Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 3 maggio 2019, n. 11700.
La massima estrapolata:
Rientra tra i normali obblighi di correttezza e diligenza nello svolgimento del rapporto di lavoro anche quello che fa carico al lavoratore di assicurarsi che impedimenti nell’espletamento della prestazione, seppure legittimi, non arrechino alla controparte datoriale un pregiudizio ulteriore, per effetto di inesatte comunicazioni che generino un legittimo affidamento in ordine alla effettiva ripresa della prestazione lavorativa.
Sentenza 3 maggio 2019, n. 11700
Data udienza 24 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22957/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L. (OMISSIS) S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 221/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/05/2016 r.g.n. 943/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’inammissibilita’ o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Venezia accoglieva parzialmente l’opposizione proposta da (OMISSIS), nei confronti della (OMISSIS) S.r.l. (OMISSIS) S.a.s. – presso la quale il medesimo aveva prestato la propria opera, in qualita’ di aiuto magazziniere, dal 12.2.2011 -, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede, adito dal lavoratore con ricorso depositato ai sensi della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 48 e dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del recesso intimato il 14.1.2014; ritenendo, inoltre, la violazione, da parte della societa’, della L. n. 300 del 1970, articolo 7, per tardiva contestazione disciplinare rispetto ai fatti addebitati al lavoratore, condannava la datrice di lavoro a corrispondere a quest’ultimo dieci mensilita’ della retribuzione globale di fatto, ai sensi della citata L. n. 300 del 1970, novellato articolo 18, comma 6.
La Corte territoriale di Venezia, con sentenza pubblicata il 3.5.2016, in accoglimento del gravame interposto dalla societa’ reclamante, avverso la pronunzia di prime cure, rigettava integralmente il ricorso proposto dal lavoratore in prima istanza, dichiarava la legittimita’ del licenziamento allo stesso intimato il 14.1.2014 e lo condannava a restituire alla reclamante le somme corrisposte in esecuzione della sentenza impugnata.
Per la cassazione della sentenza ricorre (OMISSIS) articolando cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 codice di rito.
La societa’ datrice resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denunzia la violazione dell’articolo 2119 c.c. per inesistenza di una giusta causa di recesso e si lamenta che la Corte distrettuale non abbia verificato in concreto il comportamento di ambedue le parti secondo i fondamentali principi della correttezza e buona fede, e che non abbia considerato che il ricorrente ha consegnato tutti i certificati attestanti la malattia che ne ha provocato l’assenza dal luogo di lavoro.
2. Con il secondo motivo si censura ancora la violazione dell’articolo 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, “per intempestiva reazione del datore di lavoro al fatto gia’ contestabile della mancanza di ulteriori certificazioni sanitarie” e si deduce testualmente (v. pag. 20 del ricorso) che “deve trovare applicazione al rapporto non la sanzione al lavoratore per un fatto che non ha mai commesso (assenza di giustificazioni e certificazioni), ma la sanzione dalla legge prevista per la non tempestivita’ o non immediatezza della contestazione, essendo solamente di comodo affermare che il periodo occorso alla (OMISSIS) per la sua missiva del 6.12.2013 e’ stato ragionevole…. Percio’ conclusivamente su tale secondo motivo che, per quanto di significato relativo, risulta essere assolutamente carente tale requisito della immediatezza nel caso dell’ (OMISSIS) per tre mesi di tempo (peraltro tali solo a seguito della riapparizione del lavoratore in Azienda) rispetto ad una semplicissima e persino doverosa attivazione del datore di lavoro”.
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’articolo 2106 c.c., per la mancata proporzionalita’ tra i fatti e la sanzione comminata e si sostiene che la sanzione disciplinare irrogata al lavoratore sia stata sproporzionata rispetto ai fatti di cui si tratta, posto che al medesimo e’ stato contestata l’assenza ingiustificata dal luogo di lavoro dal 13.9.2013 al 6.12.2013, senza considerare che, il 18.12.2013, l’ (OMISSIS) ha presentato le sue giustificazioni e la societa’ lo ha licenziato il 14.1.2014.
4. Con il quarto motivo si censura “l’omesso esame circa il fatto delle avvenute consegne dei certificati medici ulteriori relative al “refill” di necessaria continuazione di cura ad opera della sig.ra Majolie N’Guentsop, moglie del lavoratore, come fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, perche’ “la Corte di Appello di Venezia non ha nemmeno minimamente considerato la circostanza pur portata in causa della consegna degli ulteriori certificati relativi al secondo semestre a cura sempre della sig.ra Majolie N’Guentsop”, mentre avrebbe dovuto prendere in considerazione il certificato “portato dall’ (OMISSIS) il 18.12.2013 in Azienda”.
5. Con il quinto motivo si lamenta “l’omesso esame della falsita’ dei motivi di licenziamento come fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, per non avere “la Corte di Appello di Venezia minimamente considerato neanche la falsita’ delle ragioni spiegate dalla (OMISSIS) con la lettera di licenziamento del 14.1.2014”.
1.1; 2.2; 3.3. I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, non sono fondati.
Va, innanzitutto, osservato che la giusta causa di licenziamento e’ una nozione di legge che si viene ad inscrivere in un ambito di disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali (Generalklauseln) – correttezza (articolo 1175 c.c.); obbligo di fedelta’, lealta’, buona fede (articolo 1375 c.c.); giusta causa, appunto (articolo 2119 c.c.) – il cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale e sullo sfondo di quella che e’ stata definita la “spirale ermeneutica” (tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul piano della quaestio facti che della quaestio iuris, attraverso il contributo dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, alla cui stregua poter adeguatamente individuare e delibare altresi’ le circostanze piu’ concludenti e piu’ pertinenti rispetto a quelle regole, a quelle valutazioni, a quei giudizi di valore, e tali non solo da contribuire, mediante la loro sussunzione, alla prospettazione e configurabilita’ della tota res (realta’ fattuale e regulae iuris), ma da consentire inoltre al giudice di pervenire, sulla scorta di detta complessa realta’, alla soluzione piu’ conforme al diritto, oltre che piu’ ragionevole e consona.
Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica, come in piu’ occasioni sottolineato da questa Corte, e la disapplicazione delle stesse e’ deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge. Pertanto, l’accertamento della ricorrenza, in concreto, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, e’ sindacabile nel giudizio di legittimita’, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards” conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realta’ sociale (Cass. n. 25044/15; Cass. n. 8367/2014; Cass. n. 5095/11). E cio’, in quanto, il giudizio di legittimita’ deve estendersi pienamente, e non solo per i profili riguardanti la logicita’ e la completezza della motivazione, al modo in cui il giudice di merito abbia in concreto applicato una clausola generale, perche’ nel farlo compie, appunto, un’attivita’ di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma, dando concretezza a quella parte mobile della stessa che il legislatore ha introdotto per consentire l’adeguamento ai mutamenti del contesto storico-sociale (Cass., S.U., n. 2572/2012).
Nei motivi di ricorso qui in esame, le censure formulate alla sentenza della Corte di Appello appaiono inconferenti, poiche’ non evidenziano in modo puntuale gli “standards” dai quali il Collegio di merito si sarebbe discostato. Non risulta, in sostanza, inciso da errores in iudicando l’iter decisionale della Corte di merito, poiche’, coerentemente, viene messo in luce il comportamento, certamente lesivo del vincolo fiduciario, tenuto dall’ (OMISSIS). Al riguardo, correttamente, la Corte di Appello sottolinea che (v. in particolare, pag. 6 e segg. della sentenza impugnata), dall’esame dei fatti oggetto di controversia, emerge che il lavoratore e’ stato licenziato dalla societa’ per assenza ingiustificata dal 13.9.203 al 6.12.2013, avendo la datrice di lavoro ricevuto l’ultima certificazione sanitaria relativa allo stato di salute dello stesso in data 12.3.2013, nella quale il medico del Camerun attestava che l’ (OMISSIS) era affetto da tubercolosi e doveva essere sottoposto a sei mesi di cura; per la qual cosa, dal 12.3.2013 al 12.9.2013, la societa’ ha reputato giustificata l’assenza del dipendente, del quale non ha piu’ ricevuto notizie a partire dal successivo 13.9.2013. Sarebbe stato, quindi, onere del medesimo, a fronte di una eventuale prosecuzione della malattia, attivarsi e darne comunicazione al datore di lavoro, il quale ultimo, a fronte di quell’assenza proseguita per 84 giorni, senza alcuna comunicazione o giustificazione, ha correttamente intimato il licenziamento al dipendente. In merito, la Corte territoriale, condivisibilmente, sottolinea pure che non si configura, nella fattispecie, alcuna sproporzione tra il comportamento tenuto dal lavoratore e la sanzione comminata dalla societa’, anche in considerazione di quanto previsto dal CCNL del Terziario che, all’articolo 225, prevede il licenziamento senza preavviso quale sanzione congrua in caso di assenze che si protraggano senza giustificazione per oltre tre giorni. E non puo’ non tenersi in considerazione il fatto che rientra nella normale diligenza e correttezza del lavoratore malato l’onere di avvertire tempestivamente il datore di lavoro, qualora non sia in grado di rispettare il termine previsto per il rientro dalla malattia (v., tra le molte, Cass. nn. 10552/2013; 13622/2005), dando cosi’ modo alla parte datoriale di valutare i fatti nel loro insieme e di stabilire la sanzione da applicare (v., tra le altre, Cass. n. 2283/2010).
Deve, quindi, concludersi, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, che il licenziamento disciplinare e’ giustificato nei casi in cui i fatti attribuiti al lavoratore rivestano il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario; il giudice di merito deve, pertanto, valutare gli aspetti concreti che attengono principalmente alla natura del rapporto di lavoro, alla posizione delle parti, al nocumento arrecato, alla portata soggettiva dei fatti, ai motivi ed all’intensita’ dell’elemento intenzionale o di quello colposo (v., ex plurimis, Cass. n. 25608/2014).
La Corte di Appello, nella valutazione della proporzionalita’ tra illecito disciplinare e sanzione applicata, si e’ attenuta a tale insegnamento ed ha tratto le conseguenze logico-giuridiche in termini di proporzionalita’ tra fatto commesso e sanzione irrogata.
A fronte di cio’, l’ (OMISSIS) non ha prodotto (e neppure menzionato nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione elencati nel ricorso per cassazione) il certificato che dichiara di avere portato al datore di lavoro in data 18.12.2013, al rientro sul luogo di lavoro; e cio’, in violazione del principio, piu’ volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimita’ di controllare ex actis la veridicita’ delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non e’ stata messa in grado di poter apprezzare la veridicita’ della doglianza svolta dal ricorrente neppure con riguardo alla censura relativa al preteso “omesso esame di tale certificato” da parte del Collegio di merito, articolata con il quarto motivo.
4.4. Tale motivo e’ inammissibile.
Al proposito, oltre a quanto teste’ rilevato, va ribadito che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, e’ denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, e’ stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiche’ la sentenza oggetto del giudizio di legittimita’ e’ stata pubblicata, come riferito in narrativa, in data 3.5.2016, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’articolo 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza puo’ essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisivita’, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; ne’, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “cosi’ radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’articolo 132 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi piu’ censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimita’ sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015), che, nella specie, e’ stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata. Pertanto, le doglianze articolate dalla parte ricorrente come vizio di motivazione – che, in sostanza, si risolvono in una ricostruzione soggettiva del fatto, tesa a condurre ad una valutazione difforme rispetto a quella cui e’ pervenuta la Corte distrettuale, sulla base di una diversa lettura del materiale probatorio – appaiono inidonee, per i motivi anzidetti, a scalfire la coerenza della sentenza oggetto del giudizio di legittimita’.
5.5. Altresi’ inammissibile e’ il quinto motivo per le considerazioni svolte sub 4.4. ed altresi’ perche’ non si configura alcun “omesso esame della lettera di licenziamento del 14.1.2014” da parte dei giudici di seconda istanza ed il motivo e’ palesemente teso a suscitare un nuovo esame delle ragioni di merito che non puo’, all’evidenza, trovare ingresso in questa sede.
6. Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato. 7.Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
8. Non sussistono, allo stato, i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 3.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi e spese generali nella misura del 15% oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
Leave a Reply