L’immobile costruito abusivamente va demolito anche quando costituisce l’abitazione di una anziana in precarie condizioni economiche

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 20 agosto 2019, n. 36257.

Massima estrapolata:

L’immobile costruito abusivamente va demolito, anche quando costituisce l’abitazione di una anziana in precarie condizioni economiche.

Sentenza 20 agosto 2019, n. 36257

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 25/01/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARCELLA ALESSIO;
lette le conclusioni del PG, Dott. PERELLI Simone, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 25.01.2019, il tribunale di Napoli rigettava la richiesta di revoca/sospensione dell’ordine di demolizione di cui all’ingiunzione della Procura della Repubblica n. 389/2000 RESA, avanzata nell’interesse della (OMISSIS) avente ad oggetto le opere edilizie oggetto della sentenza irrevocabile pronunciata dal tribunale di Napoli, sez. dist. Afragola, in data 25.02.2000, irr. 21.04.2000.
2. Contro la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’articolo 613 c.p.p., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, vizio di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine demolitorio per incompatibilita’ con il diritto all’abitazione tutelato dall’articolo 2 Cost..
In sintesi, si duole la difesa della ricorrente per non aver il giudice motivato circa la compatibilita’ dell’ordine di demolizione con il diritto all’abitazione dell’istante, difetterebbe qualsiasi valutazione circa la proporzionalita’ della sanzione rispetto alla situazione abitativa della ricorrente, affermando il giudice apoditticamente la preminenza dell’interesse pubblico volto a ristabilire l’ordine giuridico. Si tratterebbe di una formula vuota, dovendosi considerare che la costruzione oggetto dell’ordine di demolizione, produce una lesione di modestissimo valore, ancor piu’ se bilanciata con il bene giuridico costituzionalmente tutelato quale il diritto all’abitazione. Il diniego dell’istanza di revoca, dunque, deve fondarsi sul bilanciamento tra la lesione apportata realmente dall’abuso edilizio alla tutela urbanistico-ambientale, valutata sulla base delle caratteristiche dell’area ove sorge il manufatto, e delle caratteristiche dell’immobile abusivo, e la lesione che l’abbattimento provocherebbe al diritto all’abitazione, attese le condizioni personali dell’ingiunto. Tale bilanciamento, sostiene la difesa della ricorrente, sarebbe del tutto mancato nella motivazione del provvedimento impugnato, in cui non si tiene assolutamente conto delle caratteristiche dell’immobile ne’ delle effettive condizioni di vita della ricorrente. Si osserva che l’immobile costituirebbe l’unica abitazione usufruibile dalla ricorrente, quasi novantenne, ed usufruttuaria dell’immobile, dal momento che la stessa non dispone patrimonialmente di ulteriori beni immobili e che le sue condizioni economiche precarie non le consentirebbero di accedere al mercato degli affitti, percependo una pensione di invalidita’ civile di poco piu’ di 613 Euro. A cio’ andrebbe aggiunta la minima lesione al bene giuridico tutelato dall’abuso edilizio, trattandosi di manufatto insistente su una porzione preesistente e completamente lecita in quanto oggetto di apposito p.d.c. in sanatoria rilasciata nel luglio 2015, in zona priva di vincoli paesaggistici o limiti di edificabilita’, interessata da diversi manufatti perfettamente integri e del tutto simili per dimensioni e caratteristiche a quello oggetto dell’orine demolitorio; detto riscontro sarebbe quindi mancato, limitandosi il g.e. a suggerire di risolvere il problema abitativo mediante il ricorso ai servizi sociali, offrendo dunque una soluzione che eviterebbe certamente la lesione del diritto all’abitazione, ma che, tenuto conto dell’impossibilita’ di ottenere un alloggio sostitutivo in tempo utile, tenuto conto dei meccanismi di welfare della Regione Campania, appare per essere una frase vuota, utilizzata al solo fine di fornire un appiglio motivazionale apparente al diniego dell’istanza di revoca. Non rileva, infine, il richiamo all’articolo 54 c.p., ed all’esclusione della scriminante dello stato di necessita’. Detta scriminante sarebbe inapplicabile al caso di specie, in quanto la stessa si ritiene applicabile sicuramente in fase di cognizione, ma non certo in fase di esecuzione dell’ordine demolitorio, fase in cui invece appare sussistere un pericolo imminente ed inevitabile per l’interesse privato di matrice costituzionale insito nel diritto all’abitazione. Tale fase ha ad oggetto l’immobile gia’ costruito ed abitato, la cui demolizione realizzata in termini brevi, ove concorrano difficolta’ economiche o di salute, e’ in grado di arrecare un danno grave alle condizioni di vita del soggetto che ne e’ destinatario, non evitabile mediante ricorso ai servizi sociali.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorieta’ sub specie del travisamento degli atti per omissione, in ordine al rigetto dell’istanza di sospensione dell’ordine di demolizione.
In sintesi, la difesa della ricorrente sostiene che il g.e. avrebbe motivato il rigetto valorizzando il diniego della richiesta di rilascio del p.d.c. in sanatoria proposta nel gennaio 2018 al comune, richiesta rigettata per motivi formali e non di merito e sulla base dell’improcedibilita’ dell’istanza di accertamento del pregiudizio statico delle parti legittime dell’edificio ex articolo 34, TU Edilizia, ed avverso alla quale pende ricorso al TAR. Sarebbe stata invece omessa qualsiasi valutazione e/o motivazione in ordine alla richiesta di p.d.c. in sanatoria depositata al comune in data 19.11.2018 con prot. 25277 dai comproprietari dell’immobile, allo stato ancora pendente dinanzi all’ufficio urbanistica del Comune nonostante una copia di tale richiesta sia stata regolarmente depositata all’udienza 30.11.2018. L’ordine demolitorio avrebbe dunque dovuto essere sospeso risultando pendente un procedimento dinanzi alla PA finalizzato al rilascio di un condono o di una sanatoria edilizia.
3. Il P.G. presso questa Corte, Dott. Perelli Simone, con requisitoria scritta del 9.05.2019, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per genericita’ e manifesta infondatezza. Generico perche’ contesta in fatto la motivazione dell’ordinanza senza confrontarsi con essa. Manifestamente infondato perche’ non risulta che le opere edilizie siano state regolarizzate mediante un valido p.d.c. in sanatoria ne’ che le stesse siano passibili di regolarizzazione all’esito del procedimento amministrativo instaurato ad hoc. Diversamente, si osserva, il g.e. ha dato conto delle ragioni giuridiche ostative, in base alla normativa applicabile, al rilascio della sanatoria. La ricorrente, tuttavia, anziche’ confrontarsi con le argomentazioni del g.e., si limita ad appuntare le sue doglianze sulla asserita prevalenza del diritto all’abitazione rispetto all’interesse pubblico al cui soddisfacimento e’ finalizzato l’ordine demolitorio, richiamando giurisprudenza di questa Corte (Cass. 41269/2018). A cio’ va aggiunto, argomenta il PG, che l’ordinanza impugnata motivi puntualmente le ragioni per le quali l’ordine di demolizione non puo’ esser e sospeso o revocato, conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte richiamata nella requisitoria (Cass. 47402/2014; Cass. 55028/2018). In definitiva, dunque, nessuno dei vizi motivazionali dedotti risulta rilevabile nel caso di specie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza.
5. E’ anzitutto affetto da genericita’ per aspecificita’, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella ordinanza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nel motivo di impugnazione (che, vengono, per cosi’ dire “replicate” in questa sede di legittimita’ senza alcun apprezzabile elementi di novita’ critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita’. Ed invero, e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
6. Lo stesso e’ inoltre da ritenersi manifestamente infondato, atteso che il g.e. ha, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, spiegato le ragioni per le quali ha disatteso le identiche doglianze difensive esposte nei motivi di impugnazione.
Ed invero, va premesso che la (OMISSIS) e’ stata condannata con sentenza irrevocabile per aver realizzato un immobile al primo piano di superficie di 130 mq. in sopraelevazione di un preesistente immobile, in assenza di concessione edilizia, di autorizzazione sismica nonche’ in violazione della normativa afferente le costruzioni di c.a. e in violazione dei sigilli. Tanto premesso, il g.e., dopo aver richiamato i principi generali fissati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di revoca/sospensione dell’ordine di demolizione, nelle pagg. 3 e ss. dell’ordinanza, indica puntualmente e ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza alternativa di revoca/demolizione del manufatto. Anzitutto, rileva che nella nota del responsabile del settore urbanistica del Comune di Caivano e dai relativi allegati risulta che per il piano sottostante l’immobile in questione e’ stata rilasciata concessione edilizia in sanatoria nel luglio 2015, mentre, per l’abuso edilizio in questione, e per cui pende l’ordine demolitorio, era stato chiesto nel gennaio 2018 il rilascio di p.d.c. in sanatoria, istanza tuttavia respinta dal Comune con provvedimento 8.03.2018; da quanto emerge da tale provvedimento, in particolare, le ragioni del diniego non sono solo di carattere formale, ma anche di carattere sostanziale. Si legge infatti nel provvedimento impugnato che il diniego e’ stata motivato in quanto cio’ che e’ rappresentato nella documentazione grafica relativamente alla parte assentita con p.d.c. del luglio 2015 e’ difforme dal progetto in sanatoria, che la richiesta e’ carente dei diritti di istruttoria, ma che soprattutto, aspetto dirimente ed assorbente, nella zona non sono ammessi incrementi di superficie e di volumetria utile, e che l’incremento volumetrico risulterebbe equivalente a quello oggetto della precedente pratica di condono, dunque superiore ai limiti previsti ai sensi della Legge Regionale n. 1 del 2011, e che, infine, risulta carente l’indicazione dell’opera di realizzazione; cio’ avrebbe quindi giustificato l’archiviazione della pratica con esito negativo. Si legge, poi, nel provvedimento impugnato, che e’ stata parimenti respinta l’improcedibilita’ la richiesta di marzo 2018 afferente l’accertamento di pregiudizio statico alle parti conformi dell’ordine di demolizione emesso dall’autorita’ amministrativa ex articolo 31, TU Edilizia, sul rilievo dell’inapplicabilita’ nella specie dell’articolo 34 TU Edilizia, trattandosi di opere realizzate in assenza di p.d.c., dandosi peraltro atto nella nota del ricorso proposto dinanzi al TAR avverso l’ordinanza di demolizione emessa dal responsabile del settore urbanistica. Dalla copia del ricorso informalmente prodotta dal difensore, si legge nell’ordinanza, risulta che l’atto e’ stato impugnato con richiesta di annullamento dell’ordinanza di demolizione per violazione dell’articolo 34, TU Edilizia.
7. Orbene, alla stregua di tali elementi emersi in fase istruttoria, il g.e. ha motivato il diniego sia della revoca che della sospensione dell’ordine demolitorio, evidenziando l’assenza dell’adozione da parte dell’autorita’ amministrativa di provvedimenti incompatibili con l’esecuzione dell’ordine demolitorio disposto con la predetta sentenza irrevocabile, precisando che la richiesta di sanatoria e’ stata oggetto di diniego da parte dell’autorita’ amministrativa con provvedimento che non risulta impugnato. Non vi e’ quindi spazio, puntualizza correttamente il g.e., per alcuna revoca/sospensione, afferendo peraltro il ricorso al TAR l’ordine demolitorio emesso dal responsabile del settore urbanistica e quindi profili irrilevanti in questa sede avente ad oggetto l’ordine demolitorio disposto con la sentenza, connotato da piena autonomia da quello emesso in sede amministrativa. Per quanto, poi, concerne l’asserita prevalenza del diritto all’abitazione rispetto all’interesse pubblico all’esecuzione dell’ordine di demolizione, in relazione al quale la difesa fa leva sullo stato personale della (OMISSIS), il g.e. rileva che nessuna violazione del diritto all’abitazione puo’ integrarsi nel caso in ingiunzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivamente realizzato, essendo preminente l’interesse pubblico volto a ristabilire l’ordine giuridico violato con tale realizzazione. Ne’, infine, aggiunge il g.e., puo’ invocarsi uno stato di necessita’ ex articolo 54 c.p., in relazione alle condizioni di salute della ricorrente ed alle precarie condizioni economiche della stessa, richiamando giurisprudenza di questa Corte circa l’inapplicabilita’ della predetta scriminante all’attivita’ edilizia abusiva, aggiungendo che comunque, anche nell’impossibilito’ economica di sostenere un canone di locazione in quanto percettrice di una pensione di invalidita’, la stessa potrebbe far ricorso ai servizi sociali al fine di risolvere il problema abitativo.
8. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze della ricorrente appaiono del tutto prive di pregio, in quanto si risolvono non solo in censure puramente contestative ed in fatto, ma tradiscono in realta’ il “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimita’, attingendo la ordinanza impugnata e tacciandola per asseriti vizi motivazionali con cui, in realta’, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimita’ operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
9. Ed invero, quanto al primo motivo, corretta e’ la risposta fornita dal giudice dell’esecuzione non essendo giuridicamente apprezzabile un’assiomatica prevalenza del diritto costituzionale all’abitazione (rectius, a mantenere in essere un immobile abissatemene eseguito in cui si abbia la propria abitazione) sull’interesse pubblico a ristabilire l’ordine giuridico violato, attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione, ordine peraltro previsto da una legge dello Stato, essendo dunque gia’ stato operato il bilanciamento tra il diritto all’abitazione quale proiezione del diritto costituzionalmente garantito alla proprieta’ ex articolo 42 Cost. e l’interesse pubblico connesso al ripristino dello status quo ante attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione previsto dall’articolo 31, comma 9, T.u. Edilizia. Del resto, si osserva, non puo’ trascurarsi che e’ la stessa norma costituzionale dell’articolo 42 a stabilire che la proprieta’ privata e’ si’ riconosciuta e garantita dalla legge, ma che spetta pur sempre a quest’ultima determinare i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Orbene, osserva il Collegio, deve essere ricordato come, nel nostro ordinamento, l’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, ma assolve ad una funzione ripristinatoria del bene tutelato. Il fondamento della previsione non e’ quella di sanzionare ulteriormente l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima rimuovendo la lesione del territorio cosi’ verificatasi e ripristinando quell’equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti hanno voluto stabilire. Deve essere dunque ribadito che in tema di reati edilizi, non sussiste un diritto assoluto all’inviolabilita’ del domicilio, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (Cass. pen., Sez. 3, 6 maggio 2016, n. 18949). Sul punto, le doglianze della ricorrente sono del tutto prive di pregio, atteso che non e’ ravvisabile alcuna violazione del diritto all’abitazione nel caso di ingiunzione a demolire un immobile abusivamente realizzato, posto che il diritto del cittadino a disporre di un’abitazione non puo’ prevalere sull’interesse della collettivita’ alla tutela del paesaggio e dell’ambiente ed al corretto uso del territorio, trattandosi di una posizione giuridica soggettiva individuale destinata a cedere rispetto all’interesse pubblico alla demolizione dell’immobile abusivo.
10. Ne’, del resto, rilevano le considerazioni espresse in ricorso quanto alla indisponibilita’ economica della ricorrente, trattandosi di mere deduzioni fattuali prive di rilievo in sede di legittimita’. A cio’ va aggiunto, poi, che, in altra piu’ recente decisione di questa Corte, si e’ affermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta nemmeno con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’articolo 8 CEDU (norma convenzionale che garantisce una tutela concorrente), posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perche’ casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettivita’ a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (Cass. pen., Sez. 3, 4 giugno 2018, n. 24882). Le considerazioni espresse nel primo motivo dunque sono inammissibili.
11. Allo stesso modo, del tutto privo di pregio e’ il secondo motivo, con cui si denuncia un asserito vizio motivazionale sotto il profilo del travisamento per omissione in quanto il g.e. non avrebbe preso in esame l’ulteriore istanza di sanatoria edilizia depositata a ridosso dell’udienza camerale e non ancora esaminata dall’autorita’ amministrativa. Sul punto, il silenzio dell’ordinanza non inficia il provvedimento impugnato, attesa l’inammissibilita’ del rilievo. Ed invero, e’ lo stesso g.e. a dare atto che la precedente istanza di sanatoria era stata rigettata non solo per motivi formali ma anche sostanziali, assumendo assorbente rilievo, a giudizio della Corte, la circostanza che il diniego venne espresso dal Comune in quanto nella zona non sono ammessi incrementi di superficie e di volumetria utile, e che l’incremento volumetrico risulterebbe equivalente a quello oggetto della precedente pratica di condono, dunque superiore ai limiti previsti ai sensi della Legge Regionale n. 1 del 2011.
Orbene, alla luce del predetto rilievo, di ordine sostanziale, del tutto irrilevante si appalesava, nell’ottica del g.e., l’attesa del provvedimento amministrativo seguente alla nuova istanza di sanatoria depositata nel novembre 2018, atteso lo scontato esito della stessa alla luce della motivazione del precedente rigetto, considerato il superamento del limite volumetrico rispetto ai limiti dettati dalla legge regionale della Campania. Del resto, e’ la stessa giurisprudenza di questa Corte ad aver affermato reiteratamente che, in tema di reati edilizi, il giudice dell’esecuzione investito della richiesta di revoca o di sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, e’ tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che puo’ determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (tra le tante: Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014 – dep. 17/11/2014, Russo, Rv. 261212). Ed e’ evidente che, nel caso in esame, l’esito negativo della prima istanza motivato da ragioni anche di carattere sostanziale, unitamente alla mancanza di elementi idonei a lasciar presumere una rapida definizione della procedura, giustificavano il rigetto dell’incidente di esecuzione. Quanto, infine, alla mera pendenza di un ricorso al TAR, la stessa non e’ sufficiente per disporre la sospensione dell’ordine demolitorio, come ormai piu’ volte ribadito da questa Corte che ha affermato sul punto che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza irrevocabile, non puo’ essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio (Sez. 3, n. 35201 del 03/05/2016 – dep. 22/08/2016, Citarella e altro, Rv. 268032).
12. Conclusivamente, trova pertanto applicazione il principio per cui in tema di impugnazioni e’ inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado (o, come nel caso di specie, contro il provvedimento emesso dal g.e.), che non abbia preso in considerazione un motivo di appello (o di impugnazione, come nel caso di specie), che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (da ultimo: Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014 – dep. 11/03/2015, Bianchetti, Rv. 263157).
13. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle Ammende.

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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