L’ordine di demolizione non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita dall’articolo 28 legge n. 689/1981

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 21 settembre 2020, n. 26334.

Essendo l’ordine di demolizione una sanzione amministrativa di natura ripristinatoria dell’assetto del territorio, che deve essere applicata, in quanto tale, a prescindere dalla sussistenza di un danno o dall’elemento psicologico del responsabile, non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita dall’articolo 28 legge n. 689/1981, in quanto applicabile alle sole sanzioni amministrative pecuniarie di natura punitiva. Né l’ordine demolitorio può estinguersi per il decorso del tempo ex art. 173 cod. pen. stante che tale disposizione si riferisce solo alle pene principali.

Sentenza 21 settembre 2020, n. 26334

Data udienza 15 luglio 2020

Tag – parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DEMOLIZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata in (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 26/03/2019 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Noviello;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. LEO Giovanni, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Napoli, adita con istanza diretta ad ottenere, nell’interesse di (OMISSIS), la dichiarazione di nullita’ o la revoca previa sospensione, dell’ingiunzione a demolire emessa il 21 marzo 2016 a seguito del passaggio in giudicato, in data 16 ottobre 2003, della sentenza del 7 maggio 2002 con cui la corte di appello di Napoli aveva condannato l’istante alla sanzione accessoria della demolizione dell’immobile abusivamente edificato e oggetto della medesima sentenza sopra indicata, rigettava l’istanza.
2. Avverso la pronuncia della Corte di appello sopra indicata, propone ricorso per cassazione (OMISSIS), mediante il proprio difensore, che solleva quattro motivi di impugnazione.
4. Con il primo motivo deduce il vizio conseguente all’omesso esame delle argomentazioni elaborate con memoria ex articolo 121 c.p.p., recante motivi integrativi dell’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione del 2 marzo 2016, riportati integralmente e individuati nella violazione del diritto alla inviolabilita’ del domicilio e nella sproporzione della sanzione, lesiva rispetto alla condizione della esecutata, oltre che nella violazione dell’articolo 6 paragrafo 1 della CEDU, con riguardo alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione a far data dalla sentenza di condanna del 7 luglio 2003, divenuta irrevocabile il 10 ottobre 2003. Deduce anche la carenza di motivazione in relazione alla natura dell’abuso, inteso come di necessita’, e la nullita’ ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 2.
5. Con il secondo motivo deduce il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al rigetto del motivo avente ad oggetto la violazione del divieto del bis in idem. Si osserva come, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte di appello, la ricorrente avrebbe dimostrato che il Comune di Procida ha disposto la demolizione delle opere e redatto verbale di non ottemperanza, cosicche’ la sanzione imposta dalla pubblica amministrazione avrebbe acquisito ormai carattere di definitivita’. Ed a fronte di cio’ vi sarebbe duplicazione del procedimento sanzionatorio in violazione dell’articolo 7 protocollo numero 7 della CEDU, che fa divieto di perseguire, giudicare e condannare due o piu’ volte una persona gia’ colpita dal procedimento sanzionatorio definitivo, a condizione che la seconda procedura sanzionatoria tragga origine da fatti identici o sostanzialmente identici rispetto a quelli che sono stati all’origine della prima condanna. Di tale quadro giuridico la corte d’appello non avrebbe tenuto conto, non considerando, tra l’altro, come in materia edilizia la sanzione comunale presenti caratteri tali da qualificarsi come di natura penale, essendo peraltro ancor piu’ grave di quella applicata dal giudice penale in quanto, accanto alla distruzione della opera abusiva prevede anche, in caso di mancanza di spontanea demolizione, l’acquisizione al patrimonio dell’ente sia dell’immobile che dell’area di sedime di pertinenza, accanto anche ad una sanzione pecuniaria, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, nuovo comma 4 bis. Da ultimo, si sottolinea come l’ordinanza impugnata non abbia adeguatamente preso posizione sulla effettiva duplicazione, non consentita, della misura applicata.
6. Con terzo motivo deduce i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al rigetto dei motivi riguardanti la violazione dell’articolo 173 c.p. e articolo 6 della Cedu. Si sottolinea come la sanzione demolitoria disposta dal giudice non sia stata ritenuta, erroneamente, estinta, siccome risalente all’epoca antecedente al quinquennio di cui all’articolo 173 c.p. In particolare, ribadendosi come alla luce della giurisprudenza della corte EDU l’ordine di demolizione di un abuso edilizio costituirebbe sanzione penale allorquando l’esecuzione avvenga a distanza di numerosi anni dall’accertamento del fatto e non vi sia prova per dimostrare che il richiedente abbia ostacolato in ogni fase il regolare svolgimento delle indagini, si osserva come l’autorita’ giudiziaria si sia astenuta per 17 anni dal prendere misure al fine di eseguire l’ordine di demolizione divenuto definitivo e, quindi, non vi sarebbe dubbio che le autorita’ italiane, in particolare l’autorita’ giudiziaria, abbiano privato di ogni utile effetto l’articolo 6 paragrafo 1 della Cedu secondo cui ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole.
7. Con il quarto motivo deduce i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in ordine al rigetto del motivo con cui e’ stata denunciata la violazione del protocollo del 10 dicembre 2015, che fissa criteri per individuare gli immobili da demolire, secondo un ordine di decrescente priorita’. In proposito, si osserva come sia non condivisibile la tesi per cui il citato protocollo sarebbe soltanto di tipo organizzativo, come tale privo di efficacia verso l’esterno e non vincolante. Si tratterebbe, al contrario, di un provvedimento con rilevanza esterna e vincolante per l’ufficio che lo ha adottato, alla luce anche di conformi considerazioni formulate dal procuratore della Repubblica nell’illustrare il protocollo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Inammissibile e’ il primo motivo.
1.1. Quanto alle censure sull’omessa valutazione delle argomentazioni elaborate con memoria ex articolo 121 c.p.p., recante motivi integrativi dell’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione del 2 marzo 2016, individuati nella violazione del diritto alla inviolabilita’ del domicilio e nella sproporzione della sanzione, lesiva rispetto alla condizione della esecutata, oltre che nella violazione dell’articolo 6, paragrafo 1 della CEDU con riguardo alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione a far data dalla sentenza di condanna del 7 luglio 2003, divenuta irrevocabile il 10 ottobre 2003, va osservato che in assenza di allegazione della memoria, con particolare riguardo alla individuazione anche della relativa data di deposito (funzionale alla verifica dell’onere di valutazione del giudice adito), trattasi di critiche prive del requisito della cd. autosufficienza, per cui e’ onere del ricorrente specificare le proprie doglianze fondate su atti processuali allegando o trascrivendo i medesimi.
1.2. In ogni caso, va osservato che quanto alla lamentata violazione del principio di proporzionalita’ in materia di diritti fondamentali, specie con riferimento ai diritti di liberta’ personale e reale, anche recentemente sottolineato dai Giudici di Strasburgo, questa Corte ha gia’ esaminato la portata della decisione citata dalla difesa e assunta dalla Corte Edu, nel caso Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria (sentenza, V Sezione, 21 aprile 2016, n. 46577). Va premesso che la Corte EDU nell’occasione citata ha affermato che l’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una societa’ democratica, e’ necessaria “alla difesa dell’ordine” e alla promozione del “benessere economico del paese”, ai sensi dell’articolo 8. Tuttavia, quanto alla interferenza di tale principio sul diritto all’abitazione, la stessa Corte EDU ha ritenuto che i rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione – anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile – dovrebbe in linea di principio disporre della possibilita’ che la valutazione della proporzionalita’ di tale misura (che comporta la perdita dell’abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente. E’ in tale quadro che i giudici di Strasburgo – nella considerazione, comunque, della legittimita’ “convenzionale” della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilita’ con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative secondo cui gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiche’ la stessa puo’ essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalita’ della misura con la situazione personale dell’interessato – hanno sottolineato come il giudice nazionale, con riferimento all’ordine di demolizione dell’abitazione, avesse dovuto, in quel caso, valutare e ponderare la difficile situazione personale dei ricorrenti e non limitarsi, piuttosto, ad un controllo meramente formale sulla illegalita’ o meno della costruzione, in quanto il rispetto del principio di proporzionalita’ impone che l’autorita’ giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione, ai sensi dell’articolo 8 Convenzione Edu (o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rilevava) e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi, in assenza di regolare titolo abilitativo. Sicche’ deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della liberta’ “reale” sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire (cfr. Sez. 3, non massimata n. 15141 del 2019 Sez. 3, Pignalosa; sez. 3 n. 27840 del 23/03/2016 Rv. 267055 – 01 Calvisi).
1.3. Alla luce di tale determinazione giurisprudenziale, il motivo dedotto appare generico, in quanto la ricorrente si e’ limitata a richiamare i predetti principi senza allegare le concrete ragioni e circostanze del caso di specie, che avrebbero dovuto fondatamente sostenere l’affermata violazione del citato rapporto di proporzionalita’. Ragioni che in ogni caso non possono coincidere con il mero interesse del singolo a permanere in una specifica abitazione, atteso, di contro, il principio per cui l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’articolo 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perche’ casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma, in concreto, il diritto della collettivita’ a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (cfr. Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018 Rv. 273368 – 01 Ferrante; sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016 Rv. 267024 – 01 Contadini).
1.4. Quanto alla censura in merito alla violazione dell’articolo 8 e articolo 6, §1 della Corte Edu, per tardivita’ dell’ordine di demolizione, quale sanzione di natura penale, che come tale non puo’ essere impedita, inficiata o ritardata in maniera eccessiva, richiamato il principio giurisprudenziale quanto alla inammissibilita’ della prospettazione di questioni giuridiche manifestamente infondate, va sottolineata l’insussistenza di alcun legittimo affidamento in capo alla ricorrente, consapevole della illecita realizzazione di un’opera abusiva; va altresi’ osservato che il citato ordine, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non ha natura penale, con tutte le relative implicazioni anche in termini di necessaria tempestivita’ o comunque non significativo ritardo della esecuzione: questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier) ha escluso invero la natura sanzionatoria dell’ordine di demolizione, sulla base di una un’articolata disamina della relativa disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Da essa si e’ evinto che la demolizione dell’abuso edilizio e’ stata disegnata dal Legislatore come un’attivita’ avente finalita’ ripristinatorie dell’originario assetto del territorio imposta all’autorita’ amministrativa, la quale deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall’articolo 27, comma 2 TUE o attraverso la procedura di ingiunzione. Si tratta, dunque, di sanzioni amministrative, che prescindono dalla sussistenza di un danno e dall’elemento psicologico del responsabile, in quanto applicabili anche in caso di violazioni incolpevoli; come tali sono rivolte non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto e sono generalmente trasmissibili nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilita’ del bene (cfr. anche. Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 2266 del 12/4/2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008. V. anche Cass. Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti, Rv. 245918). E’ stato in tal senso valorizzato anche il dato per cui, considerato il complesso delle disposizioni integranti la disciplina citata, i provvedimenti finalizzati alla demolizione dell’immobile abusivo adottati dall’autorita’ amministrativa risultano autonomi rispetto alle eventuali statuizioni del giudice penale e, piu’ in generale, alle vicende del processo penale. Sempre questa Corte, nella sentenza in principio citata e con specifico riferimento alla demolizione ordinata dal giudice penale ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, comma 9 ha osservato, in primo luogo, che la disposizione si pone in continuita’ normativa con il previgente L. n. 47 del 1985, articolo 7 (cfr. Sez. 3, n. 32211 del 29/5/2003, Di Bartolo, Rv. 225548) e costituisce atto dovuto del giudice penale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorita’ amministrativa, con il quale puo’ essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016 Rv. 268844 Fontana).
1.5. Sulla base di queste premesse ha concluso nel senso che l’ordine in parola integra una sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio ed ha carattere reale. E’ per tali ragioni che l’ordine di demolizione impartito dal giudice puo’ essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso, quando risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall’autorita’ amministrativa, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972; Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 (dep.2013), Oliva, Rv. 254426; Sez. 3, n. 25212 del 18/1/2012, Maffia, Rv. 253050 Sez. 3, n. 73 del 30/4/1992, Rizzo, Rv. 190604; Sez. 3, n. 3895 del 12/2/1990, Migno, Rv. 183768).
1.6. Tutte queste considerazioni dunque, incidono senza alcun dubbio, secondo questa Corte, sulla natura – di sanzione amministrativa – dell’ordine di demolizione impartito dal giudice, con ulteriori riflessi anche in tema di inefficacia dell’ordine medesimo per il decorso del tempo e quindi anche la seconda questione che la ricorrente sostiene di avere sollevata in memoria appare in ogni caso giuridicamente infondata e quindi inidonea a suscitare, come invece ritenuto dalla difesa, alcun vizio di motivazione. E’ noto infatti che il dedotto vizio di motivazione non e’ configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha piu’ volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) da’ luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non puo’ dar luogo ad alcun vizio di legittimita’ della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’articolo 619 c.p.p., comma 1 che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele).
Infine, la questione sulla natura dell’abuso come di “necessita’” appare inammissibile innanzitutto per il carattere assolutamente generico, trattandosi di una mera asserzione non supportata da lacuna altra allegazione.
2. Inammissibile e’ anche il secondo motivo, avendo la corte, con dovizia di richiami giurisprudenziali correttamente citati, evidenziato l’insussistenza della violazione del divieto di bis in idem sul rilievo, innanzitutto, della natura amministrativa dell’ordine di demolizione, ancorche’ adottato dall’autorita’ giudiziaria (cfr. Sez. 3, n. 51044 del 03/10/2018 Rv. 274128 – 01 M.).
3. Quanto al terzo motivo, nel solco delle argomentazioni gia’ illustrate esaminando il primo motivo di ricorso, la giurisprudenza di legittimita’, sempre con la sentenza sopra richiamata (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier) ha evidenziato, altresi’, che l’ordine impartito dal giudice non e’ soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dalla L. n. 689 del 1981, articolo 28 che riguarda le sanzioni pecuniarie con finalita’ punitiva (cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 Rv. 264736 Formisano; Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176) e, stante la sua predetta natura, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell’articolo 173 c.p. (cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano cit.; Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670), atteso che quest’ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali (Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573). La suesposta ricostruzione interpretativa e’ stata anche valutata in rapporto alle decisioni della Corte EDU in tema di definizione del concetto di “pena”, osservandosi che “..per tali sue caratteristiche la demolizione non puo’ ritenersi una “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non e’ soggetta alla prescrizione stabilita dall’articolo 173 c.p.” (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier cit; e ancora Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016 Rv. 267977 Porcu). Si tratta di principi pienamente condivisi dal Collegio, cui si intende dare continuita’, e che spiegano la chiara infondatezza di ogni doglianza che miri a dare rilievo, in termini di vizio, al profilo relativo al tempo in quanto tale, dell’esecuzione dell’ordine di demolizione.
4. Il quarto motivo, a fronte della rilevata genericita’, da parte della corte di appello, della doglianza sul punto proposta dal ricorrente, non si confronta con tale assunto, peccando di carenza di specificita’ estrinseca, con applicazione nel caso di specie del principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili “non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato” (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non puo’ trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Va inoltre condiviso il rilievo della corte di appello per cui, stante la natura dell’atto richiamato dal ricorrente, fonte meramente interna, non puo’ venire in rilievo alcuno dei vizi di legittimita’ contestati.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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