Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 5 giugno 2020, n. 17187.
Massima estrapolata:
Non sussiste concorso tra i reati previsti dagli artt. 474, comma secondo e 517 cod. pen. stante la clausola di riserva prevista dall’art. 517 cod. pen. che la rende norma sussidiaria rispetto all’ipotesi di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, tranne nell’ipotesi residuale di condotte riguardanti le opere dell’ingegno ovvero, quanto ai prodotti industriali, di condotte di mendacio diverse da quelle aventi ad oggetto l’originalità del marchio.
Sentenza 5 giugno 2020, n. 17187
Data udienza 5 marzo 20200
Tag – parola chiave: Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi ex art. 474 cp – Vendita di prodotti industriali con segni mendaci ex art. 517 cp – Diritto d’autore ex legge n. 633/41 – Ricettazione ex art. 648 cp – Clasuola di riserva dell’art. 517 cp – Differenza con l’art. 474 cp – Intervenuta prescrizione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/05/2019 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Canevelli Paolo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 maggio 2019, la Corte d’appello di Lecce, giudicando sul gravame proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la condanna del medesimo alle pene di legge per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter, comma 1, lettera d), articolo 648 c.p., comma 2, articoli 474 e 517 c.p. per aver ricevuto da terzi e’detenuto per la vendita supporti – abusivamente duplicati e sprovvisti di marchio SIAE – contenenti film e opere musicali, nonche’ un paio di occhiali da sole riportanti marchio “Dior” risultato contraffatto.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo, con il primo motivo, nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. in ordine all’affermazione di penale responsabilita’ per i reati di cui agli articoli 474 e 517 c.p., benche’ non fosse mai stata contestata la detenzione per la vendita – e tanto meno la messa in vendita – degli occhiali oggetto di contestazione, bensi’ soltanto la diversa condotta dell’introduzione nel territorio dello Stato.
3. Con il secondo motivo si lamenta illogicita’ della motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla penale responsabilita’ per il reato di cui all’articolo 474 c.p., posto che l’argomento utilizzato – vale a dire che l’imputato deteneva per la vendita altri 49 paia di occhiali sprovvisti di marchio identificativo – dimostra semmai come la sua attivita’ di vendita riguardasse prodotti privi di marchio, trattandosi, peraltro, di elemento di giudizio mai utilizzato dal giudice di primo grado con conseguente travisamento probatorio fatto dal giudice d’appello.
4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’assenza di motivazione in relazione al motivo n. 11 dell’atto di appello, con cui si lamentava come le fattispecie di cui agli articoli 474 e 517 c.p. non potessero concorrere.
5. Con il quarto motivo di ricorso ci si duole del vizio di motivazione e della violazione della legge penale con riguardo all’affermazione di penale responsabilita’ in ordine al delitto di ricettazione, osservandosi che: la detenzione senza fine di vendita degli occhiali con falso marchio “Dior” escludeva la sussistenza del reato; quanto ai supporti video/audio, non v’era alcuna prova del loro acquisto da parte dell’imputato, dovendo per contro privilegiarsi la presunzione che il medesimo avesse personalmente provveduto alla loro – duplicazione.
6. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione per non essere stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4), in relazione ai delitti diversi dalla ricettazione, trattandosi di reati che offendono il patrimonio e rispetto ai quali il danno patrimoniale arrecato era di speciale tenuita’.
7. Con il sesto motivo, in relazione ai medesimi delitti, si lamenta il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., posto che: i supporti video/audio erano in numero contenuto e la condotta era occasionale; l’ulteriore condotta si riferiva ad un unico paio di occhiali, essendo illogico il riferimento ai 49 paia di occhiali fatti oggetto di mera contestazione amministrativa.
8. Con l’ultimo motivo di ricorso si rappresenta che i reati diversi dalla ricettazione sono ad oggi prescritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I delitti di cui agli articoli 474 e 517 c.p. – commessi il (OMISSIS) – si sono prescritti con il decorso del termine massimo di sette anni e mezzo, non risultando dagli atti sospensioni del corso della prescrizione, e la sentenza va sul punto annullata senza rinvio, essendo il ricorso fondato in relazione al terzo motivo e non manifestamente infondato in relazione al primo.
2. Cominciando la disamina dal terzo motivo, logicamente pregiudiziale per la questione di diritto di cui subito si dira’, osserva il Collegio che, nonostante l’espressa doglianza proposta sul punto con l’appello – risultante dallo stesso riepilogo contenuto nella sentenza impugnata – la sentenza non reca alcuna motivazione sul ritenuto concorso delle due fattispecie di reato, concorso che, salva una residuale possibilita’, deve in linea di principio escludersi stante la clausola di riserva contenuta nell’articolo 517 c.p., che la rende norma penale sussidiaria rispetto all’ipotesi di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (cfr. Sez. 6, n. 7107 del 06/04/1989, Dorigo, Rv. 181330; Sez. 5, n. 3040 del 27/11/1986, dep. 1987, Canfora, Rv. 175321; Sez. 5, n. 1104 del 13/01/1984, D’Orsi, Rv. 162527).
2.1. Ed invero, la fattispecie rubricata “vendita di prodotti industriali con segni mendaci” – collocata tra i delitti contro l’industria e il commercio – punisce, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila Euro, “chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualita’ dell’opera o del prodotto…se il fatto non e’ preveduto come reato da altra disposizione di legge”. La clausola di riserva vale, in particolare, a segnare innanzitutto il confine di applicabilita’ della fattispecie con quella – punita esattamente con la stessa pena – di cui all’articolo 474 c.p., comma 2. Collocata nell’ambito dei delitti in materia di falsita’, riferiti anche ai segni di riconoscimento, questa fattispecie punisce – al di fuori dei casi di concorso nella contraffazione o alterazione (che rientrano nel precedente articolo 473 c.p.), ovvero nell’introduzione del territorio dello Stato (punita dal cit. articolo 474 c.p., comma 1) “chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al comma 1”, vale a dire “prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati”.
Il confronto tra le due figure criminose contestate al ricorrente mostra che, al di la’ del dolo specifico – che soltanto la fattispecie sul falso richiede – la condotta materiale di commercializzazione, punita anticipatamente anche con la sola detenzione per la vendita, e’ sostanzialmente identica (stante la latitudine delle altre due condotte, ha un rilievo autonomo del tutto marginale la messa in vendita, considerata dal solo articolo 474 c.p.).
Le piu’ significative differenze tra le due fattispecie stanno nell’oggetto materiale, che l’articolo 517 c.p. indica in termini piu’ ampi rispetto all’articolo 474 c.p., e sono rinvenibili sotto due profili. In primo luogo, la prima figura criminosa riguarda anche le opere dell’ingegno, mentre la seconda concerne soltanto i prodotti industriali con marchi o segni distintivi nazionali o esteri (se, precisa l’articolo 474 c.p., comma 3, “siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprieta’ intellettuale o industriale”). In secondo luogo, l’articolo 474 c.p. esige l’accertamento della contraffazione o alterazione del marchio o segno distintivo (e per la sua configurabilita’ si richiede la riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza e la sostanziale identita’ del “logo” riprodotto rispetto a quello originale: cfr. Sez. 2, n. 27376 del 17/02/2017, Lu, Rv. 270312; Sez. 5, n. 13322 del 23/01/2009, Liang e a., Rv. 243937), mentre l’altra ipotesi di reato considera, in via generale, un “mendacio” nel segno distintivo atto “a indurre in inganno il compratore” non solo sulla originalita’ dello stesso, ma, in generale, sulla “origine, provenienza, o qualita’ dell’opera o del prodotto” (cfr. Sez. 5, n. 9389 del 04/02/2013, Zhu e a., secondo cui, ai fini della configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 517 c.p. – che ha per oggetto la tutela dell’ordine economico – e’ sufficiente la mera imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purche’ idonea a trarre in inganno l’acquirente sull’origine, qualita’ o provenienza del prodotto da un determinato produttore).
Il confronto tra fattispecie, dunque, rende evidente di come, quantomeno con riguardo al profilo concernente l’originalita’ del marchio o segno distintivo dei prodotti industriali, il delitto di cui all’articolo 474 c.p., comma 2, impedisca di ravvisare il reato previsto dall’articolo 517 c.p.. Uno spazio applicativo dell’articolo 517 c.p. che potrebbe, in concreto, giustificare il concorso tra i due reati sussiste solo con riferimento alle opere dell’ingegno, ovvero, quanto ai prodotti industriali, con riguardo a condotte di mendacio diverse da quelle aventi ad oggetto l’originalita’ del marchio (si pensi, ad es., alle condotte atte ad indurre in inganno circa il luogo di produzione, ovvero certificazioni di qualita’, come la conformita’ CE, che si aggiungano alla contraffazione o alterazione del marchio).
2.2. Al di fuori dei particolari casi appena richiamati, la medesima conclusione circa l’inapplicabilita’ dell’articolo 517 c.p. vale anche quando la fattispecie di cui all’articolo 474 c.p. rilevi per l’ipotesi delineata nel comma 1, cio’ che, a ben vedere, formava oggetto di contestazione nel caso di specie. Ed invero, la lettura dell’imputazione rende evidente che all’imputato era stato addebitato – unitamente all’articolo 517 c.p. – non gia’ il secondo, ma proprio l’articolo 474 c.p., comma 1, vale a dire l’ipotesi della introduzione “nel territorio dello Stato italiano”, per farne commercio”, di un “paio di occhiali riportanti il marchio “Dior”, risultato contraffatto e realizzato con tecnica ad imitazione del suddetto marchio, tecnica idonea a trarre in inganno l’acquirente”.
La sentenza impugnata – per rispondere ad un motivo di gravame proposto sul punto – ha affermato che nel caso di specie era stata sin dal primo grado ritenuta l’ipotesi di reato di cui all’articolo 474 c.p., comma 2, e che non vi era stata lesione del diritto di difesa per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Al di la’ della correttezza o meno di tale rilievo, che forma oggetto di doglianza nel primo motivo di ricorso e sul quale piu’ oltre si tornera’, va detto che se, nei casi considerati di mendacio sull’originalita’ del marchio o segno distintivo, il delitto di cui all’articolo 474 c.p., comma 2, e’ ipotesi prevalente rispetto a quella di cui all’articolo 517 c.p. – si’ da impedire l’applicazione di quest’ultima, giusta la clausola di riserva in essa contenuta – e lo stesso delitto e’, a sua volta, espressamente assorbito dalla piu’ grave fattispecie delineata nell’articolo 474 c.p., comma 1, laddove sia ravvisabile quest’ultima non potra’ esservi comunque spazio per la disposizione penale dichiaratamente residuale. La commercializzazione del prodotto con marchio o segno distintivo falso rappresenta, in tal caso, post factum non punibile della condotta di introduzione nello Stato, a fini di profitto, dello stesso prodotto, cio’ che esaurisce il disvalore penale del fatto.
Per contro, se il prodotto industriale non ha segno distintivo contraffatto o alterato, ma semplicemente “realizzato con tecnica ad imitazione idonea a trarre in inganno l’acquirente” – come peraltro recita il capo d’imputazione piu’ sopra riprodotto – ovvero se ricorre il caso previsto dall’articolo 474 c.p., comma 3, non e’ ravvisabile tale fattispecie, nelle sue alternative ipotesi del primo o del comma 2, ma quella, sussidiaria, di cui all’articolo 517 c.p..
Per quanto detto, poi, uno spazio di possibile concorso tra le diverse ipotesi delittuose rimane nel caso in cui, oltre ad esservi contraffazione o alterazione del marchio o segno distintivo, il prodotto industriale rechi ulteriori segni di mendacio idonei ad indurre in inganno il compratore anche su altri aspetti concernenti origine, provenienza o qualita’ del prodotto.
2.3. Non avendo la sentenza impugnata esaminato il motivo di appello proposto sul punto – con particolare riguardo alla prospettazione da ultimo delineata – e non avendo, comunque, in alcun modo spiegato per quale ragione era stato ritenuto sussistente anche il reato di cui all’articolo 517 c.p. (cio’ che non consente di ravvisare l’evidenza di una causa di proscioglimento piu’ favorevole), la sentenza va in parte qua annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione.
2.4. L’annullamento riguarda anche il delitto di cui all’articolo 474 c.p. perche’ quel motivo era comune ad esso, benche’ sul punto vi sia invece motivazione, non contestata, circa la sussistenza della contraffazione.
Deve aggiungersi, in ogni caso, come la necessita’ di disporre l’annullamento senza rinvio anche per detto reato s’imponga in forza della non manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso sul difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Come si e’ gia’ rilevato, il capo d’imputazione era piuttosto chiaro nel contestare il reato d’introduzione degli occhiali con marchio contraffatto nel territorio dello Stato e l’essere stato ritenuto il diverso reato previsto dal comma 2, in difetto di prova della sussistenza della condotta contestata in relazione al primo, senza aver peraltro risolto il punto concernente la contestuale contestazione della destinazione degli occhiali al commercio ricondotto alla violazione dell’articolo 517 c.p., non rende manifestamente infondata la dedotta doglianza e, pure per questo, consente di ritenere validamente instaurato il rapporto processuale d’impugnazione anche con riguardo al reato di falso, parimenti nelle more prescrittosi.
3. Il quarto motivo di ricorso – l’unico proposto con riguardo al delitto di ricettazione contestato al capo a) – e’ invece inammissibile per genericita’.
3.1. Quanto agli occhiali da sole, dalla sentenza impugnata risulta che anche quelli con falso marchio “Dior” risultavano posti in vendita e – anche prescindendo dalla possibilita’ di eventualmente poter ravvisare pure il delitto di cui all’articolo 517 c.p. – e’ pertanto evidente il fine di lucro che rende configurabile il delitto contro il patrimonio. La doglianza circa il fatto che quegli occhiali non erano posti in vendita – diversamente dagli altri, privi di marchio, dall’imputato detenuti – attiene alla ricostruzione del fatto e, in assenza di specifica contestazione di illogicita’ della motivazione, non e’ censurabile in questa sede. Ed invero, alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), cosi’ come non e’ sindacabile in sede di legittimita’, salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Sul punto, peraltro, e’ da tempo assolutamente pacifico – e neppure il ricorrente lo contesta – il principio secondo cui il delitto di ricettazione e quello di commercio di prodotti con segni falsi (articolo 474 c.p.) possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non puo’ configurarsi un rapporto di specialita’, e che non risulta dal sistema una diversa volonta’ espressa o implicita del legislatore (Sez. U, n. 23427 del 09/05/2001, Ndiaye, Rv. 218771; Sez. 2, n. 21469 del 20/03/2019, Wnag Jianping, Rv. 276326; Sez. 2, n. 12452 del 04/03/2008, Altobello, Rv. 239745).
3.2. Quanto alla ritenuta ricettazione anche dei supporti audio e video oggetto di illecita duplicazione e sforniti del contrassegno SIAE, la sentenza impugnata attesta che l’imputato non aveva dedotto di aver concorso a realizzare gli oggetti in sequestro, ne’ cio’ era emerso, sicche’, tenuto anche conto del fatto che si trattava di persona dedita al commercio ambulante, la motivazione sul punto non e’ manifestamente illogica. Anche a non voler richiamare la piu’ risalente tesi interpretativa secondo cui, ai fini della configurabilita’ del delitto di ricettazione non occorre la prova positiva che il soggetto attivo non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario (Sez. 2, n. 10850 del 20/02/2014, Montesanti, Rv. 259428; Sez. 2, n. 23047 del 14/05/2010, Pompeo, Rv. 247430), non ricorrono certo i presupposti richiesti dalla piu’ recente giurisprudenza per poter escludere il reato di cui all’articolo 648 c.p.. Ed invero, essa condivisibilmente afferma che, ai fini della configurabilita’ del delitto di ricettazione, occorre la prova dell’estraneita’ dell’imputato al reato presupposto, allorche’ questo deduca di averlo commesso e tale prospettazione sia credibile (Sez. 2, n. 46637 del 12/09/2019, Li Cheng, Rv. 277594; Sez. 6, n. 34679 del 07/07/2016, Storto, Rv. 268098), cio’ che, come si e’ detto, la sentenza esclude.
4. I motivi quinto, sesto e settimo, gli unici concernenti il residuo reato di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter – la cui sussistenza sul piano oggettivo e soggettivo non viene in questa sede contestata – sono inammissibili per genericita’ e manifesta infondatezza.
4.1. In diritto, va ribadito anche per tale reato e’ configurabile la circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, ma soltanto qualora ricorrano simultaneamente la condizione del perseguimento (o del conseguimento), da parte dell’autore del reato, di un lucro di speciale tenuita’ e quella della produzione, a detrimento della persona offesa, di un evento dannoso o di una situazione di pericolo di speciale tenuita’ (Sez. 3, n. 2685 del 12/10/2011, dep. 2012, Konteve, Rv. 251888, ove si osserva che la valutazione del giudice di merito sul punto e’ censurabile in sede di legittimita’ solo per mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione).
Quanto all’invocata causa di non punibilita’ della particolare tenuita’ del fatto, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, il relativo giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590), ma, da un lato, non e’ necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647) e, d’altro lato, e’ da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’articolo 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta e a., Rv. 273678; Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647).
4.2. Nel caso di specie, la contestazione riguarda la detenzione per la vendita di 47 DVD contenenti films e di 27 CD musicali, vale a dire, complessivamente, di 74 supporti contenenti opere tutelate dal diritto d’autore, sicche’ la valutazione del giudice di merito circa il fatto che il lucro non fosse di speciale tenuita’ per il non irrisorio valore della merce e che detta pluralita’ di supporti – considerata anche la differente tipologia e la varieta’ – non consentisse di ravvisare la causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p. non e’ manifestamente illogica e non e’ dunque censurabile in questa sede.
Va al riguardo precisato, del resto, che se le condotte previste dalla L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter, comma 1, rientrano anche nel comma 2, lettera a), della previsione, e’ proprio il superamento di 50 copie che determina la sussistenza del piu’ grave reato previsto da tale ultima fattispecie. Il fatto che la detenzione per la vendita dei supporti non possa rientrare nel piu’ grave reato (cfr. Sez. 3, n. 8161 del 07/01/2016, S., Rv. 266288; Sez. 3, n. 15060 del 23/01/2007, Esposito e a., Rv. 236334), non esclude che il dato quantitativo ivi indicato possa essere utilizzato quale oggettivo parametro legale di non speciale tenuita’ del lucro e/o dell’offesa, si’ che, anche per tale ragione, la doglianza del ricorrente si rivela manifestamente infondata (per l’affermazione secondo cui la circostanza attenuante del danno patrimoniale o del lucro di speciale tenuita’ e’ incompatibile con la fattispecie di reato prevista dalla L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter, comma 2, lettera a), proprio perche’ la fattispecie contempla una pena piu’ grave quando il numero dei supporti abusivamente detenuti per il commercio e’ superiore alle cinquanta unita’, cfr. Sez. 3, n. 9688 del 24/02/2011, Cheikouna, Rv. 249650; Sez. 3, n, 13819 del 12/02/2008, Kane, Rv. 239687).
4.3. Posto che, per quanto appena detto, i motivi di ricorso proposti con riguardo al reato di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter, sono inammissibili e non si e’ al riguardo formato un valido rapporto processuale, va disattesa anche la richiesta di dichiarare la prescrizione del reato, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata. Ed invero, in caso di ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi piu’ reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilita’ dell’impugnazione per uno dei reati – nella specie, quelli previsti dal capo c) – possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si e’ formato il giudicato parziale, e’ preclusa la possibilita’ di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello e a., Rv. 268966; Sez. 3, n. 20899 del 25/01/2017, Bruno, Rv. 270130).
5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui agli articoli 474 e 517 c.p. perche’ estinti per prescrizione, con conseguente eliminazione della relativa pena e rideterminazione del trattamento sanzionatorio, cio’ che e’ possibile fare in questa sede ex articolo 620 c.p.p., lettera l).
Posto che il primo giudice aveva praticato – sulla pena di mesi quattro di reclusione e 200 Euro di multa stabilita per il piu’ grave reato di ricettazione, cosi’ ridotta per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche – un aumento complessivo di mesi due di reclusione e 200 Euro di multa per i capi b) e c), senza specificare una diversa incidenza, deve ritenersi che l’aumento sia stato quantificato nei medesimi termini, vale a dire in un mese di reclusione e 100 Euro di multa per ciascun capo. La pena inflitta deve pertanto essere rideterminata in mesi cinque di reclusione e 300 Euro di multa.
Nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui al capo c) per essere gli stessi estinti per prescrizione ed elimina, per l’effetto, la relativa pena.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e ridetermina la pena inflitta per i residui reati in mesi cinque di reclusione ed Euro 300 di multa.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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