Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 18 settembre 2020, n. 26225.
L’illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare – nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo – una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia.
Sentenza 18 settembre 2020, n. 26225
Data udienza 15 settembre 2020
Tag – parola chiave: Pena – Illecita occupazione di un immobile – Scriminante dello stato di necessità – Presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
Dott. PACILLI G. A. – rel. Consigliere
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 5443/2019 della Corte d’Appello di Milano;
Visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
Udita nella pubblica udienza del 15.9.2020 la relazione fatta dal Consigliere PACILLI Giuseppina Anna Rosaria;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di ROMANO Giulio, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilita’ dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 luglio 2019 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa l’8 gennaio 2018 dal Tribunale della stessa citta’, con cui – per cio’ che rileva in questa sede – (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui agli articoli 633 e 639 bis c.p..
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorsi per cassazione il difensore degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi:
1) vizio della motivazione, per avere la Corte territoriale dato risposta solo apparente allo specifico motivo di gravame relativo alla scriminante dello stato di necessita’, senza soffermarsi sulle deduzioni difensive e sulla valutazione concreta delle posizioni degli imputati;
2) vizio di motivazione, per non essere stato applicato l’articolo 131 bis c.p., con argomentazioni che escluderebbero in radice la configurabilita’ dell’esimente speciale nell’ipotesi del reato di cui agli articoli 633 e 639 bis c.p. e in contraddizione rispetto a quelle del giudice di primo grado, che aveva valorizzato le complete ammissioni degli imputati, le condizioni di marginalita’ sociale, le accertate difficolta’ economiche e la protrazione dell’occupazione per un tempo significativo.
All’odierna udienza pubblica e’ stata verificata la regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili, perche’ fondati su motivi privi di specificita’.
1.1 Riguardo alle censure concernenti il mancato riconoscimento della scriminante dello stato di necessita’, deve rilevarsi che la Corte distrettuale ha disatteso la relativa istanza, avendo ritenuto inesistente il pericolo di danno grave alla persona.
In tal modo il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimita’ (Sez. 2, n. 28067 del 26/3/2015, Rv. 264560), secondo cui l’illecita occupazione di un immobile e’ scriminata dallo stato di necessita’ solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare – nelle ipotesi di difficolta’ economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo – una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia.
Si e’ ritenuto, in particolare, che il dettato dell’articolo 54 c.p., che presuppone l’attualita’ del pericolo, richiede che, nel momento in cui l’agente agisce contra ius – al fine di evitare “un danno grave alla persona” – il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio. “Non puo’ infatti parlarsi di attualita’ del pericolo in tutte quelle situazioni non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicita’, essendo destinate a protrarsi nel tempo, quale appunto l’esigenza di una soluzione abitativa. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilita’ dello stato di necessita’, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell’attualita’ del pericolo con quello della permanenza, alterando cosi’ il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto” (Sez. 2, n. 19147 del 16.4.2013, Rv. 255412).
1.2 Riguardo al secondo motivo, deve evidenziarsi che la Corte d’appello non ha riconosciuto la causa di esclusione della punibilita’, considerate la violenza, con cui era avvenuto l’ingresso in casa, e “l’ammissione solo molto parziale dei fatti”, oltre alla protrazione a lungo del fatto.
Questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Rv. 266590) ha gia’ avuto modo di affermare che, ai fini della configurabilita’ della causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, prevista dall’articolo 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuita’ richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo.
Il Giudice, accertato il reato, deve motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravita’, l’entita’ del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
A tali coordinate ermeneutiche si e’ correttamente conformato il giudice d’appello.
2. La declaratoria di inammissibilita’ totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che i medesimi hanno proposto i ricorsi determinando la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entita’ di detta colpa – al versamento della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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