione in sede di giudizio di merito (sulla inammissibilita’ in sede di legittimita’ della articolazione per la prima volta della censura avente ad oggetto la mancata qualificazione del fatto come particolarmente tenue ai fini di cui all’articolo 131 bis c.p.: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 23 maggio 2018, n. 23174).
Sulla base dei rilievi che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, visto l’articolo 616 c.p.p., la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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