Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 febbraio 2021| n. 4759.
In tema di impugnazioni, non sono deducibili in cassazione, quale vizio della decisione fondata sulle conversazioni captate, le eventuali anomalie nello svolgimento della perizia trascrittiva delle intercettazioni, che devono essere fatte valere nel corso dell’attività di trascrizione.
Sentenza|8 febbraio 2021| n. 4759
Data udienza 1 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti – Sussistenza di un vincolo permanente tra almeno tre persone – Accordo per la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti di spaccio – Predisposizione di una struttura organizzata stabile – Intercettazioni – Sussistenza di riscontri – Qualificazione giuridica dei reati satelliti – Lacunosità della motivazione – Diniego delle attenuanti generiche – Omessa considerazione della condotta positiva tenuta successivamente dagli imputati – Annullamento con rinvio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Luigi – Presidente
Dott. ROSI Elisabetta – rel. Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), ALIAS, (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/07/2018 della CORTE APPELLO di POTENZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROSI ELISABETTA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BALDI FULVIO.
Il P.G. ha chiesto l’annullamento con rinvio del ricorso limitatamente alla statuizione sulle circostanze attenuanti generiche ed il rigetto nel resto, relativamente alle posizioni di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Il Proc. Gen. invece conclude per l’annullamento senza rinvio relativamente alle posizioni di: (OMISSIS) e (OMISSIS); il Proc. Gen. conclude per il rigetto dei motivi di ricorso relativamente alle posizioni di: (OMISSIS) e (OMISSIS). Il Proc. Gen. altresi’ conclude per l’inammissibilita’ dei motivi di ricorso relativamente alle posizioni di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
uditi i difensori presenti:
Avv. (OMISSIS) del Foro di Bari in difesa di (OMISSIS) alias (OMISSIS) e (OMISSIS);
Avv. (OMISSIS) del Foro di Tivoli in difesa di (OMISSIS);
Avv. (OMISSIS) del Foro di Potenza, in difesa di (OMISSIS) e di (OMISSIS), per quest’ultimo anche in sostituzione per delega scritta dell’Avv. (OMISSIS) del foro di Bari, nonche’ in difesa di (OMISSIS), per quest’ultimo anche in sostituzione per delega scritta dell’Avv. (OMISSIS) del Foro di Matera;
Avv. (OMISSIS) del Foro di Bari in difesa di (OMISSIS);
Avv. (OMISSIS) del Foro di Bari, in difesa di (OMISSIS) e anche in
sostituzione per delega orale dell’Avv. (OMISSIS) del Foro di Bari, in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS);
Avv. (OMISSIS) del Foro di Materia in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS);
Avv. Maurizio Tolentino del Foro di Bari in difesa di (OMISSIS).
I difensori concludono chiedendo l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente presentati.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 luglio 2018, la Corte di Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza emessa il 15 luglio 2015 dal Tribunale di Matera, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) perche’ estinti i reati per morte dell’imputato, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato ascrittogli al capo 112) della rubrica perche’ estinto per prescrizione a seguito di derubricazione nell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 ed aveva confermato la responsabilita’ degli altri imputati di seguito indicati, per i reati rispettivamente ascritti, condividendo la ricostruzione della vicenda gia’ svolta dai giudici di prime cure. Il processo infatti aveva ricostruito l’esistenza di due gruppi associativi dediti al traffico di sostanze stupefacente, appartenente alla Tabella I, il primo riferibile a (OMISSIS), al di lui cognato (OMISSIS) e al defunto (OMISSIS), operante nel Comune di Irsina (MT) (capo 1) tra il 2003 ed il 2006, con il quale collaboravano dettaglianti di spessore quali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e che aveva base in una villetta di Melitto in uso a (OMISSIS), ovvero nella abitazione del (OMISSIS), dettaglianti ai quali facevano riferimento molti giovani tossicodipendenti i quali diventavano cessionari della sostanza ad altri; il secondo (capo 3), operante in (OMISSIS), che vedeva al vertice (OMISSIS), coadiuvata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imputata non ricorrente. La (OMISSIS), che aveva contatti anche con il primo gruppo, tramite (OMISSIS), si avvaleva di dettaglianti di rilievo quali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Nel corso delle indagini svolte mediante intercettazioni telefoniche ed ambientali in abitazioni ed autovetture, attivazione di G.P.S. sulle auto e posizioriamento di telecamere all’interno ed esterno delle abitazioni ove si svolgevano le piu’ consistenti attivita’ di spaccio, venivano arrestati in flagranza alcuni tossicodipendenti e qualcuno degli appartenenti al commercio di droga per conto delle associazioni, ma cio’ nonostante l’attivita’ delittuosa proseguiva sia per l’intervento in sostituzione di altri coimputati e sia dopo la scarcerazione di essi. Venivano altresi’ sequestrati quantitativi vari di droga (eroina e cocaina). Oltre alle fattispecie associative i giudici di merito ritenevano provate le responsabilita’ penali per numerosi reati di vendita e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, giuste contestazioni specifiche per ciascun ricorrente riportate nell’incipit della impugnata sentenza.
2. Avverso la sentenza, i difensori degli imputati hanno chiesto l’annullamento della decisione presentando distinti ricorsi, cosi’ sintetizzati ai fini della presente decisione:
(OMISSIS), condannato alla pena di anni venti, mesi sei e giorni quindici, per la fattispecie associativa di cui al capo 1 e per i reati satelliti di cui ai capi 9, 13,15, 16, 25, 30, 107, 110, 111, 112, 113 e 114, tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo, il ricorrente censura la violazione di legge e il connesso vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 74, contestato al capo 1. Si premette che a fronte di un originario editto accusatorio di ventisei componenti l’associazione, molti dei quali aventi compiti verticistici, il Tribunale di Matera aveva invece ritenuto sussistente il consortium sceleris solo tra tre membri, determinando il ruolo degli altri quali occasionali spacciatori al dettaglio e tale valutazione e’ stata confermata dalla Corte potentina mediante una motivazione per relationem, senza pero’ considerare il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, che ha statuito che la realizzazione di plurimi episodi di detenzione e/o cessione di sostanza stupefacente non sono elementi sufficienti a desumere la sussistenza di un vincolo associativo. Inoltre l’istruttoria dibattimentale svolta non ha neppure consentito di identificare ne’ la quantita’ ne’ la qualita’ della sostanza stupefacente ceduta nei singoli episodi contestati ex articolo 73 Decreto del Presidente della Repubblica citato, come affermato nella parte motiva della stessa sentenza, ed anche il giudice di prime cure aveva escluso la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 80, comma 2 e Decreto del Presidente della Repubblica citato. Tra l’altro i sequestri probatori di sostanza stupefacente effettuati a carico di alcuni degli imputati non si riferiscono a fatti-reato contestati nel processo di cui trattasi. Si rileva altresi’ che il fatto che la “(OMISSIS)” fosse stata adibita a volte al confezionamento delle singole dosi da spacciare o alla consumazione di droga con amici tossicodipendenti non e’ elemento idoneo a trasformarla in sede dell’organizzazione criminale, posto che essa non risulta essere il luogo di commissione di nessuno dei reati-scopo contestati al ricorrente, essendo quindi evidente che viola il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio la deduzione operata dalla Corte di appello circa il fatto che in due occasioni una donna assumesse cocaina e poi consumasse con il (OMISSIS) un rapporto sessuale quale corrispettivo della cessione di droga. Anche l’uso in comune di una Fiat e i ripetuti contatti tra gli imputati non sono dimostrativi della sussistenza di mezzi comuni e prodromici agli scopi dell’associazione, essendo gli stessi giustificati da un rapporto di parentela ed amicizia. Quanto al rilievo della Corte d’Appello di Potenza in ordine alla non significativita’ della mancanza di una “cassa comune” per integrare la fattispecie associativa, il ricorrente evidenzia che tale elemento risulta, di contro, per la giurisprudenza, indispensabile al ritenere integrata la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. E anche illogico il richiamo per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado (pag.859), laddove e’ stata data rilevanza alla circostanza che due soggetti ritenuti appartenenti all’associazione erano stati intercettati all’interno di un’autovettura nell’atto di contare il denaro incassato dalla cessione delle sostanze, ben potendosi spiegare la medesima circostanza con una attivita’ di spaccio concorsuale;
2) Con il secondo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione di legge e il connesso vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, sotto il profilo dell’individuazione del ricorrente quale promotore ed organizzatore del sodalizio criminoso. Va tenuto conto delle differenze tra le diverse qualifiche di promotore, organizzatore e capo, individuate dalla giurisprudenza, considerato che il ruolo di organizzatore richiede l’esistenza di funzioni – peraltro essenziali ed infungibili – di coordinamento strutturale del gruppo, per nulla individuate e descritte nella sentenza del Tribunale di Matera (pag. 859) se non in riferimento al contenuto di un’unica telefonata dove lo stesso chiedeva ad un sodale di recuperare un fornitore al porto di Napoli; inoltre va evidenziato che nella sentenza impugnata (pag.55) viene riconosciuta al ricorrente la qualifica di spacciatore, da ricondurre, quindi alla figura di mero partecipe; del resto, lo stesso risulta dalle immagini video-captate quale assuntore di droga in compagnia dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
3) Con il terzo motivo, il ricorrente censura la violazione di legge e il connesso vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 74, in particolare, per i capi 1, 9), 13), 15), 16), 25), 30), 107), e da 110) a 114) rilevando la contraddittorieta’ del ragionamento della Corte d’Appello di Potenza la quale, dopo aver escluso l’applicabilita’ dell’articolo 73, comma 5, in quanto il fatto di lieve entita’ non sarebbe configurabile nell’ambito di un contesto associativo, esclude la configurabilita’ dell’ipotesi minore di cui al cit. D.P.R., articolo 74, comma 6, in quanto tale ipotesi si realizzerebbe solo laddove i reati fine fossero qualificati di lieve entita’ ai sensi dell’articolo 73, comma 5: si tratta di un ragionamento circolare e non condivisibile (pagg. 61-62), tenuto conto dei numerosi arresti della giurisprudenza di legittimita’ (specificamente analizzati nel ricorso) ove e’ stato affermato che l’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5 non e’ incompatibile con una struttura organizzativa, mentre seguendo un ragionamento simile verrebbe implicitamente abrogato articolo 74, comma 6 Decreto del Presidente della Repubblica citato. Inoltre il ricorrente insiste sulla riqualificazione delle condotte contestate nei reati fine quali ipotesi di cui all’articolo 73 comma 5, che la Corte potentina avrebbe dovuto disporre seguendo le linee guida indicate da Sez.6, n. 13982 del 2018 e sulla conseguente riqualificazione dell’ipotesi associativa nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Con particolare riferimento al capo 112), il ricorrente deduce la contraddizione in cui il giudice del merito e’ incorso nel riqualificare il fatto, unicamente per il coimputato (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 73, comma 5, laddove per il medesimo fatto e’ stata negata analoga riqualificazione al (OMISSIS), ritenendo dirimente per il primo il mancato accertamento del dato quantitativo e qualitativo della sostanza ceduta, mentre per il secondo tale elemento e’ stato considerato “non dirimente”. Da ultimo si censura la parte della motivazione (pag.55) che richiama quale riscontro alle intercettazioni un elenco di sequestri di sostanza stupefacente relativi ad altri procedimenti penali, dei quali non sono stati forniti elementi ulteriori in ordine alla verifica giurisdizionale delle relative condotte.
(OMISSIS), condannato alla pena di anni dieci, mesi tre e giorni 15 di reclusione, per i capi 1, 15, 16, 25, 26, 28, 30 e 107, tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso, si censura la mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), relativamente ai punti della decisione concernenti l’affermazione di responsabilita’, per i quali chiede la dichiarazione di nullita’ della sentenza di secondo grado per carenza dei presupposti di cui all’articolo 546 c.p.p., lettera e), punto 1).
In particolare, il ricorrente sostiene che il giudice di seconde cure ha omesso di adempiere all’onere motivazionale sancito dall’articolo 546 c.p.p., cosi’ come modificato dalla riforma “Orlando” (Decreto Legislativo n. 103 del 2017), secondo il quale il giudice e’ tenuto ad enunciare le ragioni per cui ritiene non attendibili le prove offerte dalla difesa: tale motivazione sarebbe invece assente nel provvedimento della Corte d’Appello, che non ha esaminato la tesi della difesa, che aveva evidenziato l’assenza dei presupposti della fattispecie contestata. Il giudice di secondo grado, cosi’ come quello di prime cure, non ha fornito una valida motivazione quanto alla configurabilita’ dell’ipotesi associativa di cui al capo 1) della rubrica, fondata unicamente sulle intercettazioni svolte, senza alcun tipo di riscontro probatorio risultante da sequestri, controlli o arresti, e sulla deduzione logica dall’esistenza dei reati-fine, peraltro integranti casi di “droga parlata”; per cui manca la dimostrazione dei caratteri distintivi di una associazione, quali la sussistenza di un pactum sceleris, la struttura organizzativa, nonche’ la coscienza in capo al ricorrente, sotto il profilo soggettivo, di far parte di un’associazione criminale o l’intenzione di aderirvi in modo stabile e permanente. Allo stesso modo, anche per quanto riguarda le contestazioni dei singoli reati fine di cui ai capi 15), 16), 25), 26), 28), 30) e 107) il ricorrente censura le medesime carenze motivazionali, rilevando come il giudice di secondo grado si sia limitato a replicare quanto affermato dal giudice di prime cure, mentre per il capo d’imputazione 28) della rubrica il ricorrente aveva censurato specificamente il metodo di identificazione della voce, basata unicamente sull’assonanza della stessa rispetto a tutte le altre conversazioni intrattenute.
2) Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente censura ex articolo 606 c.p.p., lettera c), l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilita’ e decadenza in riferimento all’incompetenza territoriale, in particolare circa l’affermata decadenza da tale eccezione affermata dalla Corte d’Appello di Potenza, che ha errato nel ritenere che la questione non fosse stata eccepita in sede di udienza preliminare; di contro la stessa era stata tempestivamente proposta tramite l’associazione del difensore del (OMISSIS) all’eccezione formulata da altro difensore, non potendo l’omessa trascrizione di tale circostanza nel verbale d’udienza ricadere in danno del ricorrente;
3) Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, il ricorrente censura la mancata assunzione di una prova decisiva ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera d), in riferimento alla mancata acquisizione della perizia fonica, per cui si chiede la dichiarazione di illegittimita’ dell’ordinanza dibattimentale in data 25 giugno 2015, con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato superflua la perizia fonica, questione sulla quale la sentenza impugnata, eludendo le censure, motiva in maniera illogica, irragionevole ed apodittica. Anche la richiesta di acquisire i verbali di identificazione e le annotazioni circa i contatti avuti dagli agenti di polizia giudiziaria con gli indagati, dai quali discendeva la riconoscibilita’ da parte degli operanti delle loro voci, e’ stata respinta sulla considerazione delle risultanze delle dichiarazioni testimoniali degli investigatori, ed in particolare del Maresciallo (OMISSIS), il quale aveva affermato di poter certamente riconoscere le voci dei vari indagati.
(OMISSIS), condannato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, in relazione ai capi 8, 10, 17, 18, 30, 57, da 83 a 99, da 101 a 106, tramite i propri difensori di fiducia, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso, viene sollevata questione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 599-bis c.p.p. e articolo 602 c.p.p., comma 1-bis, per violazione degli articoli 27, 101 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono che il giudice possa accogliere la richiesta di pena concordata in appello, anche all’esito del dibattimento quando la proposta non accolta dal Procuratore Generale sia comunque relativa ad una pena che egli ritenga congrua. In particolare, in relazione alla non manifesta infondatezza della questione, il ricorrente sostiene che la mancata previsione di tale potere del giudice lederebbe i principi costituzionali della rieducazione della pena, di ragionevole durata del processo e del giusto processo, poiche’ il giudice non sarebbe piu’ soggetto alla legge ma alla volonta’ delle parti, essendogli preclusa la possibilita’ di accogliere la richiesta di pena qualora ritenga congrua e rieducativa per dell’imputato. Per quanto riguarda la rilevanza della questione, il ricorrente sostiene che la questione e’ rilevante per due motivi: da un lato, la pena determinata dal ricorrente (anni 5 e mesi 10 di reclusione ed Euro 32.000,00 di multa) ben medierebbe la finalita’ rieducativa della stessa con il principio del giusto processo, dall’altro lato, garantirebbe la ragionevole durata del processo, superando l’ostacolo posto dal mancato consenso del Procuratore Generale. Il ricorrente evidenzia di avere proposto detta questione innanzi alla Corte di appello che ha omesso di rispondere su tale eccezione, per cui chiede in subordine l’annullamento della sentenza impugnata per omessa pronuncia;
2) Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza e/o erronea interpretazione e applicazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e la connessa illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in particolare deducendo l’erroneita’ della qualificazione giuridica del fatto contestato, avendo il giudice escluso la configurabilita’ dell’ipotesi di lieve tenuita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La Corte d’appello di Potenza avrebbe impropriamente unificato la trattazione della questione in relazione a tutti i capi di imputazione contestati per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, senza tenere conto dell’ontologica diversita’ dei fatti oggetto d’imputazione per ciascun imputato e della necessita’ di operare una valutazione sulle specifiche caratteristiche oggettive degli stessi (mezzi, modalita’ e circostanze dell’azione e qualita’ e quantita’ delle sostanze stupefacenti). In particolare i giudici avrebbero affermato il principio generale che la diversita’ di sostanze stupefacenti sarebbe ostativa alla riconoscibilita’ del fatto lieve, in evidente contrasto con il recente approdo giurisprudenziale delle Sezioni Unite (n. 51063/2018, Murolo). Peraltro la Corte potentina ha omesso di fornire una risposta specifica sui singoli capi di imputazione ascritti al ricorrente, limitandosi alla trattazione delle prime quattro contestazioni, laddove, senza specifica motivazione, nonostante l’imprecisata qualita’ e quantita’ delle sostanze stupefacenti, ha confermato la condanna Di contro si evidenzia che la Procura generale aveva chiesto la riqualificazione del capo 98 ai sensi dell’articolo 73, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica cit., condividendo la ricostruzione difensiva circa la qualita’ della droga, in forza dei contenuti della conversazione telefonica del 3 marzo 2004, ove si parlava di “quaranta grammi di fumo”. In alcune delle imputazioni si faceva riferimento ad una qualita’ incerta (capi 18, 30, 92, 103 e 104), negli altri era incerta la quantita’ di sostanza stupefacente; in tutti i casi non erano stati acquisiti riscontri in grado di determinare tali elementi. Ne’ la reiterazione degli episodi puo’ elidere la loro connotazione in “piccolo spaccio”, come dimostra anche l’esistenza della fattispecie di cui all’articolo 74, comma 6, D.P.R cit., anche considerato che sono gli stessi giudici di merito a sottolineare la modesta entita’ delle provviste in denaro menzionate nelle telefonate (ad esempio nel capo 8, si fa riferimento a “30 Euro racimolati alla bisogna”). Del resto e’ pacifico che l’ (OMISSIS) era all’epoca dei fatti un tossicodipendente, piccolo spacciatore (come dimostrano le indicazioni quantitative riportate nelle specifiche contestazioni).
Si deduce, infine la mancanza di prova della detenzione di sostanza stupefacente in quanto, con erronea interpretazione della fattispecie, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente la fattispecie di cessione e/o vendita anche in assenza della traditio, la quale non sarebbe, invece, integrabile in caso di solo accordo intercorso tra le parti e non essendo integrato il requisito della detenzione della sostanza, che implica una situazione di apprensione materiale della cosa, all’esito della sua consegna, la quale non puo’ essere desunta dal semplice accordo di cessione; ne’ appare corretto traslare concetti del diritto civile nel diritto penale;
3) Con il terzo motivo di ricorso, si censura l’inosservanza e/o l’erronea interpretazione e applicazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, quanto alla determinazione della pena, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 40/2019. Secondo il ricorrente la sentenza della Corte d’Appello di Potenza sarebbe viziata in quanto ha confermato una pena la cui misura era stata stabilita sulla base di limiti edittali dichiarati incostituzionali dalla predetta sentenza e, pertanto, richiede una rideterminazione della pena a seguito di annullamento con rinvio della decisione;
4) Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza e/o erronea applicazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), dell’articolo 81 c.p., in particolare censurando l’erroneita’ dell’individuazione del reato piu’ grave sulla base del quale calcolare l’aumento per la continuazione, che il giudice di secondo grado, richiamando le considerazioni svolte dal Tribunale di Matera, ha individuato nel reato di cui al capo 30) perche’ “piu’ esteso l’intervallo temporale in cui si sono verificate le cessioni”. Secondo il ricorrente il giudice avrebbe deciso di adottare il criterio c.d. della “gravita’ in concreto” sebbene la giurisprudenza di legittimita’ si sia attestata sull’opposto criterio di scelta (Sez. U., n. 25939 del 28 febbraio 2013, Ciabotti), in base al quale si deve aver riguardo alla pena prevista per legge per ciascun reato e la “violazione piu’ grave” ai sensi dell’articolo 81 c.p., va individuata in quella punita dalla legge con pene con livello edittale piu’ alto. Si deduce, inoltre, un vizio della sentenza nella parte in cui, a fronte della richiesta del riconoscimento del vincolo della continuazione con riferimento ai fatti giudicati con la sentenza n. 1249/2014 della Corte d’appello di Bari, e’ omessa qualsiasi valutazione. Infatti, la sentenza della Corte barese ha preso in considerazione episodi di spaccio che sono ricompresi nello stesso arco temporale (2003/2006) di quelli del presente giudizio e la mancanza di ogni argomentazione sul punto da parte dei giudici potentini rende nulla, sul punto, la sentenza; ne’ e’ possibile ritenere che tale valutazione possa essere svolta nella fase esecutiva, posto che la giurisprudenza ha affermato che tale possibilita’ ha carattere sussidiario e suppletivo (cosi’ Cass. Sez.4, n. 10113/12);
5) Con il quinto motivo, il ricorrente censura l’inosservanza e/o l’erronea applicazione ex articolo 606 c.p.p., lettera c), c.p.p., degli articoli 192 e 530 c.p.p. e la connessa contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), nella specie, deducendo l’insufficienza degli elementi probatori ottenuti tramite le intercettazioni, che, in assenza di accertamenti sulla sostanza stupefacente o di sequestri, non permettono di superare il ragionevole dubbio, come imposto dall’articolo 530 c.p.p. Conseguentemente la motivazione della sentenza impugnata e’ viziata sotto due profili: da un lato, per l’impossibilita’ di desumere la capacita’ drogante della sostanza senza accertamenti tecnici, come argomentato con i motivi di appello, dall’altro lato, perche’ risulta trascurato il contenuto delle intercettazioni stesse, laddove gli interlocutori lamentavano la scarsa qualita’ della sostanza. Con riguardo specifico al capo 93) della rubrica, il ricorrente censura l’illogicita’ della motivazione (pag. 68), che ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del teste (OMISSIS) sulla base della circostanza che i Carabinieri di (OMISSIS) erano a conoscenza del suo stato di tossicodipendente e del fatto che si rifornisse dall’ (OMISSIS), pur essendo tale circostanza sfornita di prova e meramente congettuale;
6) Con il sesto motivo, si censura l’inosservanza e/o erronea interpretazione e applicazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), dell’articolo 62-bis c.p. e il connesso vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera e), per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, richieste in appello sulla base dello stato di tossicodipendenza dell’imputato, che aveva intrapreso un percorso riabilitativo che avrebbe poi determinato un radicale cambiamento della sua vita. La Corte d’Appello di Potenza ha omesso di valutare tale motivo d’appello ed ogni circostanza allegata dalla difesa al fine di dimostrare tale positivo cambiamento di vita.
(OMISSIS), condannato a sette anni ed undici mesi di reclusione, per i delitti di cu ai capi 14, 26, 52, 56, 57, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 69, 70, 71, 72, 74, 75, 76, 77, 79, 80, 81, 83, tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso, si chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 per la mancata configurabilita’ dell’ipotesi di cui al comma 5 del citato articolo per i fatti di cui ai capi 14), 26), 52), 56), 57), da 60) a 63), 65), da 69) a 72), da 74) a 77), da 79 ad 81 ed 83) della rubrica con una motivazione unica per tutti gli appellanti, e contraddittoria, fondata sul contesto organizzativo nel quale si erano svolte le cessioni, e sull’adesione agli arresti giurisprudenziali che consentono di escludere il fatto lieve di cui al comma 5 in base ad una valutazione negativa di un singolo elemento della fattispecie (quantita’ o qualita’ della sostanza o modalita’ e circostanze delle cessioni); secondo quanto ritenuto dalla Corte potentina tali arresti sarebbero stati confermati anche dopo la modifica introdotta dal Decreto Legge n. 146 del 2013 che ha configurato l’ipotesi Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, quale fattispecie autonoma di reato. A parere del ricorrente tale nuovo contesto normativo deve far considerare superato tale orientamento giurisprudenziale, trattandosi di una fattispecie autonoma di “piccolo spaccio”. La Corte di appello non ha tenuto conto che tale fattispecie e’ invece configurabile anche nel caso di spaccio continuativo, tenendo conto della modesta quantita’ detenuta e del carattere rudimentale dell’organizzazione di mezzi e di persone. Inoltre la sentenza impugnata non ha differenziato la specifica situazione del (OMISSIS), figura marginale nella vicenda, assolto dalla partecipazione alla struttura associativa e non ha tenuto conto che nella fattispecie di cui al comma 5 non ha piu’ alcuna rilevanza la differenza tra droghe “pesanti” e droghe “leggere”. Comunque non essendo identificata la qualita’ dello stupefacente e non risultando quindi accertata la capacita’ drogante delle dosi cedute, le condotte contestate avrebbero dovuto essere qualificate nell’ipotesi piu’ favorevole al reo. Da ultimo il ricorrente rileva che per la detenzione di 50,7 grammi di eroina, compresa nella contestazione del capo 26, riconosciuto quale reato piu’ grave nella dosimetria sanzionatoria, era stata riconosciuta dal G.I.P. del Tribunale di Matera la sussistenza della fattispecie di cui all’articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica cit. e censura la contraddittorieta’ della motivazione in ordine alla derubricazione operata per il delitto contestato al capo 112;
2) Con il secondo motivo, il ricorrente chiede l’annullamento con rinvio sulla base della mancata assunzione di una prova decisiva e dell’omessa motivazione sul punto ex articolo 606 c.p.p., lettera d) ed e), in relazione ai capi di imputazione ascritti, in quanto il giudice di primo grado aveva rigettato l’istanza di ammissione della perizia fonica e di acquisizione dei verbali di identificazione delle voci intercettate e la Corte di appello aveva concordato in tale giudizio, affermando di essere in grado di decidere sul punto allo stato degli atti;
3) Con il terzo motivo, il ricorrente chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata sulla base della violazione di legge e del connesso vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), ai fini della rideterminazione della pena, anche quanto agli aumenti operati in relzione alla continuazione tra i reati, per avere il giudice di primo grado ritenuto che il reato piu’ grave fra quelli contestati al (OMISSIS), tutti avvinti dalla continuazione, fosse quello di cui al capo 26), in base ad una valutazione in concreto della gravita’ di piu’ reati, astrattamente di pari gravita’, laddove l’imputazione include altre condotte nelle quali non era identificata ne’ la quantita’, ne’ la qualita’ della sostanza ceduta. Inoltre, si deduce che il citato capo 26), relativo alla cessione di 50,7 gr. di eroina, sarebbe gia’ stato oggetto della sentenza n. 123 del 2005 emessa dal G.I.P. Tribunale di Matera, il quale aveva stabilito la pena in 8 mesi di reclusione e 1.800 Euro di multa, pertanto, non sarebbe fondato il rilievo della Corte d’Appello di Potenza secondo il quale il trattamento sanzionatorio non verrebbe modificato in positivo dall’accoglimento dello specifico motivo di appello, che contestava l’individuazione del reato piu’ grave. La motivazione e’ erronea, perche’ il capo 26 fa riferimento alla detenzione illecita di eroina (da 5 a 50 grammi) e per la condotta piu’ grave e’ gia’ intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, alla quale dovevano essere applicati gli aumenti per la continuazione, con il limite di cui all’articolo 81 c.p., ovvero l’aumento fino al triplo della pena prevista per il reato piu’ grave, cioe’ il triplo di 8 mesi, ossia 24 mesi, inferiore ai 7 anni ed 11 mesi di reclusione inflitti.
(OMISSIS), condannato alla pena di anni nove, mesi due, giorni 15 di reclusione, per i capi 6, 7, 11, 25, da 31 a 47, da 49 a 53, 55, 123, 124 e 127, tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), impugna innanzitutto l’ordinanza dibattimentale resa all’udienza del 15 giugno 2015, con la quale era stata rigettata la richiesta avanzata ex articolo 507 c.p.p. di acquisire le annotazioni di servizio e gli atti di indagine relativi ai servizi di O.P.C. ai quali avevano fatto riferimento nell’esame dibattimentale gli ufficiali di P.G. operanti M.llo (OMISSIS) e Brig. (OMISSIS), nonche’ di effettuare la perizia fonica ai fini di identificare i soggetti che avevano acquistato la droga dal ricorrente. La sentenza viene altresi’ impugnata nella parte in cui ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria ex articolo 603 c.p.p. per acquisire i medesimi atti, non ravvisandone i presupposti, mentre l’accoglimento dell’istanza avrebbe consentito di accertare la qualita’ e quantita’ dello stupefacente, rendendo ipotizzabile la configurazione della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, ovvero il consumo di gruppo. Il ricorso risulta poi articolato nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, oltre che il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), inerente all’articolo 192 c.p.p. ed al travisamento del fatto e della prova dichiarativa, in particolare, si censura il malgoverno da parte dei giudici di seconde cure dei principi di diritto in tema di motivazione, laddove nella motivazione si sono limitati a ripercorrere i passaggi argomentativi del giudice di primo grado senza operare un autonomo esame delle emergenze istruttorie ed omettendo di considerare che non erano stati mai identificati gli acquirenti dello stupefacente, ne’ era stata accertata l’efficacia drogante della sostanza. Cosi’, versando in ipotesi di droga cosi’ detta “parlata” non sostenuta da riscontri obiettivi, quali sequestri o perquisizioni, la Corte d’Appello di Potenza non ha esaurientemente motivato, desumendo la responsabilita’ penale del (OMISSIS) da un singolo episodio (capo 12) nel quale venne trovato in possesso di 7 grammi di eroina, sostanza invece destinata ad uso personale, considerata la condizione di tossicodipendenza, mentre le affermazioni di responsabilita’ per la cessione dei minimi quantitativi indicati ai capi 6, 7 e 11 sono state fondate sui risultati delle intercettazioni senza altro riscontro. Di contro sarebbe stato necessario acquisire le annotazioni di servizio e le risultanze degli O.P.C. (ex articoli 507 e 603 c.p.p.) al fine di verificare l’attendibilita’ del teste M.llo (OMISSIS), dato il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti narrati nella testimonianza, al fine di identificare con certezza i soggetti che avrebbero ricevuto la sostanza dal (OMISSIS) ed accertarne la natura e la quantita’; del resto anche le numerose assoluzioni pronunciate dal Tribunale di Matera avevano evidenziato l’approssimazione nella conduzione dell’inchiesta, tanto che lo stesso ricorrente era stato assolto dal reato associativo e dagli episodi di spaccio di cui ai capi 48, 54, 125 e 126 per insussistenza del fatto;
2) Con il secondo motivo il ricorrente censura il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., sulla valenza da attribuire alla perizia di trascrizione delle intercettazioni, in particolare, si osserva che non sarebbero stati indicati i numeri delle utenze che avevano interagito con quelle monitorate, non potendosi, di conseguenza, ricavare alcun elemento di valutazione da quelle conversazioni, in quanto per l’identificazione dei dati relativi ai soggetti chiamati e chiamanti sono stati utilizzati solo i brogliacci;
3) Con il terzo motivo di ricorso si deduce un vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., quanto all’identificazione degli interlocutori, operata dai verbalizzanti; in particolare, con riguardo alla mancata perizia fonica, in quanto il giudice e’ stato costretto a decidere sulla base delle dichiarazioni del (OMISSIS), che ha affermato di aver ascoltato “un 80%” delle conversazioni e avere letto la trascrizione delle altre senza che sia stato specificato quali siano state ascoltate personalmente e di quali invece il teste avrebbe letto la trascrizione. Non e’ dunque possibile desumere con certezza l’identita’ dei soggetti sulla base delle dichiarazioni del M.llo al di la’ di ogni ragionevole dubbio, dato che non era stata mai acclarata neppure l’effettiva disponibilita’ della sostanza da parte dell’acquirente;
4) Con il quarto motivo il ricorrente deduce il vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., per quanto riguarda le risultanze istruttorie inerenti ai singoli capi di imputazione, censurando sia l’incompleta enunciazione degli addebiti, come desumibile dalla genericita’ della formulazione dei capi 11, 25, da 31 a 47, da 49 a 53, 55, 123, 124 e 127, ove sarebbe omessa l’indicazione della qualita’ e della quantita’ oggetto di cessione, sia le approssimative ricostruzioni operate dagli inquirenti. Per quanto riguarda i singoli capi d’accusa, il ricorrente rileva che: a) per i capi 6 e 7, non sarebbe irrilevante la circostanza che gli acquirenti non conoscessero il loro fornitore, poiche’ gli stessi potrebbero aver ricevuto la sostanza prima dell’incontro con il (OMISSIS); b) per i capi 41, 42, 45, 46, 47, 49 e 50 sarebbe illogico l’argomentare dei giudici d’appello, avendo il (OMISSIS) fornito una prospettazione antitetica rispetto a quella sottesa all’imputazione e potendosi, al piu’, configurare l’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, dato il lasso di tempo in cui si sarebbero perfezionate le cessioni, il contenuto numero di contatti telefonici ed il prezzo pattuito; c) per il capo 44 non sarebbe possibile desumere la responsabilita’ del ricorrente da conversazioni in cui non si faceva riferimento a possibili cessioni e dalla negazione da parte del Giammarrusti di aver acquistato droga dal ricorrente; d) per il capo 51 ci si duole della mancanza di motivazione in ordine all’addebito e dell’omessa risposta in relazione ai motivi d’appello ritualmente dedotti, non potendo offrire contributo dirimente la conversazione intercorsa tra il (OMISSIS) ed un “uomo non identificato”; e) per i capi 53 e 55, a fronte della negazione da parte del (OMISSIS) e del (OMISSIS) di aver ricevuto sostanza stupefacente dal ricorrente, non sarebbe possibile asserire che la mancanza di una perizia fonica o dell’acquisizione dei tabulati non fosse fondamentale ai fini dell’affermazione della responsabilita’ penale del (OMISSIS); f) per i capi 124 e 127 la Corte potentina avrebbe ignorato la circostanza, che aveva invece determinato il PM d’udienza a chiedere l’assoluzione dell’imputato, che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) avevano negato di aver acquistato sostanza stupefacente dal (OMISSIS); g) per quanto riguarda i restanti capi d’imputazione, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’atto di gravame fosse riferito solamente ai capi richiamati, ma avrebbe dovuto ritenere che la valutazione sul compendio probatorio fosse estesa a tutti i 29 capi di imputazione, alla luce delle censure dedotte con i primi tre motivi di appello;
5) Con il quinto motivo di ricorso si censura il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., con riferimento alla mancata perizia sull’effetto drogante della sostanza, ove il Giudice di seconde cure, a fronte di un’incertezza sul dato ponderale della sostanza oggetto di cessione, non avrebbe dovuto configurare il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 essendo sconosciuta la quantita’ di principio attivo, e risulta illogico il ragionamento della Corte d’appello, secondo il quale non sarebbe dubbio l’effetto psicotropo della sostanza oggetto delle conversazioni;
6) Con il sesto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., quanto alla esclusione operata dai giudici di secondo grado della destinazione al consumo di gruppo dello stupefacente sulla base della mancata prova dell’accordo e del ruolo di venditore che il (OMISSIS) ricopriva, laddove avrebbe dovuto essere data rilevanza alle modalita’ della cessione ed alla circostanza che non fosse stata rinvenuta la somma di denaro corrispettivo della cessione;
7) Con il settimo motivo il ricorrente censura il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’esclusione della configurabilita’ dell’ipotesi meno grave di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, anche in presenza di un’attivita’ di spaccio non occasionale, in contrasto con quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimita’, in quanto si sarebbero dovuti considerare gli elementi ulteriori ai dati quantitativi e qualitativi delle sostanze asseritamente oggetto di cessione, quali la mancata conoscenza dell’esatto corrispettivo della cessione, la quantita’ modica di stupefacente rinvenuto, la condizione di tossicodipendenza dell’imputato, le modalita’ della cessione stessa, oltre che l’assenza di mezzi idonei al “taglio”;
8) Con l’ottavo motivo di ricorso, viene dedotto il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), circa l’estinzione dei reati contestati, riconsiderati ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, per intervenuta prescrizione degli stessi ex articolo 157 c.p. essendo decorso il relativo termine, anche computando le intervenute e dichiarate sospensioni del suo decorso (mesi tre e otto giorni);
9) Con il nono motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ex articolo 62-bis c.p. basata sul mancato riscontro da parte dei giudici di secondo grado di un comportamento resipiscente, che sarebbe, invece, desumibile dalla formalizzata istanza presentata ai sensi dell’articolo 599-bis c.p.p. (alla quale il Procuratore Generale non ebbe a prestare il consenso), dall’assenza di carichi pendenti e dalla attitudine criminogena conseguentemente da escludere;
10) Con il decimo motivo di ricorso si censura il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), rilevando come la Corte potentina e’ pervenuto all’irrogazione di una sanzione non parametrata al reale disvalore dei fatti per cui si procede, considerati ex articolo 133 c.p. alla luce della modesta quantita’ della sostanza ceduta e della condizione di tossicodipendenza del (OMISSIS);
11) Con l’undicesimo motivo di ricorso si censura il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti in oggetto e quelli decisi con la sentenza del Tribunale di Matera del 20 novembre 2003, in quanto sarebbe erroneo il ragionamento della sentenza impugnata, secondo il quale l’unico elemento a favore del riconoscimento della continuazione sarebbe il dato della contiguita’ temporale dei fatti, elemento da solo non sufficiente a tale riconoscimento. Invece avrebbero dovuto essere considerate anche le tipologie dei reati commessi, i tempi, le modalita’, il rapporto reciproco di funzionalita’ e la sistematicita’ delle condotte, ed allora sarebbe emerso che tutte le condotte ascritte sono riconducibili ad un’unica ideazione criminosa, come gia’ segnalato con i motivi di appello.
(OMISSIS), condannata alla pena di anni venti, mesi tre, giorni 15 di reclusione, per i capi 3, 19, 122, 128, 129, 130, 131 e 132, tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso si deduce ex articolo 606 c.p.p., lettera b), la nullita’ della sentenza per l’omessa partecipazione al processo, desumibile dalla dicitura della intestazione della sentenza, ove risulta “libera, assente”, laddove, essendo la ricorrente una collaboratrice di giustizia, avrebbe dovuto figurare “presente” ovvero “assente per rinuncia”. La Corte d’appello di Potenza avrebbe avuto l’onere di informare il Servizio Centrale di Protezione in modo da consentire la regolare presenza dell’imputata, come evidenziato dalla difesa alla Corte di appello, non essendo riscontrabile alcuna norma processuale che attribuisca all’imputata l’onere di chiedere di partecipare al processo, essendo sottoposta allo speciale programma di protezione;
2) Con il secondo motivo di ricorso viene censurata, ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la mancata considerazione dei motivi aggiunti, corredati da allegati, depositati dalla difesa della ricorrente, i quali vertevano sulla richiesta della rinnovazione probatoria con l’esame dell’imputata stessa, divenuta collaboratrice di giustizia. La Corte territoriale anziche’ rispondere alla richiesta si era limitata a rilevare l’omessa presentazione della (OMISSIS) in udienza, deducendone la volonta’ di sottrarsi all’esame richiesto, senza calendarizzare l’udienza in cui compiere detto esame; i giudici di secondo grado hanno ritenuto che non risultasse alcun apporto collaborativo, senza considerare il memoriale che la ricorrente aveva allegato ai motivi aggiunti di appello dove aveva evidenziato tale contributo, rendendo dichiarazioni auto ed etero accusatorie. Si censura l’omessa risposta in ordine alla richiesta di assoluzione dal reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 o, in subordine di vedersi riconosciuta l’attenuante di cui al comma 7 di detto articolo;
3) Con il terzo motivo la ricorrente deduce la falsa applicazione, ex articolo 606 c.p.p., lettera b), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, ed il connesso vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in quanto la Corte d’Appello non avrebbe effettuato la riqualificazione del reato ascritto in quello di mera partecipazione, come era emerso in chiarezza dal contenuto del memoriale prodotto dalla difesa della (OMISSIS), dal quale risultava che la stessa non era promotrice di una associazione organizzata ai fini dello spaccio, ma una piccola spacciatrice, che per rifornirsi di droga doveva necessariamente appoggiarsi ad un’altra associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (riferibile alla famiglia (OMISSIS)). Infatti risulta incompatibile con l’ascritto ruolo di promotrice la circostanza che la (OMISSIS) effettuasse direttamente cessioni di sostanze stupefacenti a consumatori tossicodipendenti; di conseguenza, il reato contestato al capo 3) della rubrica avrebbe dovuto essere riqualificato nell’ipotesi di cui al cit. D.P.R., articolo 74, comma 2, per cui si rende necessario l’annullamento con rinvio dell’impugnato provvedimento;
4) Con il quarto motivo, la ricorrente censura la falsa applicazione e il connesso vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in quanto il giudice di seconde cure ha negato la configurabilita’ di detta ipotesi nel caso di specie, nonostante la circostanza che nei capi d’imputazione 19, 122, 128, 129, 130, 131 e 132, anche laddove viene indicata in maniera piu’ o meno imprecisa la quantita’ dello stupefacente oggetto della cessione, in verita’ tale quantita’ non e’ stata mai determinata, ne’ individuata;
5) Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione di legge e il connesso vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, non essendo stata riconosciuta tale ipotesi in relazione ai reati-fine contestati, laddove per gli stessi motivi esposti al motivo precedente, non si sarebbe potuto negare, data l’incertezza del dato ponderale del principio attivo della sostanza, il riconoscimento dell’ipotesi piu’ favorevole al reo;
(OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dall’avv. (OMISSIS), hanno articolato il ricorso avverso la sentenza di condanna, rispettivamente alla pena di anni sei e mesi nove di reclusione ed anni sei e mesi otto, per i delitti di cui ai capi 3 e 19, nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso deducono violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione agli articoli 192 e 546 c.p.p. quanto alla condanna per la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Gia’ il Tribunale aveva limitato il gruppo associativo, come originariamente contestato, al solo gruppo familiare riconducibile alla (OMISSIS), ma nella realta’ la (OMISSIS), figlia della (OMISSIS), all’epoca appena diciottenne, ed il suo fidanzato (OMISSIS) erano da ritenersi coinvolti nel solo episodio di cui al capo 19, culminato con l’arresto di due minorenni, episodio dal quale peraltro emergeva come non vi fosse la consapevolezza dei ricorrenti di aderire ad un programma criminale, ma la condotta dimostrasse la sola consapevolezza che la familiare trafficava in sostanze stupefacenti;
2) Col secondo motivo, i ricorrenti censurano ex articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e), la falsa applicazione degli articoli 192 e 546 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 74 ed i connessi vizi di motivazione, quanto alla qualificazione giuridica del fatto contestato, deducendo la mancanza di una perizia tossicologica atta ad identificare la quantita’ e la qualita’ della sostanza; nonostante che su tale incertezza la Corte territoriale avesse gia’ escluso la configurabilita’ dell’aggravante prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, non avrebbe tratto la conclusione che il caso di specie doveva essere qualificato quale ipotesi attenuata di cui al cit. D.P.R., articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, anche in considerazione della mancanza di iniziative di tipo imprenditoriali che potessero indicare uno scopo differente da quello di garantirsi le dosi per uso personale;
3) Con il terzo motivo di ricorso, viene dedotta ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 ed il connesso vizio motivazionale in punto di responsabilita’ per il delitto di cui al capo 19, avendo la Corte d’appello di Potenza omesso di esaminare le censure proposte in appello, che contestavano la riconducibilita’ della detenzione della sostanza stupefacente sequestrata ai ricorrenti, che si trovavano altrove al momento del rinvenimento della stessa e considerato altresi’ che dal contenuto delle intercettazioni telefoniche era desumibile solo la volonta’ della (OMISSIS) di far ricadere tutta la responsabilita’ sul (OMISSIS) e la figlia.
(OMISSIS) che ha avuto confermata la condanna ad anni quattro ed Euro 18.000 di multa per il delitto di cui al capo 19 (delitto di cui agli articoli 110 e 81 cpv c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commesso in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta detenzione ai fini di spaccio di 400 grammi di eroina e cocaina, non essendo stato egli ne’ arrestato ne’ fermato in occasione dell’accertamento compiuto in data 17 agosto 2005 dai Carabinieri, i quali, non avrebbero ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza necessari e pertanto non sarebbe desumibile la sua responsabilita’ solo perche’ era sopraggiunto in casa della (OMISSIS) dopo l’irruzione dei Carabinieri ed, infine, non si puo’ supporre che egli fosse il soggetto atteso, essendo stato preannunciato nelle conversazioni come “figlia di (OMISSIS)”. La Corte territoriale ha fornito una motivazione viziata sul punto, desumendo la penale responsabilita’ del ricorrente dalla circostanza che egli non aveva giustificato in maniera plausibile la sua presenza. Inoltre i giudici di merito non avevano ritenuto idoneo a “scalfire l’ipotesi accusatoria” il possesso di denaro di importo inferiore (poco piu’ di mille Euro) rispetto a quella indicata nelle conversazioni tra la (OMISSIS) e la figlia, ne’ la mancanza di telefonate intercorse tra il ricorrente e (OMISSIS) il giorno dell’intervento delle forze dell’ordine;
2) violazione di legge in relazione all’articolo 56 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 ed illogicita’ della motivazione quanto all’esclusione della derubricazione del reato in tentativo, avendo i giudici di secondo grado ritenuto raggiunto l’accordo sullo scambio in base alla conversazione intercettata tra la (OMISSIS) e la figlia, le quali fanno riferimento ad un individuo di genere femminile (“la figlia di (OMISSIS)”) e ad una somma pari ad Euro 2.500,00; si tratta di circostanze smentite dalla constatazione che il (OMISSIS) non poteva essere identificato nel soggetto indicato nella conversazione, e quindi nessun accordo poteva dirsi raggiunto.
(OMISSIS) (condannato alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, in relazione ai capi 113, per detenzione continuata di eroina e cocaina tra il (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) e 122, per cessione 2 kg di droga a (OMISSIS) il 23/3/2005) tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso, vengono dedotti la violazione e l’erronea applicazione e il connesso vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), dell’articolo 192 c.p.p. In particolare, per il capo 122 della rubrica, viene dedotta l’illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata laddove ha ravvisato il fondamento della responsabilita’ per la cessione di droga da una conversazione della (OMISSIS), dalla quale sarebbe invece desumibile solo la detenzione di 2kg di “roba” da parte della stessa (OMISSIS), che ne fa ammissione al (OMISSIS) nel computare i possibili utili; quanto al capo 113 della rubrica, si censura non solo la genericita’ della imputazione, ma il vizio motivazionale relativo all’interpretazione del riferimento contenuto nelle conversazioni telefoniche intercettate alla “partita da giocare”, quale riferimento allo spaccio di rilevanti quantitativi di stupefacenti; non e’ stato spiegato il percorso logico giuridico che giustificherebbe tale conclusione ed inoltre i giudici di appello non hanno considerato il dato temporale che colloca la “partita da giocare” (8 giugno 2004) al di fuori dell’arco temporale contestato (dal 22 giugno 2004 al 2 maggio 2005); del resto la stessa videoregistrazione della visita che il ricorrente con la (OMISSIS) fanno alla villa di (OMISSIS), ove era presente il (OMISSIS) (il 3 febbraio 2005) si limita a fornire la prova della consegna da parte di quest’ultimo di una busta di colore bianco;
2) Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, in particolare, a fronte di un dato ponderale rimasto incerto e indefinito e all’uso del termine “roba” nelle conversazioni intercettate, i giudici di appello avrebbero ritenuto che la cessione avesse ad oggetto cocaina ed eroina, pur in assenza di elementi probatori certi a sostegno di tale conclusione, mentre potrebbe tale termine andrebbe riferito a sostanza stupefacente appartenente alle tabelle II e IV, con conseguente prescrizione dei reati ascritti;
3) Con il terzo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), dell’articolo 81 c.p., in particolare, in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con riferimento ai fatti giudicati con la sentenza del 25 febbraio 2015 del Tribunale di Matera, vincolo che la Corte d’Appello di Potenza ha escluso sulla base della non documentata irrevocabilita’ di tale sentenza, laddove la continuazione sarebbe configurabile anche tra sentenze non passate in giudicato.
(OMISSIS) e (OMISSIS), hanno visto confermata la condanna alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 27.000 di multa per il delitto di cui al capo 129, di cui agli articoli 110 e 81 cpv. c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73.
Il ricorrente (OMISSIS) tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso formulando i seguenti motivi:
1) Con il primo motivo si deducono violazione di legge e difetto di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento ai criteri di valutazione della prova, in quanto la Corte d’appello, con una motivazione contenente ampi richiami a quella di primo grado, ha omesso di dare risposta alle doglianze proposte con l’atto di appello, ritenendo sussistente la penale responsabilita’ dell’imputato solo sulla base delle intercettazioni, senza alcun tipo di riscontro oggettivo, senza ottemperare all’obbligo di motivazione oltre ogni ragionevole dubbio, richiesto dalla giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 6, n. 27434 del 14 febbraio 2017, Rv. 270299, Albano). Cosi’, l’impugnata sentenza avrebbe omesso di menzionare le specifiche intercettazioni e di indicare quando sarebbe avvenuto il relativo spaccio. Il coinvolgimento del ricorrente e’ stato ancorato alla sola circostanza dell’essere, all’epoca dei fatti, convivente di (OMISSIS), senza la prova della attiva collaborazione dello stesso con la donna. La motivazione risulta, dunque, assente o, comunque, incongruente nella parte in cui desume il contributo attivo nell’attivita’ di spaccio da parte del ricorrente dalle attivita’ di controllo eseguite a carico della (OMISSIS) e della (OMISSIS);
2) Con il secondo motivo di ricorso, si censura la falsa applicazione dei precetti ex articolo 2 c.p., articolo 25 Cost. e articolo 7 CEDU in relazione all’applicazione quoad poenam prevista dall’attuale formulazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 6, con il conseguente vizio motivazionale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), nonche’ il mancato adeguamento da parte del giudice alle indicazioni fornite dalla sentenza della Corte costituzionale 32/2014. Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe dovuto assolvere l’imputato, non essendo stati individuati ne’ la qualita’, ne’ la quantita’ di sostanza stupefacente oggetto di cessione o, comunque, avrebbe dovuto riqualificare il reato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Di contro i giudici di merito hanno ignorato la sporadicita’ dei colloqui intercettati, fornendo una motivazione superficiale, avendo collegato la posizione del (OMISSIS) ai precedenti penali a carico della (OMISSIS), per motivare la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3) Con il terzo motivo di ricorso, si censura il mancato esercizio del potere discrezionale del giudice di merito. Infatti, a seguito dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale 40/2019 il minimo edittale della fattispecie contestata e’ stato di nuovo stabilito in anni sei di reclusione, e di tale variazione la Corte doveva tenere conto, in quanto al momento della decisione di primo grado era stata gia’ sollevata la questione di illegittimita’ costituzionale, poi accolta (ord. del 12 /1/2017 n. 1418 della Sez.6) per cui, nel confermare la pena inflitta dal giudice di prime cure, che aveva considerato la pena base in atti otto, i giudici di appello dovevano considerare il minimo edittale previsto al tempo della commissione dei fatti (tra il 2005 ed il 2006) che era di sei anni. Trattandosi di illegalita’ della pena i giudici avrebbero dovuto rilevarla d’ufficio e quindi si chiede la rideterminazione di essa, considerando il corretto limite minimo edittale.
La ricorrente (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha articolato il ricorso nei seguenti due motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso si censura l’erronea applicazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1-bis, in particolare, si lamenta che l’imputazione non individui la natura e la quantita’ della droga oggetto di cessione, in quanto non desumibile dalle intercettazioni e che la responsabilita’ si fondi sulla circostanza che gli assuntori di sostanze stupefacenti si recavano nell’abitazione, per cui il giudice di merito avrebbe dovuto, in ossequio al principio del favor rei, ritenere non superata la regola di giudizio del “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” circa la quantita’, applicando la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e non quella di cui al comma 1-bis dello stesso articolo;
2) Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), un riferimento al vizio dedotto col precedente motivo, censurandola nella parte in cui il giudice della Corte d’Appello deduce la riconducibilita’ della detenzione di sostanze stupefacenti alla (OMISSIS) enfatizzati gli elementi desumibili da una intercettazione, dove emerge solo lo stato di tossicodipendenza dei ricorrenti, nonche’, per la sola (OMISSIS), dall’episodio del suo arresto dell’1 febbraio 2006, nel quale sono stati rinvenuti 50 grammi di eroina, fatto dal quale la stessa sarebbe stata assolta; la sentenza impugnata si fonda su congetture, senza prova concreta circa la detenzione e lo spaccio di sostanza stupefacente e senza che nessuno degli ufficiali di P.G. sentiti a dibattimento abbia riferito alcunche’ in ordine al ruolo di spacciatori dei ricorrenti, essendo emerso solo il loro coinvolgimento nella veste di acquirenti della (OMISSIS), in quanto tossicodipendenti;
3) Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la falsa applicazione e il connesso vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5: in particolare, i giudici di merito hanno negato l’applicazione della fattispecie attenuata di cui al comma 5, sulla base di un ragionamento che non risponderebbe ai dati probatori acquisiti, in quanto fondato sulla sussistenza di plurimi episodi, mentre si sarebbe dovuta dare maggiore rilevanza alle modalita’, ai mezzi e alla circostanza dell’azione e alla quantita’ e qualita’ della sostanza da cui risulterebbe la lievita’ del fatto;
4) Con il quarto motivo di ricorso, viene censurata l’erronea applicazione e il connesso vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione all’articolo 62-bis c.p., in particolare, deducendo l’elusione dell’onere motivazionale da parte del giudice di seconde cure, il quale avrebbe omesso di esprimere i motivi della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, rinvenibili dal comportamento processuale tenuto dai ricorrenti e dalla vicenda in se’.
3. In data 14 settembre 2020, la difesa di (OMISSIS) ha depositato memoria con la quale evidenzia il percorso positivo intrapreso dal ricorrente all’esito della sua disintossicazione, allegando documentazione di sostegno ed insistendo nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In premessa, e in via generale, va ricordato che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Cosi’, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).
1.1. Per quanto attiene poi ai vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), che quasi tutti i ricorrenti hanno sollevato e che saranno nel prosieguo analizzati nello specifico, occorre ricordare l’orientamento costante e consolidato di questa Corte (ex plurimis, Sez. Un. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, Petrella; Sez. 6, n. 18491 del 24/02/2010, Nuzzo Piscitelli e altri, Rv. 246916; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro), secondo il quale il sindacato sulla motivazione della sentenza del giudice di merito demandato alla Corte di cassazione non puo’ concernere ne’ la ricostruzione del fatto, ne’ il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di una rinnovata verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali, in quanto la funzione del controllo di legittimita’ sulla motivazione della sentenza non e’ quella di sindacare l’intrinseca attendibilita’ dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate che rendano giustificate sul piano della consequenzialita’ le conclusioni tratte.
1.2. La giurisprudenza di legittimita’ ha affermato da tempo il principio (sin da Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv.2337908-01) secondo cui “il sindacato del giudice di legittimita’ sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita’ logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilita’ cosi’ da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione”.
2. Venendo all’esame degli specifici motivi di ricorso, quanto al ricorso presentato da (OMISSIS), va rigettato il primo motivo di ricorso con il quale si censura la riconosciuta sussistenza dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanza stupefacente, sulla base della considerazione che la stessa e’ stata ridimensionata a soli tre componenti gia’ dai giudici di primo grado e si lamenta la motivazione per relationem.
2.1. E’ bene rammentare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che elemento costitutivo del reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e’ l’esistenza di un vincolo permanente tra almeno tre persone, che si caratterizza per un minimo di organizzazione e per il suo carattere stabile, seppure limitato nel tempo e volto esclusivamente alla commissione di singoli reati in materia di stupefacenti, per cui seppure non e’ necessaria la esplicita manifestazione di una volonta’ associativa da parte degli associati (naturalmente la prova della consapevolezza del singolo di aderire alla associazione non puo’ che essere data attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione al gruppo). E’ stato inoltre affermato che in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti l’elemento aggiuntivo e distintivo, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato nel carattere dell’accordo criminoso, che prevede la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti ed in forza di tale vincolo i partecipanti, anche al di fuori dei singoli reati programmati, sono in grado di assicurare la propria disponibilita’ duratura ed indefinita nel tempo al perseguimento di detto programma criminoso (cfr. Sez. 6, n. 5150 del 16/01/2014, Nosa ed altri, Rv. 258570; Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Amodio e altro, Rv. 257906, Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Di Palma e altri, Rv. 270564; Sez. 6,,n. 18055 del 10/01/2018, Canale e altri, Rv. 273008).
2.2. Comunque il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilita’ del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana effettiva ed esistente nel sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo; e’ stato chiarito che vale ad integrare il requisito oggettivo del reato anche la partecipazione di individui rimasti ignoti, giudicati a parte o deceduti, e che e’ possibile dedurre l’esistenza della realta’ associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attivita’ svolte, dalle quali puo’ risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a piu’ di due persone (cosi’ Sez.6, n. 12845 del 6/4/2005, Biancucci e altri, Rv 231237), per cui anche la doglianza del ricorrente che fa leva sul modesto numero degli associati (come residuano all’esito dell’iter del processo) risulta infondata.
2.3. Dunque, cio’ che caratterizza l’associazione criminale, oltre la pluralita’ dei soggetti, e’ la stabilita’ del vincolo ed il numero indefinito di delitti che l’organizzazione si propone di realizzare. Il programma delittuoso strutturato con l’obiettivo di molteplici reati qualifica l’accordo come vincolo permanente, anche in forza della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, attraverso il proprio contributo causale, alla realizzazione di un programma criminale stabile per un certo lasso di tempo.
2.4. Peraltro, l’elemento differenziale tra l’ipotesi associativa ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e quella del concorso ai sensi dell’articolo 110 c.p. e cit. D.P.R., articolo 73 risiede principalmente nell’elemento organizzativo, in quanto la condotta punibile a tale titolo non puo’ essere ridotta ad un semplice accordo delle volonta’, ma deve consistere in un quid pluris, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (cfr. Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avellino e altro, Rv. 270396). E’ ben vero, infatti, che la pluralita’ di soggetti coinvolti consapevolmente in una condotta penalmente rilevante costituisce un elemento comune sia alla fattispecie associativa che al concorso di persone nel reato, tuttavia, mentre nel concorso di persone, i soggetti agenti si accordano al fine di commettere un determinato reato, o un certo numero di reati predeterminati, nell’associazione criminale lo scopo comune, oggetto dell’incontro di volonta’, si articola nel programma di porre in essere, cogliendo le opportunita’ che via via si presentano, una pluralita’ di reati non definita nella sua interezza nell’iniziale momento di volizione dell’accordo, seppure i reati possano essere ascrivibili allo stesso “genere”.
2.5. Ovviamente e’ principio consolidato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata del principio di offensivita’, che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale esclude la sussistenza dell’associazione criminale, ma e’ altrettanto vero, tuttavia, che e’ sufficiente un’organizzazione minima perche’ il delitto si configuri (cfr. Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013, Piacentini ed altri, Rv. 255491). Infatti la S.C. ha precisato che il reato associativo, specie con riferimento all’attivita’ di procacciamento e spaccio di sostanze stupefacenti, non richiede una struttura articolata o complessa o una esplicita reciproca manifestazione di intenti, essendo sufficiente una struttura anche esile cui i compartecipi possano fare reciproco, anche tacito, affidamento (vedi Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto e altro, Rv. 267991).
2.6. Ne’ e’ ostativa alla configurabilita’ del reato associativo la differenza dello scopo personale o dell’utile che i singoli partecipi si propongono, potendo essa sussistere nell’ipotesi in cui gli acquirenti che poi reimmettono le sostanze al consumo siano mossi dalla esclusiva finalita’ di assicurarsi una fonte di approvvigionamento stabile, costante e abitudinaria ed i venditori, mossi dall’intento di smerciare a fine di profitto la sostanza stupefacente, possano fare uno stabile affidamento sulla disponibilita’ all’acquisto da parte dei compratori, che poi reimmettono la sostanza nel mercato, con la costituzione di un rapporto che va oltre la singola operazione per costituire elemento di una struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attivita’ criminale. (in tal senso si vedano Sez. 5, n. 11899 del 18/12/1997, Saletta, Rv. 209646; Sez. 2, n. 10468 del 10/02/2016, Ancora e altri, Rv. 266405).
2.7. Orbene, risulta assolutamente rispettoso dei principi menzionati, e privo di illogicita’, lo sviluppo motivazionale della sentenza impugnata (cfr. pagg. 60 e segg.) che, pur richiamando l’individuazione di tali elementi operata dai giudici di prime cure, quanto al riconosciuto sodalizio criminale finalizzato al commercio di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, li analizza, evidenziando sia il profilo dell’attivita’ di spaccio “frenetica”, che le circostanze dell’uso in comune dell’autovettura e della individuazione quale sede principale dell’organizzazione (principale, ma non esclusiva, quindi) della villetta di (OMISSIS), valutazione di fatto quest’ultima che le doglianze della difesa di (OMISSIS) – che insiste circa il fatto che in tale luogo non siano stati contestati come commessi i reati-fine, ma ne conferma al contempo l’utilizzo quale luogo di confezionamento delle dosi da spacciare o di assunzione della droga (oltre che di incontri di natura
sessuale) – non riescono a scalfire, attesa la mancata decisivita’ di tali argomentazioni, in quanto nessuno di tali utilizzi e’ in grado di escludere la funzione anche di sede logistica dell’associazione criminale della menzionata villetta, quale emerge dai filmati delle videocamere. Non puo’ poi essere assegnata una valenza risolutiva al mancato accertamento dell’esistenza di una cassa comune che, ben diversamente da quanto affermato nel ricorso, non rappresenta affatto un elemento indispensabile alla integrazione della fattispecie. Ne’ puo’ essere invocato, come suggerito dal ricorrente, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che, come e’ noto, in sede di legittimita’ rileva esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicita’ manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo questa Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (cfr. Sez.2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso e altri, Rv. 270108 – 01).
2.8. Inoltre sussistono ampi riscontri della sussistenza del consortium sceleris per i contenuti delle conversazioni intercettate (sia telefoniche che ambientali, con sistematico utilizzo di un linguaggio cifrato), dato il loro tenore piu’ che sintomatico dell’organizzazione di una attivita’ illecita (cfr. Sez.3, n. 11655 del 11/02/2015, Nava e altri, Rv. 262981 – 01), come sottolineato dalla Corte di appello, che richiama la motivazione della sentenza del Tribunale di Matera, la quale ha riportato alcuni passaggi delle intercettazioni stimati – no incongruamente – dimostrativi dell’esistenza di un accordo criminale ed ha evidenziato quali riscontri diretti del traffico di stupefacenti i risultati delle videoriprese, delle attivita’ investigative di riscontro degli incontri tra i sodali e tra essi e gli acquirenti/venditori, nonche’ i sequestri delle diverse tipologie di sostanza (eroina e cocaina), nonche’ i menzionati arresti di alcuni soggetti, anche rimasti estranei al presente processo. La Corte ha ancora valorizzato il numero esorbitante di cessioni oggetto del programma criminoso nel corso dei due anni di investigazioni, l’agilita’ operativa della struttura, mediante ad esempio lo scambio di utilizzo di schede telefoniche e con la dimostrata capacita’ nel corso degli oltre due anni di indagini di riorganizzare gli approvvigionamenti ed il commercio di droga anche in caso di intervenuti arresti di soggetti coinvolti a vario titolo nelle attivita’ criminali del gruppo.
2.9. Va rigettata anche la doglianza che sostiene l’erronea valutazione, quale riscontro delle intercettazioni, di alcuni dati di fatto desunti dalla Corte di appello da un elenco di sequestri di sostanza stupefacente relativi ad altri procedimenti penali, dei quali non sarebbero stati forniti elementi ulteriori in ordine alla effettuata verifica giurisdizionale delle relative condotte. Il giudice di merito puo’ sempre acquisire, avvalendosi di legittime fonti probatorie, elementi di giudizio tratti dalle vicende scaturite nell’ambito della medesima indagine, seppure per le stesse siano stati aperti distinti procedimenti penali, “fermo restando il dovere dello stesso giudice di sottoporre comunque i suindicati elementi ad autonomo vaglio critico, secondo la regola generale dettata dall’articolo 192 c.p.p., comma 1” (Cosi’ Sez. 1, n. 20216 del 02/04/2001, Sebai, Rv. 218808), come del resto puo’ riprodurre anche i percorsi valutativi tracciati in quelle sentenze, fermo restando il dovere di sottoporre gli elementi di prova, di cui legittimamente dispone, ad autonoma valutazione critica, alla luce del medesimo criterio (Cfr. Sez.1, n. 41405 del 16/05/2019, Rossi, Rv. 277136 01), come avvenuto nel caso qui all’esame.
2.10. Infatti nella parte motiva della sentenza impugnata sono stati elencati i riscontri oggettivi al traffico di stupefacente oggetto di indagine, ottenuti a seguito degli interventi nella flagranza di reato che condussero a sequestri ed arresti, in relazione ai quali furono instaurati i relativi procedimenti penali presso gli uffici giudiziari territorialmente competenti secondo il luogo del commesso reato (rectius: del reato come accertato), procedimenti che si conclusero spesso con riti alternativi.
2.11. Risulta invece fondato il secondo motivo di ricorso, che lamenta l’avvenuta qualificazione del ricorrente quale promotore, capo ed organizzatore del sodalizio criminoso. A tale proposito la giurisprudenza di legittimita’ ha precisato che in tema di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la qualifica di “organizzatore” spetta a chi coordina l’attivita’ degli associati ed assicura la funzionalita’ delle strutture del sodalizio, senza che sia necessario che il ruolo sia svolto con riferimento all’associazione nella sua interezza, potendo risultare sufficiente la gestione di una sua rilevante articolazione territoriale (cosi’ Sez.2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 02); ancora piu’ specificamente e’ stato rilevato che per delineare il ruolo di organizzatore non e’ sufficiente che il soggetto si occupi e gestisca il traffico di droga, ma e’ necessario che esso svolga compiti di coordinamento dell’attivita’ degli associati, in modo da assicurare, attraverso una continua assistenza, la piena funzionalita’ dell’organismo criminale. (cfr. Sez. 6, n. 38240/18 del 07/12/2017, Anioke e altri, Rv. 273737 – 01, che ha sottolineato che non e’ necessario che l’assunzione del ruolo coincida temporalmente con la formazione del sodalizio, dovendo tuttavia l’organizzatore essere un soggetto molto vicino a chi l’organizzazione dirige). Peraltro, tale qualifica di organizzatore spetta a colui che svolge un compito che non e’ limitato all’avvio dell’impresa criminosa, ma che comprende anche l’assistenza per tutta la durata della stessa (Cfr. Sez.1, n. 12812 del 25/02/2011, Scopelliti, Rv. 249853 – 01), tanto piu’ in un caso quale quello di specie dove la durata dell’associazione risulta da contestazione non minimale.
2.12. Ebbene, quanto alla conferma di tale ruolo in capo al ricorrente, la sentenza impugnata spende solo poche battute in risposta alle doglianze formulate in grado di appello per sostenere la qualita’ di organizzatore, ovvero di direzione del (OMISSIS), richiamando a fondamento le direttive date ai sodali per andare a contattare il fornitore albanese al porto di Bari e la messa a disposizione della (OMISSIS). Risulta evidente che tale motivazione appare del tutto assertiva, e non si pone in correlazione con un compendio motivazionale piu’ ampio, giacche’ anche la sentenza di primo grado aveva dedicato una breve sintesi alla descrizione del ruolo di (OMISSIS) (si veda pag. 719). Pertanto il motivo di ricorso deve essere accolto con conseguente necessita’ di disporre l’annullamento limitatamente alla configurabilita’ di tale ruolo con rinvio per nuovo esame che sara’ svolto alla luce dei principi di diritto sopra affermati, riesaminando l’intero compendio probatorio.
2.13. Quanto al terzo motivo, deve essere preliminarmente rigettata la specifica censura relativa al capo 1, ma formulata nel motivo qui all’esame, relativa alla richiesta di riqualificazione dell’ipotesi associativa nella fattispecie attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, la quale e’ configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita’, predisponendo modalita’ strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita’ e che, in concreto, l’attivita’ associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 1642/20 del 09/10/2019, 2020, PG c. Degli Angioli, Rv. 27809801). Orbene risulta dalla ricostruzione effettuata nel corso dei giudizi di merito che l’organizzazione posta in essere non avesse per nulla tali caratteristiche ed anche alcuni dei reati fine sono stati correttamente qualificati ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1.
Quindi del tutto adeguata la ratio decidendi sul punto rinvenibile nella sentenza impugnata (pagg. 61-62) con richiamo alla giurisprudenza di legittimita’ che subordina il riconoscimento della fattispecie associativa prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, alla condizione “che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita’, predisponendo modalita’ strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravita’ e che, in concreto, l’attivita’ associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del cit. D.P.R., articolo 73, comma 5 (cosi’ Sez. 6, n. 12537 del 19/01/2016, Biondi e altri, Rv. 267267 – 01), non essendo sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertati nel concreto, ma essendo necessario esaminare sia il momento genetico dell’associazione, la quale deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entita’, sia le sue potenzialita’, con riferimento ai quantitativi di sostanze che gruppo e’ in grado di procurarsi (cosi’ Sez.3, n. 44837 del 06/02/2018, Caprioli, Rv. 274696 – 01, che ha precisato anche che il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, costituisce un’autonoma fattispecie criminosa e non un’ipotesi attenuata del delitto di cui al cit. D.P.R., articolo 74, comma 1).
2.14. In riferimento ai reati contestati ai capi 15, 16, 25, 30, va rilevata la corretta qualificazione giuridica operata dai giudici di merito: infatti per quanto attiene alla detenzione a fini di spaccio in concorso con il compartecipe (OMISSIS) di 52 grammi di eroina e la successiva cessione di tale sostanza ad (OMISSIS) che veniva arrestato il 30/12/2004 (capo 15) ed alla detenzione sempre con il medesimo compartecipe e con (OMISSIS) (che del pari veniva arrestato alla guida dell’auto utilizzata per il trasporto dello stupefacente) di 50 grammi di eroina, il (OMISSIS) (capo 16), nonche’ per i delitti di detenzione e spaccio continuati dal (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS) (il defunto complice (OMISSIS)) e la cessione per la rivendita al (OMISSIS), di eroina e cocaina, in quantita’ variabile tra grammi 5 e grammi 50, per un corrispettivo in Euro tra 150,00 e 650,00 (capo 26) e per i delitti di detenzione e spaccio continuati dal (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS) (il defunto complice (OMISSIS)) e la cessione per la rivendita a (OMISSIS), di eroina e cocaina, in quantita’ variabile tra grammi 5 e grammi 50, per un corrispettivo in Euro tra 150 e 650 (capo 25), va rilevato come tali condotte si connotino per elementi di oggettiva gravita’, oltre che di reiterazione dell’illecito traffico, anche in un lungo arco di tempo, elementi che rendono del tutto ragionevole, ed in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’ – peraltro richiamati nella sentenza impugnata (pagg. 56 e segg.) – il loro inquadramento nella fattispecie di cui al cit. Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1.
Stesso ragionamento vale per il capo 26, relativo alla detenzione a fini di spaccio e cessione al (OMISSIS), per la rivendita a terzi assuntori, nel periodo compreso tra il 10 ottobre 2003 e il 25 giugno 2005 di quantitativi variabili di eroina e cocaina, di quantita’ variabile tra grammi 5 e grammi 50 per un corrispettivo in Euro tra 150 e 650, e per il capo 30, relativo a detenzione a fini di spaccio e cessione all’ (OMISSIS) nel periodo compreso tra il 10 ottobre 2003 e il 20 luglio 2004 di quantitativi variabili tra grammi 5 e grammi 50 di eroina e cocaina, per un corrispettivo in Euro tra 125 e 450.
2.15. La restante parte della terza censura e’, seppure in parte, fondata e la sentenza nei confronti del (OMISSIS) deve essere annullata con rinvio per nuovo esame, anche in riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti contestati ai capi 9, 13, 107, 110, 111, 112, 113 e 114. Infatti la giurisprudenza di legittimita’ ha enucleato dei principi ormai consolidati in ordine agli elementi che i giudici di merito debbono considerare ai fini della qualificazione giuridica del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. In particolare e’ stato affermato (cosi’ Sez. 6, n. 3363/18 del 20/12/2017, Cesarano e altro, Rv. 272140) che e’ legittimo il mancato riconoscimento della fattispecie di lieve entita’, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, qualora l’attivita’ di spaccio sia svolta in un contesto organizzato le cui caratteristiche, quali il controllo di un’apprezzabile zona del territorio, l’impiego di mezzi funzionali a tale scopo, l’accertata reiterazione delle condotte di spaccio e la disponibilita’ di tipologie differenziate di sostanze stupefacenti, pur se in quantitativi non rilevanti, siano sintomatiche della capacita’ dell’autore del reato di diffondere in modo sistematico sostanza stupefacente, in quanto, anche all’esito della nuova formulazione quale reato autonomo, tale fattispecie puo’ essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensivita’ penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalita’ e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (in tal senso, Sez. 3, n. 27064 del 19/03/2014, P.G. in proc. Fontana, Rv. 259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610)
2.16. Tale principio e’ stato riaffermato dal piu’ ampio Consesso di questa Corte di legittimita’, che ha chiarito che “e’ necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entita’ del fatto” (cfr. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo). Nella parte motiva di tale pronuncia e’ stato ribadito come “all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entita’, e’ poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioe’ che la sua intrinseca espressivita’ sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o piu’ degli altri”. Quindi il giudice di merito per affermare o negare la tipicita’ del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 deve vagliare tutti gli aspetti di rilevanza ed anche considerare che la diversa qualita’ delle sostanze stupefacenti e le modalita’ organizzative della condotta di cessione non sono di per se’ ostative al riconoscimento di tale fattispecie (cosi’ Sez.6, n. 29132 del 9/5/2017, Merli, Rv. 270562), anche se tali medesimi elementi possono anche essere legittimamente valorizzati nella fattispecie concreta per escludere la possibilita’ di configurare l’incriminazione di minore disvalore.
2.17. Orbene, il Collegio di appello non ha adeguatamente descritto nella motivazione il proprio percorso valutativo in merito alla qualificazione giuridica dei residui reati satelliti di cui ai capi 9, 13, 107, 110, 111, 112, 113 e 114, laddove il ragionamento espresso per giustificare la non configurabilita’ della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e’ stato appiattito dalla riconosciuta colpevolezza per la fattispecie associativa, senza alcuna differenziazione, ad esempio tra i capi 9 e 13, che sono relativi a due cessioni di una dose di cocaina e di 5 grammi della stessa sostanza ad alcune persone (tra le quali l’ (OMISSIS)), commesse a distanza di sei mesi nel 2004; i capi 110, 111 e 114, relativi a cessioni continuate di quantita’ e qualita’ non meglio indicata di sostanza stupefacente effettuate ad altre tre diverse persone rimaste estranee al presente giudizio (tra il dicembre 2003 e i primi di febbraio 2004 e nel 2004) e i reati ascritti ai capi 112 e 113. Al capo 113, infatti, e’ contestata al (OMISSIS) la detenzione, a fini di rivendita a terzi assuntori dei paesi lucani, con condotte continuate tra il 22 giugno 2004 ed il 2 maggio 2005, di sostanza stupefacente di eroina e cocaina di quantita’ non meglio indicata, ricevuta da (OMISSIS), il fornitore albanese. Il capo 112, invece, concerne la detenzione continuata, in un periodo compreso tra il 22 giugno e il 24 novembre 2004, a fini di rivendita per gli assuntori dei paesi lucani di sostanza stupefacente di quantita’ e qualita’ non meglio indicata, ricevuta da (OMISSIS), rispetto al quale la Corte potentina aveva ritenuto di ravvisare gli elementi per qualificare in fatto ai sensi del cit. D.P.R., articolo 73, comma 5, dichiarando l’estinzione del reato ascritto per intervenuto decorso dei termini prescrizionali. La qualificazione di tale ultima condotta ai sensi del comma 5, qualificazione che non puo’ piu’ essere messa in discussione, contrasta con l’affermazione secondo cui l’inserimento degli episodi di detenzione e cessione di sostanza stupefacente da parte di persona associata imporrebbe per cio’ solo di ricondurre le condotte all’interno della piu’ grave ipotesi prevista dalla prima parte dell’articolo 73, citato.
2.18. Nel giudizio di rinvio la qualificazione giuridica di tali specifici capi di imputazione dovra’ di conseguenza essere frutto di una valutazione complessiva di tutte le circostanze di fatto emergenti dagli atti del processo alla luce dei criteri sopramenzionati e i giudici dovranno evidenziare gli aspetti normativamente rilevanti degli episodi come contestati, fornendo le ragioni della loro valutazione e della eventuale prevalenza o meno di alcuni elementi.
2.19. In particolare, il diverso esito della decisione in grado di appello nei confronti del coimputato (OMISSIS) (rimasto estraneo al presente processo per effetto della conseguente declaratoria di prescrizione del reato di cui al capo di imputazione 112 conseguente alla sua derubricazione in fatto lieve) non costituisce un vincolo, atteso che va ribadita la possibilita’ che la stessa contestazione, cosi’ come formulata nello specifico capo di imputazione, possa essere qualificata diversamente in riferimento al solo (OMISSIS). Infatti la giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che tra il venditore, o cedente, della sostanza stupefacente e l’acquirente che intenda effettuare successive vendite o cessioni illecite non ricorre un’ipotesi di concorso di persone ex articolo 110 c.p., atteso che i soggetti contraenti realizzano ciascuno una delle diverse ed autonome condotte monosoggettive previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, (in tal senso Sez. 2, n. 7802/20 del 08/10/2019, Casolani, Rv. 278630 – 01) e a cio’ consegue che il medesimo episodio puo’ essere ascritto al venditore ai sensi dell’articolo 73, comma 1, e all’acquirente a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, o viceversa, qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la singola condotta assuma caratteri differenziali per ciascuno dei protagonisti dello scambio criminale (in tal senso, Sez.6, n. 2157/19 del 09/11/2018, Saar Lamine, Rv. 274961-01, ove il medesimo episodio di cessione di stupefacenti era stato ritenuto di lieve entita’ per il solo imputato estraneo al piu’ ampio contesto organizzativo, al quale risultava partecipe altro imputato, nei cui confronti era emersa l’illecita detenzione, in un ristretto arco temporale, di rilevanti quantitativi di stupefacente; conforme anche Sez.3, n. 16598 del 20/02/2020, Rv. 278945-01; difforme, ma in relazione a diversa fattispecie concreta, Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676-02).
3. Per quanto attiene ai motivi di ricorso presentati da (OMISSIS), va preliminarmente data risposta al secondo motivo di ricorso, di natura processuale, con il quale si censura la decadenza dall’eccezione di incompetenza territoriale, ritenuta dalla Corte d’Appello di Potenza, come gia’ dal giudice di prime cure, perche’ non eccepita in sede di udienza preliminare, fondato sul rilievo che non sarebbe stato verbalizzato dal giudice dell’udienza preliminare che il difensore del ricorrente si era associato alla eccezione proposta da altro imputato.
3.1. Orbene la giurisprudenza di legittimita’ ha affermato il principio che la questione di incompetenza territoriale debba essere tempestivamente sollevata in udienza preliminare e riproposta nei termini di cui all’articolo 491 c.p.p., comma 1, (da ultimo, Sez.3, n. 5697/20 del 19/11/2019, Licaj, Rv. 278410 01) ed i giudici di appello potentini hanno ritenuto, in primis, che il difensore del ricorrente non avesse evidenziato elementi di supporto all’affermazione di essersi associato all’eccezione proposta da difensore di altro imputato nel corso della discussione in sede di udienza preliminare. Infatti che la mancata verbalizzazione fosse dovuta ad un disguido risulta una mera asserzione indimostrata e comunque, in maniera risolutiva, gia’ il Tribunale di Matera con la sua ordinanza (peraltro rirprodotta in nota a pag. 28 della sentenza di primo grado) aveva sottolineato come la eccezione di incompetenza territoriale formulata in relazione agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), posizioni poi stralciate a seguito della richiesta di giudizio abbreviato, riguardasse la diversa associazione a delinquere di cui al capo 3, riferibile a (OMISSIS), e non gia’ l’associazione a delinquere di cui al capo 1, addebitata al (OMISSIS), per cui le argomentazioni svolte non sarebbero mai state idonee ad essere estese al consortium sceleris riferibile al ricorrente. Tale valutazione risulta ineccepibile e pertanto il motivo risulta manifestamente infondato, essendo stata tardivamente proposta (in dibattimento) l’eccezione di incompetenza territoriale rispetto all’associazione a delinquere di cui al capo 1.
3.2. Anche il terzo motivo non e’ fondato. La Corte di appello ha fornito adeguata risposta alla richiesta avanzata di rinnovazione probatoria, reiterando i contenuti dell’ordinanza dibattimentale in data 25 giugno 2015, con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato superflua la perizia fonica e l’acquisizione dei verbali di identificazione e delle annotazioni dai quali emergesse la prova della riconoscibilita’ delle voci degli imputati da parte della polizia giudiziaria. E’ principio consolidato che la rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’articolo 603 c.p.p., comma 1, e’ subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e’ rimesso alla valutazione del giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ se correttamente motivata, come avvenuto nel caso di specie (cfr. Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230-01).
3.3. La Corte di appello ha infatti rigettato l’istanza di rinnovazione ritendo, in linea con la giurisprudenza di legittimita’, che in materia di intercettazioni il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica in caso di contestazione della identificazione delle persone colloquianti, ma puo’ utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati (in tal senso cfr. Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, De Cicco e altri, Rv. 269900-01). Ne’ risulta necessario rinnovare l’istruttoria per acquisire gli atti di polizia giudiziaria dai quali tale identificazione risulti, considerato che l’ufficiale di polizia giudiziaria che ebbe a coordinare le indagini (Maresciallo (OMISSIS)) e gli altri ufficiali di polizia giudiziaria hanno deposto quali testimoni dell’esito delle attivita’ di intercettazione ed altre attivita’ investigative, come dettagliatamente indicato nella sentenza di primo grado (pagg. 29 e segg.), di talche’ tali acquisizioni risultano superflue, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello che ha sottolineato come il primo giudice abbia analizzato gli specifici elementi di conferma dell’esattezza dell’identificazione per ciascun imputato.
3.4. Da ultimo va esaminato il primo motivo, che deve essere respinto laddove lamenta vizio di motivazione per omesso vaglio delle tesi difensive, in quanto tale vizio presuppone (cosi’ come si evince da Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Floresta e altro, Rv. 271700-01) che la difesa abbia mosso contestazioni specifiche e critiche rispetto ai passaggi motivazionali della sentenza di primo grado, cosa che non e’ avvenuta, avendo il difensore proposto motivi di appello sui capi della condanna riguardanti i reati fine senza sviluppare argomentazioni individualizzate per la posizione di (OMISSIS), ma semplicemente argomentando con rinvio ai motivi proposti in riferimento alla posizione di (OMISSIS).
3.5. Inoltre, quanto alla doglianza relativa alla sussistenza della fattispecie associativa di cui al capo 1, valgono le considerazioni giu’ espresse in relazione al ricorso proposto da (OMISSIS), confermando l’assoluta tenuta logica delle motivazioni delle due sentenze di merito in ordine alla sussistenza del sodalizio criminale, mentre in relazione ai singoli reati-fine il ricorso risulta in parte fondato, per le ragioni gia’ esplicitate in riferimento alla posizione di (OMISSIS), limitatamente alla configurabilita’ della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, quanto al capo 28 – relativo alla detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente non meglio indicata per un peso di grammi 5, in concorso con (OMISSIS) (coimputato deceduto) e cessione della stessa a (OMISSIS) (rimasto estraneo a questo giudizio) – ed al capo 107, relativo alla detenzione continuata a fini di spaccio e cessione per la rivendita di eroina e cocaina di quantita’ variabile tra grammi 3 e grammi 5, in concorso con (OMISSIS), fatti avvenuti in (OMISSIS).
3.6. Pertanto per tali capi la sentenza deve essere annullata per nuovo giudizio in ordine alla qualificazione giuridica, mentre quanto alle doglianze, peraltro non specificamente rappresentate, relative ai capi ai capi 15, 16, 25, 26 e 30, commessi in concorso con il (OMISSIS), valgono i rilievi gia’ indicati ai par. 2.15. e 2.16. relativi al co-imputato, per cui il motivo di ricorso sul punto deve essere rigettato.
4. Per quanto attiene ai motivi di ricorso presentati da (OMISSIS) va innanzitutto rigettata l’eccepita questione di legittimita’ costituzionale relativa all’articolo 599-bis c.p.p., sotto il profilo che non sarebbe consentito ai giudici di appello di accettare il patteggiamento anche in caso di dissenso del procuratore generale, per la sua manifesta infondatezza. Come e’ noto il c.d. concordato in appello, introdotto dal legislatore proprio a deflazione del rito di appello, muove dalla stabilita’ probatoria raggiunta all’esito del giudizio di primo grado e si fonda sulla rinuncia concordata ai motivi devoluti o comunque su una ipotesi, comune tra le parti processuali, di rivisitazione di questioni gia’ decise in primo grado, per cui va rilevato che l’ambito di consensualita’ risulta ben piu’ ampio rispetto all’applicazione della pena concordata in primo grado. In tale ottica si spiega anche la previsione dell’articolo 599-bis c.p.p., comma 4, secondo cui i procuratori generali indicano i criteri idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pubblico ministero nell’udienza, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessita’ dei procedimenti e si conferma quindi la indispensabilita’ del consenso del sostituto procuratore generale presente nell’udienza di appello per addivenire al concordato.
4.1. Tale accordo, seppure non vincolante per il giudice, il quale e’ sempre tenuto – diversamente da quanto sostenuto nel motivo di ricorso – ad esercitare il controllo sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione degli istituti coinvolti dal concordato e sulla congruita’ della pena (cfr. Sez.1, n. 31247 del 21/05/2019, PG. c. Zuncheddu, Rv. 276409 – 01), e’ pero’ indispensabile, proprio perche’ l’accordo investe la rinuncia ai motivi e, di conseguenza, la rideterminazione di una nuova pena, rispetto alla quale la parte pubblica deve interloquire. Si tratta di disciplina rientrante nei limiti della discrezionalita’ del legislatore, discrezionalita’ che e’ stata esercitata in maniera del tutto ragionevole, senza che possano essere evidenziate violazioni delle norme costituzionali invocate.
4.2. Anticipando per ordine logico di trattazione l’esame del quinto motivo di ricorso, con cui si lamenta l’insufficienza probatoria derivante dalle intercettazioni, va osservato che l’affermazione di responsabilita’ dell’ (OMISSIS) non e’ fondata solo sui risultati delle intercettazioni, in quanto sussistono molteplici riscontri alle varie comunicazioni di “droga parlata”, prima tra tutti la vicenda dell’arresto dell’ (OMISSIS), avvenuto a (OMISSIS), oggetto del capo di imputazione 15, ascritto nel presente procedimento a (OMISSIS) e (OMISSIS), menzionato nella sentenza impugnata (pag. 63), oltre all’analisi dettagliata di tutti i riscontri di cui alla sentenza di primo grado.
4.3. Risulta, di contro, fondato in parte il secondo motivo di ricorso, dovendosi anche in riferimento alla posizione di (OMISSIS) rilevare come i giudici di appello abbiano trascurato di rispondere alle censure specifiche relative alla qualificazione giuridica dei fatti contestati,, tenuto conto degli orientamenti giurisprudenziali gia’ tratteggiati in precedenza, per cui l’unico capo per il quale il corpus motivazionale della sentenza di primo grado (pagg. 310 e segg., in particolare, 316 e 317), richiamata per relationem da quella di appello, mostra una sufficiente tenuta logica e’ il capo 30, che ascrive al ricorrente l’acquisto continuato dai coimputati (OMISSIS), (OMISSIS) (e il defunto partecipe (OMISSIS)) di eroina e cocaina di quantita’ variabile tra grammi 5 e grammi 50, (per un corrispettivo in Euro tra 125 e 450) per la successiva rivendita a terzi assuntori dei paesi lucani, fatti commessi dal 10 ottobre 2003 al 20 luglio 2004. Per tutti gli altri capi di imputazione, invece, come detto, i motivi di ricorso sono fondati per le ragioni gia’ espresse in ordine alla necessita’ di esaminare, in riferimento a ciascuno di essi, la qualificazione giuridica, non essendo stata fornita adeguata motivazione in risposta alle doglianze avanzate in appello e qui riproposte e pertanto, limitatamente a tali capi, come dettagliati in dispositivo, la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sulla qualificazione giuridica.
4.4. Sono altresi’ infondati sia il terzo che il quarto motivo di ricorso. Correttamente il giudice di primo grado ha stabilito la pena base in anni sette di reclusione, in prossimita’ del minimo edittale vigente ratione temporis (sei anni), per cui nessun rilievo hanno avuto le successive vicende che hanno riguardato le modifiche dei livelli edittali della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, con l’innalzamento del minimo posto successivamente nel nulla dalla menzionata sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale.
4.5. Ne’ puo’ dirsi illogica od erronea l’individuazione del capo 30 quale reato piu’ grave, ritenuto tale dal tribunale materano in ragione dell’estensione dell’arco temporale nel quale si verificarono le cessioni di droga. Quanto poi alla doglianza relativa all’omessa risposta circa l’invocato riconoscimento della continuazione con il fatto ascritto nella sentenza della Corte di appello di Bari del 17 novembre 2015 (asseritamente concernente l’esito dell’arresto dell’ (OMISSIS) gia’ citato), cio’ non costituisce vizio della sentenza impugnata, in quanto la valutazione in ordine alla sussistenza del medesimo disegno criminoso puo’ essere svolta anche in sede esecutiva, e comunque certamente nel giudizio di rinvio, mentre questa Corte non puo’ provvedere sul punto, trattandosi di valutazione che presuppone un accertamento di fatto.
4.6. Deve, infine, concludersi che anche rispetto al diniego delle attenuanti generiche, sesta doglianza proposta dall’ (OMISSIS), il percorso argomentativo della decisione di merito presenta criticita’, avendo il Collegio di appello ribadito la valutazione negativa gia’ espressa in primo grado alla luce della gravita’ e della reiterazione delle condotte delittuose, indicative di proclivita’ a delinquere, senza considerare gli specifici elementi addotti dalla difesa che avrebbero potuto essere valutati, ossia la completa riabilitazione dallo stato di tossicodipendenza e l’allontanamento dalle relazioni con altri coimputati del traffico di stupefacenti oggetto del processo a seguito del trasferimento in altra regione ed al completo mutamento dello stile di vita, come del resto evidenziato nel ricorso e nei motivi aggiunti. Va invece affermata la necessita’ di affermare il principio, in linea con la decisione della Corte Cost. n. 182 del 2011, per cui anche la condotta positiva del condannato successiva al reato rientra tra gli elementi di cui il giudice deve tener conto, secondo i criteri dell’articolo 133 c.p., potendo esserne escluso il rilievo con una motivazione specifica fondata su altre, preponderanti, ragioni della decisione (cosi’ Sez. 3, n. 1913/19 del 20/12/2018, Carillo, Rv. 275509 – 03). La sentenza impugnata non ha fornito alcuna risposta sul punto per cui, anche sulla concedibilita’ delle circostanze attenuanti generiche la decisione impugnata deve essere annullata con rinvio.
5. Passando all’esame dei motivi di ricorso presentati da (OMISSIS), deve innanzitutto essere rigettato il secondo motivo (relativo alla doglianza per la mancata perizia fonica per l’identificazione degli interlocutori sulla base di emergenze probatorie a carico di altra imputata, la (OMISSIS), che pero’ risponde del reato associativo. Secondo la ricorrente, i giudici di appello avrebbero dovuto considerare che solo in otto captazioni a suo carico si accennerebbe alla presenza dello stupefacente, peraltro con parole criptiche e distribuite nell’arco di sette mesi. Pertanto, non si sarebbe dovuta escludere l’applicabilita’ dell’ipotesi di lieve entita’ prevista dall’articolo 73, comma 5, e sarebbe contraddittoria la motivazione nella parte in cui a fronte di un dato probatorio povero si ritiene sussistere una “allarmante capacita’ di movimentazione” di sostanza stupefacente;
(OMISSIS) e (OMISSIS) (che rispondono del delitto di cui al capo 123 per il delitto di cui agli articoli 110 e 81 cpv. c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e sono stati condannati ciascuno alla pena di sei mesi di reclusione, inflitta in aumento a titolo di continuazione con la sentenza di condanna della Corte di appello di Bari del 28 aprile 2010), tramite il difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), hanno articolato il ricorso in un unico motivo:
1) Violazione di legge in relazione all’articolo 649 c.p.p., per aver la Corte d’appello di Potenza omesso di pronunciare sentenza di proscioglimento degli imputati, considerato che l’attivita’ di intercettazione era stata svolta dal 2 marzo 2005 al 30 agosto 2005, in un arco temporale incluso nel procedimento concluso con la sentenza della Corte d’appello di Bari, che ha condannato gli imputati per avere, in ambito associativo, spacciato sostanza stupefacente del tipo eroina e cocaina anche a (OMISSIS), in (OMISSIS).
(OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno avuto confermata la condanna alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa, rispettivamente per i delitti di cui ai capi 128 e 130, per il tramite il difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), hanno presentato due distinti ricorsi, tuttavia assimilabili ai fini della trattazione, articolando i seguenti motivi:
1) Con il primo motivo di ricorso, si deduce la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in particolare, rilevando che a fronte di dati probatori a discarico degli imputati, costituito da dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del dibattimento, risulta forzata ed illogica la ricostruzione operata dalla Corte d’Appello di Potenza senza che da nessuna intercettazione risulti acclarato il coinvolgimento dei ricorrenti nei fatti contestati;
2) Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in particolare, nella parte in cui sono stati delle intercettazioni) per le ragioni appena esposte in riferimento ad analoga doglianza avanzata da (OMISSIS) sub 3.3.
5.1. Per quanto attiene alla censura di motivazione carente circa la qualificazione giuridica dei fatti ascritti, per il mancato riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, il motivo e’ in parte fondato, per le ragioni gia’ ripetutamente illustrate, in relazione ai capi di imputazione ascritti al (OMISSIS), con la sola eccezione del reato di cui al capo 26, per il quale la decisione di condanna deve essere confermata. Tale capo e’ oggetto anche del terzo motivo di ricorso presentato, in quanto il ricorrente si duole del fatto che tale reato sia stato considerato il piu’ grave, perche’ la Corte di appello non avrebbe considerato che in relazione ad uno degli episodi ricompreso nella contestazione (la detenzione di 50 grammi di eroina) il (OMISSIS) era stato tratto in arresto e condannato con sentenza del G.I.P. del Tribunale di Matera del 23 settembre 2005 che aveva riconosciuto la fattispecie di cui al fatto di lieve entita’.
5.2 Orbene rispetto al delitto di cui al capo 26 entrambi i motivi di ricorso risultano infondati. Infatti, il (OMISSIS) risponde della detenzione continuata, a fini di rivendita a terzi assuntori dei paesi lucani, ottenuta a mezzo cessioni di sostanza stupefacente di tipo eroina e cocaina, in quantita’ variabile tra grammi 5 e grammi 50, per un corrispettivo in Euro tra 150 e 650 Euro, ottenute dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (e dal defunto (OMISSIS)), fatti commessi dal (OMISSIS). La sentenza del G.I.P. di Matera ha ad oggetto un singolo episodio, il quale rappresenta solo un segmento di quei traffici realizzati dal ricorrente nel periodo (che sono inclusi nell’imputazione di cui al capo 26); tale giudicato, pertanto, non assume rilevanza, tout court, ai fini della qualificazione giuridica, quale ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, del capo 26 come asserito invece nel ricorso, potendo semmai essere valutato solo ai fini di un eventuale riconoscimento della continuazione, dovendosi naturalmente considerare il capo 26 come non comprendente l’episodio gia’ giudicato. Questo, del resto, costituisce un formidabile riscontro della responsabilita’ del ricorrente per i reati ascritti e conferma la ragionevolezza espressa dai giudici di merito nell’individuare tale delitto quale reato piu’ grave tra quelli ascritti al (OMISSIS) ai fini della determinazione della pena.
6. Il ricorso, articolato in undici motivi, presentato da (OMISSIS) risulta fondato quanto alla qualificazione nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 dei capi di imputazione allo stesso ascritti, ad eccezione del solo capo di imputazione 25, per le ragioni gia’ ampiamente trattate in precedenza – e sviluppate dal ricorrente nell’ambito del primo motivo di ricorso, e pertanto devono essere accolti, seppure in parte, i motivi ai nn. 1, 4 e 7, dovendosi annullare la sentenza con rinvio per nuovo esame sulla qualificazione giuridica delle imputazioni residue, come dettagliate nel dispositivo, con assorbimento del motivo n. 8, con il quale si invoca la prescrizione in caso di derubricazione, perche’ rimesso ai giudici del rinvio all’esito della valutazione delle specifiche imputazioni.
6.1. Di contro, risulta corretta la qualificazione giuridica del capo 25, per il quale il (OMISSIS) risponde della detenzione continuata, a fini di rivendita a terzi assuntori dei paesi lucani, ottenuta a mezzo cessioni di sostanza stupefacente di tipo eroina e cocaina, in quantita’ variabile tra grammi 5 e grammi 50, per un corrispettivo in Euro tra 150 e 650 Euro, da parte dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (e il defunto (OMISSIS)), fatti commessi dal (OMISSIS).
6.2. Quanto al preliminare motivo processuale, proposto nell’incipit del ricorso, relativo alla reiezione della rinnovazione istruttoria di acquisire le annotazioni di servizio e gli atti di indagine relativi ai servizi di O.P.C. ai quali avevano fatto riferimento nell’esame dibattimentale gli ufficiali di polizia giudiziaria operanti (Maresciallo (OMISSIS) e Brigadiere (OMISSIS)), nonche’ di effettuare la perizia fonica ai fini di identificare i soggetti che avevano acquistato la droga dal ricorrente, istanze che erano state respinte gia’ in primo grado con l’ordinanza del 15 giugno 2015, va rilevato che in tema di rinnovazione del dibattimento in appello la giurisprudenza di legittimita’ ha affermato il principio che il giudice di secondo grado ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso in cui la accolga, mentre se ritiene che debba essere respinta, potrebbe addirittura motivarne il rigetto in via implicita, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare (o negare) la responsabilita’ dell’imputato (ex multis, Sez. 3, n. 24294 del 25/6/2010, D. S. B., Rv. 247872; sottolinea il carattere eccezionale dell’istituto anche Sez.4, n. 1184/19 del 03/10/2018, Motta Pelli srl, Rv. 275114-01). Inoltre, quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilita’, l’eventuale rigetto dell’istanza di rinnovazione istruttoria in appello si sottrae del tutto al sindacato del giudice di legittimita’ (cfr. Sez. 6, n. 11907/14 del 13/12/2013, Coppola, Rv. 259893-01, Sez. 6, n. 40496 del 19/10/2009, Messina e altro, Rv. 245009), come si evidenzia dal compiuto corredo motivazionale delle due decisioni di merito qui all’esame.
6.3. Il primo motivo di ricorso nella parte in cui ha lamentato il travisamento della prova risulta manifestamente infondato. Infatti nell’ipotesi di cd. “doppia conforme” sussiste la preclusione alla deducibilita’ del vizio di travisamento della prova di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori, suscettibili di autonoma considerazione, comuni al primo ed al secondo grado di giudizio (in tal senso, Sez.5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269906-01), per cui tale vizio, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (per tutte, Sez.2, n. 7986/17 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217-01), ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr. Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837-01); in tale ultimo caso, pero’ si deve trattare pur sempre di un travisamento di risultanze obiettive.
6.4. Orbene, le deduzioni difensive non individuano affatto le obiettive risultanze che sarebbero state travisate, ma si limitano a dolersi della mancata individuazione degli assuntori di stupefacenti destinatari delle cessioni ascritte al (OMISSIS) e della mancata analisi peritale dell’efficacia drogante, elementi che sarebbero stati considerati dalla Corte di appello, erroneamente, non decisivi per escludere la responsabilita’ del ricorrente. Nella sostanza il motivo si collega alla doglianza proposta con il quarto motivo di ricorso, che deve essere del pari rigettato, in quanto in tema di stupefacenti, il giudice non ha alcun dovere di procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualita’ e la quantita’ del principio attivo di una sostanza drogante, in quanto egli puo’ attingere tale conoscenza anche da altre fonti di prova acquisite agli atti (Cfr. Sez.4, n. 22238 del 29/01/2014, Feola e altri, Rv. 259157-01). E’ stato infatti ribadito che la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti puo’ essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di tale traffico (in tal senso Sez.4, n. 20129 del 25/06/2020, De Simone, Rv. 279251-01), come avvenuto nel caso di specie, dove quale prova dei fatti criminosi oltre ai dialoghi captati con le intercettazioni telefoniche, ambientali e le videoriprese nell’arco di oltre due anni, risultano ulteriori riscontri, quali il rinvenimento nel possesso del ricorrente di sostanza stupefacente del tipo eroina. Va, inoltre, rilevato che il capo 12 dell’imputazione menzionato nel motivo di ricorso non risulta contestato al (OMISSIS) (ne’ ad altri) e pertanto non e’ incluso nei capi di condanna del predetto, come emerge con evidenza dalle sentenze di primo e secondo grado, per cui le doglianze proposte rispetto a tale imputazione risultano inammissibili.
6.5. Possono essere trattati congiuntamente il secondo e terzo motivo di ricorso, che afferiscono ad aspetti della valutazione della prova risultante dalle intercettazioni, motivi che risultano infondati, posto che, come gia’ spiegato in riferimento ad analoghe censure proposte dagli altri coimputati, i criteri di valutazione dei risultati delle intercettazioni (che, nel caso di specie, devono essere collegati con le risultanze delle videoriprese, degli OPC e delle altre tipologie di investigazione, come ben descritto nella sentenza di primo grado) sono cristallizzati in orientamenti giurisprudenziali consolidati, che si fondano sul principio cardine che ai fini della decisione e’ il contenuto delle registrazioni a costituire propriamente la prova oggetto di valutazione ad opera del giudice (ex multis Sez. 6, n. 13213 del 15/3/2016, Giorgini, Rv. 266775; Sez. 4, n. 47891 del 28/9/2004, Mauro ed altri, Rv. 230569).
6.6. Per quanto attiene all’argomentazione contenuta nelle censure in esame, con la quale si propone una minus-valutazione della perizia trascrittiva delle intercettazioni per la mancata utilizzazione dei tabulati telefonici, assenti negli atti del fascicolo del dibattimento, perche’ tali trascrizioni non sarebbero in grado di garantire l’individuazione delle utenze chiamanti o chiamate, va innanzitutto osservato che nella presente sede di legittimita’ tale censura risulta inammissibile, trattandosi di istanza di rivalutazione della prova ritualmente acquisita. La trascrizione delle conversazioni intercettate, infatti, comporta una mera attivita’ ricognitiva e non implica l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico, tanto che il richiamo contenuto nell’articolo 268 c.p.p., comma 7 a “forme, modi e garanzie” previste per la perizia opera limitatamente alla tutela del contraddittorio e dell’intervento della difesa rispetto all’attivita’ trascrittiva (in tal senso Sez.6, n. 2732/09 del 06/11/2008, Scalise, Rv. 242582-01; Sez. 2, n. 15814 del 30/01/2019, Saccomanno, Rv. 276542-01).
6.7. Quindi, se e’ sempre consentita all’imputato la nomina di un consulente tecnico e al difensore l’estrazione di copia delle trascrizioni e della trasposizione dei files audio, in modo da accertare la presenza di specifiche anomalie o di omissioni pregiudizievoli per la difesa, deve essere di conseguenza affermato il principio che eventuali asserite anomalie di svolgimento nell’attivita’ di trascrizione delle intercettazioni debbono essere fatte valere nel corso dell’attivita’ trascrittiva stessa, non essendo invece deducibili in cassazione quale vizio della decisione che abbia posto a fondamento della propria valutazione le trascrizioni delle conversazioni intercettate. Infine deve comunque essere ribadito il principio generale che gli elementi contenuti nelle intercettazioni possono essere provati anche mediante deposizione testimoniale, atteso che la prova e’ costituita dai fi/es-audio (cfr. Sez. 1, n. 41632 del 03/05/2019, Chan Wantong, Rv. 277139-01; Sez. 6, n. 46007 del 06/07/2018, D’Ambrosca, Rv. 274280-01) dai quali possono essere rilevati gli elementi necessari alla ricostruzione delle comunicazioni come intercorse tra gli utenti.
6.8. Del resto le testimonianze dei verbalizzanti hanno consentito alle difese di svolgere in dibattimento il contraddittorio sulla prova, anche tenendo conto del materiale investigativo confluito nelle indagini preliminari ed oggetto della discovery alla loro chiusura, di talche’ non puo’ essere eccepito alcun vizio di motivazione in ordine alla identificazione degli interlocutori operata dai verbalizzanti ed al significato delle intercorse conversazioni, trattandosi di accertamenti di merito che non possono essere sottoposti a controllo di legittimita’, il quale investe il rapporto tra motivazione e decisione, non gia’ il rapporto tra prova e decisione; sicche’ la valutazione probatoria e’ estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ favorevole, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074-01, successivamente il principio e’ stato ribadito da Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099, Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01).
6.9. Quanto all’asserito consumo di gruppo della droga trafficata dal (OMISSIS), circostanza che sarebbe stata trascurata dai giudici di merito, vizio dedotto con il sesto motivo, lo stesso e’ parimenti infondato. Secondo le linee tracciate dalla giurisprudenza di questa Corte, per aversi consumo di gruppo di sostanze stupefacenti occorre o un acquisto congiunto, ovvero un mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, “a condizione che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identita’ dei mandanti e la loro manifesta volonta’ di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto” (cfr. Sez. 4, n. 24102 del 23/03/2018, Verdoscia e altri, Rv. 272961-01; Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, p.c. in proc. Galluccio, Rv. 255258-01). Sul punto la motivazione della sentenza impugnata risulta ineccepibile, avendo i giudici evidenziato l’assoluta assenza di contatti preventivi con gli assuntori, circostanza che esclude in radice la possibilita’ di configurare l’esclusione di punibilita’ invocata.
6.10 Per quanto attiene ai tre motivi di ricorso (nn. 9, 10 e 11) che afferiscono al trattamento sanzionatorio in senso ampio, sia in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che in relazione alla valutazione dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed al mancato riconoscimento della continuazione con altri reati gia’ giudicati, gli stessi sono infondati. La Corte di appello ha fornito una motivazione adeguata in ordine alla impossibilita’ di riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne’ il ricorrente ha dedotto in appello elementi specifici che potessero essere valutati e della cui mancata considerazione possa dolersi innanzi ai giudici di legittimita’. Come e’ noto, infatti, i fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla capacita’ a delinquere del colpevole o alla gravita’ del reato puo’ essere sufficiente in tal senso (cosi’ Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez.6, n. 7707/14 del 4/12/2003, Anaclerio, Rv. 229768).
6.11 Anche la pena base stabilita dal primo giudice (anni otto di reclusione) e confermata dalla Corte potentina sulla base del piu’ grave reato di cui al capo 25, e’ stata cosi’ determinata “tenuto conto del numero elevatissimo di cessioni di droga, indicativo di una dedizione costante alla violazione della normativa sugli stupefacenti”; si tratta di motivazione adeguata, in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, che ha chiarito che in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una sanzione al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (cfr. Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino Rv. 265283-01), dovendosi considerare che la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato cosi’ ottenuto al minimo (cosi’ Sez.3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288-01). Orbene, secondo il tempo del commesso reato, in relazione alla fattispecie contestata era prevista la pena edittale da sei a venti anni di reclusione, per cui la media edittale risulta essere quella di anni tredici di reclusione, per cui la motivazione sopramenzionata risulta piu’ che congrua rispetto alla contestazione di cui al capo 26.
6.12. Del pari non censurabile sotto il profilo della manifesta illogicita’ l’argomentazione dei giudici di appello, i quali hanno escluso l’identita’ del disegno criminoso tra le varie condotte delittuose contestate nel presente processo, con decorrenza dall’ottobre 2003 e quella oggetto di una sentenza del G.U.P. del Tribunale di Materia, relativa ad un episodio di cessione di data anteriore (6 maggio 2003), trattandosi di motivazione del tutto congrua e come tale non censurabile nella presente sede, in quanto si tratta di accertamento di merito.
7. Per quanto riguarda la posizione della ricorrente (OMISSIS), deve essere innanzitutto rigettato il primo motivo di ricorso, peraltro esposto in maniera alquanto generica, con il quale si deduce la nullita’ della sentenza impugnata per mancata partecipazione al procedimento, in ragione della mancata considerazione del ruolo di collaboratrice di giustizia della stessa e della sua sottoposizione al programma di protezione, che esigevano che venisse disposto il collegamento in videoconferenza.
7.1. Nel caso di specie – come risulta dagli atti che questa Corte e’ legittimata ad esaminare essendo stato proposto un motivo di carattere processuale – il giudizio di appello, inizialmente fissato per l’udienza del 9 giugno 2016, con decreto di citazione ritualmente notificato in carcere alla (OMISSIS) il 10 maggio 2016, fu rinviato al 25 novembre 2016, con atto ritualmente notificato in data 21 ottobre 2016 presso il carcere ove la stessa si trovava ristretta, e si incardinava all’udienza del 22 dicembre 2016, con verifica della rituale costituzione di tutte le parti, inclusa la (OMISSIS), detenuta presso la Casa di reclusione di (OMISSIS), partecipante all’udienza a distanza, in collegamento audiovisivo, giusto verbale agli atti, nel quale si da’ atto del rinvio del dibattimento all’udienza del 2 febbraio 2017. La ricorrente, a seguito di istanza difensiva, otteneva gli arresti domiciliari in localita’ protetta da determinarsi a cura del Servizio di protezione in data 23 dicembre 2016, essendo stata ammessa al programma di protezione, e partecipava all’udienza del 2 febbraio 2017 in videoconferenza dal sito riservato, come risulta dal verbale in forma riassuntiva e da quello stenotipico. Il processo veniva rinviato al 10 marzo 2017, udienza alla quale la (OMISSIS) partecipava con le medesime modalita’ di video-collegamento ed alla successiva udienza del 6 aprile 2017 la (OMISSIS) era presente con le stesse modalita’, ma in tale udienza, come risulta dal verbale, il difensore di fiducia della (OMISSIS), tramite il collega Avv. (OMISSIS), segnalava l’impossibilita’ a raggiungere la sede giudiziaria per un guasto all’auto e chiedeva rinvio per la discussione della posizione della propria assistita; su tale richiesta il Presidente interpellava la (OMISSIS) che acconsentiva al rinvio. Alla data di rinvio del 12 maggio 2017 il difensore evidenziava l’impossibilita’ per la (OMISSIS) di essere collegata in videoconferenza dal sito suddetto, in quanto il collegamento era stato revocato per effetto della scarcerazione dal regime di arresti domiciliari e chiedeva ulteriore rinvio per poter far assistere alla discussione l’imputata.
La Corte di appello rinviava all’udienza del 15 giugno 2017, dando avviso alla (OMISSIS) tramite il servizio di protezione. Con fax del 12 giugno 2017 tale servizio comunicava che la (OMISSIS) aveva depositato nota con la quale dichiarava che non avrebbe partecipato all’udienza per l’adesione del proprio difensore allo sciopero degli avvocati. La trattazione della posizione, in considerazione del deposito di comunicazione del difensore della sua adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalla Camera penale, veniva pertanto rinviata al 13 ottobre 2017, ove il difensore eccepiva la mancata citazione della ricorrente tramite il Servizio protezione, eccezione che la Corte respingeva con ordinanza, ritenendo che, a seguito della precedente comunicazione dalla stessa inoltrata, l’imputata dovesse essere considerata rinunciante a comparire, salvo diversa manifestazione di volonta’. Cio’ nonostante in tale udienza il difensore non illustrava la posizione della propria assistita formulando le conclusioni, ma per tale discussione (essendo tra le ultime posizioni da trattare) il processo veniva rinviato al 9 febbraio 2018. In relazione a tale data la (OMISSIS) chiedeva di presenziare all’udienza in videoconferenza, modalita’ che veniva disposta con provvedimento del 7 febbraio 2018, ma prima della udienza l’imputata faceva pervenire, tramite il Servizio di protezione, istanza scritta di rinvio segnalando una indisposizione fisica a partecipare ed analoga istanza veniva presentata dal difensore, che adduceva a giustificazione una sindrome influenzale. Entrambe le istanze venivano respinte dalla Corte di appello, perche’ documentate in maniera insufficiente, non essendo stata attestata l’assoluta impossibilita’ a partecipare all’udienza, pertanto veniva nominato un difensore di ufficio per la trattazione della posizione della (OMISSIS) e si disponeva il rinvio per l’udienza dell’11 maggio 2018, per repliche. In tale udienza il difensore chiedeva un rinvio per effettuare la videoconferenza della (OMISSIS) e, in subordine, chiedeva di depositare conclusioni scritte; la Corte rigettava l’istanza di rinvio, ribadendo i contenuti della precedente ordinanza, ossia che la (OMISSIS) doveva essere considerata rinunciante in quanto aveva manifestato la volonta’ di non comparire e non aveva effettuato ulteriore e diversa comunicazione, ed ammetteva le conclusioni scritte del difensore. La motivazione risulta ineccepibile, considerato che l’imputata, sottoposta a programma di protezione in localita’ protetta, non ha adempiuto, successivamente all’istanza di rinvio presentata, all’onere di comunicare la volonta’ di comparire e quindi i giudici di appello hanno legittimamente ravvisato nel comportamento della stessa una conferma della gia’ espressa rinuncia a comparire.
7.2. Come emerge dalla dettagliata disamina della lunga trattazione del giudizio di appello, alla (OMISSIS) e’ stata garantita la possibilita’ di partecipare a tutte le udienze che si sono tenute, per cui il denunciato vizio non sussiste; del resto, la difesa della ricorrente non ha neppure addotto elementi significativi di un concreto vulnus per le garanzie difensive che sarebbe derivato dalla mancata partecipazione fisica al giudizio della donna, assenza del tutto voluta, come emerge con evidenza da quanto appena esposto e peraltro limitata solo alla fase della esposizione delle arringhe difensive.
7.3. Passando all’analisi del terzo motivo, con il quale la ricorrente chiede la riqualificazione del reato contestato al capo 3, nell’ipotesi di cui al cit. D.P.R., articolo 74, comma 2, va rilevata la sua infondatezza. La sentenza impugnata (pagg. 78 e segg.) ha confermato la sussistenza dell’associazione a delinquere, a carattere prevalentemente familiare, promossa e diretta dalla ricorrente, con l’esistenza di una organizzazione seppure rudimentale “fondata sull’interscambio dei ruoli esecutivi e sulla predisposizione di un luogo, che fungeva da nascondiglio, funzionale al deposito dello stupefacente”; del resto, gia’ i giudici di prime cure avevano evidenziato tale ruolo con ampia motivazione (pagg. 834 e segg. della sentenza del Tribunale di Matera, in particolare pag. 839). Ne’ e’ incompatibile con il ruolo di promotrice la circostanza che la (OMISSIS) effettuasse direttamente cessioni di sostanze stupefacenti a consumatori tossicodipendenti, considerata la capacita’ del gruppo organizzato di ripartirsi i compiti anche a seguito degli arresti di alcuni e quindi la possibile interscambiabilita’ dei ruoli di approvvigionamento, stoccaggio, recupero della droga e spaccio della sostanza.
7.4. Diversamente deve concludersi all’esito dell’esame del secondo motivo di ricorso, laddove si lamenta la mancata risposta alla richiesta di rinnovazione probatoria ed in generale la mancata risposta ai motivi aggiunti, ai quali era stato allegato un memoriale, a seguito – dell’intrapreso percorso di collaboratrice di giustizia della ricorrente. Effettivamente la Corte di appello non ha assunto alcuna espressa determinazione sull’invocato esame della (OMISSIS), che nella sostanza non fu mai disposto, avendo i giudici di appello fatto espresso richiamo alla richiesta difensiva solo per illustrare la mancata comparizione della (OMISSIS), impropriamente estesa a tutte le udienze, benche’ risulti che la stessa fu in realta’ presente in videoconferenza ad alcune.
7.5. Va sul punto rilevato che i giudici di appello avrebbero dovuto esternare la loro determinazione circa la rinnovazione probatoria, anziche’ valutare la mancata comparizione della (OMISSIS), posto che nei motivi aggiunti era stato chiesto il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7, proprio alla luce del memoriale, richiesta alla quale non puo’ che constatarsi la mancata risposta. Nel giudizio di appello non e’ affatto preclusa al giudice la possibilita’ di rinnovazione dell’istruzione laddove da parte dell’imputato vengano prospettate prove decisive, ed oltretutto sopravvenute, per il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione: la giurisprudenza di questa Corte e’ orientata nel senso di riconoscere la possibilita’ di valutarne la sussistenza anche quando la collaborazione sia stata intrapresa nel corso del giudizio o comunque dopo l’esaurimento delle indagini preliminari (sul punto, Sez. 4, n. 40749 del 12/07/2017, Bracale e altri, Rv. 270771-01)
7.6. Per tali ragioni la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto al capo 3, limitatamente alla omessa valutazione della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7 all’esito di rinnovazione istruttoria, dovendo il giudice di rinvio valutare la sussistenza dei requisiti per l’eventuale riconoscimento della circostanza attenuante alla luce dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, in quanto e’ necessario che il contributo conoscitivo offerto dall’imputata sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensi’ l’attivita’ complessiva del sodalizio criminoso (cfr. Sez. 2, n. 32907 del 03/05/2017, P.G. e altri in proc. Cursale e altri, Rv. 270656-01).
7.7. Risulta infondato il quarto motivo di ricorso, ove si assume la possibilita’ di configurare l’associazione a delinquere di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in ragione dell’incertezza della quantita’ oggetto delle cessioni come contestata alla ricorrente. Orbene e’ consolidato principio di diritto che detta ipotesi associativa attenuata e’ configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita’, predisponendo modalita’ strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita’ e che, in concreto, l’attivita’ associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (cfr. Sez. 6, n. 1642/20, gia’ cit.). Orbene il Collegio potentino ha richiamato il principio al quale si e’ attenuto per negare la sussistenza dell’ipotesi in relazione al sodalizio criminale contestato al capo 1, come gia’ segnalato in risposta ai motivi di ricorso presentati dal (OMISSIS) fornendo una risposta esaustiva sulla questione che certamente anche qui rileva, date le considerazioni espresse nelle sentenze di merito sulla concreta operativita’ dell’associazione a delinquere riferibile alla (OMISSIS), che escludono la ravvisabilita’ di tale tipologia associativa.
7.8. In aggiunta a quanto appena rilevato, deve essere sottolineato come i capi d’imputazione 19 (concorso nella detenzione di 400 grammi di cocaina ed eroina in data (OMISSIS)), 122 (detenzione in concorso con il (OMISSIS) di 2 Kg di droga da cedere per il corrispettivo di 12 mila Euro, in data (OMISSIS)), 128 (detenzione e cessione continuata in concorso con (OMISSIS) di quantita’ variabile tra i 250 ed i 500 gr. di eroina nel periodo (OMISSIS)) e 130 (detenzione e cessione continuate, in concorso con (OMISSIS), di eroina fino a 50 gr. nel periodo dal (OMISSIS)), hanno ad oggetto una quantita’ di stupefacente non certo minimale. La significativita’ di tali condotte giustifica perfettamente la decisione dei giudici di appello di confermare la qualificazione giuridica dei fatti nell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 2, anche facendo richiamo, per quanto attiene ai capi 128 e 130, alle ampie argomentazioni del giudice di prime cure e tale giudizio rafforza implicitamente la conseguente decisione dei giudici di appello circa l’impossibilita’ di configurare la fattispecie associativa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6.
7.9. Diversamente deve concludersi quanto alla quinta doglianza, con la quale si lamenta il mancato riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, doglianza che risulta infondata in relazione ai capi 19, 122, 128 e 130, per quanto sopra illustrato, ma che e’ invece fondata quanto ai residui capi ascritti a (OMISSIS) ai capi 129, 131 e 132, rispetto ai quali si impone l’annullamento con rinvio per nuova valutazione alla luce dei principi di diritto gia’ illustrati in riferimento all’accoglimento degli analoghi motivi proposti dagli altri coimputati e che si danno qui per richiamati.
8. Per quanto attiene ai ricorsi presentati congiuntamente da (OMISSIS) Christian e (OMISSIS), imputati della partecipazione all’associazione a delinquere di cui al capo 3 e del capo 19, gli stessi devono essere rigettati.
8.1. Per la censura relativa al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, va osservato che la sentenza impugnata ha ampiamente descritto la sussistenza del consortium sceleris promosso dalla (OMISSIS), madre della (OMISSIS) (pagg. 78 e segg.), nel quale i due ricorrenti risultavano operativi a pieno titolo, nel ruolo di corrieri, come risulta dalla motivazione sullo specifico ruolo dei predetti, con particolare riferimento al contenuto della conversazione intercorsa tra madre e figlia il 21 agosto 2005, di pochi giorni successiva a quella del 17 agosto, in cui anche il ruolo del (OMISSIS) risulta, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, nella sua significativita’ sia quanto al coinvolgimento nel reato associativo, che in relazione alla responsabilita’ per il reato di cui al capo 19, commesso in tale ultima data dai ricorrenti in concorso con la (OMISSIS) e con (OMISSIS) – che fu tratto in arresto in quanto identificato presso l’abitazione della (OMISSIS) – reato relativo alla detenzione a fini di spaccio di grammi 400 di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed eroina destinata alla vendita nella citta’ di (OMISSIS).
8.2. Sono del pari da respingere, per i motivi gia’ illustrati, le invocate derubricazioni della fattispecie associativa in quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6 e del capo 19 in quella di cui all’articolo 73, comma 5, atteso che le modalita’ ricostruttive della detenzione e la rilevanza del quantitativo delle due diverse tipologie di droga appartenenti alla Tabella I sono state poste alla base dell’inquadramento giuridico del fatto operato dal Collegio di appello, nel pieno rispetto degli orientamenti giurisprudenziali gia’ ampiamente illustrati in precedenza.
9. Per quanto attiene, invece, al ricorso presentato da (OMISSIS), avverso la condanna per il delitto allo stesso ascritto al capo 19, lo stesso risulta inammissibile. Entrambi i motivi proposti mirano, nella sostanza, ad indurre questa Corte ad una rivalutazione del merito della vicenda relativa all’episodio del (OMISSIS), laddove lo stesso era stato trovato nell’abitazione della (OMISSIS), mentre il soggetto atteso sarebbe stata altra persona, invocando un nuovo giudizio di fatto del tutto precluso nella presente sede di legittimita’, in presenza di una motivazione del tutto congrua e priva di smagliature logiche della sentenza impugnata (pag. 89), rafforzativa della ricostruzione dell’episodio gia’ descritta dal giudice di prime cure (pagg.784 e segg.). D’altra parte, i motivi proposti, anche quello relativo all’invocata derubricazione in tentativo del capo 19, risultano identici alle doglianze proposte in appello ed anzi, alle argomentazioni formulate gia’ nel corso del primo giudizio, rilievi ai quali i giudici di merito hanno fornito adeguata risposta. Del resto quest’ultima censura e’ anche manifestamente infondata, considerato che ai fini della consumazione del delitto di acquisto e cessione di sostanza stupefacente non occorre che la droga sia materialmente consegnata all’acquirente, ma e’ sufficiente che si sia formato il consenso delle parti contraenti sulla quantita’ e qualita’ della sostanza e sul prezzo della stessa (cfr. Sez. 4, n. 38222 del 19/05/2009, Casali, Rv. 245293-01).
10. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e’ infondato, quanto alla condanna per il delitto di cui al capo 122 ed in parte fondato quanto a quello di cui al capo 113, relativo alla detenzione continuata di eroina e cocaina tra il (OMISSIS), commesso in concorso con il (OMISSIS).
10.1. Il primo motivo di ricorso (che censura l’illogicita’ della motivazione per il capo 122, in quanto la cessione di 2 Kg droga sarebbe stata arbitrariamente desunta dai giudici dal contenuto di una conversazione intercorsa con (OMISSIS) il 23/3/2005 ed inoltre sarebbe erronea l’interpretazione delle conversazioni telefoniche intercettate del riferimento alla “partita da giocare” per il capo 113) mira, nella sostanza, a suggerire una diversa, e piu’ favorevole per il ricorrente, interpretazione dei dati probatori, peraltro a fronte di una puntuale motivazione in ordine al profilo di responsabilita’ che trova conferma nel contenuto confessorio di altre intercettazioni; pertanto la censura risulta ai limiti dell’ammissibilita’.
10.2. Risulta infondato, seppure in parte, il secondo motivo di ricorso, che suggerisce una interpretazione in favor rei dell’indicazione di “roba”, nel senso che, considerata l’incertezza sulla qualita’ della droga, i giudici avrebbero dovuto ritenere che si trattasse di sostanza stupefacente appartenente alle tabelle II o IV, con conseguente prescrizione dei reati ascritti. A tale proposito va ricordato che, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini dell’accertamento della natura di una sostanza ritenuta stupefacente, non e’ necessaria la perizia ben potendosi attingere, per la parte che attiene alla qualita’ e quantita’ della sostanza ritenuta drogante, ad altre fonti di prova, quali dichiarazioni testimoniali o confessorie, il risultato degli accertamenti di polizia o una pluralita’ d’indizi, gravi, specifici e concordanti (cfr, da ultimo, Sez. 3 n. 18611 del 18/01/2019, Aigbe Osaru, Rv. 275704-01), fermo restando l’obbligo per il giudice di una puntuale argomentazione. Orbene, se in riferimento al capo 122 la struttura motivazionale risulta coerente, per quanto attiene al capo 113, la motivazione e’ concentrata unicamente sulla descrizione dell’episodio avvenuto in data (OMISSIS), senza che risulti una motivazione adeguata in ordine alla derubricazione della fattispecie, invocata gia’ in appello: di conseguenza, limitatamente alla qualificazione giuridica di cui all’articolo 73, comma 1, la sentenza va annullata ed il giudice del rinvio dovra’ provvedere ad una verifica dei fatti ivi contestati alla luce dei principi di diritto sopra esposti.
10.3. Va, infine, rigettato l’ultimo motivo di ricorso. La determinazione della Corte di appello di non ritenere sussistente la continuazione tra i fatti contestati nel presente giudizio con quelli oggetto di altra sentenza del Tribunale di Matera, emessa il 25 febbraio 2015, e’ stata fondata, esattamente, sulla circostanza della non definitivita’ della decisione del Tribunale di Matera, senza che risulti svolta alcuna valutazione di merito sulla sussistenza dell’identico disegno criminoso tra le imputazioni ascritte al ricorrente nelle due diverse decisioni; cio’ non pregiudica l’eventuale riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, una volta divenute definitive le sentenze (cfr. Sez. 2, n. 31974 del 2/07/2015, Ciavone, Rv. 264180). Il motivo non e’ comunque fondato, attesa la non definitivita’ della decisione rispetto alla quale si invoca l’affermazione della continuazione tra i reati di traffico di sostanze stupefacenti.
11. (OMISSIS) e (OMISSIS) rispondono del delitto di cui capo 129, per la detenzione continuata ed in concorso, a fini di spaccio a terzi assuntori dei paesi lucani, in un periodo di tempo compreso tra il 4 ottobre 2005 e il 15 maggio 2006 sostanza stupefacente di quantita’ e qualita’ non meglio indicata, che acquistavano da (OMISSIS). I primi due motivi di ricorso di (OMISSIS) possono essere trattati congiuntamente alle censure proposte da (OMISSIS), in quanto sostanzialmente sovrapponibili, anche in considerazione del fatto che gli stessi rispondono a titolo di concorso tra loro e con la (OMISSIS) del reato di cui al capo 129.
11.1. Quanto al primo motivo proposto da (OMISSIS) ed al secondo della (OMISSIS), con gli stessi si censura il fatto che la responsabilita’ penale sia stato fondata sugli esiti di alcune conversazioni intercettate, senza verifica dell’identificazione degli interlocutori e del significato delle comunicazione ed in mancanza di un riscontro oggettivo e quindi in violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, lo stesso risulta infondato. In applicazione dei principi gia’ esposti in precedenza in ordine ai risultanti delle intercettazione ed all’interpretazione dei contenuti delle conversazioni, la condanna dei ricorrenti risulta disposta con un presidio motivazionale del tutto coerente ed adeguato, in considerazione del principio della doppia conforme, menzionato nell’incipit di questa parte motiva, con il quale i motivi di ricorso, nella sostanza neppure si confrontano adeguatamente, limitandosi ad invocare una terza valutazione di merito delle risultanze probatorie in atti.
11.2. Invece risulta fondato il secondo motivo proposto da (OMISSIS), analogo al primo proposto dalla (OMISSIS), con il quale si lamenta il vizio di motivazione per la mancata qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Per quanto gia’ rilevato in precedenza, la motivazione della sentenza impugnata risulta alquanto sommaria: i giudici di appello richiamano le brevi risposte sul punto fornite nella parte introduttiva della motivazione, senza alcuna specificazione dell’addebito ascritto ai ricorrenti, di talche’ la carenza suddetta impedisce di verificare che il percorso decisionale sia stato rispettoso degli orientamenti consolidati in ordine alla possibile qualificazione di tale reato autonomo, secondo la nuova configurazione della fattispecie. Pertanto, limitatamente alla qualificazione giuridica, la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame sul punto, analogamente a quanto del resto gia’ indicato in riferimento alla concorrente nel medesimo reato (OMISSIS) e per le argomentazioni in diritto espresse in riferimento alla problematica di diritto gia’ sollevata da altri ricorrenti.
11.3. Quanto alla doglianza proposta da (OMISSIS) relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate sulla scorta di un’errata attribuzione a se’ stesso dei precedenti della convivente (OMISSIS), va rilevata l’infondatezza del motivo, posto che le ragioni di tale mancato riconoscimento non afferiscono a tale asserito equivoco, avendo i giudici di appello ritenuto ostativa alla concessione delle circostanze attenuanti generiche la reiterazione degli episodi di spaccio. Si tratta di motivazione di immeritevolezza del tutto congrua, in considerazione dell’arco temporale di consumazione dei reati ascritti al ricorrente.
11.4. Quanto alla doglianza relativa alla commisurazione della pena rispetto alla dosimetria sanzionatoria applicata alla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, oggetto del terzo motivo di ricorso del (OMISSIS), la stessa va considerata assorbita dall’annullamento parziale sulla qualificazione giuridica appena disposto. Vale peraltro la pena di sottolineare che non risulta affatto che il giudice di primo grado abbia stabilito la pena edittale minima per la fattispecie in otto anni, essendo invece stata comminata al (OMISSIS) la pena di anni sei di reclusione.
12. I ricorsi presentati, con unico atto impugnatorio, da (OMISSIS) e (OMISSIS), aventi ad oggetto unicamente la doglianza dell’omessa motivazione in ordine all’eccepito ne bis in idem relativo ai medesimi fatti loro contestati al capo 123, in quanto contenuti nei capi della sentenza di condanna della’ Corte di appello di Bari del 28 aprile 2010, sono fondati. Infatti a fronte della contestazione suddetta, comprendente fatti di detenzione a fini di spaccio (e cessioni in continuazione ad altre persone) di sostanze stupefacenti quali eroina e cocaina, contestati in un periodo di tempo compreso tra il (OMISSIS), la Corte potentina si e’ limitata in poche righe a respingere l’eccezione sulla affermazione che i fatti oggetto della sentenza della Corte di appello di Bari erano compresi in un arco temporale che si concludeva nel dicembre 2005. Orbene tale affermazione, nella sua sinteticita’, risulta del tutto illogica e comunque e’ assolutamente carente, non essendo stato dato alcun conto delle tipologie di condotte ascritte nell’altro processo, elementi che avrebbero dovuto essere esaminati dal giudice di merito ancor piu’ che il dato cronologico menzionato. Pertanto la sentenza, limitatamente a tale punto, deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Salerno, per nuovo giudizio.
13. Sono infondati i motivi proposti, con separati ricorsi, da (OMISSIS) e (OMISSIS), che rispondono, rispettivamente, per i delitti di cui ai capi 128 e 130, per avere ricevuto in tempi diversi, da (OMISSIS) quantitativi di eroina in quantita’ variabile per il successivo spaccio a soggetti assuntori nelle zone di (OMISSIS); il (OMISSIS) dal (OMISSIS) e la (OMISSIS) dal (OMISSIS). I primi due motivi censurano vizi di motivazione del tutto insussistenti nel caso di specie. Quanto al primo motivo, in sede di legittimita’, come gia’ rilevato in precedenza, e’ possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita’ risulti decisiva ed incontestabile (ex multis, Sez.5, n. 7465/14 del 28/11/2013, Napoleoni e altri, Rv. 259516-01), mentre costituisce questione di fatto rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (per tutte, cfr. Sez.2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea e altri, Rv. 268389-01).
13.1. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha ricostruito il ruolo svolto dai ricorrenti i quali, lungi dall’effettuare un semplice rifornimento per uso personale, risultavano corrieri per conto di (OMISSIS). In particolare la sentenza, rispondendo a identico motivo proposto in appello, sviluppa un’ampia motivazione quanto alla riconducibilita’ al (OMISSIS) del trasporto di 260 grammi circa di eroina – rinvenuta grazie alle intercettazioni in un’auto condotta da coimputati rimasti estranei al presente giudizio – in data 23 novembre 2015 (capo 128). Parimenti, risultano ampiamente argomentati gli acquisti di eroina da (OMISSIS) effettuati dalla (OMISSIS) (capo 130), come emergente dall’attento esame dei contenuti di alcuni colloqui intercorsi tra le due donne; d’altra parte le condotte delittuose poste in essere dalla (OMISSIS) hanno trovato conferma nel sequestro di 50 grammi di eroina effettuato a carico della stessa (e di altro imputato deceduto) in data 27 gennaio 2006, posto a fondamento dell’arresto della donna.
Risulta pertanto infondato anche il secondo motivo, con il quale la (OMISSIS) lamenta che la sua penale responsabilita’ sia stata ancorata esclusivamente sui fatti relativi a tale accadimento, mentre la decisione impugnata, ed anche quella del giudice di prime cure, hanno fornito un quadro ben piu’ ampio dell’attivita’ di spaccio di droga esercitata dalla ricorrente.
13.2. Quanto al terzo motivo, relativo al vizio di motivazione ed alla violazione di legge per la mancata derubricazione dei reati rispettivamente ascritti nella ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, lo stesso risulta, del pari, infondato. La sentenza della Corte lucana ha fornito una sintetica, ma congrua motivazione, come tale non censurabile in sede di legittimita’, rispettosa dei principi giurisprudenziali che sono stati sopra illustrati, ponendo a base del proprio rigetto dell’invocata qualificazione giuridica sia la reiterazione delle condotte di spaccio, che gli importi pattuiti, in quanto indicativi di quantita’ rilevante di sostanze stupefacenti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di:
(OMISSIS), limitatamente alla qualificazione della fattispecie associativa di cui al capo 1) nell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 1 e limitatamente alla qualificazione delle fattispecie di cui ai capi 9), 13), 107), 110), 111), 112), 113) e 114) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS), limitatamente alla qualificazione delle fattispecie di cui ai capi 28) e 107) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS), quanto al capo 3), limitatamente alla omessa valutazione della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7, all’esito di rinnovazione istruttoria e limitatamente alla qualificazione delle fattispecie di cui ai capi 129), 131) e 132) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS), limitatamente alla qualificazione della fattispecie di cui al capo 113) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS), limitatamente alla qualificazione delle fattispecie di cui ai capi 8), 10), 17), 18), 57), 83), 84), 85), 86), 87), 88), 89), 90), 91), 92), 93), 94), 95), 96), 97), 98), 99), 101), 102), 103), 104), 105) e 106) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 ed alla valutazione sulla sussistenza delle circostanze attenuanti generiche; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS), limitatamente alla qualificazione delle fattispecie di cui ai capi 14), 52), 56), 57), 60), 61), 62), 63), 65), 66), 69), 70), 71), 72), 74), 75), 76), 77), 79), 80), 81) e 83) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS), limitatamente alla qualificazione delle fattispecie di cui ai capi 6), 7), 11), ai capi da 31 a 47 e dai capi 49), 50), 51), 52), 53), 55), 124) e 127), nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS);
(OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente alla qualificazione della fattispecie di cui al capo 129) nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1; rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS);
(OMISSIS) E (OMISSIS), limitatamente alla valutazione della sussistenza dell’articolo 649 c.p.p.; e rinvia per nuovo giudizio su detti capi e punti alla Corte di appello di Salerno.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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