Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 29 novembre 2018, n. 53685.
La massima estrapolata:
In materia di reati concernenti violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina estintiva stabilita per le sanzioni penali, né a quella della prescrizione prevista dall’art. 173 cod. pen. avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l’autore dell’abuso – né a quella conseguente al decorso del tempo con condotta favorevole, prevista dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen.. Proprio con riguardo a quest’ultima disposizione, è stato infatti ripetutamente affermato che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo (previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, resta eseguibile anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., poiché, detto ordine, in quanto sanzione amministrativa, non è soggetto alle norme relative all’estinzione della pena o del reato, nemmeno per effetto di un’applicazione analogica delle medesime.
Sentenza 29 novembre 2018, n. 53685
Data udienza 13 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 05/04/2018 del Tribunale di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con ordinanza del 5 aprile 2018, il Tribunale di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da (OMISSIS) volta ad ottenere la revoca o la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo contenuto in due sentenze, divenute definitive, di applicazione della pena per il reato di costruzione in assenza di permesso di costruire.
2. Avverso detta ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore della signora (OMISSIS), deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione perche’ l’ordine di demolizione – da considerarsi pena ai sensi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – sarebbe estinto ai sensi dell’articolo 445 c.p.p., comma 2.
4. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione, innanzitutto sul rilievo che l’esecuzione dell’ordine di demolizione non disciplinata dal codice di rito penale – potrebbe avvenire soltanto in sede amministrativa, e non gia’ ad opera del pubblico ministero, anche se disposta dal giudice penale nell’esercizio del suo potere di supplenza. In ogni caso, si lamenta la violazione del principio del ne bis in idem sancito dalla normativa convenzionale ed Eurounitaria, essendovi stata duplicazione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione, trattandosi di procedimento gia’ previamente avviato in sede amministrativa e poi reiterato in sede penale.
5. Il ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza di tutte le doglianze dedotte e puo’ essere deciso con sentenza a motivazione semplificata.
5.1. Quanto al primo motivo, va osservato che nella giurisprudenza di legittimita’ e’ consolidato il principio – condiviso dal Collegio e di cui il giudice di merito ha fatto corretta applicazione – giusta il quale in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo non e’ sottoposto alla disciplina estintiva stabilita per le sanzioni penali, ne’ a quella della prescrizione prevista dall’articolo 173 cod. pen. – avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalita’ punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che e’ in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l’autore dell’abuso (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540) – ne’ a quella conseguente al decorso del tempo con condotta favorevole, prevista dall’articolo 445 c.p.p., comma 2. Proprio con riguardo a quest’ultima disposizione, invocata in ricorso, e’ stato infatti ripetutamente affermato che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo (previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 31, comma 9), qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, resta eseguibile anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’articolo 445 c.p.p., comma 2, poiche’, detto ordine, in quanto sanzione amministrativa, non e’ soggetto alle norme relative all’estinzione della pena o del reato, nemmeno per effetto di un’applicazione analogica delle medesime (Sez. 3, n. 9948 del 20/01/2016, De Gregorio, Rv. 266768; Sez. 3, n. 18533 del 23/03/2011, Abbate, Rv. 250291; Sez. 3, n. 2674 del 06/07/2000, Callea, Rv. 216821). Detta sanzione, peraltro, non e’ neppure soggetta alla prescrizione stabilita dall’articolo 28 legge 24 novembre 1981, n. 689, che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalita’ punitiva (Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 265540; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Mercurio e a., Rv. 250336).
Diversamente da quanto opina il ricorrente, la conclusione non comporta conseguenze irragionevoli o altrimenti foriere di insinuare dubbi di legittimita’ costituzionale, neppure in relazione alla disciplina convenzionale invocata in ricorso. Si e’ infatti affermato che e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 117 Cost., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa – che, come si e’ gia’ precisato, assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalita’ punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non e’ l’autore dell’abuso – non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, e’ da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all’articolo 117 Cost. (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977).
5.2. La conclusione da ultimo riportata rivela la manifesta infondatezza della doglianza relativa alla lesione del bis in idem dedotta con il secondo motivo di ricorso.
Premesso che non v’e’ dubbio circa il fatto che l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, e’ soggetto all’esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorche’ applicativo di sanzione amministrativa (si tratta di orientamento consolidato a partire da Sez. U, n. 15 del 19/06/1996, Monterisi, Rv. 205336; di recente, v. Sez. 3, n. 30679/2017 del 20/12/2016, Pintacorona, Rv. 270229), se la demolizione non costituisce “pena” in senso convenzionale, non puo’ essere in alcun modo evocato il principio del ne bis in idem previsto da quella normativa e riprodotto, con identico contenuto, dalla disciplina Eurounitaria.
Del resto, la lesione di quel principio non potrebbe neppure astrattamente porsi nel caso di specie, posto che non v’e’, qui, l’applicazione/esecuzione di una doppia pena per un medesimo fatto, essendo invece unica la sanzione amministrativa della demolizione, che, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, comma 9, il giudice penale, con la sentenza di condanna, ha l’obbligo di applicare a meno che essa non sia gia’ stata eseguita. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il coordinamento tra l’intervento specifico giudiziario e quello generale, di carattere amministrativo si realizza non gia’ a livello dei rispettivi poteri, bensi’ nella fase esecutiva dei provvedimenti, ma solo nel senso che spetta al giudice dell’esecuzione valutare la compatibilita’ del provvedimento giurisdizionale di demolizione con le determinazioni dell’Amministrazione, al fine di decidere se vi siano i presupposti per metterlo in esecuzione e con quali modalita’ (Sez. 3, n. 702 del 14/02/2000, Cucinella, Rv. 217090). Nel caso di specie non e’ stata allegata l’adozione di alcun provvedimento amministrativo incompatibile con l’esecuzione della demolizione, sicche’ nulla osta a che l’autorita’ giudiziaria proceda in via esecutiva, avendo peraltro l’ordinanza impugnata attestato che l’esecuzione in sede amministrativa non ha avuto seguito.
6. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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