Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 17 aprile 2020, n. 7903.
La massima estrapolata:
Per il fallimento della supersocietà di fatto serve un comune intento sociale tra tutti i soci.
Ordinanza 17 aprile 2020, n. 7903
Data udienza 18 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Fallimento – Società di fatto – Interpretazione estensiva dell’art. 147 comma 5 legge fallimentare – Conseguenze
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20619/2017 proposto da:
Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione; Fallimenti: della societa’ di fatto tra (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); di (OMISSIS) s.r.l.; di (OMISSIS) s.r.l.; di (OMISSIS) S.r.l.; di (OMISSIS); di (OMISSIS); di (OMISSIS); di (OMISSIS), tutti in persona del curatore avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tmepore, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio legale (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura speciale per Notaio Dott.ssa (OMISSIS) di (OMISSIS) – Rep. n. (OMISSIS);
– controricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1510/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 08/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/12/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha chiesto che la Corte rigetti il ricorso. Conseguenze di legge.
FATTI DI CAUSA
A seguito dell’accoglimento del reclamo L. Fall., ex articolo 18, proposto dalla curatela del fallimento di (OMISSIS) s.r.l. unipersonale in liquidazione, il tribunale di Cosenza, al quale erano stati rimessi gli atti ai sensi della L. Fall., articolo 22, dichiarava il fallimento della societa’ di fatto composta dalla predetta (OMISSIS) s.r.l. e da (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ dei soci in proprio.
Avverso tale sentenza era proposto reclamo da parte dei falliti, e la corte d’appello di Catanzaro, con sentenza resa pubblica l’8-8-2017, ha accolto il reclamo e revocato il fallimento, non ravvisando in concreto la sussistenza della asserita societa’ di fatto.
Per quanto rileva, ha in base alle risultanze sottolineato che alla configurazione della fattispecie erano ostativi: (a) la mancanza del requisito oggettivo rappresentato dal fondo comune; (b) la circostanza che le condotte distrattive accertate, anche in sede penale, a carico di (OMISSIS) non erano state destinate alla formazione di un tale fondo, da utilizzare per lo svolgimento di attivita’ imprenditoriale comune, ma al semplice scopo di sottrarre liquidita’ ai creditori della societa’ unipersonale; (c) la mancanza dell’elemento soggettivo (la cd. affectio societatis), dal momento che la fallita (OMISSIS) s.r.l. non aveva svolto – giustappunto – attivita’ imprenditoriale assieme agli altri soggetti ritenuti soci della societa’ di fatto, i quali avevano esercitato la loro specifica attivita’ finanche in tempi diversi, taluni addirittura dopo la messa in liquidazione delle altre societa’.
In tal senso la corte d’appello concludeva affermando che la societa’ (OMISSIS) non aveva partecipato con gli altri a un nuovo ente imprenditoriale di fatto, ma era stata “mera destinataria di una serie di operazioni attraverso le quali essa, dopo aver accumulato (..) notevoli debiti nei confronti dell’Erario, (era) stata progressivamente depauperata – per mano dell’amministratore unico (OMISSIS) delle sue liquidita’ finanziarie fino al punto da divenire insolvente ed esser dichiarata fallita”.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso il Fallimento della societa’ (OMISSIS) e il Fallimento della societa’ di fatto sopra indicata.
Hanno resistito con unico controricorso le societa’ (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., nonche’ le persone fisiche (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS).
Tutte queste parti hanno depositato memorie.
L’Agenzia delle entrate Riscossioni non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – Con tre motivi la parte ricorrente denunzia nell’ordine:
(i) la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. e in ogni caso della L. Fall., articoli 16, 18 e 22, lamentando che la causa sia stata decisa prescindendo dalla motivazione della decisione reclamata, integrata dai motivi posti a base del decreto della medesima corte d’appello col quale, ai sensi della L. Fall., articolo 22, comma 3, gli atti erano stati rimessi al tribunale per la dichiarazione di fallimento;
(ii) l’omesso esame di distinti fatti controversi decisivi, rappresentati dalla commistione patrimoniale tra tutti i soggetti sopra indicati commistione da considerare indice sintomatico di esistenza della societa’ di fatto -; nonche’ dall’unicita’ e comunanza del progetto imprenditoriale perseguito e dall’esteriorizzazione del vincolo associativo;
(iii) la violazione o falsa applicazione della L. Fall., articolo 147 e articolo 2247 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente (a) escluso l’esistenza della societa’ di fatto in base a criteri solo formali, (b) considerato preclusivo dell’affectio societatis il contegno illecito distrattivo di uno dei pretesi soci di fatto, (c) escluso la rilevanza dell’attivita’ comune sulla base del fatto che non tutti i pretesi soci avessero svolto contestualmente la medesima attivita’.
II. – Il primo motivo e’ infondato.
Non giova il riferimento all’articolo 112 c.p.c., poiche’ il principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato riguarda la pronuncia sul merito, e nella specie la pronuncia e’ stata resa in base a una semplicemente diversa valutazione del presupposto dell’istanza di fallimento secondo le censure svolte col reclamo; il quale reclamo assume, ai sensi della L. Fall., articolo 18, nel testo vigente, i connotati del procedimento caratterizzato da effetto devolutivo pieno coi soli limiti – appunto – delle censure formulate (v. ex aliis Cass. n. 26771-16).
La circostanza che la sentenza di fallimento sia stata pronunciata dal tribunale in base allo speciale procedimento imposto dalla L. Fall., articolo 22, comma 3, niente toglie alla piena legittimita’ della differente valutazione che, in punto di fatto, poteva fare (e concretamente ha fatto) la corte d’appello adita col reclamo dei falliti.
Invero il giudice del reclamo non e’ vincolato alla previa valutazione resa col decreto di cui alla L. Fall., articolo 22, comma 3, circa il presupposto cui associare l’esistenza della societa’ di fatto, tanto che – come riconosce la stessa parte ricorrente – il decreto in questione non assume alcun connotato di decisorieta’.
Questa Corte ha da tempo chiarito (v. Cass. n. 6261-94) che il decreto col quale, ai sensi della L. Fall., articolo 22, in accoglimento del reclamo avverso il provvedimento del tribunale di rigetto dell’istanza di fallimento, siano rimessi gli atti allo stesso tribunale perche’ provveda alla relativa declaratoria assolve una mera funzione processuale propedeutica alla sentenza che dichiara il fallimento, cosi’ da sottrarsi all’impugnazione diretta col ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost.. E questo proprio perche’ il fallito puo’ infine sempre proporre le proprie difese avverso tale sentenza, quale provvedimento dotato di rilevanza esterna, mediante i rimedi appositamente previsti per essa (cfr. pure Cass. n. 19223-05, Cass. Sez. U n. 26181-06).
E’ dunque evidente che la corte d’appello non era condizionata dalla motivazione spesa nel decreto di rimessione al tribunale, ne’ tanto meno dalla motivazione del tribunale, integrata o meno che fosse da quella del decreto.
III. – Il secondo e il terzo motivo, connessi e da esaminare congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Certamente e’ da confermare il principio (Cass. n. 10507-16) che consente l’interpretazione estensiva della L. Fall., articolo 147, comma 5. Nella sostanza cio’ vuoi dire che la norma citata trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa e’, in realta’, riferibile a una societa’ di fatto tra il fallito e uno o piu’ soci occulti, ma anche, in virtu’ di sua interpretazione estensiva, quando il socio gia’ fallito sia una societa’, anche di capitali, che partecipi, con altre societa’ o persone fisiche, a una societa’ di persone (cd. supersocieta’ di fatto).
Tuttavia e’ altrettanto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (v. ancora Cass. n. 10507-16, cui adde, in motivazione, Cass. n. 12120-16) che la sussistenza di un tale fenomeno postula la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all’interesse dei soci, dovendosi ritenere che la circostanza che le singole societa’ perseguano, invece, l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche solo di fatto, costituisca, piuttosto, una prova contraria all’esistenza della supersocieta’ di fatto.
Simile circostanza – si dice – puo’ semmai costituire indice di esistenza di una “holding” di fatto nei cui confronti il curatore puo’ agire in responsabilita’ (articolo 2497 c.c.); la quale “holding” di fatto puo’ essere dichiarata autonomamente fallita, ove ne sia accertata l’insolvenza a richiesta di uno dei soggetti legittimati (cfr. Cass. n. 15346-16; Cass. n. 5520-17).
IV. – Ora la corte d’appello di Catanzaro si e’ attenuta ai detti principi, avendo escluso giustappunto che potesse reputarsi esistente nel caso concreto il comune intento sociale perseguito dai singoli pretesi associati: testualmente, “la comune intenzione (..) di collaborare per conseguire risultati comuni nell’esercizio collettivo di una attivita’ imprenditoriale”.
In tal guisa essa ha revocato il fallimento previa analisi (per quanto sintetica) dei singoli elementi di prova desumibili dai documenti.
Il ricorso (secondo motivo) assume che l’impugnata sentenza sarebbe affetta da omesso esame di circostanze decisive secondo il disposto di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Tale addebito e’ pero’ postulato in relazione a elementi sintomatici (a dire del ricorrente) della riconducibilita’ a un medesimo centro di interessi (rappresentato dalla famiglia (OMISSIS)) delle cariche sociali effettive delle singole societa’, e dal fatto che talune di queste ((OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.) avessero identico oggetto sociale, sostanziale coincidenza di sede in immobili messi gratuitamente a disposizione da (OMISSIS), somiglianza di segni distintivi legati al cognome ” (OMISSIS)”, possibilita’ di utilizzazione di recapiti anche telematici promiscui e di apporti in denaro e prestazioni di garanzie reciproche.
Insistere su codesti elementi in questa sede di legittimita’ non e’ proficuo, poiche’ la corte d’appello non ha mostrato di ometterne l’esame quanto piuttosto di considerare quegli stessi elementi, seppure nel sintetico riferimento a quanto emergente dalle risultanze istruttorie, ininfluenti a fini di prova di un comune intento sociale perseguito dai soggetti allusi, a fronte invece di altri elementi ritenuti decisivi in senso contrario.
Codesti elementi “altri” la corte ha menzionato in rapporto allo svolgimento di attivita’ imprenditoriale distinta da parte di ciascun soggetto, e al fine di spoliazione che aveva contraddistinto, invece, l’attivita’ specifica (illecita) di (OMISSIS) rispetto alla fallita societa’ uni personale.
Si tratta in questa prospettiva di una valutazione in fatto, non contrastante coi principi da questa Corte Suprema affermati a proposito della fattispecie (alla quale ci si riferisce) della supersocieta’, rilevante ai fini della L. Fall., articolo 147.
Come tale, detta valutazione resta insindacabile in cassazione.
Va in particolare ribadito il costante orientamento secondo il quale il vizio di motivazione, ancor piu’ in rapporto all’attuale testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (su cui v. Cass. Sez. U n. 8053-14), non puo’ consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di Cassazione non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensi’ solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui e’ riservato l’apprezzamento dei fatti.
V. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in favore delle parti resistenti in 5.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale massima di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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