Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 dicembre 2022| n. 36141.

Per vincere tale presunzione legale di condominialità

In tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di condominialità deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il proprietario che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di dare la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene.

Ordinanza|12 dicembre 2022| n. 36141. Per vincere tale presunzione legale di condominialità

Data udienza 15 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Parti comuni – Presunzione di comunione – Operatività – Superamento – Titolo contrario – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 18593-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 733/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/02/2022 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Per vincere tale presunzione legale di condominialità

 

PREMESSO

CHE:
1. (OMISSIS) ha citato in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Belluno, deducendo di essere proprietario della porzione di un edificio (in particolare, di una stanza situata al primo piano e di una porzione di soffitta posta al secondo piano), oltreche’ comproprietario delle parti comuni del medesimo, tra cui un piccolo bagno collocato nel sottoscala del piano terra; di avere scoperto in occasione della sua prima visita nel 1992 che le convenute avevano realizzato nel pianerottolo del primo piano un bagno a loro uso esclusivo e che le medesime, nel 2009, avevano reso inagibile il bagno a servizio dell’intero edificio, situato al piano terra; chiedeva quindi che le convenute fossero condannate a rispristinare il bagno del piano terra e lo stato dei luoghi del primo piano. Le convenute, costituendosi, in via riconvenzionale chiedevano di accertare la loro proprieta’ esclusiva del locale esistente nel sottoscala al piano terra e dello spazio in cui avevano realizzato il bagno al primo piano, non rientrando il primo nelle parti comuni e avendo usucapito il secondo. Il Tribunale di Belluno, con sentenza n. 261/2016, ha rigettato le domande dell’attore e ha accolto quelle riconvenzionali delle convenute.
2. La sentenza e’ stata impugnata da (OMISSIS). La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 3 aprile 2017, n. 733, ha respinto il gravame.
3. Avverso la pronuncia (OMISSIS) ricorre per cassazione.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).
Memoria e’ stata depositata sia dalle controricorrenti che dal ricorrente.

Per vincere tale presunzione legale di condominialità

CONSIDERATO

CHE:
I. Il ricorso e’ articolato in otto motivi.
1) Il primo, il secondo e il quarto motivo sono tra loro strettamente connessi e ne e’ pertanto opportuna la trattazione congiunta.
a. Il primo motivo fa valere “violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c.”: con atto di divisione del 1961 si e’ costituito il condominio del fabbricato oggetto di causa; la Corte d’appello ha letto l’atto, cosi’ violando i canoni ermeneutici di cui agli articoli richiamati in rubrica, come se identificasse le parti comuni nei soli anditi e transiti indispensabili al disobbligo delle quote, con la conseguenza che il vano sottoscala a piano terra, in precedenza utilizzato come servizio igienico, non essendo andito o transito indispensabile al disobbligo delle quote sarebbe da considerarsi di proprieta’ esclusiva in capo alle controparti, conclusione che vale anche per lo spazio utilizzato per realizzare il bagno al piano primo; in tal modo la Corte d’appello si e’ focalizzata unicamente sulla clausola 5 dell’atto di divisione, senza considerare le restanti parti dell’atto e il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto.
b. Il secondo motivo fa valere “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1117, 2697, 1362, 1363, 1369 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c.”: il giudice d’appello ha “mal assunto la vicenda, non applicando l’articolo 1117 c.c.”, in quanto tra le parti comuni previste dall’articolo vi e’ il vano sottoscala e il pianerottolo.
c. Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c.: il sottoscala al piano terra e il pianerottolo del primo piano lo ha affermato la Corte di cassazione con le pronunzie n. 9523/2014 e 4664/2016 – sono beni presuntivamente comuni e l’atto divisionale del 1961 non costituisce titolo idoneo a vincere la presunzione.
I motivi sono fondati. Ai sensi dell’articolo 1117 c.c. sono oggetto di proprieta’ comune dei proprietari delle singole unita’ immobiliari dell’edificio, se non risulta il contrario dal titolo, tutte le parti necessarie all’uso comune, come “le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi”. Nel caso in esame le parti di cui si controverte sono il sottoscala sito al piano terreno e il pianerottolo sito al primo piano, parti che rientrano entrambe nella presunzione di condominialita’ stabilita dall’articolo 1117 c.c. (per il sottoscala v. Cass. 9523/2014; in relazione al pianerottolo cfr. Cass. 4664/2016, secondo cui “negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, ed anche se poste concretamente al servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettivita’ condominiale in virtu’ del dettato dell’articolo 1117 c.c., n. 1).

Per vincere tale presunzione legale di condominialità

La presunzione legale di condominialita’ “deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il proprietario che ne rivendichi la proprieta’ esclusiva ha l’onere di dare la prova di tale diritto; a tal fine, e’ necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene” (Cass. 8152/2001). Tale titolo non puo’ essere individuato nella clausola 5 dell’atto di divisione, secondo la quale “gli anditi e i transiti indispensabili al disobbligo delle quote sono consortivi”. La clausola si limita infatti ad affermare la condominialita’ di alcuni beni – appunto gli anditi e i transiti indispensabili – ma non esclude di certo la condominialita’ degli altri beni che nella presunzione rientrano, quali i sottoscala e i pianerottoli.
2) L’accoglimento dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo, che contesta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto il giudice d’appello, nell’affermare come il sottoscala sia distinto e autonomo rispetto alle scale, con un suo accesso autonomo, non considera che l’autonomia del sottoscala si e’ avuta solo a partire dagli anni 1970, quando nel sottoscala e’ stato ricavato il bagno a servizio dell’intero edificio.
3) Il quinto e il sesto motivo sono tra loro strettamente connessi e ne e’ pertanto opportuna la congiunta trattazione.
a. Il quinto motivo fa valere “violazione degli articoli 1158, 1163 e 1164 c.c.”: nel rigettare il terzo motivo di gravame la Corte d’appello non ha considerato che se i lavori del bagno al primo piano sono stati effettuati nel 1987, il ricorrente soggiorno’ nell’edificio solo dal 1992, cosi’ che solo da quel momento la clandestinita’ dell’occupazione dello spazio comune e’ terminata ed e’ cominciato a decorrere il periodo di possesso utile per l’usucapione, non maturato essendo l’atto di citazione stato notificato nel 2010.
b. Il sesto motivo contesta “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, ossia che il ricorrente giunse per la prima volta a Vich nel 1992 e non vi e’ prova che, in precedenza, fosse stato informato dei lavori.
I due motivi sono infondati. Come riconosce lo stesso ricorrente, che riporta un precedente di questa Corte (Cass. 17881/2013), il possesso deve essere “acquistato ed esercitato pubblicamente, cioe’ in modo visibile e non occulto, cosi’ da palesare l’animo del possessore di volere assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato”. La circostanza che il ricorrente abbia soggiornato nell’edificio in questione la prima volta nel 1992 non e’ quindi rilevante ai fini della determinazione temporale del possesso da parte delle controricorrenti dell’area del primo piano su cui hanno realizzato il bagno.
4) Il settimo e l’ottavo motivo sono anch’essi tra loro connessi, censurando entrambi la sentenza impugnata laddove ha rigettato il quarto motivo di gravame. Con l’atto d’appello il ricorrente aveva contestato alla sentenza di primo grado di avere “confusamente dichiarato l’esclusiva proprieta’ in capo alle convenute dell’area di pianerottolo su cui insiste il bagno”, ma di avere nulla detto sulla restante parte del pianerottolo, che e’ proprieta’ comune, sicche’ “le convenute dovranno essere condannate a eliminare ogni intralcio alla libera disponibilita’ della porzione comune mediante la demolizione della parete divisoria” (il motivo d’appello e’ trascritto alla p. 50 del ricorso).
a. L’ottavo motivo contesta “violazione dell’articolo 345 c.p.c.” in quanto il giudice d’appello ha erroneamente considerata nuova, e come tale inammissibile, la doglianza relativa alla parete divisoria essendo la questione relativa alla richiesta del suo abbattimento stata introdotta per la prima volta solamente in appello.
b. Con il settimo motivo – rubricato “violazione dell’articolo 112 c.p.c.” il ricorrente denuncia come la Corte d’appello abbia, nel merito della richiesta di abbattimento della parete divisoria, affermato come la stessa ricada su un’area di proprieta’ esclusiva delle controricorrenti quando invece queste ultime, costituendosi in giudizio, avevano chiesto in via riconvenzionale unicamente di accertare che “nella realizzazione del bagno al primo piano sono divenute proprietarie dell’area del pianerottolo su cui lo stesso insiste”.
Le censure sono fondate. Fondata e’ la censura, di cui all’ottavo motivo, della violazione dell’articolo 345 c.p.c.. Il giudice d’appello ha anzitutto statuito che la richiesta di eliminazione degli ostacoli al godimento del pianerottolo, parte comune, e in particolare di demolizione della parete divisoria era domanda nuova, essendo stata introdotta per la prima volta solamente in secondo grado. Tale statuizione e’ errata: la richiesta di eliminazione “di ogni intralcio alla libera disponibilita’ della porzione comune” era infatti gia’ stata effettuata nell’atto di citazione di primo grado (v. le conclusioni riportate a p. 50 del ricorso), cosi’ che la domanda non poteva essere considerata nuova e come tale inammissibile dal giudice d’appello.
La Corte d’appello, dichiarata l’inammissibilita’ della richiesta di abbattimento della parete, ne ha anche affermata l’infondatezza nel merito, adducendo che la parete ricade su un’area di proprieta’ esclusiva delle convenute (perche’ non condominiale e perche’ usucapita). Tali ragioni il giudice non poteva pero’ addurre – e in tale senso va ritenuto fondato il settimo motivo di ricorso che appunto contesta l’affermazione della Corte d’appello della proprieta’ esclusiva dell’area su cui ricade la parete divisoria – in quanto con la declaratoria di inammissibilita’ della domanda il giudice si era spogliato della potestas iudicandi sul relativo merito (cfr. al riguardo, per tutte, Cass., sez. un., n. 24469/2013).
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e nei limiti di cui in motivazione; la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Venezia, che provvedera’ anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il quarto, il settimo e l’ottavo motivo, assorbito il terzo, rigettati il quinto e il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.

 

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