Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 febbraio 2023| n. 4681.
L’onere di contestazione la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova
L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte, con la conseguenza che spetta a chi denunci la violazione del principio di non contestazione allegare che la controparte era a conoscenza della circostanza assunta come controversa, non essendo altrimenti configurabile a carico della predetta un onere di contestazione sulla questione.
Ordinanza|15 febbraio 2023| n. 4681. L’onere di contestazione la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova
Data udienza 7 dicembre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: SOMMINISTRAZIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7929/2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., Socio Unico Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
Regione Autonoma della Sardegna, (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, n. 630/2020, depositata il 17 dicembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 dicembre 2022 dal Consigliere Emilio Iannello.
L’onere di contestazione la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova
FATTI DI CAUSA
1. La (OMISSIS) S.p.a. chiese e ottenne dal Tribunale di Cagliari l’emissione di decreto ingiuntivo nei confronti della (OMISSIS) S.p.a. per il pagamento della somma di Euro 2.358.160,00, oltre interessi di mora ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, a titolo di corrispettivo per la fornitura e il vettoriamento dell’acqua fino al giugno 2006 e, da novembre 2006 a novembre 2010, per il solo vettoriamento dell’acqua dal punto di presa del sistema (OMISSIS) sino al punto di consegna ad (OMISSIS) S.p.a., gestore del servizio idrico, giusta fatture emesse in numero di ventiquattro tra maggio 2006 e novembre 2010.
Vi si oppose (OMISSIS), chiamando anche in causa, per esserne manlevata, la Regione Autonoma della Sardegna e l’ (OMISSIS).
In parziale accoglimento dell’opposizione il Tribunale, sulla scorta della svolta c.t.u., ridetermino’ il credito in Euro 2.174.213,99, comprensivo di IVA al 10%, considerando i soli costi di gestione affrontati dalla (OMISSIS) per l’anno 2007 e stimando il valore del vettoriamento in Euro 0,145 al metro cubo. Rigetto’ le domande di manleva.
2. Con sentenza n. 540/2017 del 17/12/2020 la Corte d’appello di Cagliari ha accolto il gravame interposto da (OMISSIS) ed ha per l’effetto rigettato per intero la domanda di (OMISSIS), condannandola conseguentemente alle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ha ritenuto fondato e dirimente, in tale direzione, il terzo motivo di gravame – esaminato prioritariamente quale ragione piu’ liquida – con il quale (OMISSIS) aveva lamentato che il primo giudice aveva quantificato i costi relativi al vettoriamento dell’acqua sulla base delle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d’ufficio, in forza di “voci di costo contestate e non provate, frutto di mera indicazione della societa’ ricorrente”.
Ha in tal senso rilevato che:
– nonostante l’articolo 3 del contratto di fornitura contenga una previsione volta a consentire che il fornitore possa “apportare, previa comunicazione, aumenti o diminuzioni del prezzo derivanti da variazioni dei costi dell’acqua e di gestione”, tali oscillazioni di prezzo devono essere sempre e comunque collegate ad una variazione dei costi, le quali devono essere dimostrate sulla base di dati certi e di effettivi ed oggettivi elementi di riscontro;
– nella specie, come emerge dalla relazione, il consulente non ha potuto ne’ quantificare il costo effettivo del servizio svolto dalla (OMISSIS), ne’ potuto verificare la congruita’ dei costi sostenuti e allegati dalla stessa e si e’ dovuto limitare a una mera verifica di calcolo matematico sulla base di un documento fornito dall’appellata, ovvero il documento n. 44 prodotto nel primo grado di giudizio, in data 18 giugno 2012, in sede di produzioni ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6;
– (OMISSIS), nelle memorie successivamente depositate il 26 giugno 2012, ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 3, ha contestato la “legalita’, rilevanza ed ammissibilita’” di tale documento;
– risulta dagli atti che, in sede di operazioni peritali, il c.t.u., riscontrata la necessita’ di acquisire alcune fatture relative al periodo 2006-2010 e le rendicontazioni relative ad altre fatture in atti, chiese ma non ottenne l’autorizzazione del giudice a procedere in tal senso, stante il mancato accordo delle parti, e si e’ dovuto limitare a compiere un mero conteggio matematico dei costi indicati nel citato documento fornito da (OMISSIS);
– dalla lettura del documento citato (n. 44) emerge in modo chiaro come lo stesso, di formazione unilaterale della (OMISSIS), non possa essere utilizzato al fine di quantificare gli effettivi oneri sostenuti dalla (OMISSIS); l’accertamento avrebbe dovuto essere effettuato sulla scorta dei costi operativi risultanti dalla contabilita’, indicati nel rendiconto di gestione, e non, come accaduto, sui dati di budget, contenuti nel richiamato documento n. 44, che non possono trovare riscontro con spese asseritamente sostenute ma non dimostrate;
– il c.t.u., nel replicare al c.t.p. dell'(OMISSIS), ha inoltre evidenziato che le stime da quest’ultimo proposte “potrebbero avere un qualche fondamento o significato almeno in presenza di un eventuale elaborato progettuale contenente tutte le principali caratteristiche della rete idrica de qua, quali sviluppo e diametri delle condotte, opere d’arte minori, apparecchiature idrauliche, di ciascun ramo della rete, onde poter risalire ad un presunto costo di manutenzione per ciascun ramo e, quindi, anche dell’adduttrice principale interessata dal vettoriamento a favore di (OMISSIS); ha, pero’, al riguardo rilevato che “l’unico elaborato in atti, peraltro prodotto da (OMISSIS) quale doc. 79, e’ dato dalla planimetria denominata “(OMISSIS) – Stato di Fatto – Schema Idraulico Tavola 1/1” che rappresenta… un semplice schema di rete, privo di qualunque dato certo di consistenza o idraulico, in assenza dei quali non e’ possibile neppure azzardare una sia pur approssimativa considerazione e/o valutazione in ordine ai relativi costi di manutenzione.
3. Avverso tale decisione (OMISSIS) S.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste (OMISSIS) S.p.a. depositando controricorso.
Le altre intimate non svolgono difese nella presente sede.
La ricorrente ha depositato memoria.
L’onere di contestazione la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “errore di fatto; difetto di motivazione nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. (come da insegnamento Cass. n. 23940/2017)”.
Censura l’affermazione secondo cui il sopra menzionato documento n. 44 – che pure, come espressamente riconosciuto in sentenza, indicava “analiticamente le singole voci di costo e le relative somme tariffarie” – non risulterebbe idoneo a comprovare i costi sostenuti, rilevando che il contenuto di tale documento e, quindi, l'”analitica indicazione dei costi” ivi contenuta non erano mai stati fatti oggetto di contestazione da nessuna delle controparti in causa.
Rileva che da altra parte della memoria di (OMISSIS) del 26 giugno 2012, ritenuta in sentenza veicolare la contestazione della “legalita’, rilevanza ed ammissibilita’” del documento predetto, si ricava che tale contestazione riguardava in realta’ uno specifico rilievo di inapplicabilita’ delle tariffe per l’entrata in vigore della nuova normativa che disciplina il servizio idrico, ma non conteneva affatto contestazioni in ordine alle poste analiticamente individuate come costi di gestione dalla (OMISSIS) S.p.a..
Soggiunge che lo stesso c.t.u., a pag. 34 della propria relazione, aveva incidentalmente segnalato che “non risulta in atti alcuna contestazione delle parti sul documento prodotto da (OMISSIS)”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “errore di fatto; difetto di motivazione nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione agli articoli 113 e 116 c.p.c. (come da insegnamento Cass. n. 23940/2017)”.
2.1. Afferma che la motivazione addotta in sentenza (circa la ritenuta contestazione del documento n. 44) e’ anche frutto di “un chiaro errore di fatto perche’ accompagnata da oggettive omissioni di ulteriori elementi di prova”.
Rileva che, con riferimento alle richieste di acquisizione documentale da parte del c.t.u., che in sentenza si dice non essere state accolte per il mancato accordo delle parti, (OMISSIS), oltre a manifestare la propria opposizione per non essere stata la chiesta documentazione prodotta tempestivamente da (OMISSIS), ne aveva anche negato la necessita’ ai fini della risposta al quesito posto al c.t.u., sul rilievo che questo avrebbe dovuto “determinare, sulla base delle sue competenze e di sue verifiche sul campo e attraverso i documenti prodotti agli atti, i costi vivi di vettoriamento della risorsa idrica e non verificare la congruita’ e la correttezza dei calcoli effettuati da (OMISSIS), che li ha invece definiti sulla base del costo a mc. della risorsa”.
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Sostiene che, pertanto, “risulta evidente il comportamento processuale di controparte, volto alla non contestazione del doc. n. 44 prodotto tempestivamente agli atti”.
2.2. Con una seconda censura la ricorrente ascrive a “vero e proprio sviamento e travisamento del fatto” il rilievo attribuito in sentenza alle osservazioni del c.t.u. circa l’inapplicabilita’ del criterio di calcolo dei costi proposto dal c.t.p. dell'(OMISSIS), in particolare la’ dove l’ausiliare, nel rilevare che tale criterio e’ fondato su un semplice schema astratto di rete, osserva che, in mancanza di “qualunque dato certo di consistenza o idraulico… non e’ possibile neppure azzardare una sia pur approssimativa considerazione e/o valutazione in ordine ai relativi costi di manutenzione”.
Rileva al riguardo che, con tale affermazione, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, in realta’ il c.t.u. non ha lamentato la mancanza di documenti in relazione al quesito posto ma ha solo inteso riferirsi alla confutazione di un diverso criterio di calcolo, proposto dall'(OMISSIS) e dal suo c.t.p..
Osserva che, pertanto, “la motivazione della Corte, anche sul punto… si fonda su un errore di fatto”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “violazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 2, dell’articolo 157 c.p.c., comma 2” (cosi’ nell’intestazione).
Lamenta che la Corte d’appello ha omesso di esaminare e non ha neppure dato atto del deposito nel giudizio di primo grado in data 19 febbraio 2014 di una perizia “a chiarimenti” della precedente consulenza del 2 aprile 2013.
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Rileva che:
– in detta prima consulenza l’ausiliare, sulla base dei soli documenti in atti, aveva determinato l’entita’ dei costi di vettoriamento, relativi al periodo Gennaio 2006 – Novembre 2010, nell’importo di Euro 1.567.018,20, compresa IVA al 10%, ed aveva pero’ avvertito che tale importo di fatto potrebbe non corrispondere all’effettiva entita’ dei costi di vettoriamento, in quanto agli atti non erano state allegate n. 8 fatture relative al periodo in contestazione;
– la difesa della (OMISSIS), nell’udienza successiva al deposito di detta prima relazione, aveva contestato tale parte delle conclusioni rilevando che: a) i dati di cui il consulente lamentava la mancanza risultavano tutti dai documenti gia’ versati in giudizio ed in particolare dal doc. n. 3 del fascicolo di parte opposta del procedimento monitorio (dal quale risultava chiaramente sia l’imponibile che il totale con I.V.A. riportato in tutte le fatture azionate) e dal doc. n. 44 nel quale e’ indicata la tariffa applicata; b) tali poste non sono oggetto di contestazione, essendo in contestazione la congruita’ della tariffa e non l’esistenza delle fatture, il quantum in esse riportato o l’applicazione della tariffa di Euro 0,14445;
– richiamato dunque a chiarimenti, per rispondere a tali rilievi, il c.t.u. aveva depositato la gia’ menzionata relazione integrativa, nella quale il consulente riformulava le proprie conclusioni sulla base dei documenti citati e determinava quindi il dovuto nel superiore predetto importo di Euro 2.174.213,99, cosi’ dunque eliminando ogni riserva sulla effettiva entita’ dei costi di vettoriamento;
– alla successiva udienza (OMISSIS) aveva chiesto un rinvio per la precisazione delle conclusioni e non aveva formulato, dunque, nemmeno per relationem, alcuna critica nei confronti della relazione integrativa di consulenza.
Tutto cio’ premesso, sostiene la ricorrente che il terzo motivo d’appello avrebbe pertanto dovuto essere dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza dalle contestazioni alla relazione di c.t.u.; il suo accoglimento comporta dunque, secondo la ricorrente, violazione dell’articolo 157 c.p.c., comma 2.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia “violazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 2, dell’articolo 2697 c.p.c. e articolo 1362 c.c.”.
Rileva che ogni contestazione in causa e la correlativa indagine concernevano unicamente il profilo della variazione di prezzo, comunicata ad (OMISSIS) con nota del 2006, conseguente alla nuova commisurazione degli oneri di vettoriamento in Euro 0,14445 a metro cubo ed alla ripartizione proporzionale dei costi di gestione con i volumi vettoriali per le altre utenze.
Soggiunge che il costo del vettoriamento precedente al 2006 e’ rinvenibile da documenti depositati da entrambe le parti.
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Rileva ancora che con delibera dell’Assessorato era stato stabilito che unico onere di (OMISSIS) fosse quello di misurare i volumi consegnati ad (OMISSIS).
Afferma che: tale onere e’ stato ampiamente assolto e non e’ oggetto di discussione in causa; una volta misurati tali volumi, la fatturazione imposta alla (OMISSIS) dall’Assessorato non poteva essere messa nel nulla dalla pretesa di giustificazione oggettiva dei costi di gestione (non espressa dalla nota assessoriale); la giustificazione dei costi non puo’ che avvenire con atti unilateralmente formati dal (OMISSIS); per conseguenza, quantomeno la nota assessoriale (ove e’ prevista una tariffa di 0,1 Euro/mc) deve costituire il minimo al di sotto del quale la tariffazione non puo’ scendere.
Lamenta, quindi, che la Corte e’ incorsa in errore ed ha reso una motivazione inadeguata non avendo valutato le risultanze istruttorie nel loro complesso, alla luce del contesto normativo imposto ai soggetti (di natura privata, ma a controllo e rilevanza pubblica) e di tutta la documentazione versata in atti.
5. Prima di esaminare i motivi nel merito, v’e’ da rilevare come il contenuto di ciascuno di essi non sia coerente con la loro intitolazione. La ricorrente infatti, pur prospettando formalmente con i primi due vizi di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e con il terzo e il quarto vizi di “violazione delle norme sulla competenza, quando non e’ prescritto il regolamento di competenza” ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 2, nella sostanza lamenta, con i primi tre, l’inosservanza di regole processuali e, con il quarto, la violazione di legge e/o carenza di motivazione, vizi comunque certamente diversi da quello ipotizzato in rubrica.
Questo errore nell’inquadramento delle censure, tuttavia, non e’ di ostacolo all’esame dei motivi. Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioe’ erri nell’inquadrare l’errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’articolo 360 c.p.c.), il ricorso non puo’ per cio’ solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Scz. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
6. Cio’ premesso e venendo dunque all’esame del primo motivo – con il quale, al di la’ della ininfluente erronea evocazione in rubrica del vizio di cui al n. 5 dell’articolo 360 c.p.c. si denuncia un error in procedendo per inosservanza del c.d. principio di non contestazione ex articolo 115 c.p.c., comma 1, – e’ manifestamente infondato.
E’ dirimente il rilievo che, secondo pacifico insegnamento, il principio di non contestazione opera in relazione a fatti, e non gia’ ai documenti prodotti (Cass. n. 12748 del 2016; n. 22055 del 2017; n. 3306 del 2020; 8813 del 2020; n. 2439 del 2022), che siano stati chiaramente e specificamente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l’opportunita’: pertanto, la parte che lo deduca in sede di impugnazione e’ tenuta ad indicare puntualmente in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e la specificita’ e se la controparte abbia avuto occasione di replicare.
Mette conto anche soggiungere, sotto altro profilo, che l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. n. 14652 del 2016; n. 3576 del 2013). La ricorrente, dunque, fermo il superiore rilievo assorbente, avrebbe dovuto suffragare la denuncia di violazione del principio di non contestazione con la conoscenza in capo alla controparte della circostanza che assume incontroversa. In mancanza di tale specifica deduzione non e’ configurabile un onere di contestazione a carico della controparte in ordine alla circostanza in discorso (Cass. n. 18074 del 2020).
7. Il secondo motivo e’ infondato nella sua prima parte, inammissibile nella seconda.
7.1. La prima censura ripete in sostanza il medesimo assunto censorio svolto con il primo motivo, quello cioe’ secondo cui dal comportamento processuale dell’opponente avrebbe dovuto desumersi la non contestazione del contenuto del documento n. 44.
Valgono dunque, per essa, le medesime considerazioni gia’ sopra svolte.
7.2. La seconda censura prospetta un “errore di fatto” con riferimento ad una certa affermazione contenuta nella relazione di c.t.u. il cui significato sarebbe stato travisato dal giudice del gravame.
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Con essa, dunque, la ricorrente sembra evocare, al di la’ della confusione e imprecisione dei termini usati, un vizio di c.d. “travisamento di prova”.
Una siffatta ipotesi censoria e’, in astratto, bensi’ presente nella giurisprudenza civile di questa Corte, che la identifica tuttavia nell’errore di “percezione” della “informazione probatoria” (ricadente sul contenuto oggettivo della prova: demonstratum; denunciabile quale error in procedendo, per violazione dell’articolo 115 c.p.c.: v., ex aliis, Cass. 12/04/2017, n. 9356 e, da ultimo, Cass. 26/04/2022, n. 12971), tenendo ben fermo che “travisamento delle prove” e’ nozione distinta da quella di “valutazione delle prove”.
Per la sua definizione puo’ farsi riferimento alla giurisprudenza sull’articolo 606 c.p.p., lettera e), la quale ha chiarito che il travisamento della prova non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio.
E’ errore sul significante, che si traduce nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale), e non sul significato della prova.
Manifestandosi anche le prove in enunciati linguistici, il travisamento concerne il misconoscimento dei dati linguistici, e dunque il livello percettivo che precede la valutazione. Quest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico, si aprono le diverse opzioni valutative.
Proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento di prove (error in procedendo per violazione dell’articolo 115 c.p.c.) solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale-percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente “inventate” dal giudice (v. Cass. 25/05/1995, n. 10749; cui adde Cass. n. 9356 del 2017, cit.; 21/01/2020, n. 1163; 16/12/2020, n. 28865; 07/01/2021, n. 49; v. anche Cass. 05/11/2018, n. 28174).
Il criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore e’ quello stesso dettato dall’articolo 395 c.p.c., n. 4 per la definizione di errore di fatto percettivo (deve cioe’ trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come e’ stato detto, del travisamento di un “dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi” ed inoltre “decisivo”: v. Cass. n. 10749 del 1995, cit.), distinguendosi da questo solo perche’ inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio (v. in tal senso Cass. n. 9356 dei 2017).
Orbene, nella specie – a prescindere dalle perplessita’ che sussista tale orientamento (al quale si puo’ obiettare che quel che si indica come criterio distintivo dalla revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4, ossia il riguardare l’errore percettivo un fatto controverso e dibattuto in giudizio, dovrebbe in realta’ proprio rappresentare la ragione della sua esclusione tra i vizi suscettibili di rimedio impugnatorio, mentre se cosi’ non fosse l’unico rimedio resterebbe per l’appunto il ricorso per revocazione: v., per piu’ ampie argomentazioni in tal senso, Cass. n. 24395 del 03/11/2020) – un siffatto vizio e’ inammissibilmente evocato in ricorso.
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Ed invero, non si trae affatto dall’affermazione censurata un errore percettivo nel senso sopra precisato, apparendo evidente che si tratta invece solo di una valutazione complessiva degli elementi di giudizio traibili dalla consulenza. Del resto, il fatto che in quella parte il consulente si riferisse ad altro alternativo criterio di calcolo, negando per esso l’esistenza di conferente documentazione, non significa certo che con cio’ abbia a contrario anche affermato che, rispetto all’altro criterio esaminato, esistesse idonea prova documentale.
In ogni caso non e’ in alcun modo illustrata la decisivita’ del presunto errore compiuto dai giudici di appello.
Anche ammesso, infatti, che il consulente, nel rilevare che il diverso criterio di calcolo dei costi proposto dal c.t.p. dell'(OMISSIS) non era supportato da dati concreti e da conferente documentazione, non avesse inteso riferirsi anche ad altra documentazione, non si vede cosa da cio’ sarebbe dovuto derivare ai fini della decisione, la quale e’ bensi’ fondata sul rilievo della mancanza di documenti che comprovassero i consumi e i costi, ma non (o non solo) perche’ tale mancanza era stata rilevata dal consulente, ma perche’ essa e’ constatata direttamente dal giudice e lo e’ doverosamente posto che non e’ certo l’ausiliare a dover stabilire la sussistenza e l’idoneita’ degli elementi di prova raccolti a fondare la pretesa oggetto di controversia e che l’eventuale diversa valutazione al riguardo del c.t.u. (nella specie comunque, come detto, non desumibile da quanto evidenziato in ricorso) non e’ vincolante per il giudice.
8. Il terzo motivo e’ inammissibile, ex articolo 366 c.p.c., n. 4.
Non si trae dalla sentenza impugnata alcuna affermazione che comporti la violazione della evocata norma processuale (articolo 157 c.p.c., comma 2).
Non e’ indicato ne’ si vede quale nullita’ della consulenza sia stata – indebitamente o meno – affermata dal giudice a quo e come tale posta a base della sentenza.
La Corte d’appello ha semplicemente valutato le prove in atti e tra esse anche la relazione di consulenza e le ha, secondo suo legittimo apprezzamento, valutate inidonee a fondare la pretesa creditoria.
Non si vede come e perche’ tale certamente legittima attivita’ valutativa possa essere inficiata dal fatto che la relazione integrativa del c.t.u. sia stata contestata, nel suo valore probante, non nella prima udienza successiva al suo deposito.
La mancanza di tempestivi rilievi preclude il rilievo di nullita’ afferenti alle modalita’ di svolgimento delle operazioni peritali ed alla consulenza stessa, ma non preclude certo la valutazione di merito circa la conducenza degli accertamenti e delle valutazioni compiute dal consulente in relazione al tema di lite.
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9. Il quarto motivo e’ inammissibile.
Sono con esso dedotte censure diverse e incompatibili, alcune delle quali peraltro non riconducibili ad alcuno dei vizi cassatori tipizzati dall’articolo 360 c.p.c. (violazione di legge, omesso esame di documenti, motivazione inadeguata), in modo confuso e sovrapposto, tale da rendere impossibile di cogliere la vera sostanza della critica.
Non e’, comunque, individuata in alcun modo l’affermazione che dovrebbe comportare violazione delle norme sostanziali evocate in rubrica.
Le critiche sembrano piuttosto collocarsi, in vario modo, sul piano della ricognizione del fatto e della relativa motivazione.
Al riguardo varra’ rammentare che, secondo principio piu’ che consolidato, “la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso di specie.
La motivazione e’ chiara e pienamente comprensibile. Per sostenere il contrario si riversano, nella illustrazione del motivo, allegazioni e argomenti difensivi svolti nel giudizio di merito ma inconferenti o comunque assorbiti dalla ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata che, lungi dal vertere sulla questione delle tariffe applicabili, si basa sul rilievo della mancanza di prova circa l’effettivita’ e l’entita’ dei servizi prestati, cui rapportare le tariffe (quali esse fossero costituendo tema di lite rimasto assorbito).
10. Per le considerazioni che precedono deve in conclusione pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 24.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13.
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