Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 32933.
Opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto può proporre domanda nuova diversa da quella del ricorso
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre, con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata, una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni, chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dall’art. 183 c.p.c. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato inammissibile la domanda di risoluzione del contratto e risarcimento dei danni proposta dal creditore opposto, con la comparsa di costituzione e risposta, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo).
Ordinanza|| n. 32933. Opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto può proporre domanda nuova diversa da quella del ricorso
Data udienza 22 giugno 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Decreto Ingiuntivo – Opposizione – Convenuto opposto – Comparsa di costituzione e risposta – Domanda nuova – Elemento identificativo soggettivo delle «personae» – Medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo – Artt. 167 e 645 cpc
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9582-2021 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante “pro tempore”, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 494/2021 della Corte d’appello di Roma, depositata il 22/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 22/06/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
Opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto può proporre domanda nuova diversa da quella del ricorso
FATTI DI CAUSA
1. La societa’ (OMISSIS) S.r.l. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 494/21, del 22 gennaio 2021, della Corte d’appello di Roma, che – nel respingerne il gravame avverso la sentenza non definitiva n. 21224/14, del 28 ottobre 2014, resa dal Tribunale di Roma – ha confermato sia l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, proposta dalla societa’ (OMISSIS) S.r.l., che la declaratoria di inammissibilita’ delle domande riconvenzionali della societa’ opposta (OMISSIS).
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver conseguito un provvedimento monitorio che ingiungeva a (OMISSIS) il pagamento della somma complessiva di Euro 157.271,52, in forza di due fatture emesse da essa (OMISSIS) nell’ambito del rapporto contrattuale con la stessa corrente a far data dal 16 gennaio 2001. In base a tale rapporto, infatti, (OMISSIS), concessionaria per la raccolta pubblicitaria in favore di (OMISSIS), risultava tenuta a riversarle – all’esito di presentazione di fattura – quanto riscosso da ogni singola operazione di vendita delle inserzioni pubblicitarie (al netto della provvigione, pari al 40% di ciascun incasso).
Nel chiedere la revoca dell’opposto decreto ingiuntivo, (OMISSIS) deduceva l’esistenza di un inadempimento di (OMISSIS) ai propri obblighi contrattuali, assumendo, pertanto, di aver esercitato – nel non riversarle le somme di cui alle due fatture suddette – il diritto di ritenzione ex articolo 1460 c.c., vantando un maggior controcredito verso di essa, che eccepiva in compensazione. Sul presupposto, inoltre, che quello in atto tra le parti fosse un contratto di agenzia (e non un semplice mandato), l’opponente proponeva domanda riconvenzionale per conseguire l’indennita’ ex articolo 1751 c.c., nonche’ quella di cui all’articolo 3) dello stesso contratto.
Costituitasi in giudizio, la societa’ opposta – oltre a resistere all’avversaria domanda – agiva, a propria volta, in via di riconvenzione, affinche’ fosse accertata la cessazione dell’efficacia del contratto, per fatto e colpa di (OMISSIS), con condanna della stessa al risarcimento dei danni.
Il giudice di prime cure, con sentenza non definitiva, accoglieva la proposta opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, dichiarando, invece, inammissibile la riconvenzionale della societa’ opposta.
Esperito gravame da quest’ultima, il giudice di appello lo respingeva.
3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base – come detto – di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli articoli 1731, 1742 e 1751 c.c., nonche’ degli articoli 1362, 1363 e 1366 c.c., oltre a “nullita’ per carenza assoluta di motivazione”, ai sensi degli articoli 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., e infine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Si censura la sentenza impugnata per aver accolto la domanda di pagamento dell’indennizzo ex articolo 1751 c.c., reiterando la ricorrente, anche in questa sede, la censura secondo cui quello corrente tra le parti sarebbe un contratto di commissione e non di agenzia, visto che (OMISSIS) ha sempre venduto, in nome proprio, gli spazi pubblicitari agli inserzionisti, emettendo fattura direttamente nei loro confronti, senza che (OMISSIS) fosse mai menzionata nei singoli contratti, ne’ come parte, ne’ per qualsiasi altro titolo.
Nell’interpretare la fattispecie contrattuale “de qua” quale contratto di agenzia, dando rilievo esclusivo al “nomen iuris”, la sentenza impugnata avrebbe, innanzitutto, contravvenuto all’articolo 1362, comma 2, c.c., non tenendo conto dei contratti tra (OMISSIS) e gli inserzionisti, e dunque della condotta delle parti successiva alla stipulazione del contratto. Analogamente, sarebbero stati disattesi gli articoli 1363 e 1366 c.c., non essendosi “tenuto conto complessivamente delle disposizioni contrattuali e della loro concreta esecuzione nel corso del contratto”. La ricorrente sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata sarebbe solo apparentemente motivata (v. ricorso p. 14) la’ dove, nel qualificare il contratto in questione come contratto di agenzia, oltre che al “nomen iuris” assegnato dalle parti al contratto in questione, avrebbe, “con inammissibile genericita’”, fatto riferimento al “contenuto delle relative clausole”, senza ulteriore specificazione, cosi’ “risultando impossibile percepirne la ratio decidendi”.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1227, 1460 e 2596 c.c., nonche’ degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., oltre a “nullita’ per carenza assoluta di motivazione”, ai sensi degli articoli 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., e infine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Evidenzia la ricorrente di aver contestato – a prescindere dalla questione relativa alla natura del contratto – “gravi violazioni contrattuali a (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 1218 c.c.”, ed esattamente: l’omesso pagamento, a essa (OMISSIS), delle spettanze per gli anni 2006 e 2007, l’assenza di informazioni e rendiconto, la sostanziale interruzione, nell’ottobre 2006, delle attivita’ di vendita degli spazi pubblicitari dell’emittente “(OMISSIS)” e, infine, lo svolgimento di attivita’ di vendita di spazi pubblicitari anche per altre emittenti radiofoniche, in concorrenza con la prima, e dunque con violazione dell’obbligo di esclusiva.
Su tali basi, pertanto, (OMISSIS) aveva invocato la risoluzione del contratto per inadempimento di (OMISSIS), ovvero il rigetto, a norma degli articoli 1460 e 1227 c.c., delle pretese azionate dalla stessa, ivi compresa quella avanzata a norma dell’articolo 1751 c.c..
Orbene, la sentenza impugnata avrebbe omesso qualsiasi pronuncia al riguardo, sebbene essa (OMISSIS) avesse formulato uno specifico motivo di appello, cosi’ trascurando completamente la rilevanza causale degli inadempimenti contestati a (OMISSIS), facendo, cosi’, mancare quel giudizio di comparazione, necessario allorche’ siano allegati da ambo i contraenti reciproci inadempimenti.
Non corretta, in particolare, sarebbe l’affermazione compiuta dalla Corte capitolina, la’ dove ha ritenuto che il primo inadempimento sia imputabile a (OMISSIS), facendolo risalire al 10 novembre 2006, e cio’ sebbene, da gennaio ad ottobre di quell’anno, nulla risultava versato da (OMISSIS) in esecuzione del contratto, ancorche’ essa fosse tenuta all’immediato versamento – al netto della provvigione – di quanto riscosso dagli inserzionisti. Tra l’altro, poiche’ (OMISSIS) non ha “neppure tentato di provare l’esatta esecuzione delle prestazioni contrattuali a proprio carico”, delle quali (OMISSIS) “ha contestato le violazioni” (ovvero, l’assenza di rendiconto e il mancato pagamento del dovuto per l’anno 2006), comporterebbe che tale circostanza debba intendersi come fatto non contestato, a norma dell’articolo 115 c.p.c., oltre che provata dalla documentazione prodotta in giudizio da (OMISSIS), in esecuzione dell’ordine di esibizione impartitole.
3.3. Il terzo motivo denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1394 c.c..
Nel rammentare di aver eccepito, sin dal primo grado, l’annullabilita’ del contratto per conflitto di interessi (eccezione respinta per asserita prescrizione e per assenza di effetti dannosi in capo a (OMISSIS)), l’odierna ricorrente si duole della reiezione del motivo di gravame formulato al riguardo.
Difatti, premesso che risulterebbe documentalmente provato come entrambe le societa’ fossero “partecipate e amministrate dagli stessi soggetti”, rileva la ricorrente che almeno due risulterebbero i profili di conflitto di interesse piu’ evidenti nel contratto oggetto di causa. In primo luogo, che la vendita degli spazi pubblicitari di “(OMISSIS)” avrebbe dovuto essere svolta direttamente da (OMISSIS), senza la fittizia intermediazione di (OMISSIS); in secondo luogo, il carattere abnorme e fuori mercato della provvigione, fissata nel 40% del prezzo riscosso da ogni singola vendita degli spazi pubblicitari.
3.4. Il quarto motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli articoli 167 e 645 c.p.c., nonche’ degli articoli 24 e Cost., 111, comma 1, oltre a “nullita’ per carenza assoluta di motivazione”, ai sensi degli articoli 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c..
La ricorrente si duole della declaratoria di inammissibilita’ delle domande riconvenzionali da essa formulate, decisione basata sul rilievo che domande siffatte – nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale l’opposto riveste la posizione di attore, in senso sostanziale – sono ammissibili unicamente nei limiti in cui configurino una “reconventio reconventionis”. Tale sarebbe, pero’, il caso di specie, secondo la ricorrente, visto che a fronte delle pretese risarcitorie e indennitarie, avanzate da (OMISSIS) nell’opporsi al decreto ingiuntivo conseguito da (OMISSIS), quest’ultima ha contestato, legittimante, violazioni ulteriori del contratto rispetto a quella che ha dato origine alla pretesa creditoria azionata in via monitoria.
D’altra parte, l’ammissibilita’ delle domande riconvenzionali andrebbe affermata, secondo la ricorrente, anche sulla scorta dei principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di mutamento della domanda (viene richiamata Cass. Sez. Un., sent. 15 giugno 2015, n. 12310).
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. La trattazione del presente ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
6. Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto può proporre domanda nuova diversa da quella del ricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati.
8. In via preliminare, tuttavia, e’ necessario rilevare quanto segue, in relazione alle eccezioni di inammissibilita’ sollevate dalla controricorrente.
8.1. Con particolare riguardo all’eccepita inammissibilita’ dell’intero ricorso, per violazione del canone della sinteticita’ e chiarezza degli atti processuali, peraltro ormai recepito, quanto al processo civile, dal testo dell’articolo 121 del codice di rito, come novellato dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022 n. 149 (norma, tuttavia, non applicabile “ratione temporis” al presente ricorso, redatto in data 24 marzo 2021 e notificato il successivo 29 marzo), se ne deve rilevare l’infondatezza.
Questa Corte, invero, ha affermato – anche nella sua massima sede nomofilattica – che, sebbene il ricorso per cassazione debba essere redatto “in conformita’ ai principi di chiarezza e sinteticita’ espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimita’ una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’articolo 360 c.p.c.”, resta nondimeno inteso che “l’inosservanza di tali doveri puo’ condurre ad una declaratoria di inammissibilita’ dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilita’ delle censure mosse alla sentenza gravata, cosi’ violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3) e 4) dell’articolo 366 c.p.c.” (cosi’ Cass. Sez. Un., ord. 30 novembre 2011, n. 37552, Rv. 662971-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 13 febbraio 2023, n. 4300, Rv. 666743 01).
Nel caso di specie, l’esposizione dei fatti di causa e dei motivi di ricorso – sebbene eccedente i limiti stabiliti nel Protocollo d’intesa intervenuto tra questa Corte e il Consiglio Nazionale Forense (evenienza che, peraltro, “non puo’ radicare, di per se’, sanzioni processuali di nullita’, improcedibilita’ o inammissibilita’ che non trovino anche idonea giustificazione nelle regole del codice di rito”; cfr. Cass. Sez. 1, ord. 29 luglio 2021, n. 21831, Rv. 661927-01) – non incide in alcun modo sull’intellegibilita’ degli uni come degli altri, escludendo, cosi’, che il ricorso possa ritenersi inammissibile.
L’eccezione suddetta, dunque, va respinta, anche in ossequio a quell’interpretazione “non formalistica” delle cause di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, raccomandata dalla giurisprudenza sovranazionale (cfr. Corte EDU, sent. Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021).
8.2. Merita, viceversa, accoglimento l’eccezione di inammissibilita’ sollevata dalla controricorrente in relazione a quelle specifiche censure – presenti nel primo e secondo motivo di ricorso – articolate ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Sul punto va, innanzitutto, segnalato che – avendo l’odierna ricorrente proposto gravame contro sentenza resa in prime cure in data 28 ottobre 2014 – l’atto di appello allora esperito risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012.
Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione al presente giudizio, “ratione temporis”, dell’articolo 348-ter, ultimo comma, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; nello stesso senso gia’ Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonche’ Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso – qual e’ quello presente – di c.d. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere, cio’ che nella specie non risulta pero’ avvenuto, “di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01).
Ne’ vale, in senso contrario, evidenziare – come fatto dalla ricorrente nel proprio atto di impugnazione – che le censure proposte a norma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) mirano a denunciare l’omesso esame di fatti decisivo sotto il profilo di “travisamento della prova”, sicche’ esse non incontrerebbero la limitazione imposta, nei casi di “doppia conforme di merito”, dal suddetto articolo 348-ter, ultimo comma, c.p.c..
Il rilievo, per vero, non puo’ essere accolto, per due diverse ragioni.
Innanzitutto, perche’, sebbene la ricorrente richiami a sostegno di tale possibilita’ una pronuncia di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. 6-5, ord. 5 novembre 2018, n. 28174, Rv. 65111801), deve osservarsi come tale arresto si presenti del tutto isolato – persino nell’ambito di quell’indirizzo che pure e’ incline ad ammettere, in via generale, il “travisamento della prova” della prova quale vizio di legittimita’ – nella giurisprudenza di legittimita’. Essa, infatti, e’ incline per lo piu’ a ritenere che la denuncia di tale vizio resti, appunto, preclusa, dall’articolo 348-ter, ultimo comma, c.p.c., nei casi di “doppia conforme di merito” (cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 3 novembre 2020, n. 24395, Rv. 659540-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 17 maggio 2022, n. 15777, Rv. 665052 01; Cass. Sez. 3, sent. 21 dicembre 2022, n. 37382, Rv. 666679-04).
Dirimente e’, comunque, il rilievo per cui, sebbene la ricorrente evochi il vizio di travisamento della prova, non formula, in realta’, alcuna censura che possa anche solo astrattamente ricondursi a tale paradigma (il quale postula, infatti, la deduzione che un’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, e’ contraddetta da uno specifico atto processuale). Tale circostanza, pertanto, esime questo Collegio giudicante dal dover disporre la rimessione sul ruolo del presente ricorso, in attesa che le Sezioni Unite si pronuncino sull’ammissibilita’ della deduzione, quale vizio di legittimita’, del travisamento della prova, essendo state investite dell’esame di tale questione – da opposti angoli visuali – da due diverse ordinanze interlocutorie di questa Corte (Cass. Sez. Lav., ord. interl. 29 marzo 2023, n. 8895, e poi Cass. Sez. 3, ord. interl. 27 aprile 2023, n. 11111).
9. Cosi’ delimitato, dunque, l’ambito entro il quale risulta ammissibile lo scrutinio dei motivi oggetto del presente ricorso, puo’ procedersi alla loro disamina.
9.1. Il primo motivo e’ fondato, quanto alla doglianza con cui e’ prospettata – ex articolo 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4), c.p.c..
9.1.1. La sentenza impugnata, per vero, con motivazione del tutto apparente – sebbene investita, sul punto, da uno specifico motivo di gravame, la cui decisione avrebbe richiesto una disamina “funditus” di tale problematica – afferma che quello intercorso tra le societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) “deve qualificarsi” come “contratto di agenzia”, e cio’ “stante il nomen iuris assegnato dalle parti” e “il contenuto delle relative clausole”.
Tale motivazione, tanto perentoria quanto elusiva – anche nel suo carattere puramente “incidentale” – dei temi posti all’esame del giudice di seconde cure (avendo l’allora appellante reiterato la propria tesi secondo cui quello corrente “inter partes” sarebbe stato, invece, un rapporto di commissione, e non di agenzia, come attestato, soprattutto, dalla circostanza che i contratti con gli inserzionisti venivano conclusi direttamente da (OMISSIS), senza che (OMISSIS) fosse mai menzionata negli stessi, ne’ come parte, ne’ per qualsiasi altro titolo), merita censura, risultando – come denunciato dalla ricorrente – soltanto apparente, non consentendo, anche nel suo carattere puramente assertorio (cfr., Cass. Sez. 6-3, ord. 24 giugno 2021, n. 21612), di comprendere il percorso logico in forza del quale il giudice di appello e’ pervenuto a qualificare il contratto in esame quale agenzia. Al netto, infatti, di un mero richiamo al “nomen iuris”, e di un generico, quanto anodino, riferimento “al contenuto delle clausole”, nulla viene chiarito sulle ragioni della decisione, sicche’ la motivazione reca “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01).
Orbene, e’ indubbio, come rammenta l’odierna ricorrente, che “il commissionario e’ un mandatario senza rappresentanza, che conclude in nome proprio e per conto altrui, affari concernenti la compravendita di beni, di guisa che, di fronte ai terzi, egli e’ titolare dei diritti e degli obblighi che riversa sul committente attraverso rapporti di carattere interno, che non interessano in alcun modo i terzi” (Cass. Sez. 2, sent. 3 giugno 1978, n. 2779, Rv. 392198-01; in senso analogo pure Cass. Sez. Lav., sent. 29 gennaio 1988, n. 773, Rv. 457181-01, che ribadisce come il contratto di commissione sia “un mandato senza rappresentanza avente per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente ed in nome del commissionario”). Al contrario, nel contratto di agenzia – “che ha per oggetto lo svolgimento, da parte dell’agente ed a rischio del medesimo, di un’attivita’ economica autonomamente organizzata concretantesi in un risultato di lavoro e vincolata al preponente da uno stabile rapporto di collaborazione” – tale attivita’, “qualora l’agente sia privo di poteri di rappresentanza, si esaurisce nel solo promovimento dell’affare e il relativo contratto si perfeziona con l’accettazione della proposta da parte del preponente” (Cass. Sez. Lav., sent. 12 aprile 1985, n. 2433, Rv. 440272-01).
Tanto premesso, per contrastare la qualificazione giuridica, in termini di agenzia, del rapporto contrattuale oggetto di causa, la ricorrente – come gia’ evidenziato – assume la non rilevanza del “nomen iuris” attribuitovi, in tal senso, dalle parti.
Che il “nomen iuris”, in effetti, non sia dirimente, e’ affermazione conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “il dato testuale del contratto, pur importante, non puo’ essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volonta’ delle parti, giacche’ il significato delle dichiarazioni negoziali puo’ ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non puo’ arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per se’ chiare, atteso che un’espressione “prima facie” chiara puo’ non risultare piu’ tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, e’ un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 8 novembre 2022, n. 32786, Rv. 666341-01).
Cio’ detto, va inoltre rimarcato che “la qualificazione del contratto consta di due fasi consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volonta’ dei contraenti, la seconda, nell’inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi, in precedenza individuati, che ne caratterizzano la esistenza”, con l’ulteriore precisazione che “le operazioni ermeneutiche attinenti alla prima fase costituiscono espressione dell’attivita’ tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non e’ in termini generali sindacabile in sede di legittimita’ (salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 ss. c.c.)”, mentre la seconda fase, “concernente l’inquadramento della comune volonta’, come appurata, nello schema legale corrispondente, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e puo’ formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimita’ sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi’ come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (cosi’ da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 5 dicembre 2017, n. 29111, Rv. 646340-01; nello stesso senso, successivamente, Cass. Sez. Lav., sent. 9 febbraio 2021, n. 3115, Rv. 660347-01, nonche’, anteriormente, tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 12 gennaio 2006, n. 420, Rv. 586972-01; Cass. Sez. 2, sent. 3 novembre 2004, n. 21064, Rv. 577929-01; Cass. Sez. 2, sent. 25 gennaio 2001, n. 1054, Rv. 543449-01).
Nella specie, la Corte capitolina – nel compiere la prima di tali operazioni, ovvero quella di individuazione ed interpretazione della comune volonta’ dei contraenti – e’ incorsa nel denunciato vizio motivazionale, in relazione al canone di cui all’articolo 1362 c.c., “assolutizzando”, erroneamente, il dato costituito dal “nomen iuris” e facendo un del tutto generico riferimento alle clausole contrattuali. Essa ha, invece, del tutto trascurato, indebitamente, altri elementi, sebbene indispensabili per stabilire se quello sottoposto al suo esame fosse un rapporto di commissione o di agenzia, quali l’esistenza, o meno, del potere di rappresentanza verso i terzi, circostanza rilevante secondo la giurisprudenza sopra richiamata, nonche’, all’opposto, l’eventuale stabilita’ e la natura dell’incarico, anch’essi in astratto rilevanti ai fini dell’operazione di qualificazione del contratto (cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 12 febbraio 2016, n. 2828, Rv. 638716-01; Cass. Sez. Lav., sent. 28 agosto 2013, n. 19828, Rv. 628644-01).
Il motivo va, dunque, accolto, in relazione alla censura di violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4), c.p.c..
9.2. Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo, atteso che il giudice del rinvio dovra’ procedere ad un rinnovato confronto delle reciproche inadempienze allegate dalle parti, alla luce della qualificazione che riterra’ di dover attribuire, motivando adeguatamente al riguardo, al contratto corrente “inter partes”.
9.3. Anche il terzo motivo e’ assorbito dall’accoglimento del primo.
Dovendo, infatti, rinnovarsi – nel giudizio ex articolo 394 c.p.c. – la qualificazione del contratto, ponendo a confronto le contrapposte tesi delle parti (che lo riconducono, l’una, all’agenzia, l’altra, invece, alla commissione), il tema dell’annullabilita’ dello stesso per conflitto di interessi non potra’ che essere vagliato sulla base di quella che si riterra’ l’effettiva natura dell’operazione contrattuale.
Essa, infatti, risulta tutt’altro che indifferente al fine di stabilire se possano considerarsi indici della fattispecie del conflitto di interessi tanto la circostanza che la vendita degli spazi pubblicitari di “(OMISSIS)” avrebbe dovuto essere svolta direttamente da (OMISSIS), senza la fittizia intermediazione di (OMISSIS), quanto, soprattutto, il denunciato carattere abnorme e fuori mercato della provvigione, fissata nel 40% del prezzo riscosso da ogni singola vendita degli spazi pubblicitari.
9.4. Il quarto motivo e’ fondato, sussistendo la denunciata violazione degli articoli 167 e 645 c.p.c..
9.4.1. Invero, la giurisprudenza di questa Corte, esaminata nel suo sviluppo diacronico, appare propensa a consentire, in termini sempre piu’ ampi, la proposizione della c.d. “riconvenzionale” della parte destinataria dell’opposizione a decreto ingiuntivo, cio’ che avrebbe dovuto condurre la Corte capitolina a ritenere ammissibile la domanda proposta da (OMISSIS) nel giudizio ex articolo 645 c.p.c..
Sul punto, deve muoversi dalla constatazione che le Sezioni Unite di questa Corte, gia’ una decina di anni orsono, hanno avuto modo di affermare che “l’opposizione a decreto ingiuntivo non e’ un’azione di impugnazione del decreto stesso, volta a farne valere vizi, ovvero originarie ragioni di invalidita’” (affermazione, peraltro, da esse, di recente, ribadita; cfr. Cass. Sez. Un., sent. 13 gennaio 2022, n. 927, Rv. 663586-02), avendo, invece, l’effetto di introdurre “un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all’accertamento della esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex articoli 633 e 638 c.p.c.”, sicche’ esso “e’ diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto che assume la posizione sostanziale di attore – e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’ingiunto opponente – che assume la posizione sostanziale di convenuto”, con l’ulteriore conseguenza che e’ “con riguardo alla posizione sostanziale delle parti”, che operano “il regime probatorio come la disciplina delle facolta’ processuali” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2010, n. 26128, Rv. 615487-01). Ne deriva, pertanto, che, “mentre l’opposto, in relazione alla sua qualita’ sostanziale di attore, non puo’ proporre domande diverse da quella fatta valere con l’ingiunzione, all’opponente e’ consentito di proporre, con l’atto di opposizione, le eventuali domande riconvenzionali e di integrare la propria difesa, rispetto alla pretesa fatta valere dall’ingiungente” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 26128 del 2010, cit.).
Su tali basi, tuttavia, si e’ precisato che, se “soltanto l’opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, puo’, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in via generale, proporre domande riconvenzionali, mentre l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non puo’ avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione”, cio’ non esclude che, “ai sensi dell’articolo 645 c.p.c., comma 2”, in seguito all’opposizione il giudizio si svolga “secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito”; richiamo, questo, che “consente, quindi, l’applicabilita’, al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, anche della norma di cui all’articolo 183 c.p.c., a mente del quale l’attore puo’ proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto” (cosi’, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 26128 del 2010, cit.). Si tratta, dunque, “del c.d. ius variandi, vale a dire del potere riconosciuto all’attore – soltanto, pero’, se giustificato dalle attivita’ difensive svolte dal convenuto – di proporre domande nuove (c.d. reconventio reconventionis), e/o di chiamare in causa terzi, nonche’ di sollevare eccezioni in senso stretto riferite alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto”, con la particolarita’, pero’, che “la reconventio reconventionis – nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – nasce dall’eventuale domanda riconvenzionale formulata dall’opponente, a seguito della quale la parte opposta si venga a trovare a sua volta nella posizione processuale di convenuto, cui non puo’ essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o piu’ ampia pretesa della controparte” (cosi’, ancora una volta, Cass. Sez. Un., sent. n. 26128 del 2010, cit.).
Cio’ premesso, tuttavia, il tema dell’ammissibilita’ della c.d. “riconvenzionale” dell’opposto ha conosciuto – secondo quella prospettiva diacronica di cui si diceva – un ulteriore sviluppo, e cio’ in ragione della possibilita’, sancita dalle stesse Sezioni Unite, di proposizione in corso di causa, da parte di chi agisca in giudizio, di una “nuova” domanda, definita come “complanare”, la quale, “immutato l’elemento identificativo soggettivo delle personae”, e ferma restando la necessita’ che essa debba “pur sempre riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque essere a questa collegata”, puo’ sostituirsi a quella originaria (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 15 giugno 2015, n. 12310, Rv. 635536-01), o coesistere con essa in un rapporto di subordinazione (Cass. Sez. Un., sent. 13 settembre 2018, n. 22404, Rv. 650451-01).
Proprio in ragione di tale evoluzione conosciuta dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, e’ stato di recente affermato – per tornare al tema che qui piu’ direttamente interessa – che “il convenuto opposto puo’ proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo”, e cio’ persino “nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto”, sempre che, tuttavia, “tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilita’ a quella originariamente proposta, cio’ rispondendo a finalita’ di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facolta’ di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dall’articolo 183 c.p.c.” (Cass. Sez. 1, sent. 24 marzo 2022, n. 9633, Rv. 664369-01).
Tale e’, appunto, il caso che qui occupa, atteso che l’odierna ricorrente (OMISSIS), alla propria domanda di adempimento delle obbligazioni di cui alle fatture allegate al ricorso ex articolo 633 c.p.c., a fronte dell’opposizione di (OMISSIS), ha sostituito – con la propria “riconvenzionale” – la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento (come le era, tra l’altro, consentito dall’articolo 1453, comma 2, c.c.), certamente “connessa per incompatibilita’” con quella gia’ azionata in via monitoria, oltre che riguardante “la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio”, cumulando con tale nuova domanda anche quella di risarcimento, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’interpretare la previsione di cui al comma 3 del gia’ citato articolo 1453 c.c.. Difatti, si e’ ritenuto che la parte che “chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, puo’ domandare, contestualmente all’esercizio dello “ius variandi””, anche “il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale” (Cass. Sez. Un., sent. 11 aprile 2014, n. 8510, Rv. 630334-01).
10. In conclusione, il primo e il quarto motivo di ricorso vanno accolti, va dichiarato assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per la decisione nel merito (oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimita’), alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterra’ al seguente principio di diritto: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto puo’ proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella gia’ posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, purche’ rimanga immutato l’elemento identificativo soggettivo delle “personae” e ferma restando la necessita’ che tale nuova domanda riguardi, pur sempre, la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o sia a essa collegata almeno per incompatibilita’”.
PQM
La Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, dichiarando assorbiti il secondo e il terzo motivo. Cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimita’.
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