Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 28 marzo 2019, n. 13573.

La massima estrapolata:

Si configurano il reato di omicidio colposo nonché responsabilità per colpa medica a seguito di decesso del paziente per infarto se il cardiologo interpellato per una consulenza, per di più in una situazione di emergenza come de quo, una volta disposti dal reparto di pronto soccorso gli esami clinici utili all’individuazione di una patologia cardiaca, non possa esimersi in alcun caso dal fornire allo specialista, che quella consulenza ha chiesto, le valutazioni cliniche desumibili dalla lettura delle analisi che esprimano elementi sintomatici tipici di quel tipo di affezioni, limitandosi a formulare una diagnosi non definitiva e rimettendo la verifica degli ulteriori accertamenti diagnostici al medico richiedente. Una simile condotta integra il mancato rispetto delle regole di diligenza e prudenza rivolte all’unico fine della cura e salvaguardia della salute del paziente.

Sentenza 28 marzo 2019, n. 13573

Data udienza 14 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere

Dott. NARDIN Maura – rel. Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/07/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MAURA NARDIN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. COCOMELLO Assunta che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore:
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di MANTOVA in difesa delle PARTI CIVILI (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale, dopo aver illustrato le motivazioni con le quali chiede la conferma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto del ricorso, deposita altresi’ conclusioni e nota spese;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di MANTOVA in difesa delle PARTI CIVILI (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale, concordando con le conclusioni del PG e dopo aver esposto brevemente le proprie argomentazioni, chiede la conferma della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso come da conclusioni e nota spese depositate in udienza.
E’ presente in qualita’ di sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), del foro di MANTOVA difensore di fiducia di (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) del foro di MANTOVA, come, da giusta nomina ex articolo 102 c.p.p. depositata in udienza, che chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 luglio 2017 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona con cui e’ stata ritenuta la penale responsabilita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di cui agli articoli 113 e 589 c.p. perche’, nelle rispettive qualita’ di specialistica cardiologo e medico del Pronto Soccorso dell’Ospedale (OMISSIS) di (OMISSIS), per imprudenza, negligenza ed imperizia, non diagnosticavano il (OMISSIS) ad (OMISSIS), che si era rivolto al Pronto Soccorso, l’infarto in atto, nonostante il lamentato dolore retro-sternale e le risultanze ematochimiche -alterato valore del troponina- ed elettrocardiolografiche -segnalazioni sospette in sede inferiore e laterale- cosi’ dimettendo il paziente, che, in data (OMISSIS), decedeva presso la propria abitazione per rottura del cuore, conseguente un infarto miocardico acuto.
2. Il fatto per quanto risultante dalle sentenze di merito puo’ essere cosi’ riassunto: in data (OMISSIS) (OMISSIS) si presentava autonomamente al Pronto Soccorso dell’ospedale di (OMISSIS) di (OMISSIS), alle ore 12.30, con dolore retro sternale. Al paziente veniva assegnato il codice giallo. Al triage si segnalava la familiarita’ per infarto e pressione arteriosa elevata (190/100 mmHg) nonche’ gastrite in cura con gastroprotettori, come riferito dal paziente. Seguiva l’esecuzione di accertamenti chimici e strumentali, nonche’ la richiesta di consulenza cardiologica, a fronte degli ulteriori fattori di rischio costituiti dalla condizione di ex fumatore e dallo stato di iperteso. A seguito della visita cardiologica veniva redatta alle ore 13.14 diagnosi da parte del Dott. (OMISSIS) che concludeva al momento non segni di cardiopatia acuta in atto, dando atto che in P.S. erano stati disposti esami ematochimici urgenti; dagli esami di laboratorio, effettuati alle 13.09 e refertati alle 13.57, emergeva l’alterazione del valore del marker di necrosi cardiaca troponina I, che risultava pari a 0.15 ng/ml (con valore decisionale a 0.06). Alle ore 14.09 il Dott. (OMISSIS), dopo avere suggerito una radiografia toracica, non effettuata per asserito rifiuto dal paziente, lo dimetteva con diagnosi di dolore toracico in paziente affetto da reflusso gastroesofageo, con prescrizione del farmaco Antra. Il dolore toracico permaneva, seppure attenuato, dopo le dimissioni ed il giorno successivo si presentava uno stato febbrile, che perdurava per due giorni. Il 16 giugno, alle ore 17 circa, il sostituto del medico di base del (OMISSIS), alla visita domiciliare, persistendo la sintomatologia dolorosa, prescriveva nuovamente un gastroprotettore, rinviando all’indomani per valutare l’evoluzione clinica. Alle ore 20 del medesimo giorno la moglie del (OMISSIS) lo trovava nel letto in arresto cardiocircolatorio, trasportato all’ospedale, alle ore 21.11 ne veniva constatato il decesso.
3. La sentenza della Corte di appello, nel rispondere ai motivi di gravame, ricostruendo l’accaduto, sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi ed attraverso le consulenze tecniche, afferma che la colpa del (OMISSIS) deve rinvenirsi nel non avere il cardiologo ne’ assegnato il doveroso peso al sovrallenamento del tratto St (in cinque deviazioni), ne’ atteso l’esito degli esami ematochimici, disposti dal pronto soccorso, prima di formulare una diagnosi, ne’ indicato di dover rivalutare il paziente, formulando una diagnosi con riserva, cosi’ ponendo in essere l’antecedente logico necessario alle dimissioni disposte alle 14.10 dal (OMISSIS), che, a sua volta, non valutava previamente l’esito del marcatore cardiaco. La decisione esclude che la morte del (OMISSIS) sia conseguita ad fatto improvviso ed imprevedibile, sopravvenuto per cause del tutto indipendenti rispetto alle condizioni del paziente -come accertate tre giorni prima dal cardiologo e dal medico del pronto soccorso- capaci di interrompere il nesso causale fra la condotta degli imputati e l’evento morte, causato dalla rottura del cuore. La Corte sottolinea come l’esame autoptico abbia documentato un epimericardio massivo (650 ml. di sangue) conseguente alla rottura del cuore in corrispondenza del margine laterale del ventricolo sinistro, quale esito di un infarto transmurale nel territorio dell’arteria circonflessa, proprio nel punto in cui il 13 giugno era stata registrata sofferenza. La sentenza da’ atto, altresi’, del fatto che i due medici nulla hanno contestato sull’intervenuta violazione delle linee guida e che la misura divergenza tra la condotta tenuta e quella dovuta e, conseguentemente, il rimprovero personale sono elevati. In particolare, il cardiologo non attese gli esami ematici, pur in presenza di un primo referto elettrocardiografico non regolare, tanto che il medesimo indico’ nel referto un emiblocco lato sinistro, pur essendo perfettamente consapevole della necessita’ della ripetizione della troponina, dopo 4-6 ore nei casi sospetti.
4. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone impugnazione, a mezzo del proprio difensore, (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi.
5. Con il primo censura la sentenza per vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorieta’, nella parte in cui ritiene che la diagnosi del (OMISSIS) avesse la natura della definitivita’. Al contrario, come ben spiegato dal Dott. (OMISSIS), cardiologo presso la stessa unita’ operativa, la visita, su richiesta di consulenza, viene effettuata anche senza le previa visione dell’esito del prelievo ematico, richiesto in pronto soccorso, al cui medico e’ rimessa. Inoltre, nel reparto di cardiologia non vi e’ sala di osservazione, cosicche’ il (OMISSIS) non poteva che rinviare il paziente in pronto soccorso, in attesa della valutazione degli esiti ematicochimici da parte del medico richiedente. Si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto tale prassi non vincolante, richiamando l’opinione di medici di altri reparti, privi dei problemi logicisti della cardiologia, i quali avevano riferito che, in caso di consulenza specialistica, prima di effettuare una diagnosi, loro avrebbero atteso l’esito degli esami prescritti. Afferma che se avesse avuto la possibilita’ di trattenere presso il reparto il (OMISSIS), il (OMISSIS) avrebbe potuto consultare gli esami e ricoverare il medesimo, senza l’interferenza di altri medici. Sostiene che, in definitiva, il giudice d’appello ha escluso che la diagnosi emessa dal (OMISSIS) fosse non definitiva, solo perche’ cio’ non accadeva negli altri reparti, con cio’ contraddicendo l’unica testimonianza proveniente da un medico della cardiologia.
6. Con il secondo motivo fa valere il vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale tenuto nella dovuta considerazione, al fine di validare l’esistenza della prassi presso il reparto ove operava il (OMISSIS), la documentazione comprovante un’analoga vicenda, peraltro occorsa il medesimo giorno, da cui si evinceva il caso di una paziente per cui era stata richiesta una consulenza cardiologica da parte del pronto soccorso e per la quale, a seguito di esame elettrocardiografico, erano state formulare identiche conclusioni Al momento non segni di cardiopatia acuta in atto, alle ore 14.35, ma che alla nuova visita alle ore 15.39, a seguito di richiesta di altro medico del pronto soccorso Dott. (OMISSIS), dopo l’esito degli esami, era stata ricoverata per sospetto infarto dal (OMISSIS). Osserva che se il giudice di secondo grado avesse preso in considerazione detta prova non avrebbe sostenuto che la diagnosi del (OMISSIS) formulata per il (OMISSIS) non fosse provvisoria, cosi’ ponendosi in contraddizione non solo con quanto emergente dalla cartella prodotta relativa ad altro soggetto, ma con le dichiarazioni del teste (OMISSIS), unico medico del reparto.
7. Con il terzo motivo lamenta l’omessa motivazione sulla natura provvisoria della diagnosi effettuata. Nega la natura definitiva della diagnosi, come ritenuta dalla Corte, che ha dato rilievo alla locuzione allo stato, non segni di cardiopatia in atto. Rileva che, al contrario, le conclusioni del (OMISSIS) contenevano l’espressione al momento non segni di cardiopatia acuta in atto, rendendo evidente che i segni avrebbero potuto manifestarsi in un momento successivo e che avrebbero essere resi evidenti da altri esami, quali quelli disposti dal pronto soccorso. Critica l’affermazione contenuta nella sentenza, in quanto non supportata da alcun riscontro, secondo cui non vi sarebbero evidenze della pluralita’ degli impegni cui era stato chiamato il (OMISSIS) nell’occasione, dovendo il medesimo attendere nella giornata allo svolgimento di ben tredici consulenze, provenienti dall’esterno del reparto. Sottolinea che l’assunto della Corte secondo cui egli avrebbe goduto di pause ristorative fino a poco prima di effettuare la visita del (OMISSIS), non tiene conto del fatto che il medico non aveva in carico solo le visite in consulenza, ma il reparto di cardiologia e l’unita’ coronarica, e che, pertanto, le considerazioni sul suo operato e sulla possibilita’ di godere di pause sono infondate. Ricorda che il (OMISSIS) non si disinteresso’ del (OMISSIS), ma lo invito’ ad attendere nella sala di osservazione del pronto soccorso gli esiti delle analisi, non avendo altra possibilita’.
Il che rende chiara l’insussistenza della colpa grave del medico e l’importanza assunta nel caso di specie dall’organizzazione del servizio della A.S.L..
8. Con il quarto motivo lamenta l’omessa motivazione sul motivo di gravame inerente alla lettura del tracciato dell’elettrocardiogramma. Osserva che la sentenza manca di dare risposta ad una specifica censura proposta con l’atto di appello, con cui l’imputato si doleva che il Tribunale avesse ritenuto che, al di la’ dell’esame della troponina, la lettura dell’ECG consentisse di individuare elementi sufficienti per ritenere la sussistenza di un infarto in atto, cio’ implicando l’obbligo del (OMISSIS) di provvedere all’immediato ricovero del (OMISSIS). La doglianza sottoposta alla Corte territoriale, infatti, metteva in evidenza come il consulente di parte Dott. (OMISSIS), a seguito di specifica domanda, avesse chiarito che il paziente era da tenere in osservazione, ma non dal (OMISSIS) e che non doveva essere dimesso cosi’ rapidamente. Il teste, tuttavia, non aveva fatto alcun riferimento ad anomalie dell’ECG rivelanti l’infarto. Sottolinea che con l’atto di appello era stato evidenziato come, secondo le linee guida della societa’ Europea di cardiologia (Third universal definition of myocardial infarction) le alterazioni del tratto st, per essere significative, avrebbero dovuto essere almeno: st elevati a j(maggiore)0,2 mv (2 mm) in v 2 e v3 e 0,1 mv (1 mm) in due derivazioni adiacenti. L’ipotesi non ricorreva, invece, nel tracciato del (OMISSIS), non significativo per ischemia acuta in atto. Sottolinea come su siffatto motivo la Corte abbia sorvolato. Conclude affermando che l’assenza di ogni argomentazione sul punto e’ ulteriore motivo di annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi. Essi riguardano la valutazione della condotta dello specialista cardiologo sotto due profili, l’uno inerente alla natura non definitiva della diagnosi, l’altro relativo alla prassi di rinviare i pazienti sottoposti a consulenza cardiologica al Pronto Soccorso, in assenza della possibilita’ fisica di trattenerli in reparto, durante l’attesa degli altri accertamenti prescritti, per la mancanza di una sala di osservazione, avuto riguardo alla circostanza che, comunque, la verifica delle analisi competeva al medico del Pronto Soccorso. La colpa ritenuta dai giudici del merito andrebbe esclusa laddove, conformemente a quanto emerso nel corso del giudizio, si concludesse che la prassi del reparto di cardiologia e’ quella di effettuare la consulenza ed emettere una prima diagnosi non definitiva. Cio’ e’ dimostrato dall’uso nella refertazione della locuzione al momento, utilizzata non solo nel caso del (OMISSIS), ma in tutti i casi in cui manchi l’evidenza di una cardiopatia acuta in atto e si attenda l’esito di altri accertamenti. La non definitivita’ della diagnosi non consentirebbe, invero, un giudizio di rimproverabilita’ del comportamento tenuto dal medico cardiologo, posto che il paziente fu dimesso da altro medico, cui competeva, peraltro, la verifica degli esami ematochimici, posto che il (OMISSIS) non ebbe la possibilita’ di rivedere il paziente, ma neppure quella di trattenerlo presso il proprio reparto, per consultare le analisi disposte dal pronto soccorso ed eventualmente ricoverarlo.
3. Ora, la sentenza impugnata -che pure si dilunga sul modo di procedere alla definizione della diagnosi nelle ipotesi di consulenza, anche assegnando alle dichiarazioni di medici di altri reparti contenuto di smentita di quelle provenienti dal teste (OMISSIS), cardiologo presso la stessa unita’ ove operava l’imputato- in realta’ fonda la decisione sulla violazione da parte del (OMISSIS) delle linee guida internazionali. Rileva, infatti, che il cardiologo, a fronte di un soggetto presentatosi con dolore toracico tipico per sintomatologia anginosa, in concomitanza di plurimi fattori di rischio, quali la condizione di ex fumatore e di iperteso, la familiarita’ per infarto miocardico, non attese di conoscere l’esito delle analisi prescritte in pronto soccorso, relative proprio al dosaggio delle troponine, marcatori cardiaci ed omise di dare rilievo ad alcuni segnali rinvenibili nel tracciato dell’elettrocardiogramma (su cui infra).
4. Cosi’ individuata dalla Corte la condotta omessa dal (OMISSIS), le altre osservazioni introdotte dal ricorrente, relative all’impossibilita’ di trattenere il paziente presso il proprio reparto o alla non definitivita’ della diagnosi, perdono rilievo. Si tratta, infatti, di circostanze che non impediscono al medico di adempiere alle raccomandazioni di comportamento clinico accreditate a livello internazionale per definire una corretta diagnosi, ma di mere difficolta’ organizzative facilmente superabili, da un lato, a mezzo della consultazione telematica degli esiti degli esami ematici, sulla cui possibilita’ la sentenza si sofferma, dall’altro, attraverso un diverso coordinamento con il reparto richiedente la consulenza. E cio’, per esempio, riservandosi espressamente una diagnosi definitiva solo all’esito della conoscenza del quadro complessivo, ancorche’ il paziente non possa che attendere presso la sala di osservazione o la sala d’attesa del reparto richiedente.
Correttamente, invero, la Corte territoriale non ha riconosciuto alcuna importanza al fatto che non vi fosse la possibilita’ di trattenere il (OMISSIS) presso il reparto di cardiologia in attesa del sopraggiungere del risultato delle analisi ematiche. Non e’ il luogo dell’attesa del paziente, invero, che ha condizionato la completezza della diagnosi da parte del medico. Quel che mancava, come osserva bene il collegio, era la verifica delle analisi, senza la quale la diagnosi non poteva neppure essere formulata.
A fronte di questa precisazione resta priva di sostegno logico la difesa circa la non definitivita’ della diagnosi, fondata sulla differenza fra l’utilizzo della locuzione al momento che puo’ leggersi nelle conclusioni redatte dal (OMISSIS), da intendersi come in attesa di ulteriori esiti, e quella allo stato, che il giudice di merito sovrappone a quella effettivamente utilizzata dal cardiologo, attribuendogli tuttavia il significato di nelle condizioni attuali. E questo poiche’- semplicemente una diagnosi non avrebbe dovuto essere redatta in assenza della verifica ematologica disposta, ma essendo stata formulata essa era idonea ad essere ritenuta definitiva.
In questa prospettiva la sentenza coerentemente considera priva di effettiva rilevanza la prassi interna al reparto e di nessuna importanza la prova della sua sussistenza ricavabile dalla documentazione relativa ad altro paziente ricoverato per infarto nella stessa giornata, per cui erano state seguite identiche modalita’ diagnostiche (diagnosi provvisoria e rinvio al pronto soccorso). La formulazione di una diagnosi provvisoria, fondata su dati incompleti, non puo’ esser assunta dal medico come modus operandi -ancorche’ essa sia tollerata o sinanco incoraggiata dalla struttura ospedaliera che non si occupa di coordinare l’operato dei diversi medici e dei diversi reparti- se ad essa non si accompagni una procedura di completamento diagnostico che assicuri una tempestiva diagnosi, inequivocabilmente definitiva, fondata su tutti gli accertamenti svolti, non appena consultabili.
Solo la diagnosi definitiva, infatti, esclude l’omissione diagnostica, consentendo di differenziare i sintomi ed i segni comuni da quelli specifici della patologia in corso di identificazione, fino ad individuare quale sia quella corretta. La mancata considerazione degli elementi tipici, pure oggetto di ricerca diagnostica, costituisce di per se’ la condotta rimproverabile, quando siffatti elementi siano quelli che secondo le linee guida debbono essere tenuti in considerazione per effettuare una corretta diagnosi.
D’altro canto, la pretesa del ricorrente di assegnare valore esimente della responsabilita’ alla prassi interna del rinvio del paziente al Pronto Soccorso, in attesa dei risultati degli esami ematochimici, indispensabili alla formulazione di una corretta diagnosi,. finisce per ricavare il contenuto della regola cautelare dalla prassi ospedaliera, con un evidente torsione dell’inferenza che impone il confronto fra la condotta, ancorche’ coincidente con la prassi operativa concreta, e la regola, e non fra la condotta e la prassi ospedaliera, potendo quest’ultima, al piu’, porsi come elemento che facilita o complica l’attivita’ diagnostica del medico, ma che non puo’ impedirla, ne’ ritardarla, ove il medico facendo riferimento alle leges artis, si premuri di completare analisi e le valutazioni, che gli competono e che, in ogni caso, la struttura sanitaria assicura. E cio’ anche se la prassi ospedaliera imponga una stretta e continuativa interlocuzione con gli altri reparti, non offrendo le agevolazioni logistiche che favorirebbero la semplificazione dei compiti.
E’ pur vero che la gestione del rischio clinico e’ definita da un intreccio di relazioni tecniche ed amministrative tra organizzazione sanitaria ed operatori, da un lato, e dalla diretta relazione terapeutica fra il paziente ed il medico, dall’altro, ma compete a quest’ultimo assicurare che il percorso diagnostico-terapeutico, comunque reso possibile dall’organizzazione sanitaria nella quale egli opera, sia portato efficacemente a compimento.
Si tratta di obbligo che viene meno solo per cause di tipo logistico-organizzativo, quale la sostituzione del medico che aveva originariamente svolto la visita di consulenza -e che attendeva l’esito degli esami da altri disposti al fine di completare la diagnosi- con altro collega, per motivi contingenti, come la fine del turno di lavoro, o l’impiego in altra attivita’ urgente (per esempio l’intervento in sala operatoria). In queste ipotesi, com’e’ ovvio, la responsabilita’ della definitivita’ della diagnosi sara’ posta a carico del medico subentrante, incombendo sulla struttura ospedaliera il centrale compito di assicurare la pianificazione della successione dei sanitari nelle attivita’ di loro competenza, in modo da garantire la tempestivita’ e la completezza dei dati di indagine necessarii per la pronta definizione del caso.
La motivazione della sentenza impugnata, dunque, appare ineccepibile laddove non solo considera integrata la violazione delle linee guida, ma esclude che essa sia addebitabile a soggetti diversi dall’imputato in forza di prassi organizzative o di impedimenti logicisti, o carichi di lavoro, ininfluenti sull’adempimento dell’obbligo.
5. Il quarto motivo, peraltro anch’esso strettamente connesso con i primi due, e’ parimenti infondato. La denuncia riguarda l’omessa motivazione circa la doglianza espressamente proposta in appello relativa all’affermazione del giudice di prima cura secondo cui, diversamente da quanto ritenuto, l’esame del tracciato dell’elettrocardiogramma non rivelava gli indici tipici dell’infarto, in quanto le alterazioni del tratto st, per essere significative, avrebbero dovuto- secondo le linee guida della societa’ Europea di cardiologia (Third universal definition of myocardial infarction) richiamate anche dal consulente tecnico di parte Dott. (OMISSIS)- essere almeno pari a: st elevatiob j(maggiore)0,2 mv (2 mm) in v 2 e v3 e 0,1 mv (1 mm) in due derivazioni adiacenti. Questi aveva sostenuto come il paziente fosse da tenere sotto osservazione, ma non da parte del (OMISSIS) e che le dimissioni cosi’ rapide furono incaute. Ma il suo parere, non facendo riferimento ad anomalie dell’ECG esonerava comunque l’imputato dal tenere il (OMISSIS) in osservazione e dal ripetere l’esame. Su queste deduzioni, la Corte territoriale, pur sollecitata, si era limitata a sostenere che il consulente di parte non aveva fornito i chiarimenti richiesti circa l’elevazione del tracciato St, cosi’ finendo per non motivare sulla censura proposta.
6. La doglianza, per la verita’, appare non confrontarsi con la decisione che impugna.
La Corte territoriale, infatti, esamina il motivo proposto con il gravame chiarendo che il consulente dell’imputato, nel dare il proprio parere sulla non significativita’ delle alterazioni osservabili dal tracciato, non si e’ misurato con la tesi opposta e neppure ha fornito risposte chiare sull’opportunita’ di ripetere le indagini tecniche o sulla necessita’ di consultare gli esami ematici, dei quali, peraltro, ha negato il valore sintomatico. D’altro canto il (OMISSIS), nonostante siffatte premesse, ha concluso che il (OMISSIS) dovesse essere tenuto in osservazione e che fosse necessario verificare i risultati degli esami, sulla base dei quali valutare il da farsi, anche in considerazione della storia clinica del paziente, il quale comunque, non doveva essere dimesso con una rapidita’ di quel tipo.
Era rispetto a questa ricostruzione sul significato attribuito alle parole del (OMISSIS) che il ricorrente avrebbe dovuto sollevare le proprie censure, per dimostrare come le conclusioni cui era pervenuta la Corte non fossero rispettose del significato delle sue dichiarazioni. Oppure avrebbe dovuto insistere, prima di tutto nelle conclusioni rassegnate in appello, sulla necessita’ di svolgere nuovi accertamenti tecnici per valutare la compatibilita’ della lettura del tracciato con le conclusioni cui erano pervenute le altre consulenze, relativamente alla significativita’ delle risultanze dell’ECG.
Al contrario, in modo del tutto generico, senza riprendere i passi piu’ rilevanti delle dichiarazioni del consulente, per dimostrare che essi non erano stati presi in considerazione dalla Corte, il ricorrente si limita ad affermare che il Dott. (OMISSIS) aveva escluso che toccasse al (OMISSIS) tenere in osservazione il paziente e che la dimissione fosse stata incautamente disposta da altro medico.
Deve, dunque, conclusivamente affermarsi che il cardiologo interpellato per una consulenza, per di piu’ in una situazione di urgenza -come quella conseguente l’assegnazione di codice giallo- una volta disposti dal reparto di pronto soccorso gli esami clinici utili all’individuazione di una patologia cardiaca, non possa esimersi in alcun caso dal fornire allo specialista, che quella consulenza ha richiesto, le valutazioni cliniche desumibili dalla lettura delle analisi che esprimano elementi sintomatici tipici di quel tipo di affezioni, limitandosi a formulare una diagnosi non definitiva e rimettendo la verifica degli ulteriori accertamenti diagnostici al medico richiedente. Una simile condotta, infatti, integra il mancato rispetto delle regole di diligenza e prudenza rivolte all’unico fine della cura e salvaguardia della salute del paziente.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di giudizio alle costituite parti civili, liquidate in Euro 3.500,00 oltre ad accessori come per legge, in favore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ed in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge, in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese di giudizio alle costituite parti civili, liquidate in Euro 3.500,00 oltre ad accessori come per legge, in favore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ed in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge, in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS).

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