Procedimenti disciplinari avviati e sospesi in data antecedente all’entrata in vigore del dlgs n 150/2009

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 1 luglio 2019, n. 17638.

La massima estrapolata:

Ai procedimenti disciplinari avviati e sospesi in data antecedente all’entrata in vigore del dlgs n 150/2009 e riattivati in epoca successiva alla modifica dell’art. 5 della legge n. 97/2001, si applica il termine perentorio stabilito per la conclusione del procedimento dalla contrattazione collettiva di comparto. Il termine finale fissato è applicabile anche ai procedimenti disciplinari che l’amministrazione abbia avviato e sospeso a seguito della notizia della pendenza a carico del dipendente di un processo penale avente ad oggetto fatti di rilievo disciplinare.

Sentenza 1 luglio 2019, n. 17638

Data udienza 22 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa rel. Consiglie –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 13316/2018 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA alla PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
A.S.P. – AZIENDA DI SERVIZI ALLA PERSONA “(OMISSIS)”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 348/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/02/2018 R.G.N. 1473/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Milano ha accolto il reclamo proposto della L. n. 92 del 2012 ex articolo 1, comma 58, dall’Azienda di Servizi alla Persona “(OMISSIS)” e, in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale della stessa sede all’esito del giudizio di opposizione, ha respinto il ricorso di (OMISSIS), il quale aveva chiesto l’accertamento dell’illegittimita’ del licenziamento disciplinare irrogato dall’Azienda il 29 settembre 2016 e la conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato ed al risarcimento del danno.
2. La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che il reclamato, operatore socio sanitario, era stato sottoposto nell’anno 2008 alla misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreti di ufficio, sicche’ l’Azienda aveva iniziato il procedimento disciplinare e, contestualmente all’avvio, lo aveva sospeso, in attesa del giudicato penale. Il procedimento era stato riavviato l’8 aprile 2016, a seguito della comunicazione della sentenza di questa Corte che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Milano, con la quale (OMISSIS) era stato assolto dal reato di cui all’articolo 416 c.p. e condannato per gli altri delitti alla pena di anni uno e mesi sette di reclusione. Il procedimento era stato concluso, con l’irrogazione del licenziamento, il 29 settembre 2016.
3. Il giudice d’appello, respinta l’eccezione di inammissibilita’ del reclamo, ha rilevato che il Tribunale aveva errato nel ritenere tardiva la sanzione, perche’ inflitta dopo lo spirare del termine perentorio di 120 giorni previsto dall’articolo 14 del CCNL 2004 per il personale non dirigenziale del comparto sanita’. Ha ritenuto che, in realta’, le parti collettive non potessero dettare termini diversi da quelli previsti dalla L. n. 97 del 2001, articolo 5, comma 4, perche’ l’articolo 8 della stessa legge sancisce la prevalenza della disciplina normativa rispetto alle disposizioni di natura contrattuale regolanti la materia. Ha precisato che l’articolo 5 deve essere letto ed interpretato alla luce del richiamato articolo 8, sicche’ l’inciso “salvi i termini diversi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro” va riferito ai soli contratti gia’ sottoscritti al momento dell’entrata in vigore della legge. Ha dichiarato, pertanto, la nullita’ della clausola contrattuale, con la quale le parti stipulanti avevano disciplinato ex novo l’istituto della riattivazione, ed ha evidenziato che il termine finale doveva essere sostituito, ex articolo 1419 c.c., comma 2, da quello di 180 giorni stabilito dal legislatore.
4. Nel merito la Corte milanese ha ritenuto che le condotte in relazione alle quali era intervenuta la condanna penale fossero di gravita’ tale da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. Ha evidenziato al riguardo che non poteva essere indicativa di una diversa valutazione compiuta dal datore di lavoro la circostanza che quest’ultimo, cessata la custodia cautelare, avesse riammesso in servizio il dipendente, poiche’ all’epoca la disciplina normativa e contrattuale imponeva di sospendere il procedimento sino alla sentenza penale definitiva.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi, ai quali l’A.S.P. “(OMISSIS)” ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato da memoria, depositata ex articolo 378 c.p.c., dai nuovi difensori, costituitisi in forza di procura del 9 maggio 2019, a seguito del decesso dell’Avv. (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia “violazione dell’articolo 12 preleggi, articoli 1362 e 1363 c.c., L. n. 97 del 2001, articolo 5, comma 4 e articolo 8 (testo vigente ante Decreto Legislativo n. 150 del 2009), articolo 14, comma 4, c.c.n.l. Comparto Sanita’ 2004 (come integrato e modificato dal c.c.n.l. 2008), Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55” e sostiene, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’interpretare la L. n. 97 del 2001, articolo 5, con il quale il legislatore aveva consentito alle parti collettive di prevedere un termine perentorio per la conclusione del procedimento, prevalente ed alternativo rispetto a quello di 180 giorni previsto in via residuale e sussidiaria dalla norma. Aggiunge che il c.c.n.l. vigente alla data di entrata in vigore della legge prevedeva gia’ il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento, sicche’ a detto termine occorreva fare riferimento, essendo irrilevante ai fini di causa la qualificazione del rinvio come statico o dinamico, in quanto con il successivo contratto le parti non si erano discostate dalla precedente disciplina. Richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che con la L. n. 97 del 2001, il legislatore aveva “confinato l’autonomia negoziale collettiva entro il ristretto ambito dell’individuazione del termine entro il quale deve concludersi il procedimento disciplinare ripreso dopo la sua sospensione”.
1.2. La seconda censura denuncia ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dell’articolo 2119 c.c. e dell’articolo 15, comma 10, del c.c.n.l. 2008 per il personale non dirigenziale del comparto sanita’. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, nel ritenere irrilevante la circostanza dell’avvenuta riammissione al lavoro dal gennaio 2009 al settembre 2016, non ha considerato che l’Azienda, cessato il periodo di carcerazione preventiva, avrebbe potuto avvalersi della sospensione cautelare facoltativa, qualora avesse ritenuto non compatibili con la prosecuzione del rapporto le condotte addebitate al dipendente sottoposto a procedimento penale. Nell’omessa considerazione dell’ontologica diversita’ fra sospensione del procedimento e sospensione cautelare del lavoratore ravvisa il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 e, comunque, la violazione dell’articolo 2119 c.c., perche’, evidentemente, con il proprio comportamento l’Azienda aveva mostrato di considerare l’addebito privo della gravita’ necessaria per giustificare la sanzione espulsiva.
1.3. Con la terza critica il ricorrente si duole della violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, articoli 2119 e 2106 c.c., articoli 13 e 14 del CCNL 2008 per il personale non dirigenziale del comparto sanita’. Rileva che la contestazione era stata effettuata per relationem attraverso il mero richiamo ai titoli di reato per i quali era intervenuta sentenza penale di condanna e, pertanto, doveva essere ritenuta generica, in quanto non conteneva una specificazione puntuale dei fatti rilevanti in sede disciplinare. Aggiunge che anche dopo la condanna penale non vi e’ spazio per l’automatismo della sanzione, sicche’ e’ comunque necessario un vaglio critico, mancato nella fattispecie, della condotta tenuta dal dipendente, al fine della sussunzione entro le fattispecie tipizzate dal codice disciplinare e della formulazione del giudizio valoriale di gravita’. Richiama, infine, la giurisprudenza di questa Corte per sostenere che la valutazione va compiuta in concreto mediante esame di specifici indici.
2. Il primo motivo di ricorso e’ fondato, perche’ l’interpretazione della L. n. 97 del 2001, articolo 5, sulla quale il giudice del reclamo ha fondato la dichiarazione di nullita’ parziale dell’articolo 14 del CCNL 19.4.2004 per il personale non dirigenziale del comparto sanita’, si pone in contrasto con quella fornita da questa Corte, con le sentenze n. 12358/2017 e n. 4429/2018, alla quale il Collegio intende dare continuita’.
Le richiamate pronunce hanno evidenziato che il legislatore, nel dettare la disciplina dei rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ha espresso, si’, la volonta’ di non riservare del tutto la regolamentazione alla fonte contrattuale collettiva, ma, sino all’emanazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2009, ha comunque legittimato quest’ultima ad intervenire sull’individuazione del termine entro il quale il procedimento disciplinare, ripreso dopo la sua sospensione, deve concludersi.
Si e’ precisato che il potere e’ venuto meno a seguito della modifica apportata alla L. n. 97 del 2001, articolo 5, dal citato Decreto Legislativo n. 150 del 2009, che ha espunto dal testo della disposizione l’inciso “salvi diversi termini previsti dai contratti collettivi di lavoro”, ma si e’ aggiunto che, in assenza di disciplina transitoria dettata dal legislatore del 2009, la nuova formulazione della norma resta circoscritta ai procedimenti avviati in relazione “ai fatti disciplinarmente rilevanti per i quali la notizia dell’infrazione risulti acquisita dagli organi dell’azione disciplinare dopo l’entrata in vigore della riforma, ossia dal 16 novembre 2009” (Cass. n. 11985/2016 richiamata da entrambe le pronunce sopra citate) e, quindi, e’ inapplicabile a quelli che al momento del nuovo intervento legislativo risultavano gia’ avviati, seppure sospesi.
Infine la sentenza n. 4429/2018 ha ribadito la natura perentoria del termine entro il quale il procedimento deve essere necessariamente concluso, ponendosi in continuita’ con un orientamento gia’ espresso da questa Corte, sia in ordine ai termini previsti dalla contrattazione collettiva sia in relazione a quelli fissati nella disciplina dei rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare (si rimanda alla motivazione di Cass. n. 18128/2016 che, quanto ai termini di cui alla L. n. 97 del 2001, articolo 5, richiama Cass. n. 4917/2014).
2.1. Non e’ condivisibile l’argomento utilizzato dalla Corte territoriale, secondo cui l’articolo 5, letto in combinato disposto con la L. n. 97 del 2001, articolo 8, farebbe salvi, in via transitoria, solo i termini finali fissati dai CCNL vigenti al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa.
Le disposizioni di carattere transitorio, infatti, sono unicamente quelle dettate con l’articolo 10 della stessa legge, mentre l’articolo 5 e’ chiaro nell’attribuire in via generale alle parti collettive il potere di stabilire un termine finale per la conclusione del procedimento, diverso da quello indicato dal legislatore con “portata residuale e di completamento del sistema”.
La norma, cosi’ interpretata, non contrasta con l’articolo 8, perche’ l’impossibilita’ per i contratti collettivi di derogare alla disciplina dettata dal legislatore si riferisce a quelle sole disposizioni che, appunto, escludono un intervento della normativa pattizia, non gia’ a quelle che, al contrario, espressamente lo prevedano.
Infine non e’ pertinente il richiamo a Cass. n. 11827/2014 perche’ il principio di diritto, che richiama i limiti di cui all’articolo 8, si riferisce ai “termini per dare inizio o, in caso di intervenuta sospensione, per disporre la prosecuzione del procedimento disciplinare”, che non sono quelli che rilevano in questa sede, nella quale si discute unicamente del termine finale entro il quale il procedimento, tempestivamente riattivato, deve essere concluso.
2.2. Esclusa, pertanto, per le considerazioni sopra esposte la ritenuta nullita’ dell’articolo 14, comma 3, del CCNL 19.4.2004 per il personale non dirigenziale del comparto sanita’, come modificato ed integrato dal CCNL 10.4.2008, va detto che la disposizione contrattuale, contrariamente a quanto asserito dalla difesa della controricorrente, e’ applicabile ad ogni ipotesi in cui venga in rilievo il “rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale” (cosi’ l’intestazione dell’articolo). Infatti il comma 1 si riferisce alla denuncia penale inoltrata dall’amministrazione, contestualmente o successivamente all’avvio del procedimento, mentre il comma 2, sul quale non ha inciso la riscrittura operata nel 2008, riguarda ogni altro caso in cui “l’azienda o ente venga a conoscenza di un procedimento penale a carico del dipendente per i medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare”. I successivi commi dettano una compiuta disciplina della riattivazione del procedimento, richiamando anche la L. n. 97 del 2001, articolo 5, sicche’ la disposizione, che va letta nel suo complesso nel rispetto del canone ermeneutico fissato dall’articolo 1363 c.c., non consente di escludere dall’ambito di applicazione del regolamento contrattuale l’ipotesi in cui l’ente, appresa la notizia del processo penale, dia avvio al procedimento e contestualmente lo sospenda. Anche in tal caso, infatti, sussiste quella identita’ fra fatti oggetto di processo penale e fatti rilevanti disciplinarmente che giustifica la sospensione, sicche’ non avrebbe giustificazione alcuna una diversita’ di disciplina fondata sulla valorizzazione della pendenza o meno del procedimento disciplinare nel momento in cui l’ente apprende la notizia del processo penale.
3. In via conclusiva ha errato il giudice del reclamo nel ritenere che il termine finale, fissato dall’articolo 14 del CCNL 19.4.2004 e valorizzato dal Tribunale, che dalla sua violazione aveva desunto l’illegittimita’ del licenziamento, dovesse essere, invece, sostituito da quello di 180 giorni previsto dalla L. n. 97 del 2001, articolo 5, in quanto affetto da nullita’. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procedera’ ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato: “ai procedimenti disciplinari, avviati e sospesi in data antecedente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2009 e riattivati in epoca successiva alla modifica della L. n. 97 del 2001, articolo 5, si applica il termine perentorio stabilito per la conclusione del procedimento dalla contrattazione collettiva di comparto. Il termine finale fissato dall’articolo 14 del CCNL 19.4.2004, come modificato dal CCNL 10.4.2008, legittimamente previsto dalle parti collettive nell’esercizio del potere alle stesse conferito dalla L. n. 97 del 2001, articolo 5, e’ applicabile anche ai procedimenti disciplinari che l’amministrazione abbia avviato e sospeso a seguito della notizia della pendenza a carico del dipendente di un processo penale avente ad oggetto fatti di rilievo disciplinare”.
Al giudice del rinvio e’ demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.
La fondatezza del primo motivo, che attiene ad un profilo assorbente rispetto alle altre questioni prospettate dal ricorrente, esime dall’esaminare le ulteriori censure e rende non applicabile il disposto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

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