Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 dicembre 2020| n. 35158.
Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA risponde l’amministratore di fatto, quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (artt. 40, comma II c.p. e 2932 c.c.). Poiché il prestanome il più delle volte non ha alcun potere di ingerenza nella gestione della società per addebitargli il concorso, risponde a titolo di dolo eventuale mentre il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi.
Sentenza|10 dicembre 2020| n. 35158
Data udienza 22 settembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Reati tributari – Omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA – Amministratore di fatto – Responsabilità – Amministratore di diritto – Prestanome – Concorso – Omesso impedimento dell’evento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matt – rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/11/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ROMANO GIULIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per (OMISSIS) e l’annullamento della sentenza, con trasmissione atti al Tribunale, per il ricorrente (OMISSIS);
il difensore, Avvocato (OMISSIS) chiede l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 20 novembre 2019, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 9 novembre 2018 che aveva condannato (OMISSIS) (ritenuto amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l.) alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione e (OMISSIS) (amministratore legale della (OMISSIS) s.r.l.) alla pena di anni 1 di reclusione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla sola (OMISSIS), relativamente al reato di cui agli articoli 81 e 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, – relativamente alla sola annualita’ d’imposta 2010 – per avere, in concorso tra loro e con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, contabilizzato fatture non imponibili dissimulando cessioni di beni in esportazione, mentre nella realta’ le stesse erano riferite a cessioni di beni effettuate nel territorio nazionale nei confronti delle aziende (…) di cui all’allegato n. 11 determinando con mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento, nelle dichiarazioni annuali relative all’IVA (…) elementi attivi inferiori a quelli effettivi riepilogati nella tabella (…); anno di imposta 2010 con dichiarazione da presentare il 31 ottobre 2011.
2. Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. (OMISSIS). Illogicita’ della motivazione ed inversione dell’onere della prova.
La Corte di appello ha evidenziato l’insussistenza di motivi dell’appello sull’elemento soggettivo del reato contestato. (OMISSIS), nel suo ruolo di dominus della societa’, obbligava la ricorrente a sottoscrivere la documentazione fiscale, anche le dichiarazioni IVA. La ricorrente nel periodo in oggetto era gravemente malata e necessitava di cure. Era l’accusa che avrebbe dovuto provare la colpevolezza della ricorrente, non il contrario. La motivazione della sentenza risulta solo apparente.
3. (OMISSIS). Violazione di legge (articoli 518, 519, 520 e 522 c.p.p.); difetto di contestazione all’imputato assente.
Il 31 ottobre 2018 il. P.M. in dibattimento contestata all’imputato anche la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, per l’anno di imposta 2010 (in precedenza, nell’imputazione, erano stati contestati solo gli anni di imposta 2006-2009). La difesa chiedeva espressamente la notifica del verbale d’udienza all’imputato assente (articolo 520 c.p.p.) e, comunque, un termine a difesa. Istanze rigettate, in palese violazione di legge; la Corte di appello respingeva il motivo di impugnazione con motivazione solo apparente e comunque illogica.
La contestazione di una nuova annualita’ comporta, evidentemente, la sussistenza di un fatto nuovo e non una protrazione dell’attivita’ criminosa nel tempo (Cassazione 2010 n. 42111). Il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, si consuma con la presentazione della dichiarazione.
Per la Corte di appello, invece, non era un fatto nuovo, ma la contestazione riguardava sempre il medesimo meccanismo esteso ad un altro anno fiscale.
Sussiste una concreta violazione del diritto di difesa anche in relazione all’assenza dell’udienza preliminare, per la contestazione del reato per l’annualita’ 2010.
3. 1. Violazione di legge (articoli 517, 519, 520 e 522 c.p.p.). Ove si volesse considerare il reato relativo all’anno 2010 un reato connesso – ex articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera B), ci sarebbe comunque la violazione dell’articolo 517 c.p.p..
Il reato dell’anno 2010 potrebbe al massimo ritenersi in continuazione con i reati relativi agli anni precedenti. Sia nella sentenza del Tribunale e sia in quella d’appello nessun riferimento, pero’, viene fatto al medesimo disegno criminoso.
Nel caso in giudizio e’ stato negato sia il termine a difesa (che si estende anche al difensore, Cassazione n. 11783 del 1995) e sia la notificazione all’imputato assente della nuova contestazione (di un fatto nuovo).
Del resto, lo stesso capo di imputazione contestava l’articolo 81 c.p. e, quindi, implicitamente riconosceva la sussistenza di distinti reati per ogni anno di imposta.
3. 2. Contraddittorieta’ della motivazione relativamente alla sussistenza oggettiva del reato contestato, con travisamento del fatto e delle prove. Violazione di legge (articolo 192 c.p.p.) relativamente alla valutazione delle prove.
Nella sentenza impugnata (che richiama quella di primo grado) si fa esclusivo riferimento al verbale della Guardia di Finanza e alla conferma testimoniale del Luogotenente Bellinvia. I pagamenti della (OMISSIS) coprivano l’intero importo delle fatture, come ritenuto dal giudice di primo grado. Il trasferimento dei beni (metalli preziosi) avveniva/effettivamente, con la prevista documentazione fiscale.
Il G.U.P. di Arezzo ha emesso sentenza di non luogo a procedere per il filone parallelo a questa vicenda in giudizio.
Infatti, le operazioni non possono ritenersi del tutto soggettivamente inesistenti, in considerazione dei bonifici documentati e riconosciuti dalle stesse sentenze di merito.
La Corte di appello ha infatti travisata la prova utilizzando una prova inesistente (esistenza di un sodalizio criminoso volto con le frodi carosello ad evadere l’IVA).
3. 3. Mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza per l’imputato della qualifica di amministratore di fatto. La decisione impugnata sulla base della procura institoria e delle dichiarazioni della (OMISSIS) e di (OMISSIS) ha ritenuto il ricorrente amministratore di fatto della societa’. Egli, pero’, aveva un ruolo limitato conformemente alla procura e nessuna attivita’ ulteriore alla delega risulta mai effettuata dall’imputato.
Era solo adibito alla gestione dei due conti correnti e non ha mai firmato le dichiarazioni fiscali; tutte sottoscritte dall’amministratore legale rappresentante.
La Corte di appello ha fatto malgoverno delle regole dell’articolo 192 c.p.p. utilizzando presunzioni non gravi e non precise e concordanti.
3. 4. Mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze ex articolo 62 bis c.p..
Per la Corte di appello il ricorrente era il vero ideatore delle frodi fiscali. L’imputato, pero’, non ha mai presentato alcuna dichiarazione fiscale; egli svolgeva solo i suoi compiti, come da deleghe. La motivazione sul trattamento sanzionatorio e sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche risulta assente o manifestamente illogica.
Hanno chiesto, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi, e per genericita’, peraltro articolati in fatto con la riproposizione degli stessi argomenti dell’appello gia’ adeguatamente valutati dalla sentenza impugnata. Relativamente all’elemento oggettivo del reato si deve rilevare che tale questione non risulta proposta con l’atto di appello dai due imputati e, pertanto, risulta inammissibile in questa sede di legittimita’.
5. Manifestamente infondato il motivo processuale di (OMISSIS) relativo alla contestazione dell’anno di imposta 2010. L’anno di imposta 2010 era gia’ ricompreso nell’originaria imputazione, con l’indicazione nel capo di imputazione delle somme non versate per l’IVA, per Euro 1.429,382,00 su operazioni soggettivamente inesistenti per Euro 7.146.910,00. Si trattava di correggere l’errore materiale della data dei commessi reati non gia’ di una nuova contestazione non ricompresa nell’originaria contestazione. Conseguentemente nessuna violazione dei diritti di difesa sussiste.
Infatti, “In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, integra una mera correzione dell’errore materiale contenuto nel capo di imputazione ex articolo 130 c.p.p., e non una modifica dello stesso rilevante ai sensi dell’articolo 516 c.p.p., la precisazione nel corso del processo della data di commissione del reato e del nominativo dell’acquirente delle sostanze, non comportando la stessa un significativo cambiamento dei tratti essenziali della contestazione tale da incidere sulla possibilita’ di individuazione del fatto da parte dell’imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa. In motivazione la Corte ha aggiunto che il difensore che, nell’atto d’impugnazione, deduca l’avvenuta modifica del fatto contestato, ha comunque l’onere di allegare specificamente il concreto pregiudizio subito” (Sez. 3, n. 29405 del 04/04/2019 – dep. 05/07/2019, CORDARO SALVATORE, Rv. 27654701; vedi anche Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 – dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 24805101).
6. La ricorrente (OMISSIS) contesta solo genericamente l’assenza di dolo, in relazione alla sua qualita’ di amministratore di diritto (testa di legno), ma non fornisce elementi concreti (solo prospettazioni teoriche soggettive e una generica malattia che le impediva di controllare) di prova per la ricostruzione alternativa. Ovvero non indica atti del processo di merito (fonti probatorie) idonei a dimostrare la sua assoluta estraneita’ agli illeciti della societa’, in quanto la sua semplice nomina ad amministratore di diritto, testa di legno, e’ idonea a ritenere lo stesso corresponsabile degli illeciti della societa’, altrimenti la nomina sarebbe senza scopi.
La regola dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e’ possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita’ e plausibilita’, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita’, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe’ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali. (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 – dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 260409).
Accertata la qualita’ di amministratore di diritto della ricorrente (OMISSIS) e di fatto. per (OMISSIS) (come motivato adeguatamente nella sentenza impugnata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicita’) deve analizzarsi la responsabilita’ dell’amministratore di diritto, prestanome, nei reati propri, quale quello in analisi, in relazione alla responsabilita’ dell’amministratore di fatto.
In linea generale il concorso dell’extraneus nel reato proprio e’ configurabile, quando vi e’ volontarieta’ (dolo) della condotta dell’extraneus di apporto a quella dell’intraneus (Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 – dep. 23/03/2016, Morosi e altri, Rv. 267059; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 – dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 246879).
La configurazione dell’amministratore di fatto inoltre e’ legislativamente prevista nell’articolo 2639 c.c., comma 1: “Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile e’ equiparato sia chi e’ tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”. L’amministratore di fatto oltre ai reati societari, di cui all’articolo 2639 c.c., risponde anche di altri reati commessi in tale veste (vedi Sez. 5, n. 39535 del 20/06/2012 – dep. 08/10/2012, Antonucci, Rv. 253363, per i reati fallimentari, e Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 – dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962, per i reati finanziari del Decreto Legislativo n. 74 del 2000).
In giurisprudenza quindi si e’ giustamente posto l’accento non sul dato formale (amministratore di diritto, prestanome) ma sul criterio funzionalistico, o dell’effettivita’, e il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale.
6. 1. Conseguentemente in base ai principi esposti, il vero soggetto qualificato (e responsabile) non e’ il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la societa’ perche’ solo lui e’ in condizione di compiere l’azione dovuta (la presentazione della dichiarazione) mentre l’estraneo e’ il prestanome. A quest’ultimo una corresponsabilita’ puo’ essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la societa’ e per i terzi. Nelle occasioni in cui questa Corte si e’ occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della societa’, ha individuato nell’amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l’evento che in base alla norma citata aveva il dovere di impedire (Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 – dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962; Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016 – dep. 18/04/2016, Gagliotta, Rv. 266757; “Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, e’ responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento – articolo 40 c.p., comma 2, e articolo 2932 c.c. -, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice”, Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015 – dep. 24/09/2015, Biffi, Rv. 264971).
Proprio perche’ il piu’ delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della societa’ per addebitargli il concorso, questa Corte ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale; il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi a tale carica (Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015 – dep. 18/02/2015, Fasola, Rv. 262767; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014 – dep. 27/10/2014, Regoli ed altri, Rv. 261814).
La decisione impugnata, con valutazione in fatto, insindacabile in sede di legittimita’, rileva proprio la sussistenza del concorso tra i due, in conformita’ alla giurisprudenza di questa Corte sopra evidenziata. Infatti, rileva la sentenza che: “si puo’ ritenere provato il ruolo della (OMISSIS) che firmava le dichiarazioni IVA e che era fisicamente presente nella societa’ e che aveva il dovere di vigilanza sull’operato di (OMISSIS). (OMISSIS) ricopriva il ruolo di amministratore di fatto nell’ambito della societa’ come indicato sia dalla (OMISSIS) e sia dal teste (OMISSIS) e, come provato documentalmente, dalla esistenza della procura institoria in virtu’ della quale poteva operare sui due conti correnti societari dove transitavano i flussi di denaro legati all’attivita’ commerciale. L’esistenza della procura institoria e’ indice rivelatore della figura dell’amministratore di fatto”.
7. Per l’elemento oggettivo del reato la sentenza impugnata da’ atto dell’assenza di motivi di appello sul punto, per entrambi gli imputati.
Conseguentemente la relativa questione proposta in tassazione deve ritenersi inammissibile: “Non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perche’ non devolute alla sua cognizione. (Fattispecie relativa ad omessa motivazione da parte della Corte di appello sulla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello)” (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 – dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501).
L’appello, infatti, e’ un giudizio di impugnazione e lo stesso si svolge esclusivamente sui motivi di appello – Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 26882201 -.
8. Anche l’ulteriore motivo di (OMISSIS) sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sul trattamento sanzionatorio risulta generico e manifestamente infondato. La Corte di appello con motivazione adeguata, immune da manifeste illogicita’ e da contraddizioni, rileva come la pena irrogata risulta congrua sia in relazione all’importo evaso e sia in relazione al ruolo assunto dall’imputato, che era il vero ideatore della frode; inoltre l’imputato e’ gravato da numerosi precedenti penali che non consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e giustificano la pena non nel minimo edittale.
Del resto, la decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche e’ rimessa alla discrezionalita’ del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimita’, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici. (Sez. 2, n. 5638 del 20/01/1983 – dep. 14/06/1983, ROSAMILIA, Rv. 159536; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 – dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716; Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011 – dep. 12/04/2011, Belluso e altri, Rv. 249731).
Alla dichiarazione di inammissibilita’ consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00, ciascuno, e delle spese del procedimento, ex articolo 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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