Vendita del patrimonio immobiliare da parte della società fallenda

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 11 giugno 2019, n. 25787.

La massima estrapolata:

La vendita del patrimonio immobiliare da parte della società fallenda in cambio dell’accollo dei suoi debiti da parte della società acquirente terza, non integra automaticamente il reato di bancarotta preferenziale. In tal caso è sufficiente che non si sia inteso tacitare alcuni creditori a discapito di altri, bensì chiudere l’attività una volta realizzato l’oggetto sociale attraverso il completamento dell’attività edificatoria e la successiva contestuale rinuncia di parte dei crediti da parte delle società fornitrici aventi diritto.

Sentenza 11 giugno 2019, n. 25787

Data udienza 5 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICHELI Paolo – Presidente

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/02/2018 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BORRELLI Paola;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dott. DI LEO Giovanni, che ha chiesto l’annullamento con rinvio quanto alle pene accessorie e l’inammissibilita’ del ricorso nel resto;
udito l’Avv. (OMISSIS), per gli imputati e quale sost. per il responsabile civile, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso o, in subordine, il proscioglimento ex articolo 131-bis c.p..

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata e’ stata pronunziata il 28 febbraio 2018 dalla Corte di appello di Milano, che ha riformato solo in punto di trattamento sanzionatorio – e concedendo la sospensione condizionale della pena ad uno degli imputati – la decisione del Tribunale della stessa citta’ nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), condannati per bancarotta preferenziale in relazione alla societa’ (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Milano il 16 gennaio 2014; l’operazione reputata violativa della par condicio creditorum sarebbe consistita nella vendita del patrimonio immobiliare della (OMISSIS) s.r.l. alla societa’ (OMISSIS), la quale, in cambio, si era accollata diversi debiti che la fallenda aveva con altre societa’ appartenenti al gruppo della controllante (OMISSIS) s.r.l., reputate, quindi, creditori privilegiati.
2. Avverso detta sentenza hanno proposto un unico ricorso a mezzo del comune difensore tutti gli imputati.
2.1. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 522 c.p.p., articolo 111 Cost., comma 3, e articolo 6, comma 3, CEDU perche’ la Corte di appello avrebbe errato nell’inquadrare il motivo di appello, sostenendo la tesi che il passaggio dalla bancarotta fraudolenta per distrazione contestata e quella preferenziale per cui era intervenuta condanna fosse legato ad una mera riqualificazione, mentre si tratta di fatto diverso, sicche’ la sentenza di primo grado sarebbe affetta da un difetto di correlazione tra accusa e sentenza. All’originaria contestazione di distrazione dell’intero patrimonio immobiliare della fallita a mezzo della vendita alla societa’ (OMISSIS) s.r.l., infatti, era corrisposta la condanna per bancarotta preferenziale in relazione alla soddisfazione dei creditori che avevano accettato che l’acquirente (OMISSIS), quale contropartita dell’acquisto dei beni della fallenda (OMISSIS), si accollasse i debiti di quest’ultima, condanna che sottendeva fatti significativamente e sostanzialmente diversi, senza che il pubblico ministero avesse proceduto ex articolo 516 c.p.p. Il ricorrente, citando Sezioni Unite Carelli, assume poi che l’immutatio non avrebbe garantito l’esercizio del diritto di difesa, trascrivendo e ridimensionando (definendolo argomento difensivo a fortiori) il passaggio della sua arringa evocato dalla Corte di appello a sostegno della tesi che la difesa avesse fronteggiato anche l’accusa di bancarotta preferenziale. L’istruttoria dibattimentale – aggiungono i ricorrenti – non aveva riguardato anche la bancarotta preferenziale, ma era stata incentrata sulla natura distrattiva dell’operazione di vendita (congruita’ del prezzo di vendita degli immobili, effettivita’ dei debiti verso le altre societa’ e del relativo accollo).
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto al giudizio di responsabilita’ circa la bancarotta preferenziale, sostenendo che la (OMISSIS) non avesse poi pagato i debiti della fallenda che si era accollata, il che smentiva l’effettivita’ del pagamento preferenziale. La Corte di appello, nel momento in cui aveva equiparato tale modalita’ di soddisfazione dei creditori al concetto di “eseguire pagamenti” di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3, aveva adottato un’interpretazione analogica vietata in campo penale; inoltre la Corte di merito aveva illogicamente evinto il soddisfacimento delle pretese dei creditori in tesi preferiti dalla circostanza che non si fossero insinuati al fallimento, mentre tale evenienza era legata al fatto che essi non erano piu’ creditori della fallita ex articolo 1273 c.c. perche’ l’accollo era pienamente liberatorio. L’istruttoria dibattimentale – continuano i ricorrenti – non aveva avuto ad oggetto il pagamento o meno dei debiti della (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) e neanche l’effettivita’ dei debiti verso i creditori in tesi pretermessi perche’ la bancarotta preferenziale non era contestata, il che ripropone il tema di cui al primo motivo di ricorso. La sentenza della Corte
territoriale aggiungono i ricorrenti – non aveva dato risposta a due temi agitati nell’appello essenziali per la condanna per bancarotta preferenziale, vale a dire le doglianze circa il momento di emersione dell’insolvenza e la volonta’ dei ricorrenti di liquidare la (OMISSIS) senza debiti, volonta’ testimoniata dal fatto che le societa’ del gruppo avevano rinunziato a gran parte dei crediti vantati nei confronti della societa’ poi fallita.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge invocando un trattamento sanzionatorio piu’ mite e dolendosi della mancata applicazione, quanto alle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., dell’articolo 37 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ parzialmente fondato e, di conseguenza, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
2. Non e’ fondato il primo motivo di ricorso, con il quale la difesa assume essersi verificata la nullita’ della sentenza di primo grado, e conseguentemente di quella di appello, ex articolo 522 c.p.p..
Non sfugge al Collegio che il tema posto dagli odierni ricorrenti nell’atto di appello era non tanto quello della riqualificazione da bancarotta distrattiva a bancarotta preferenziale – e delle implicazioni sovranazionali di essa – ma, soprattutto, quello della diversita’ del fatto per cui era intervenuta condanna in primo grado rispetto all’editto accusatorio formulato dal pubblico ministero. In questo senso e’ chiara l’impostazione del gravame di merito – oggetto di ampia illustrazione anche nel ricorso per cassazione – secondo cui nel capo di imputazione era contestata una condotta distrattiva che, nella rielaborazione del Tribunale, aveva fatto spazio al pagamento preferenziale di alcuni dei crediti sociali attraverso un’operazione piu’ complessa, operazione non menzionata – o menzionata solo in parte – nell’incolpazione; tale cambio di prospettiva in fatto – secondo l’assunto dei ricorrenti – avrebbe comportato la conseguente nullita’ della sentenza ex articolo 522 codice di rito, legata dunque alla diversa individuazione dei connotati oggettivi e soggettivi della manovra che si assume bancarottiera piuttosto che al cambiamento di inquadramento giuridico della condotta.
Ebbene, la doglianza dei ricorrenti circa la diversita’ del fatto per cui e’ intervenuta condanna – benche’ sapientemente argomentata – non puo’ trovare seguito.
Giova precisare che la lettura del combinato disposto degli articoli 521 e 522 c.p.p. non puo’ prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche’, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e’ del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 – 01; cfr. altresi’ le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, Cantoro, Rv. 264673 – 01; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, Caterino e altri, Rv. 257782 – 01; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, Baj e altro, Rv. 255230 – 01).
Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, cio’ che rileva, dunque, non e’ il dato “secco” dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui e’ intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum, l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive.
Ebbene, nel caso di specie, due sono gli aspetti che inducono il Collegio a ritenere che tale esercizio sia stato concretamente possibile, in cio’ ispirandosi alla giurisprudenza di questa Corte (in particolare, Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, Caterino e altri, Rv. 257782 – 01, che ha sviluppato analogo ragionamento).
2.1. In primis, come si legge nella sentenza impugnata, e’ stata la stessa difesa degli imputati che, in sede di arringa nel processo di primo grado, ha paventato – quale ipotesi alternativa a quella accusatoria – che la bancarotta per distrazione oggetto di contestazione potesse eventualmente qualificarsi come bancarotta preferenziale alla luce dell’accollo dei debiti della fallita da parte della societa’ compratrice del compendio immobiliare. La possibilita’ astratta della riqualificazione e’ stata quindi prospettata dalla stessa difesa che oggi se ne duole, che l’ha anche immediatamente esclusa, sulla scorta di un argomento difensivo – quello della mancata soddisfazione dei creditori sociali – che e’ proprio una delle tematiche che i ricorrenti hanno poi sviluppato, fin dall’appello, per contestare la condanna per bancarotta preferenziale (cfr. stralcio del verbale stenotipico allegato al ricorso, secondo motivo di quest’ultimo e secondo motivo di appello), il che si e’ risolto quindi in una forma di effettivo esercizio del diritto di difesa. In altre parole, riguardato il concreto esercizio di quest’ultimo, in una prospettiva funzionale e non gia’ legata al mero raffronto letterale tra fatto ritenuto in sentenza e fatto contestato, assume un indiscutibile rilievo a discapito della fondatezza delle tesi della nullita’ ex articolo 522 c.p.p. la circostanza che, nel processo di primo grado, sia stata proprio la parte che oggi se ne duole a paventare la possibilita’ di ritenere la diversa fattispecie, altresi’ difendendosi sul punto.
2.2. Il secondo aspetto che induce a reputare infondata la censura dei ricorrenti – in parte collegato a quello precedentemente vagliato – attiene alla fase in cui si e’ registrato il cambio di prospettiva. Invero, la riqualificazione cui e’ sottesa la diversita’ strutturale censurata si e’ concretizzata con la sentenza di primo grado, sicche’ gli imputati hanno avuto la possibilita’, con l’atto di appello, nel corso del giudizio di secondo grado e con il ricorso per cassazione, di sviluppare ogni argomentazione tesa a demolire l’assunto accusatorio in ordine alla bancarotta preferenziale, come poi in effetti hanno fatto, secondo quanto risulta per tabulas dai gia’ citati secondo motivo di appello e di ricorso. Cio’ vale non solo circa il contrasto dialettico all’impostazione fatta propria dal Tribunale ma anche quanto alle evoluzioni istruttorie del procedimento, che gli appellanti avrebbero potuto stimolare mediante le opportunita’ di sollecitazione istruttoria che l’articolo 603 c.p.p. assicurava loro e che, a quanto risulta, non sono state percorse. Tale sostanziale rinunzia al concreto esercizio del diritto alla prova – vieppiu’ nella misura in cui rileva particolarmente, sul tema in discorso, l’effettivo esplicarsi delle prerogative difensive – rende privo di conseguenze positive sulla posizione degli imputati il tema delle diverse potenzialita’ istruttorie dello strumento ex articolo 603 c.p.p. rispetto a quelle offerte dal dibattimento di primo grado, su cui ha indugiato il difensore dei ricorrenti nella sua discussione odierna.
3. La risposta al secondo motivo di ricorso impone una breve premessa dogmatica.
3.1. Mette conto ricordare – come puntualmente ricostruito da Sez. 5, n. 15712 del 12/03/2014, Consol e altri, Rv. 260221 – 01 – che la fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3, punisce chi, prima o durante la procedura fallimentare, esegua pagamenti o simuli titoli di prelazione allo scopo di favorire, a danno di altri creditori, alcuni di essi. Essenziale per la configurabilita’ del reato e’ la violazione della par condicio creditorum (espressione del principio inteso ad evitare disparita’ di trattamento che non trovino giustificazione nelle cause legittime di prelazione fatte salve dall’articolo 2741 c.c.), con l’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori; in pratica vi e’ una deminutio patrimoniale che pero’ non e’ illecita perche’ indebita e dettata da finalita’ depauperative (come nella bancarotta per distrazione), ma che e’ penalmente rilevante siccome funzionale a soddisfare con precedenza rispetto agli altri un creditore effettivo, p;rS che non abbia titolo preferenziale.
Riguardo all’elemento psicologico, e’ richiesto il dolo specifico, costituito dalla volonta’ di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualita’ di un danno per gli altri, secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalita’ non e’ ravvisabile allorche’ il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attivita’ sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi piu’ che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, n. 54465 del 05/06/2018, M., Rv. 274188 – 01; Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, Liori e altri, Rv. 262904 – 01; Sez. 5, n. 673 del 21/11/2013, dep. 2014, Lippi, Rv. 257963 – 01).
Mette conto osservare, infine, che la finalita’ di favorire taluni creditori a discapito di altri delimita anche oggettivamente la condotta punibile, che deve tendere all’interesse ad un trattamento paritetico tra i creditori e che, pertanto, si attualizza solo nella prospettiva di una procedura concorsuale, vale a dire quando l’impresa versa in condizioni di insolvenza.
3.2. Ebbene, questo breve excursus teorico e’ funzionale a verificare che, nella sentenza impugnata, vi sono delle lacune argomentative che ne compromettono la tenuta motivazionale.
Invero, in primo luogo, occorre evidenziare che la Corte di appello ha omesso di dare conto dell’esistenza di elementi, processualmente emersi, che evidenziassero la valenza L. Fall., ex articolo 216, comma 3 della complessa operazione attuata; invero, la natura articolata e plurisoggettiva dell’operazione (che ha visto la cessione del compendio immobiliare a fronte non gia’ dell’immediata soddisfazione dei creditori sociali, ma dell’accollo dei debiti della (OMISSIS) da parte della cessionaria degli immobili (OMISSIS) s.r.l.) e le specifiche censure che si leggono nell’atto di appello avrebbero imposto alla Corte di merito una piu’ accurata ed articolata riflessione circa l’assimilabilita’ al concetto di “pagamenti” della triangolazione avvenuta. Quanto, poi, in particolare, alla corrispondenza tra la deminutio patrimoniale per la (OMISSIS) s.r.l. e la soddisfazione dei creditori – che e’ alla base della riqualificazione avvenuta per mano del Tribunale – la pronunzia avversata non affronta il tema, pur coltivato nell’appello, della valenza satisfattiva dell’operazione rispetto alle pretese dei creditori in tesi preferiti.
Quanto al coefficiente soggettivo, gli argomenti in fatto sviluppati nell’appello a proposito della direzione dell’attivita’ – tesa non gia’ a tacitare alcuni creditori a discapito di altri, ma a chiudere l’attivita’ della (OMISSIS) una volta realizzato l’oggetto sociale con il completamento dell’attivita’ edificatoria e con la contestuale rinunzia ad una parte dei crediti da parte delle societa’ aventi diritto – non hanno trovato adeguato sfogo in seno alla pronunzia impugnata: quest’ultima ha infatti mancato di valorizzare le ragioni per cui la condotta debba considerarsi mossa da finalita’ illecita nei sensi sopra precisati, omettendo di contestualizzare temporalmente l’operazione rispetto all’emersione dell’insolvenza e di interrogarsi sulle conseguenze favorevoli che dall’operazione sarebbero potute derivare rispetto alla stato di salute della societa’ ed alla ragionevole prospettiva di evitare il fallimento.
L’esistenza di dette lacune argomentative impone, dunque, di annullare con rinvio la sentenza impugnata affinche’ il Giudice di rinvio possa fornire nuova motivazione sui punti sopra indicati, che tenga conto dei principi teorici enunciati e dei risvolti concreti di essi nella presente res iudicanda cosi’ come circoscritta dall’appello.
4. Il terzo motivo di ricorso – concernente il trattamento sanzionatorio principale ed accessorio – e’ naturalmente assorbito dall’annullamento con rinvio quanto alla motivazione circa la sussistenza stessa del reato. Deve tuttavia precisarsi che l’applicazione delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., per la durata fissa di dieci anni e’ divenuta, nelle more della celebrazione dell’odierna udienza, incostituzionale. Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della L. Fall., articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone che la condanna per uno dei fatti di bancarotta fraudolenta importa l’applicazione delle anzidette pene accessorie per la durata fissa di dieci anni, anziche’ fino a dieci anni. Il testo della norma, risultante dalla dichiarazione di illegittimita’ costituzionale, si applica con efficacia ex tunc anche nel presente processo in corso, secondo il disposto dell’articolo 136 Cost., comma 1, e L. Cost. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30, comma 3.
Ne consegue che, nel caso in cui il giudizio di rinvio abbia epilogo analogo a quello della sentenza impugnata, si imporrebbe la necessita’ di operare una rimodulazione della durata delle pene accessorie in discorso che tenga conto del venir meno della rigidita’ della disposizione dichiarata incostituzionale, rigidita’ che rende illegale, in parte qua, il trattamento sanzionatorio. Quanto all’applicabilita’ del disposto dell’articolo 37 c.p. che i ricorrenti auspicavano, allo stato essa va esclusa. Sul punto soccorre una recentissima decisione (28 febbraio 2019) delle Sezioni Unite di questa Corte, della quale, al momento della redazione della presente decisione, non si conoscono le motivazioni. Con la citata pronunzia, al quesito “se le pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dalla L. Fall., articolo 216, come riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, debbano essere commisurate, ai sensi dell’articolo 37 c.p., alla pena principale applicata, ovvero debbano essere determinate dal giudice, nell’ambito dei limiti edittali risultanti dalla nuova formulazione, in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”, le Sezioni Unite hanno risposto che “Le pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *