Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 2 maggio 2016, n. 1668
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7032 del 2013, proposto da:
Si. Sc., rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Lu., Ro. Co. e Gi. Pi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Co. in Roma, viale (…);
contro
Università degli Studi di Pavia, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Milano: Sezione IV, n. 1137 del 2013, resa tra le parti, concernente procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ricercatore universitario a tempo indeterminato;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Pavia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 novembre 2015 il Cons. Maddalena Filippi e uditi per le parti l’avvocato Co. e l’avvocato dello Stato D’A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia la dottoressa Si. Sc. ha impugnato l’atto – in data 24 aprile 2012 – con cui il Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Pavia ha disposto l’annullamento in via di autotutela della delibera assunta dal Consiglio di Amministrazione medesimo nell’ottobre del 2010 concernente l’autorizzazione alla stipula di una convenzione tra l’Ateneo pavese e l’associazione Hu. Fo. Onlus.
Tale convenzione aveva ad oggetto il finanziamento – per un periodo di sette anni – del trattamento economico e degli oneri riflessi complessivamente derivanti dall’istituzione di un posto di ricercatore universitario a tempo indeterminato presso la facoltà di Medicina e Chirurgia, nel settore scientifico disciplinare MED/19 (Chirurgia plastica).
Con il provvedimento impugnato si disponeva inoltre l’annullamento – sempre ai sensi dell’articolo 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 – degli atti della procedura di valutazione comparativa successivamente indetta dall’Università per la copertura di tale posto di ricercatore.
L’annullamento in via di autotutela è motivato – sulla scorta del parere reso dalla Commissione di Garanzia (costituita ai sensi dell’art. 18 del codice etico dell’Università) – con riferimento ad una situazione di conflitto di interessi riguardante sia l’autorizzazione alla stipula della convenzione, sia gli atti della successiva procedura comparativa.
Nella motivazione del provvedimento impugnato si rappresentava in particolare che gli atti oggetto di annullamento erano stati adottati con la partecipazione dei professori Da. Sc. e An. Fa. – genitori della candidata che poi sarebbe risultata vincitrice – nonché del dott. Gi. Ni., ricercatore in servizio presso la facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università medesima e marito della ricorrente. Si evidenziavano inoltre le specifiche cariche che ricoprivano i genitori della ricorrente: il professor Sc. risultava componente del Consiglio di amministrazione dell’Ateneo e consigliere di Hu. Fo. Onlus, associazione di cui risultava essere presidente la madre della ricorrente.
2. – Con sentenza n. 1137 del 3 maggio 2013 il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso ritenendo che la situazione di conflitto di interessi descritta nel provvedimento impugnato emerga “inequivocabilmente” e sul rilievo che – in violazione dei canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione della pubblica amministrazione – i genitori e il marito della persona che sarebbe risultata unica partecipante e vincitrice della procedura concorsuale hanno concorso all’adozione sia della decisione di stipulare la convenzione per il finanziamento del posto di ricercatore, sia delle determinazioni concernenti l’indizione della procedura e la nomina di un componente della commissione esaminatrice.
3. – Avverso questa sentenza la ricorrente ha proposto appello lamentandone l’erroneità per violazione e falsa applicazione degli articoli 21 octies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, dell’articolo 78 del testo unico degli impiegati civili e dell’articolo 97 della Costituzione, nonché per carenza di motivazione e contraddittorietà.
4. L’appellata Università degli Studi di Pavia si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza del 10 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. – Il ricorso è in parte fondato.
5.a – E’ fondata in particolare la censura con cui si lamenta l’erroneità e la contraddittorietà della sentenza per aver ritenuto sussistente una situazione di conflitto di interessi anche con riguardo alla deliberazione – assunta dal Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Pavia in data 26 ottobre 2010 – concernente l’autorizzazione alla stipulazione della convenzione con Hu. Fo. Onlus per il finanziamento esterno di un posto di ricercatore universitario a tempo indeterminato presso la facoltà di Medicina e Chirurgia, nel settore scientifico disciplinare MED/19 (Chirurgia plastica), secondo quanto deliberato pochi giorni prima (il 12 ottobre 2010) dal Consiglio di tale Facoltà.
Va infatti rilevato che, all’epoca in cui è stata adottata la deliberazione oggetto di autotutela – non essendo ancora stato bandito il concorso da ricercatore – non era configurabile una correlazione immediata e diretta tra il contenuto della delibera e gli specifici interessi dei congiunti della ricorrente (come anticipato, il padre, professore associato di Chirurgia plastica, era componente del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo e consigliere di Hu. Fo. Onlus; la madre, professore ordinario di Chirurgia plastica, era presidente di Hu. Fo. Onlus; il marito era ricercatore presso la facoltà di Medicina e chirurgia della medesima Università).
Prima dell’indizione del bando di concorso (pubblicato il 23 novembre 2010) e prima della domanda di partecipazione alla procedura selettiva da parte della ricorrente (presentata il 21 dicembre 2010), tali rapporti di parentela non potevano assumere concreta rilevanza, non essendosi ancora configurata alcuna situazione di effettivo conflitto di interessi. Come osserva la ricorrente, l’atto che sancisce l’interesse personale alla procedura de qua è successivo alla data (26 ottobre 2010) di adozione della deliberazione che autorizzava il Rettore alla sottoscrizione della Convenzione con l’associazione Hu. Fo. Onlus.
Con riferimento alla parte del provvedimento impugnato con cui si dispone l’annullamento in autotutela di tale deliberazione del Consiglio di Amministrazione la sentenza appellata va quindi riformata.
5.b – Una correlazione immediata e diretta con gli specifici interessi dei congiunti della ricorrente è invece ravvisabile con riguardo agli atti della procedura di valutazione comparativa ed in particolare alla delibera 22 febbraio 2011 che – ratificando il decreto del Preside di Facoltà in data 30 dicembre 2010 – ha nominato un componente della commissione esaminatrice.
A quell’epoca infatti la ricorrente aveva già presentato domanda – consegnata il giorno 21 dicembre 2010 – di partecipazione alla selezione.
Sul punto la sentenza impugnata va confermata.
Non è infatti condivisibile la censura secondo cui il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto che le disposizioni richiamate a fondamento dell’impugnato annullamento in autotutela sono norme deontologiche, in quanto tali inidonee a configurare una violazione di legge.
Ad escludere la fondatezza della censura basta il rilievo che, come giustamente evidenziato dal giudice di primo grado, il “dovere da parte degli amministratori pubblici e dei componenti degli organi collegiali di astenersi dal partecipare alle deliberazioni in presenza di un personale conflitto di interessi discende, innanzitutto, dai principi di ordine costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), oltre che dalle norme ricomprese nei numerosi codici etici dei quali si sono dotate le pubbliche amministrazioni. E ciò anche nelle situazioni in cui la deliberazione sia in concreto quella più utile per il perseguimento del pubblico interesse”.
5.c – Né ha pregio il profilo della censura con cui la ricorrente – rilevando che la motivazione del provvedimento impugnato non richiama in modo esplicito l’articolo 97 della Costituzione – sostiene che il riferimento contenuto nella sentenza a tale norma superprimaria costituirebbe un’inammissibile integrazione postuma effettuata in sede di giudizio.
E’ infatti da rilevare che l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi – in quanto finalizzato ad assicurare la serenità della scelta amministrativa discrezionale – costituisce regola di carattere generale che non ammette deroghe ed eccezioni e ricorre, quindi, ogni qualvolta sussiste una correlazione diretta ed immediata fra la posizione del singolo componente dell’organo collegiale e l’oggetto della deliberazione, pur quando la votazione non potrebbe avere altro apprezzabile esito e quand’anche la scelta – come osservato dalla sentenza impugnata – fosse in concreto la più utile e la più opportuna per lo stesso interesse pubblico (Consiglio Stato, sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2826).
Sicché correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di annullamento d’ufficio con richiamo alla disciplina dettata dai codici etici in attuazione dei principi di legalità, imparzialità e trasparenza che, ai sensi del richiamato articolo 97, devono caratterizzare l’azione amministrativa.
5.d – E’ invece inconferente il profilo della censura con cui si lamenta l’erroneo richiamo – contenuto nella sentenza impugnata – all’obbligo di astensione previsto dall’articolo 78, comma 2, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (approvato con decreto legislativo 8 agosto 2000, n. 267) che, sostiene la ricorrente, non potrebbe essere invocato attesa la non riconducibilità della specie nell’ambito soggettivo di applicazione di tale disposizione.
Sul punto è sufficiente la considerazione che il richiamo alla norma contenuta nel Testo unico degli enti locali ha valore evidentemente solo rafforzativo del principio generale, di rilevanza costituzionale, assunto a fondamento dell’iniziativa in autotutela.
5.e – E’ infondato altresì il motivo con cui la ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che la partecipazione alla seduta in cui è stata adottata la deliberazione del 24 aprile 2012 del Prof. Rigano, Prorettore per gli Affari Giuridici, abbia comportato l’illegittimità di tale atto.
Sostiene in particolare la ricorrente che, come si evince dal verbale di tale seduta, il Prof. Rigano non si è limitato ad illustrare il parere dallo stesso predisposto, ma ha partecipato “in modo attivo” alla successiva fase della discussione, esprimendo le proprie valutazioni in ordine all’argomento oggetto di trattazione, con conseguente illegittimo condizionamento delle valutazioni dei membri del Consiglio di Amministrazione, in violazione della disciplina statutaria che indica tassativamente i soggetti legittimati a prendere parte alle sedute del Consiglio di Amministrazione.
Le argomentazioni con cui il giudice di primo grado ha ritenuto infondato il motivo – contrariamente a quanto sostiene la ricorrente – sono tutt’altro che apodittiche e superficiali: la sentenza infatti – dopo aver rilevato che “l’art. 130 del Regolamento Generale d’Ateneo, vigente al momento dell’adozione della delibera, prevedeva la possibilità da parte del Presidente del CdA di invitare persone estranee all’organo collegiale al fine di illustrare e fornire chiarimenti per gli argomenti trattati nel corso delle sedute” – evidenzia che “nel pieno rispetto delle disposizioni vigenti, come risulta dalla documentazione versata in atti il Prof. Rigano si è limitato ad illustrare, nella sua qualità di Prorettore agli Affari Giuridici, sia le motivazioni giuridiche che quelle che rendevano opportuna l’esplicazione della potestà di autotutela da parte dell’amministrazione, ma non ha partecipato alla votazione, restando, dunque, totalmente estraneo alla fase deliberativa dell’organo collegiale”.
Ciò che rileva è appunto la totale estraneità del Prof. Rigano alla fase deliberativa, a nulla rilevando la circostanza che nell’ambito dell’illustrazione e dei chiarimenti forniti il Prorettore abbia espresso il proprio parere in ordine alla opportunità dell’intervento in autotutela.
5.f – La sentenza impugnata va confermata, infine, anche con riguardo alla censura che lamenta l’illegittimità dell’annullamento d’ufficio per la mancata considerazione dell’affidamento ingenerato nella ricorrente e per la violazione del termine ragionevole cui è sottoposta l’azione in autotutela.
Quanto al primo profilo – considerato che all’epoca in cui il Consiglio di Amministrazione ha annullato la procedura di valutazione comparativa la ricorrente, pur vincitrice, non aveva ancora preso servizio – deve ritenersi tutt’altro che illogica, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, la decisione di considerare prevalente l’interesse pubblico all’annullamento di atti illegittimamente adottati.
Quanto invece alla dedotta violazione del termine ragionevole prescritto dall’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990, va condiviso quanto affermato dal giudice di primo grado in ordine alla elasticità del parametro stabilito dalla richiamata disposizione, il cui apprezzamento va condotto alla stregua delle caratteristiche che connotano la fattispecie: tenuto conto che oggetto della procedura selettiva è un posto di ricercatore universitario a tempo indeterminato, il periodo intercorso tra l’indizione della procedura e il suo annullamento (inferiore a 180 giorni) non può ritenersi irragionevole.
6. – L’appello va dunque accolto in parte, e per l’effetto – in riforma della sentenza appellata – l’atto 24 aprile 2012, impugnato in primo grado, va annullato nella parte in cui dispone l’annullamento in via di autotutela della delibera assunta dal Consiglio di Amministrazione il 26 ottobre 2010.
Per il resto l’appello va respinto.
Sussistono i presupposti previsti dalla legge per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla l’atto 24 aprile 2012 nella parte in cui dispone l’annullamento in via di autotutela della delibera in data 26 ottobre 2010.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere
Maddalena Filippi – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 02 maggio 2016.
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