Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 novembre 2021| n. 35959.
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova.
Il mutuo va annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene, cioè, con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne sono oggetto; ne consegue che la prova della materiale messa a disposizione dell’uno o delle altre in favore del mutuatario e del titolo giuridico da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione costituisce condizione dell’azione, la cui dimostrazione ricade necessariamente sulla parte che la “res” oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione, non valendo ad invertire tale onere della prova la deduzione, ad opera del convenuto, di un diverso titolo implicante l’obbligo restitutorio, non configurandosi siffatta difesa quale eccezione in senso sostanziale.
Ordinanza|22 novembre 2021| n. 35959. Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
Data udienza 25 febbraio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Mutuo – Restituzione somme – Articolo 2697 cc – Onere della prova – Articolo 342 cpc – Impugnazioni – Specificità dei motivi – Articolo 2735 cc – Criteri – Legge 134 del 2012 – Motivazione del giudice di merito
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12390-2016 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4575/2015 della CORTE di APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 25/11/2015;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 25/02/2021, dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione, notificato in data 6.2.2002, (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS), nella qualita’ di erede universale della defunta (OMISSIS), al fine di ottenere dalla convenuta la restituzione della somma di Lire 35.000.000, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di preteso prestito concesso alla defunta (OMISSIS) nell’anno 1998, allorche’ la stessa si trovava in difficolta’ economica e doveva affrontare ingenti spese per urgenti lavori di ristrutturazione dei solai di un immobile di sua proprieta’ sito in (OMISSIS).
Si costituiva in giudizio la convenuta che eccepiva l’infondatezza della domanda, per non essere stata fornita la prova dell’esistenza del credito, nonche’ del titolo in forza del quale era avvenuta la consegna della somma di denaro; in subordine, chiamava in causa (OMISSIS), fratello della de cuius, in quanto comproprietario dell’edificio per il quale erano state impiegate le somme richieste in restituzione e tenuto a risponderne per la sua quota di proprieta’.
Il (OMISSIS) rimaneva contumace.
Espletata la prova per testi e l’interrogatorio formale della convenuta, con sentenza n. 263/2010 del 12.5.2010, il Tribunale di Napoli, Sezione Distaccata di Portici, accoglieva la domanda.
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
Avverso la sentenza proponeva appello la (OMISSIS), chiedendo la declaratoria di nullita’ della sentenza e, in subordine, il rigetto della domanda proposta in primo grado.
Si costituiva il (OMISSIS), mentre alcuna prova era allegata in atti della notifica dell’appello al (OMISSIS).
Con sentenza n. 4575/2015, depositata in data 25.11.2015, la Corte d’Appello di Napoli dichiarava inammissibile la chiamata in causa di (OMISSIS); accoglieva l’appello e compensava le spese di lite per un terzo, ponendo la parte rimanente a carico dell’appellato per entrambi i gradi di giudizio.
In particolare – ritenuta evidente l’adeguata specificazione degli elementi costitutivi della domanda, con infondatezza delle proposte censure di nullita’; nonche’ la prova della notifica dell’atto di citazione in appello a (OMISSIS), peraltro soggetto sfornito di qualsivoglia legittimazione passiva – la Corte di merito riteneva di non condividere le censure di inammissibilita’ del gravame, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c. Per la Corte distrettuale considerazione diversa meritava la censura di erronea valutazione delle risultanze probatorie acquisite in atti, specie della prova testimoniale: rientrando il mutuo tra i contratti reali che si perfezionano con la consegna del denaro, l’onere della relativa prova, ex articolo 2697 c.c., ricadeva sulla parte che chiedeva in restituzione la somma di denaro. Tuttavia, tale prova non poteva ritenersi fornita dall’appellato attraverso la resa prova testimoniale, che oltre ad essere de relato (i testi avevano riferito di aver appreso da (OMISSIS), ormai deceduta, la circostanza della dazione del denaro), risultava contrastare con quanto affermato dal (OMISSIS) in sede di libero interrogatorio (la’ dove il teste (OMISSIS) riferiva che i soldi fossero stati dati alla (OMISSIS) con assegno, mentre il (OMISSIS) riferiva di averli corrisposti in contanti; sicche’ il (OMISSIS) avrebbe dovuto fornire una prova documentale tramite allegazione di un estratto conto bancario comprovante il prelievo della somma data alla (OMISSIS).
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) in base a quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste (OMISSIS) con controricorso e con memoria.
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis), nonche’ dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5 – Error in procedendo in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”, in quanto la Corte d’Appello, senza alcuna motivazione, aveva rigettato la sua eccezione preliminare di mancanza di specificita’ dei motivi di gravame e di inammissibilita’ dell’atto di appello per violazione del disposto dell’articolo 342 c.p.c. Veniva richiamata la giurisprudenza di legittimita’, secondo la quale la specificita’ dei motivi di appello non e’ ravvisabile ove l’appellante, nel censurare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, ometta di indicare, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni di fatto e di diritto.
Nella fattispecie, la Corte di merito accoglieva uno solo dei motivi di gravame (ossia quello relativo all’erronea valutazione delle testimonianze): tale motivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ex articolo 342 c.p.c., in quanto con esso l’appellante non contrastava in maniera specifica le argomentazioni dedotte dal Giudice di primo grado, limitandosi a osservare che quanto affermato dal Tribunale in ordine al contenuto dell’interrogatorio formale della (OMISSIS) lasciasse alquanto perplessi poiche’ il Giudice traeva la propria convinzione dal fatto che la (OMISSIS) non avesse mai escluso la possibilita’ del prestito. Inoltre, l’appellante, non tenendo conto di quanto osservato dal primo Giudice sull’attendibilita’ dei testi e sulla valenza probatoria delle loro deposizioni, si limitava a rilevare che non era provato che il prestito fosse stato effettuato e che nessuno dei due testi aveva riferito di aver visto il (OMISSIS) mentre consegnava la somma di denaro alla (OMISSIS).
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
1.1. – Il motivo non e’ fondato.
1.2. – Questa Corte – rilevato che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato (come nella specie) un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso – ha affermato che, pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere (non assolto dalla ricorrente) di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non puo’ limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificita’ (Cass. n. 20405 del 2006; conf. Cass. n. 21621 del 2007; Cass. n. 22880 del 2017).
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, “In relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. con riferimento agli articoli 2697 e 1813 c.c. e dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per omessa o illogica motivazione – Error in procedendo in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 – Carenza di motivazione per illogica valutazione delle deposizioni testimoniali in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5”, poiche’, con riguardo all’esistenza e all’erogazione del prestito, la sentenza impugnata non avrebbe preso nella dovuta considerazione le deposizioni testimoniali e non avrebbe dato conto dei motivi di diritto su cui era basata la decisione di rigetto della domanda proposta dall’odierno ricorrente.
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
2.1. – Il motivo e’ infondato.
2.2. – Orbene, quello di cui all’articolo 1813 c.c. va annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne sono oggetto; pertanto la prova della materiale consegna, nel senso della messa a disposizione del denaro o delle altre cose mutuate in favore del mutuatario, costituisce condizione dell’azione il cui onere (ex articolo 2697 c.c.) ricade necessariamente sulla parte che la res oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione.
Ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo, avente natura reale ed efficacia obbligatoria, l’uscita del denaro dal patrimonio del mutuante, e l’acquisizione dello stesso al patrimonio del mutuatario, costituisce effettiva erogazione dei fondi, anche se parte delle somme sia versata dalla banca su un deposito cauzionale infruttifero, destinato ad essere svincolato in conseguenza dell’adempimento degli obblighi e delle condizioni contrattuali (Cass. n. 25632 del 2017). Potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell’accipiens, della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, ad opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l’onere della prova. Ne consegue che l’attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo e’ tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l’avvenuta consegna della somma, ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione (Cass. n. 30944 del 2018).
2.3. – In tema di prova testimoniale, i testimoni de relato actoris sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, cosi’ che la rilevanza del loro assunto e’ sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell’accertamento, fondamento storico della pretesa; i testimoni de relato in genere, invece, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur attenuata perche’ indiretta, e’ idonea ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilita’ (Cass. n. 569 del 2015; Cass. n. 18488 del 2015).
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
La confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e puo’, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Cass. n. 11898 del 2018). La stessa valenza probatoria e’ riconosciuta dall’articolo 2735 c.c., comma 1, seconda parte, alle dichiarazioni confessorie stragiudiziali fatte al terzo, le quali non hanno efficacia di piena prova, ma possono concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del giudice (Cass. n. 24468 del 2018).
2.4. – E’, d’altro verso, consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare (come nella specie la Corte ha fatto) le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui e’ insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).
Ed e’ altresi’ pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimita’ e’ configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non gia’ quando vi sia difformita’ rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).
3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, “In relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. con riferimento agli articoli 1813, 2697 e 2735 c.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
3.1. – Il motivo e’ inammissibile.
3.2. – La’ dove la Corte territoriale ometteva di considerare sia il fatto che la (OMISSIS) avesse riferito ai testi del prestito per cui e’ causa ottenuto dal (OMISSIS), sia che la (OMISSIS) aveva confessato ai testi (OMISSIS) e (OMISSIS) di essere a conoscenza del prestito, riconoscendo il suo obbligo di restituzione della relativa somma. Tali fatti (ammissione della (OMISSIS) e confessione della (OMISSIS)), da ritenere rilevanti in causa, non erano presi in considerazione dal Giudice d’appello, nonostante fossero stati oggetto di discussione tra le parti.
3.3. – Va posto, poi, in rilievo che costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
A seguito della riforma del 2012 e’ scomparso pertanto, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, rimanendo il controllo circa la esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e la coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
Detto controllo concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014).
Mutuo la restituzione somme e l’onere della prova
3.4. – Nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente (nella specie) avrebbe dunque dovuto anche specificamente e contestualmente indicare con precisione, oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ idonea e spcifica indicazione.
4. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione dell’articolo 116 c.p.c. con riferimento all’articolo 2729 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il Giudice d’Appello non avrebbe considerato quei fatti presuntivi caratterizzati dai requisiti di gravita’, precisione e concordanza, da cui sarebbe stato possibile dedurre la fondatezza della domanda del ricorrente.
4.1. – Il motivo non e’ fondato.
4.2. – Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
Quando nel ricorso per cassazione viene denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il vulnus deve essere dedotto, a pena d’inammissibilita’, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 15177 del 2002; Cass. n. 1317 del 2004; Cass. n. 635 del 2015). Le Sezioni Unite (Cass., sez. un., n. 23745 del 2020) hanno ritenuto che l’onere di specificita’ dei motivi, di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente, a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare (con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni) la norma violata o i punti della sentenza che vi si pongono in contrasto.
Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto configurati (come nella specie) per mezzo della sola indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni concrete adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).
5. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresi’ la dichiarazione ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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