Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22191.
L’irreperibilità del testamento olografo, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo, mediante la produzione di una copia informale, è equiparabile alla sua distruzione e, pertanto, ingenera una presunzione di revoca dello stesso, non scalfita dal mancato disconoscimento della conformità all’originale – rilevante solo una volta che sia superata la detta presunzione -, rispetto alla quale grava su chi vi ha interesse l’onere di provare che esso “fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore” oppure che costui “non ebbe intenzione di revocarlo”. Tale prova, salvo che la scomparsa sia dovuta a chi agisce per la ricostruzione del testamento medesimo, può essere data con ogni mezzo, dimostrando l’esistenza dell’olografo al momento della morte ovvero che esso, seppur scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o, comunque, senza alcun concorso della volontà del testatore ovvero, ancora, che la distruzione del testamento da parte di costui non era accompagnata dall’intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute.
Ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22191
Data udienza 1 luglio 2020
Tag/parola chiave: Successioni – Testamento – Irreperibilità – Presunzione di distruzione – Prova per testimoni – Ammissibilità – Condizioni – Esistenza delle disposizioni testamentarie – Onere della prova
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25645/2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio della Dott.ssa (OMISSIS), rappresentati e difesi, in virtu’ di mandato in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa, in virtu’ di mandato in calce al controricorso, dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS);
– controricorrente –
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 556/2016 della Corte d’appello di Cagliari, depositata il 18/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Cagliari accoglieva la domanda proposta da (OMISSIS) contro gli eredi legittimi di (OMISSIS) (il coniuge (OMISSIS) e il figlio (OMISSIS)), riconoscendo che il de cuius, deceduto il (OMISSIS), aveva disposto in favore di essa attrice, gia’ legata sentimentalmente a (OMISSIS) dal (OMISSIS), con disposizioni contenute in un testamento olografo, del quale l’attrice aveva rinvenuto solamente una copia. La copia del testamento, debitamente pubblicata con verbale notarile, in parte, riproduceva in fotocopia le disposizioni testamentarie olografe con le relative data ((OMISSIS)) e sottoscrizione; per altra parte, conteneva frasi olografe, siglate e sottoscritte (“la presente fotocopia firmata in originale e’ copia dell’originale nella disponibilita’ di (OMISSIS)” (…) “destinataria (OMISSIS)”), oltre a un codicillo, preceduto dalla data 20 dicembre 2002, con cui il testatore revocava una delle disposizioni testamentarie.
Impugnata la sentenza dalla (OMISSIS), la Corte d’appello di Cagliari rigettava la domanda, proseguita dagli eredi della (OMISSIS), nel frattempo deceduta, (OMISSIS) e (OMISSIS). La corte di merito riconosceva che la irreperibilita’ del documento originale rendeva operante la presunzione di revoca stabilita dall’articolo 684 c.p.c., presunzione che, nella specie, non era stata superata.
Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso. (OMISSIS) e’ rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In principio del ricorso i ricorrenti riportano la sintesi dei motivi, che di seguito si trascrive:
“1) violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 684 c.c., anche in relazione agli articoli 2712, 2719, 2727 c.c., si censura la decisione della Corte d’appello di Cagliari che ha ritenuto che al testamento in questione pubblicato per i rogiti del notaio Dottor (OMISSIS) il 30 luglio 2004, rappresentato da un foglio contenente parte delle disposizioni testamentarie olografe riprodotte in fotocopia e parte in olografo originale, stante il mancato rinvenimento del documento contenente la parte originale dei prodotti in fotocopia dovesse applicarsi la presunzione di revoca ex articolo 684”.
2) “Violazione di legge e/o falsa interpretazione delle norme che regolano la utilizzabilita’ e la validita’ di una riproduzione fotostatica di una scrittura privata diventata irreperibile anche in relazione all’articolo 684 c.c. e all’articolo 12 preleggi, perche’ la sentenza impugnata ha ritenuto che l’unica possibilita’ di utilizzare il documento, rappresentato dal testamento olografo pubblicato il 30 luglio 2004 per i rogiti del notaio Dottor (OMISSIS), fosse subordinata alla prova dell’esistenza della scheda, riprodotta fotostaticamente nell’anzidetto testamento, al momento del decesso del testatore”.
3) Violazione di legge e/o falsa interpretazione delle norme che regolano gli oneri probatori nel processo anche in relazione all’articolo 684 c.c., per avere ritenuto che, nel caso di specie, l’unica possibilita’ di fornire una prova contraria alla presunzione di revoca contenuta nell’articolo 684 c.c., fosse quella di dimostrare che il documento originale, contenente le disposizioni testamentarie riprodotte nel documento pubblicato dal notaio, fosse ancora esistente al momento del decesso del de cuius”.
2. Prima di esaminare i motivi di ricorso e’ opportuno identificare le ragioni che avevano indotto il primo giudice ad accogliere la domanda e il giudice d’appello a riformare la decisione.
Il tribunale ha riconosciuto che:
a) il documento pubblicato dal notaio, in considerazione delle sue caratteristiche, fosse assimilabile all’originale;
b) l’esistenza di un doppio originale, con la distruzione di uno solo di essi, poneva la fattispecie fuori dall’ambito di operativita’ dell’articolo 684 c.c. e non consentiva di applicare la relativa presunzione (Cass. n. 27395/2009);
c) la scomparsa del testamento olografo non consente di presumerne la distruzione e quindi la revoca;
d) in ogni caso, nella specie, la presunzione di revoca era stata superata, grazie alla prova della persistenza della volonta’ del testatore nei termini che risultavano dalla copia, utilizzabile ai fini della ricostruzione del testamento in quanto non disconosciuta.
3. La corte d’appello ha riformato la decisione sulla base dei seguenti rilievi: a) la fotocopia del testamento, tale riconosciuta dal medesimo testatore, non e’ equiparabile all’originale; b) secondo la giurisprudenza di legittimita’ il mancato reperimento del testamento giustifica la presunzione che il de cuius lo abbia revocato, distruggendolo; c) il mancato disconoscimento della conformita’ della copia potrebbe consentire la sua utilizzazione, ai fini della prova della esistenza del testamento e del suo contenuto, solo dopo che sia stata data la prova che il testamento ancora esisteva al momento dell’apertura della successione; d) tale prova nella specie non e’ stata fornita, non essendo idonei a questo fine i capitoli di prova per testimoni richiesti dall’attrice.
In relazione a tali ragioni del decidere si ritiene di dover precisare che non ha costituito oggetto di censura l’affermazione della corte d’appello, secondo cui il documento pubblicato dal notaio non aveva natura di originale. In verita’, nel primo motivo, si sostiene che con l’intervento olografo nella scheda “il testatore avrebbe “manifestato la volonta’ di redigere due originali con il preciso scopo di assicurare che la propria volonta’ fosse contenuta in due documenti di pari valore” (pag. 11 del ricorso). Si tratta tuttavia di un passaggio argomentativo, inteso a suffragare ulteriormente l’inverosimiglianza di una volonta’ di revoca del testatore, tant’e’ che, nel seguito del ricorso, si riconosce che “fintanto che il ragionamento seguito dalla Corte d’appello verte sulla natura di originale o meno del documento trattando di accertamento di fatto sarebbe comunque escluso dalle attenzioni di questo il giudice” (pag. 14 del ricorso).
In effetti, i motivi di ricorso sono intesi a sostenere che la presunzione di revoca non opera in presenza del testamento scomparso. Si sostiene essere necessario, perche’ scattino le presunzioni dell’articolo 684 c.c., che chi afferma la revoca provi il fatto che il testamento sia andato distrutto, sia stato cancellato o lacerato dal testatore. Qualora tale prova non sia fornita, chi afferma la esistenza del testamento e’ libero di provare, con ogni mezzo, la sua esistenza e il suo contenuto. Tale prova nella specie derivava dalla copia non disconosciuta dell’olografo, tenuto conto della particolarita’ dei modi di formazione del documento. La corte d’appello avrebbe poi dovuto ammettere la prova testimoniale, intesa a dimostrare che il testatore non aveva volonta’ di revocare, per cui la presunzione, qualora in ipotesi operante, poteva essere superata grazia a tale prova.
4. I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perche’ connessi, sono infondati.
E’ pacifico che l’articolo 684 c.c., pone due presunzioni: l’una si riferisce all’imputabilita’ della distruzione al testatore, l’altra alla concomitanza, in questa distruzione, che si presume imputabile al testatore, dell’intenzione di revocare.
La dottrina riconosce il carattere relativo di ambedue le presunzioni stabilite dalla norma. Si ammette cosi’ la prova – da parte di chi vi abbia interesse – che la distruzione, lacerazione o cancellazione non fu opera del testatore, ma di un terzo ovvero che fu opera del testatore, ma senza volonta’ di revoca. Si fa l’esempio del testatore, il quale abbia volontariamente distrutto il testamento non per revocarlo, ma perche’ aveva intenzione di farlo identico, migliorandone lo stile.
Secondo una diversa tesi avrebbe carattere relativo solo la prima delle due presunzioni previste dall’articolo 684 c.c., mentre la distruzione ad opera del testatore darebbe luogo a una presunzione iuris et de iure di volonta’ di revoca. In base a questa opinione l’espressione legislativa, sulla prova della mancanza dell’intenzione di revocare, dovrebbe essere intesa come mancanza dell'”intenzione di distruggere lacerare o cancellare” il documento. Una volta accertata l’intenzione di distruggere non si potrebbe assumere di provare che il testatore non aveva con cio’ l’intenzione di revocare, in quanto l’articolo 684 c.c., ricollega alla distruzione volontaria del documento per opera del testatore una presunzione assoluta di revoca.
La giurisprudenza sembra orientata nello stesso senso della dottrina prevalente: la volonta’ di distruggere non implica necessariamente volonta’ di revoca, ammettendosi pertanto la prova che la distruzione del testamento olografo ad opera del testatore non era accompagnata dalla intenzione di revocare le disposizioni testamentarie ivi contenute (in questo senso, oltre a Cass. n. 12090/1995, Cass. n. 918/2010).
5. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 3286/1975) il mancato reperimento del testamento olografo giustifica la presunzione che il testatore l’abbia distrutto. “Il fatto che una scheda testamentaria, di cui si affermi o si provi, l’esistenza in un periodo precedente alla morte del de cuius, sia divenuta irreperibile pone in essere una presunzione di revoca, nel senso che possa essere stato lo stesso testatore a distruggerla a fini di revoca. Proprio per vincere tale presunzione, occorre che colui che mira a ricostruire mediante prove testimoniali, ai sensi dell’articolo 2724 c.c., n. 3, articolo 2725 c.c., il testamento che asserisce smarrito distrutto (non ad opera dello stesso testatore) fornisca la prova della esistenza del testamento stesso al momento dell’apertura della successione. Solo in tal modo si puo’ infatti raggiungere l’assoluta certezza del fatto che non sia stato lo stesso de cuius a distruggere la scheda e cosi’ a revocare il testamento”. Ai fini di tale prova puo’ ricorrersi, secondo la Suprema Corte, anche alle presunzioni semplici (conf. 17237/2011).
Nello stesso tempo la giurisprudenza di legittimita’ chiarisce che: a) l’ammissibilita’ della prova per testimoni, diretta alla ricostruzione dell’olografo, deve coordinarsi con il disposto dell’articolo 2724 c.c., n. 3, articolo 2725 c.c.: la prova e’ da considerare inammissibile in caso di dolo o colpa dell’erede che possedeva la scheda (Cass. n. 952/1967; n. 918/2010); b) la ammissibilita’ della prova che la scomparsa del testamento non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione “presuppone in ogni caso il positivo esperimento della prova contraria alla presunzione di avvenuta revoca della disposizione testamentaria” (Cass. n. 918/1910); c) laddove esista copia informe dal testamento, l’eventuale mancanza di un espresso disconoscimento della conformita’ all’originale della prodotta fotocopia, di per se’, e’ irrilevante ai fini del superamento della presunzione di revoca; d) infatti, il mancato disconoscimento potrebbe venire in considerazione solo dopo che sia stata superata la presunzione di revoca, “essendo evidente che detta conformita’ non sarebbe valsa ad escludere la possibilita’ che il testamento dopo essere fotocopiato fosse stato revocato mediante distruzione dallo stesso testatore” (Cass. n. 12098/1995; conf. Cass. n. 3636/2004).
6. E’ stato obiettato che Cass. n. 3286/1975, nel decidere la controversia nella specie l’attore aveva prodotto una minuta informe asserendo che il de cuius aveva manifestato l’intenzione di disporre in quel senso e chiedendo cosi’ di provare l’esistenza dell’originale redatto in conformita’ di quella minuta originale di cui si assumeva lo smarrimento – non si e’ limitata ad affermare l’esigenza che fosse offerta la prova che la minuta era stata riprodotta in una vera e propria scheda ad opera del testatore, ma ha ritenuto altresi’ indispensabile la prova che detta scheda esistesse alla morte del testatore e non soltanto in un momento anteriore.
Cio’ non si concilierebbe con l’articolo 684 c.c., che prevede la possibilita’ di vincere la presunzione di revoca dimostrando o che il testamento venne distrutto da persona diversa dal testatore ovvero, in alternativa, che il testatore non ebbe intenzione di revocarlo. A maggior ragione la tesi accolta da Cass. n. 3286/1975 non sarebbe compatibile con la interpretazione corrente dell’articolo 684 c.c., in base alla quale deve ammettersi la possibilita’ di dimostrare, persino nell’ipotesi di distruzione dell’olografo avvenuta ad opera dello stesso testatore, che questi non aveva intenzione di revocare. Quand’anche fosse sicuro che il testamento non esisteva al momento della morte del testatore, si potrebbe pur sempre dimostrare che il testamento, anche prima della morte del de cuius, era andato smarrito per fatto di terzi o per evento accidentale o comunque all’insaputa del testatore.
Cass. n. 12098 del 1995, nel riaffermare il principio che il mancato rinvenimento della scheda, ossia la sua irreperibilita’, basta a legittimare la presunzione, posta dall’articolo 684 c.c., che il de cuius lo abbia revocato, distruggendolo, sembra introdurre una significativa precisazione in ordine alla prova idonea a vincere la presunzione. Secondo la pronuncia in esame “occorre provare o che la scheda testamentaria, ovviamente quella originale, esisteva ancora al momento dell’apertura della successione e che, quindi, la sua irreperibilita’ non puo’ farsi risalire in alcun modo al testatore, oppure che quest’ultimo, benche’ autore materiale della distruzione, non era animato da volonta’ di revoca”.
L’esame della giurisprudenza della Corte consente di riconoscere che, nel caso di irreperibilita’ del testamento di cui si provi l’esistenza in un momento precedente alla morte del de cuius, la prova contraria alla presunzione di revoca non passa esclusivamente attraverso la prova che il testamento ancora esisteva al tempo della morte del testatore. E’ chiaro che, una prova siffatta, laddove fornita, consentirebbe di raggiungere la certezza assoluta del fatto che non sia stato lo stesso testatore a distruggere la scheda, come riconosce Cass. 3286 del 1975; da cio’, pero’, non si puo’ trarre argomento per negare che, a vincere la presunzione di revoca, non possa servire anche la prova che “la irreperibilita’ della scheda non puo’ farsi risalire in alcun modo al testatore”, secondo la precisazione di Cass. n. 12098 del 1995.
In verita’, in tale pronuncia, l’espressione della non riconducibilita’ della mancanza della scheda al testatore sembra concepita quale conseguenza della prova della esistenza della scheda al tempo della morte, ma per questa parte la pronuncia non puo’ essere presa alla lettera. Non si puo’ negare che l’ipotesi dello smarrimento non riconducibile al testatore comprenda, in linea di principio, anche l’ipotesi del testamento distrutto da un terzo o andato smarrito per un evento accidentale prima dell’apertura della successione.
Cass. 12098 del 1995 ammette inoltre senza mezzi termini, in alternativa alla prova della sparizione non riconducibile al testatore, la prova che il testatore “benche’ autore materiale della distruzione, non era animato da volonta’ di revoca”.
7. L’esame della giurisprudenza della Corte consente di enucleare i seguenti principi.
A) La irreperibilita’ del testamento, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, e’ equiparabile alla distruzione, per cui incombe su chi vi ha interesse l’onere di provare che esso “fu distrutto lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore” oppure che costui “non ebbe intenzione di revocarlo”.
A tale orientamento, pur nella consapevolezza di autorevoli opinioni diverse (riecheggiate dal ricorrente), in base alle quali non esiste una presunzione nel senso che il testamento, di cui consti la confezione, ma che attualmente non si puo’ ritrovare, sia distrutto, occorre dare continuita’.
B) La prova contraria puo’ essere data, anche per presunzioni, non solo attraverso la prova della esistenza del testamento al momento della morte (cio’ che darebbe la certezza che il testamento non e’ stato revocato dal testatore), ma anche provando che il testamento, seppure scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o comunque senza alcun concorso della volonta’ del testatore stesso.
C) E’ ammessa anche la prova che la distruzione dell’olografo da parte del testatore non era accompagnata dalla intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute.
D) In presenza di una copia informale dell’olografo il mancato disconoscimento della conformita’ all’originale diventa rilevante solo una volta che sia stata superata la presunzione di revoca.
E) Ferma la prioritaria esigenza che sia stata data la prova contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento le norme dell’articolo 2724 c.c., n. 3 e articolo 2725 c.c., sui contratti. E’ quindi ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull’esistenza del testamento, purche’ beninteso la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento.
8. La sentenza impugnata e’ in linea con tali principi, non solo con riguardo alla equiparazione della irreperibilita’ del testamento alla sua distruzione, ma anche in rapporto all’onere della prova a carico di chi intenda provare l’esistenza delle disposizioni testamentarie. La corte d’appello ha riconosciuto che la copia forniva la prova della esistenza dell’olografo e del suo contenuto nel momento in cui essa e’ stata formata, aggiungendo,. non potersi desumere da cio’ il persistere della volonta’ del testatore fino al decesso, avvenuto il (OMISSIS), essendo la copia del 20 dicembre 2002.
Si tratta di una valutazione di fatto, logicamente coerente, incensurabile in questa sede. D’altronde non risulta che i ricorrenti avessero dedotto nei gradi di merito che il testatore si fosse trovato nella impossibilita’ di distruggere la scheda nel periodo compreso fra la formazione della copia e la morte.
La corte d’appello, seppure indichi la prova occorrente in quella di esistenza del testamento al tempo della morte, non esclude la possibile idoneita’ anche della prova intesa a dimostrare l’eventualita’ dello smarrimento del testamento “non riferibile al testatore o comunque non intenzionale se riferibile a questi” (pag. 13 della sentenza impugnata).
9. A un attento esame, la questione sul contenuto della prova contraria alla presunzione di revoca, nella specie, ha molto meno importanza di quella che emerge dalla lettura del ricorso.
I capitoli di prova, giustamente non ammessi della corte, non miravano a fornire la prova di un fatto tale da far apparire la scomparsa quale conseguenza del fatto del terzo o di un evento fortuito, ne’ di un fatto non compatibile con la distruzione operata dal testatore nel periodo compreso fra la confezione della copia e la morte.
Occorre poi tenere conto di quanto si legge a pag. 15 della sentenza: “Peraltro la prova dell’esistenza dell’originale del testamento al momento del decesso nel caso concreto deve essere particolarmente rigorosa perche’ dalla fotocopia di esso risulta che l’originale secondo le intenzioni del de cuius era stato messo nella disponibilita’ di (OMISSIS), che al riguardo si e’ limitata ad affermare genericamente di non averlo reperito al momento del decesso del testatore. La circostanza, desumibile da tale affermazione, che ella non aveva avuto la disponibilita’ del testamento contrasta con la allegata sussistenza della volonta’ del (OMISSIS) fino al momento della morte di non revocare le disposizioni testamentarie in favore della (OMISSIS). Il mettere l’originale nella disponibilita’ della beneficiaria era infatti chiaramente finalizzato a garantire la conservazione dell’atto fino al suo decesso perche’ le sue volonta’ trovassero certa esecuzione. La sua mancata attuazione non puo’ che essere considerato indicativo di un mutamento della volonta’ del de cuius (…)”.
La considerazione della corte di merito ispira una ulteriore riflessione, che rende ancora piu’ evanescente e generica la prova contraria alla revoca che si voleva dare attraverso i testimoni.
Delle due, infatti, l’una: o il testamento, in conformita’ alla dichiarazione del testatore, era nel possesso della (OMISSIS), e allora, giusti i principi sopra richiamati, la prova del contenuto del testamento implicava non solo che fosse superata la presunzione (cio’ che la corte d’appello ha negato), ma implicava inoltre che la (OMISSIS) provasse che la perdita non era a lei imputabile; oppure, diversamente da quanto dichiarato dal testatore, costui non aveva attuato il proposito di dare l’originale della scheda alla (OMISSIS), e allora la prova contraria alla presunzione, imposta alla (OMISSIS), doveva farsi carico di dare ragione di tale circostanza, nella quale la corte di merito, con apprezzamento incensurabile in questa sede, ha ravvisato un elemento di fatto coerente con la presunzione di revoca e quindi, per definizione ostativo a ritenerla superata in considerazione delle circostanza indicate nei capitoli di prova per testimoni.
10. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Spese compensate in ragione della (relativa) novita’ della questione.
Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto”.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio di legittimita’; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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