Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 febbraio 2021| n. 3688.
Ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d’appalto e non di opera (Nel caso di specie, relativo ad una controversia originata dall’insorgenza di difetti costruttivi e di difformità progettuali in sede di esecuzione di lavori effettuati su un bene immobile, la Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha ritenuto incensurabile la sentenza di condanna al risarcimento del danno confermata in sede di gravame a carico del ricorrente avendo la corte territoriale concluso per il contratto d’appalto, oltre che in ragione della formale qualificazione adottata dalle parti, giustamente valorizzata, anche in motivo del fatto che non era stata fornita la prova che l’esecuzione dei lavori fosse avvenuta sotto la gestione e responsabilità d’altri e, quindi, del committente, ovvero con l’attività prevalentemente personale del titolare della ditta incaricata)
Ordinanza|12 febbraio 2021| n. 3688
Data udienza 16 dicembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Contratto d’appalto – Assunzione del rischio del conseguimento del risultato ed organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore – Esclusione del contratto d’opera – Mancata prova dell’esecuzione dei lavori con l’attività prevalentemente personale del titolare della ditta – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 582-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
nonche’
(OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 766/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 07/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. I coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce – sezione distaccata di Campi Salentina, (OMISSIS), quale titolare dell’omonima ditta individuale, nonche’ (OMISSIS) affinche’, previo accertamento di seri difetti costruttivi e di difformita’ progettuali relative all’immobile di loro proprieta’, la cui costruzione era stata affidata all’impresa del (OMISSIS), con la progettazione e direzione dei lavori affidate all’ing. (OMISSIS), i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva il (OMISSIS) il quale sosteneva che tutta la propria attivita’ era stata costantemente verificata dalla direzione dei lavori e chiedeva in via riconvenzionale il compenso per alcune prestazioni extra contratto eseguite su richiesta dei committenti.
Eccepiva altresi’ la decadenza e la prescrizione della domanda attorea.
Anche il (OMISSIS) si costituiva in giudizio contestando la domanda, chiedendo in via riconvenzionale il pagamento del compenso ancora dovutogli per l’attivita’ professionale prestata. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza n. 82 del 24 marzo 2011 dichiarava la responsabilita’ dei convenuti che condannava in solido al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 11.205,37, rigettando invece le domande riconvenzionali. La Corte d’Appello di Lecce con sentenza n. 766 del 7 ottobre 2015 rigettava l’appello principale del (OMISSIS) ed incidentale del (OMISSIS), condannando entrambi al rimborso delle spese del grado.
In primo luogo, escludeva che la mera consegna del manufatto ai committenti avesse implicato anche da parte degli stessi l’accettazione dell’opera, preclusiva della possibilita’ di far valere la garanzia per vizi e difetti, posto che la consegna del bene ed il pagamento del compenso all’appaltatore non erano stati accompagnati dalla volonta’ di accettare l’opera senza riserve.
Quanto al rigetto dell’eccezione di decadenza e prescrizione, la Corte d’Appello rilevava che le parti, come emergeva dalla copia del contratto, avevano dato vita ad un contratto d’appalto, mentre non poteva accedersi alla tesi del (OMISSIS) secondo cui invece si trattava di un contratto d’opera, per il quale l’onere di denuncia dei vizi deve essere soddisfatto negli otto giorni dalla consegna.
A favore dell’inquadramento come appalto deponeva, in primo luogo, la qualificazione formale data dalle stesse parti nel contratto concluso.
Ne’ poteva assumere portata dirimente la circostanza che l’impresa del (OMISSIS) avesse carattere artigianale, posto che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, ai fini della distinzione tra appalto e contratto d’opera, occorre far riferimento alle dimensioni ed alla struttura dell’impresa, posto che nel contratto d’opera risulta prevalente l’attivita’ dello stesso imprenditore artigiano, il cui venire meno impedisce il perseguimento delle iniziative d’impresa.
Nella fattispecie, l’appellante non aveva provato ne’ chiesto di provare di avere offerto un’attivita’ basata prevalentemente sul lavoro del titolare e condotta sotto la gestione e responsabilita’ d’altri, essendo invece emersa l’assunzione del rischio di impresa da parte della ditta esecutrice dei lavori.
Trovando quindi applicazione la disciplina dell’appalto, la denuncia dei vizi era tempestiva, in quanto avvenuta nei due mesi dalla loro scoperta.
Ancora non poteva accedersi alla tesi secondo cui i vizi stessi fossero da imputare alle richieste di varianti dell’originario progetto da parte dei committenti, atteso che anche nel caso in cui l’appaltatore sia chiamato a realizzare un progetto altrui, e’ in ogni caso tenuto a segnalare gli eventuali errori di progettazione e direzione, essedo quindi obbligato a segnalare gli stessi al committente, manifestando il proprio dissenso, attivita’ questa che non era stata posta in essere.
Analoghe considerazioni andavano mosse per la similare doglianza del direttore dei lavori, essendo il (OMISSIS) comunque tenuto a segnalare e correggere le eventuali carenze progettuali che impediscono la buona riuscita del lavoro.
Infine, andava confermato anche il rigetto della domanda riconvenzionale di pagamento del saldo del compenso dovuto all’impresa, essendo emerso dalle prove prodotte in atti che in realta’ il (OMISSIS) aveva ricevuto il saldo delle proprie spettanze, come da quietanza in atti.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi.
(OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso. (OMISSIS) non ha svolto difese in questa fase.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e la conseguente nullita’ della sentenza per esser la stessa affetta da una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, ovvero apparente, a causa del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili.
Si deduce che la qualificazione del contratto in termini di appalto e’ il frutto di un ragionamento profondamente contraddittorio e connotato da intrinseca inconciliabilita’ tra affermazioni contrastanti.
Infatti, pur aderendo all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui il discrimen tra appalto e contratto d’opera risiede nell’organizzazione e nelle caratteristiche dell’impresa cui e’ stata commissionata l’esecuzione dell’opera, la Corte distrettuale ha pero’ ritenuto che non fosse ostativa la qualifica di impresa artigiana della ditta del (OMISSIS), impresa che si fonda sul prevalente lavoro personale dell’imprenditore e dei propri familiari.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss. nonche’ degli articoli 2222, 2226, 1655, 1667, 2082, 2083 c.c. quanto alla qualificazione come appalto del contratto oggetto di causa, fondandosi sulla mera intestazione formale del contratto e sulla terminologia utilizzata dai contraenti, negando la valenza decisiva alla qualita’ in capo al ricorrente di piccolo imprenditore artigiano, che svolge la propria attivita’ personalmente e con l’ausilio dei propri familiari.
Si deduce che non poteva attribuirsi portata vincolante alla terminologia utilizzata in contratto, e che avuto riguardo alla natura delle prestazioni oggetto di causa, occorreva concludere per la stipula di un contratto d’opera.
I due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
Ad avviso del Collegio, deve sicuramente escludersi la dedotta nullita’ della sentenza, non emergendo dallo sviluppo logico della motivazione la denunciata intrinseca contraddittorieta’ e assoluta inconciliabilita’ delle affermazioni contenute in sentenza per pervenire al rigetto del motivo di appello proposto, e risultando che la decisione gravata, e’ pervenuta alla qualificazione del rapporto in termini di appalto, attenendosi ai criteri dettati dalla giurisprudenza di questa Corte, assumendo pero’, sulla base di un accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimita’, la conclusione che prevalessero gli indici strutturali e dimensionali attestanti la stipula di siffatto contratto, anziche’ del contratto d’opera, come invece invocato da parte ricorrente.
Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che (Cass. n. 27258/2017) ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualita’ di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d’appalto e non di opera (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale, muovendo dall’importanza dell’opera commissionata – riguardante l’impermeabilizzazione dei lastrici solari di copertura di un fabbricato condominiale – e tenendo conto del fatto che questa era stata affidata ad una ditta specializzata, aveva ritenuto che la sua esecuzione presupponesse un’organizzazione di impresa tale da ricondurre il contratto alla figura dell’appalto; conf. Cass. n. 12727/1995). Coerente con tale principio e’ quindi l’affermazione del giudice di appello che ha concluso per il contratto d’appalto, oltre che in ragione della formale qualificazione adottata dalle parti, che e’ stata giustamente valorizzata, anche in ragione del fatto che non era stata fornita la prova che l’esecuzione dei lavori fosse avvenuta sotto la gestione e responsabilita’ d’altri (e quindi del committente) ovvero con l’attivita’ prevalentemente personale del titolare della ditta (anche avuto riguardo alla natura dell’incarico, quale riportata dallo stesso ricorrente nel ricorso, ove si riferisce della costruzione al rustico di un intero fabbricato, composto da un piano seminterrato, destinato a garage, e da un piano rialzato destinato ad abitazione).
E’ pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha altresi’ chiarito che (Cass. n. 12519/2010) il contratto d’appalto ed il contratto d’opera si differenziano per il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato e’ preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa (conf. Cass. n. 7307/2001; Cass. n. 5451/1999; Cass. n. 7606/1999), ma ha altresi’ precisato che non e’ di per se’ incompatibile con la figura dell’appalto il carattere artigianale dell’impresa (Cass. n. 1856/1990), sempre che emerga la prova dell’assunzione della gestione dell’opera a proprio rischio ed un’organizzazione di mezzi necessaria alla sua esecuzione.
Nella fattispecie, in disparte il difetto di specificita’ del motivo, che omette di riportare con precisione il contenuto del contratto, formalmente qualificato dalle parti come appalto, onde poter ricavare dalle sue previsioni quali fossero gli eventuali profili disciplinari rilevanti ai fini della qualificazione della fattispecie (sicche’ in carenza di tale allegazione, non appare censurabile in se’ la prevalenza data dal giudice di merito alla formale espressione della quale le parti si sono avvalse), il giudice di appello, ha escluso che avesse portata decisiva la qualifica di impresa artigiana della parte incaricata dell’esecuzione dei lavori, ritenendo, alla luce della valutazione del materiale istruttorio, che emergesse proprio il tratto caratterizzante la figura dell’appalto, secondo il discrimen offerto dalla giurisprudenza di questa Corte, e cioe’ l’assunzione da parte dell’imprenditore del rischio del conseguimento del risultato, senza che fosse stata invece offerta la prova ne’ delle ingerenze preponderanti del committente ne’ dell’utilizzo prevalente dell’attivita’ personale del titolare dell’impresa stessa.
Ribadita quindi l’assenza di un vizio della motivazione suscettibile di determinare la nullita’ della sentenza ex articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, non ricorre nemmeno la dedotta violazione di legge, essendo evidente che la censura investe non tanto la corretta enunciazione del principio di diritto nella specie applicato, quanto a monte la ricostruzione in fatto delle vicende, assumendosi in tal senso che le concrete modalita’ di svolgimento del rapporto fossero diverse da quella invece appurate in sentenza, di tal che la censura, come detto, attinge l’accertamento in fatto e non anche la corretta applicazione della norma di legge.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonche’ delle relative risultanze istruttorie, per avere omesso la Corte di considerare che il ricorrente aveva chiesto di provare di essere imprenditore artigiano, svolgente attivita’ con il prevalente lavoro personale e la collaborazione dei propri familiari, nonche’ di avere completamente omesso l’esame delle relative risultanze istruttorie.
Il motivo deve essere disatteso palesando in maniera evidente come nella realta’ lo stesso aspiri surrettiziamente ad ottenere da questa Corte una diversa ricostruzione del fatto all’esito di un diverso apprezzamento delle emergenze istruttorie.
Anche a voler sorvolare sulla personale interpretazione degli esiti delle prove orali che offre parte ricorrente, rispetto a quanto emerge dalla motivazione (esiti che comunque evidenziano l’esistenza di una struttura imprenditoriale con la presenza di almeno due dipendenti), la qualita’ di impresa artigiana rivendicata dal (OMISSIS) non e’ stata a ben vedere omessa nella disamina della Corte distrettuale che l’ha pero’ ritenuta non incompatibile con la conclusione del contratto di appalto, reputando invece, alla luce della complessiva valutazione dell’intero materiale istruttorio, che ricorressero gli indici qualificanti la vicenda in termini di appalto.
L’interpretazione di questa Corte ha pero’ chiarito come l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439); le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali rappresentano, piuttosto, i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame, e la cui mancata considerazione percio’ integra la violazione dell’articolo 112 c.p.c., il che rende ravvisabile la fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., coma 1, n. 4 e quindi impone un univoco riferimento del ricorrente alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorche’ sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. 2, 22/01/2018, n. 1539; Cass. Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22799; Cass. Sez. 6 – 3, 16/03/2017, n. 6835).
Le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresi’ sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”.
4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza, come liquidate in dispositivo, con attribuzione all’avv. (OMISSIS), dichiaratosene anticipatario.
5. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 sui compensi ed accessori come per legge, con attribuzione all’avvocato (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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