Licenziamento ed il pregiudizio al diritto di difesa

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 458.

Licenziamento per giusta causa ed il pregiudizio al diritto di difesa

Massima: In materia di licenziamento per giusta causa, il pregiudizio al diritto di difesa deve essere concreto e dedotto in termini specifici, non in via astratta. Inoltre, il principio di immediatezza della contestazione disciplinare va inteso in senso relativo, tenendo conto delle circostanze del caso, del tempo necessario per l’accertamento dei fatti e della complessità organizzativa dell’impresa.

Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 458. Licenziamento per giusta causa ed il pregiudizio al diritto di difesa

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Tag/parola chiave: Lavoro – Dirigente – Reati commessi in virtù della sua posizione – Contestazione disciplinare – Art. 7, L. n. 300/1970 – Mancata immediatezza della contestazione – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente
Dott. RIVERSO Roberto – Relatore-Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. PANARIELLO Francescopaolo – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 10721-2022 proposto da:

Gu.Pa., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EM.GI., presso lo studio dell’avvocato AL.MA., che lo rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

SI. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VI.PA., presso lo studio dell’avvocato GI.EM., che la rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale condizionata-

nonché contro

Gu.Pa.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

nonché contro

AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, in persona del legale rappresentante pro tempore, Ente subentrante per legge alla società SI. Spa, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DE.PO.;

controricorrente – ricorrente incidentale condizionata

avverso la sentenza n. 4727/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/01/2022 R.G.N. 3080/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.

Licenziamento per giusta causa ed il pregiudizio al diritto di difesa

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4910/2017, in parziale accoglimento del ricorso proposto da Gu.Pa., per quanto ancora di interesse ai fini del presente giudizio, quanto alle domande relative al recesso della società SI. Spa, ha respinto l’eccezione di decadenza di cui all’articolo 32 della legge n. 183/2010 in quanto non applicabile al licenziamento del dirigente; ha rigettato la domanda di Gu.Pa. diretta ad ottenere il pagamento della “indennità supplementare pari a 48 mensilità dell’ultima retribuzione” ai sensi della clausola di cui al punto 10 del contratto di assunzione, in accoglimento dell’eccezione di nullità sollevata dalla SI. Spa in via riconvenzionale, posto che la clausola prevedeva la corresponsione di tale indennità in ogni caso di risoluzione del rapporto ad iniziativa della società e ciò la rendeva nulla; ha rigettato la domanda riconvenzionale della SI. Spa di annullamento del contratto con particolare riferimento alla clausola di cui al punto 8 del contratto (relativa all’indennità di preavviso); ha ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento per violazione del principio di immediatezza della contestazione, per violazioni procedurali nel procedimento di contestazione disciplinare e per genericità di alcune contestazioni. Il Tribunale ha quindi condannato la SI. Spa al pagamento – con ogni conseguenza in ordine al ricalcolo del TFR – dell’indennità prevista al punto 8 del contratto individuale (indennità di preavviso) pari alla retribuzione che Gu.Pa. avrebbe percepito per il periodo di 48 mesi di preavviso; ha ritenuto il licenziamento assistito comunque dal requisito della c.d. giustificatezza perché la scelta di licenziare il Gu.Pa. fu una scelta razionale, motivata dalla situazione di contrasto ormai insanabile tra il dirigente ai vertici aziendali che non era oggettivamente più sostenibile. Di conseguenza ha rigettato la domanda del Gu.Pa. di pagamento dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento dirigenziale privo di giustificatezza.

2.- La sentenza del Tribunale è stata appellata dalla SI. Spa per ottenere l’integrale riforma e da Gu.Pa. con appello incidentale per ottenere l’indennità supplementare convenzionale di cui al punto 10 del contratto dichiarato nullo dal Tribunale, prevista in ogni caso di risoluzione del rapporto ad iniziativa della SI. Spa per 48 mensilità; nonché l’indennità supplementare prevista dal CCNL.

3.- La Corte d’Appello di Roma decidendo sui predetti gravami, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello incidentale di Gu.Pa. ed in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da SI. Spa, e in parziale riforma della sentenza appellata, confermata del resto, ha sostenuto l’esistenza della giusta causa di licenziamento ed ha rigettato la domanda proposta da Gu.Pa. per ottenere l’indennità sostitutiva del preavviso di cui al punto n. 8 del contratto di lavoro sottoscritto il 23/3/2006; ha condannato la SI. Spa al pagamento in favore di Gu.Pa. di Euro 11.779,96 a titolo di differenze retributive, oltre accessori ed ha compensato le spese del doppio grado.

4.- Per quanto ancora di interesse, la Corte d’Appello ha ribadito anzitutto che relativamente alla contestazione disciplinare concernente l’utilizzo delle carte di credito non sussistesse la dedotta violazione del principio di immediatezza considerata la vicenda nel complesso, la tipologia degli illeciti, la struttura aziendale e le modalità con le quali erano stati commessi i fatti.

5.- Inoltre, secondo la Corte d’Appello, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, non risultava violato il diritto di difesa nella procedura di contestazione dell’illecito disciplinare. Andava invero osservato che, a seguito della prima contestazione del 13/1/2014, il Gu.Pa. avesse fornito giustificazioni del tutto esaustive in ordine ai fatti addebitati. Solo alla fine egli chiedeva, al fine di chiarire definitivamente la sua posizione, di essere sentito personalmente con la presenza della rappresentante sindacale. In data 13/2/2014 SI. lo convocava per l’audizione per il 17/2/2014, data successiva alla scadenza del periodo di malattia già comunicato all’azienda ed egli il 14/2/2014 chiedeva rinvio persistendo lo stato di malattia. In data 28/2/2014 SI. lo convocava nuovamente per l’audizione personale per il 4 marzo ed il 3 il medesimo chiedeva rinvio persistendo la malattia. In data 28/3/2014 SI. convocava per il 2 aprile ed egli con nota dell’1 aprile chiedeva altro differimento.

6.- Vi era stata poi una seconda contestazione il 9/4/2014 “sempre per le spese con carta di credito aziendale”. Nella comunicazione del 14/4/2014 a firma del proprio legale, Gu.Pa. rappresentava di essere affetto da sindrome depressiva e risultava essere stato in malattia fino al licenziamento dell’aprile 2014.

Ha pure precisato la Corte, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che il lavoratore convocato per una certa data non ha diritto ad un differimento dell’incontro laddove si limiti ad addurre un’impossibilità di presenziare poiché l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile. Non esiste infatti il diritto incondizionato al differimento dell’incontro, dovendosi valutare le ricadute sul piano dell’esercizio concreto del diritto di difesa.

7.- Nessuna contestazione era stata addotta dal lavoratore quanto all’uso personale delle carte di credito aziendali, né sulla genericità della contestazione (invero specifica).

8.- Quanto alla prova dei fatti contestati, la Corte ha rinviato all’esauriente e motivata sentenza del gip di Roma n.1924/14 in atti che aveva accertato la condotta appropriativa per uso fraudolento della carta di credito aziendale da parte del Gu.Pa. per una somma di circa 40.000 Euro, a cui era conseguita la condanna del Gu.Pa. per il reato di peculato, in quanto incaricato di servizio pubblico.

9.- Considerata la gravità dei fatti di reato contestati, di natura appropriativa e commessi ai danni della società di cui Gu.Pa. era il vertice e di cui avrebbe dovuto realizzare gli interessi, nonché l’utilizzo di denaro pubblico, considerata altresì la posizione lavorativa del Gu.Pa. alla data del licenziamento (che rimaneva comunque in posizione dirigenziale presso la SI.), la Corte d’Appello ha ritenuto che non esistessero più i presupposti per la prosecuzione anche limitata del rapporto e che quindi fosse legittimo il licenziamento per giusta causa.

10. Quanto alla richiesta della c.d. indennità supplementare di cui al punto 10 del contratto individuale nel quale si prevedeva il pagamento di una indennità di 48 mensilità in ogni caso di risoluzione del contratto, la Corte d’Appello ha confermato la fondatezza della soluzione accolta dal Tribunale circa la nullità della clausola (posto che ad avviso della ricorrente l’indennità era dovuta anche nell’ipotesi di recesso per giusta causa).

11.- Sul punto peraltro la stessa Corte d’Appello ha in via preliminare considerato il motivo d’appello incidentale inammissibile in quanto contraddittorio, dato che nella sua prima parte, preso atto della motivazione del Tribunale, si sosteneva l’erronea interpretazione del contratto da parte del giudice e si affermava che la clausola del punto 10 sarebbe stata valida se interpretata nel senso di escludere l’ipotesi di recesso per giusta causa; mentre nella seconda parte del motivo di appello si sosteneva che inequivocabilmente l’indennità di cui alla clausola punto 10 sarebbe dovuta anche in caso di licenziamento per giusta causa come si evincerebbe dall’interpretazione complessiva del testo contrattuale.

12.- Ad abundantiam la Corte d’Appello ha poi rilevato altre due ragioni per le quali la clausola sarebbe stata comunque nulla. In primo luogo, perché la clausola non rendeva di fatto esercitabile, a causa dell’aggravio di costi, qualsiasi recesso da parte della società, se non al 65 anno di età del dirigente. Sicché, l’importo esorbitante dell’indennità teoricamente dovuta rendeva di fatto inattuabile il recesso della società.

13.- Con una seconda argomentazione la Corte d’Appello ha ritenuto che potesse anche prospettarsi una nullità per violazione di norme imperative relative all’ordine pubblico economico, posto che andava rilevato che il contratto di assunzione del lavoratore era stato stipulato in una situazione di conflitto di interessi: il Gu.Pa. era già dipendente di AGEA e per SI. Spa aveva firmato il suo presidente avvocato Bu. che era anche al contempo presidente della AGEA per cui i due soggetti erano allo stesso tempo controllanti e controllati.

14.- Inoltre era stato previsto un trattamento economico di irragionevole favore per il dirigente quantomeno per l’indennità dovute per la fine del rapporto che, secondo la sua prospettiva giudiziale sarebbero arrivate ad un massimo di 144 mensilità (12 anni): 48 mensilità di preavviso (punto 8), più altri 48 mesi (punto 10) da raddoppiare in caso di licenziamento della società prima del compimento del dirigente dei sessant’anni (cosa che è avvenuto nel caso in oggetto). In caso di licenziamento per giusta causa secondo il Gu.Pa. sarebbe dovuto solo un trattamento per 96 mensilità.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso Gu.Pa. con nove motivi di ricorso ai quali ha resistito SI. Spa con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato con un unico motivo, al quale ha resistito Gu.Pa. con controricorso. Prima dell’udienza SI. Spa ha depositato memoria finale ed AGEA, ente subentrante per legge alla società SI. Spa, ha depositato memoria di costituzione. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380-bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Licenziamento per giusta causa ed il pregiudizio al diritto di difesa

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso principale si deduce vizio “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 c.p.c. per aver la Corte di Appello motivato la correttezza procedurale del licenziamento esaminando, quanto alla mancata audizione disciplinare, il primo procedimento disciplinare ossia quello ritenuto irrilevante ai decisori; essa ha giudicato fondato nel merito il licenziamento per la sussistenza della giusta causa integrata dalle mancanze ascritte nel secondo procedimento disciplinare, ma aveva omesso di esaminare i lamentati vizi procedurali di quest’ultimo per pronunciarsi sulla correttezza del primo. Tanto integrava gli estremi di una vera e propria omessa o apparente motivazione.

2.- Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto storico, risultante dal testo della sentenza e dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che ha carattere decisivo, poiché se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. La Corte di Appello aveva omesso di esaminare il fatto – decisivo ai fini della declaratoria di illegittimità del licenziamento – che il ricorrente, sebbene lo avesse richiesto, non era mai stato convocato per l’audizione disciplinare.

3.- Con il terzo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 L. 300/70 vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ. n. 3), c.p.c. (omessa convocazione per audizione disciplinare) perché la Corte di Appello ha applicato alla fattispecie in esame opzioni interpretative del tutto inconferenti con essa, poiché disciplinanti l’ipotesi che mitigano il diritto del lavoratore ad essere convocato per l’audizione disciplinare.

4.- Con il quarto motivo si sostiene la violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n.4. in punto di omessa audizione.

5.- Con il quinto si deduce il vizio di “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile vizio di apparente motivazione, vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 per avere la Corte di Appello affermato che il ritardo nella formulazione di una contestazione disciplinare – ritardo di 10 mesi dalla piena contezza dei fatti (per come rilevato dalla Corte) – fosse giustificato dalla gravità degli addebiti, con ciò producendosi in un insostenibile sovvertimento della logica, in affermazioni inconciliabili; laddove è vero l’esatto contrario ossia che la gravità di un addebito impone di non procrastinare di quasi un anno la contestazione.

6. Con il sesto motivo si sostiene la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, perché la Corte ha posto alla base delle proprie decisioni delle circostanze neppure allegate da controparte, così incorrendo in violazione dell’art. 112 c.p.c. Per giustificare il ritardo di 10 mesi intercorso tra la qualificata contezza dei fatti e la contestazione afferma quanto segue: “da giugno 2013 il tempo residuo prima di procedere alla contestazione disciplinare è giustificato dalla delicatezza della vicenda (che coinvolgeva i vertici aziendali), dalla gravità degli addebiti e dalla necessità del subentrato Commissario Straordinario della SI. dr. To. (nomina del settembre 2013) di acquisire informazioni anche direttamente dal dirigente apicale, onde eventualmente scongiurare l’addebito disciplinare.

7.- Con il settimo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 L. 300/70, vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ. n. 3), c.p.c. in relazione all’immediatezza della contestazione violato dalla Corte di appello laddove ha giustificato il ritardo di 10 mesi dalla piena contezza dei fatti (per come rilevato dalla Corte) per la formulazione della contestazione per la gravità dei fatti, circostanza che – secondo buona fede e correttezza – imporrebbe di accelerare il procedimento e non di procrastinarlo. Il principio è altresì violato laddove la lettura in senso relativo che viene propugnata si riferisce alla contestazione e non già alla fase di accertamento ad esso prodromica.

8.- Con l’ottavo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 7-bis, del D.L. n. 101/2013 convertito in L. n. 125/13 e dell’art. 11 comma 10 D Lgs. n.175/16 “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” anche in relazione all’art. 11 delle Preleggi, perché la Corte di Appello di Roma ha rigettato la domanda contenuta nell’Appello incidentale a pagina 78 e qui trascritta: “condannare la SIN Spa, in persona del L.r.p.t., al pagamento in favore del sig. Gu.Pa. degli importi dovuti a titolo di indennità convenzionale prevista in ogni caso di risoluzione del rapporto ad iniziativa della SI. Spa e pari a 48 mensilità così come quantificate in premessa” ossia quella prevista al punto n. 10 del contratto di assunzione “in ogni caso di risoluzione ad iniziativa della SI.” e consistente “indennità supplementare pari a 48 mensilità dell’ultima retribuzione”.

9.- Con il nono motivo si deduce l’omesso esame di un fatto storico, risultante dal testo della sentenza e dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che ha carattere decisivo, poiché se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5; posto che la Corte Territoriale, a pagina 21 della sentenza, aveva affermato: “Va ricordato che il contratto di assunzione è stato stipulato in una situazione di conflitto di interessi: il Gu.Pa. era già dipendente di AGEA, e per SI. ha firmato il suo Presidente avv. Bu. che era anche al contempo Presidente dell’AGEA, per cui i due soggetti erano allo stesso tempo controllanti e controllati. Non risulta che vi sia mai stata una specifica autorizzazione di AGEA o di SI. alla stipula del contratto con quello specifico contenuto”.

Licenziamento per giusta causa ed il pregiudizio al diritto di difesa

10.- Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato si impugna la sentenza ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art.6 della legge n. 604/1960 e dell’art. 32 L. 183/2010 anche in relazione agli artt. 1 e 3 della legge n. 604/1966, all’art.2119 c.c. e all’art. 7 legge n. 300/1970 e all’art.111 Cost. per avere la Corte negato la decadenza dall’azione per mancato deposito del ricorso giudiziale entro 180 giorni dall’impugnativa del recesso.

11.- I primi quattro motivi, relativi alla correttezza procedurale del procedimento disciplinare, possono essere esaminati unitariamente per connessione logica e giuridica.

12.- I motivi sono inammissibili perché non si confrontano nè perciò censurano le varie rationes decidendi con le quali la Corte ha accertato la mancanza di qualsiasi violazione ai diritti difesa e la mancata deduzione di qualsivoglia pregiudizio in concreto, essendosi il ricorrente ampiamente ed esaustivamente difeso nel merito anche a mezzo di un legale.

13.- Si sostiene invece senza fondamento che la Corte abbia confuso la prima contestazione con la seconda ed avrebbe valutato nel merito, ai fini della risoluzione del rapporto, la seconda contestazione relativa all’utilizzo delle carte di credito; mentre, ai fini della correttezza procedurale di tale licenziamento, ha preso in considerazione le circostanze che si erano verificate relativamente alla prima contestazione quando il Golinelli era stato convocato.

In realtà anche nella prima contestazione era stato contestato l’illecito utilizzo delle carte di credito, come è ben presente nella sentenza della Corte che richiama gli addebiti relativi ai fatti in questione contenuto della prima e della seconda contestazione disciplinare “sempre per le spese con carta di credito aziendale”. Tanto che esclude qualsiasi fondatezza del primo motivo di ricorso.

14.- Il secondo motivo di ricorso è pure inammissibile perché involge la valutazione di un fatto che è stato in realtà valutato dalla Corte; essendo pacifico che in relazione alla prima contestazione, concernente l’utilizzo delle carte di credito, il ricorrente fosse stato convocato.

15.- Anche il terzo motivo involge una inammissibile valutazione del fatto relativo al pregiudizio alla difesa escluso dalla Corte. Non vi è stata inoltre alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato oggetto del quarto motivo dove la Corte ha rilevato la carenza di qualsiasi pregiudizio alla difesa dell’incolpato nel procedimento disciplinare ex art. 7 legge 300/1970, nel cui ambito il diritto audizione assume natura di profilo (non di eccezione in senso stretto) senza alcuna inosservanza del principio di cui all’art. 112 c.p.c.

16.- La Corte ha correttamente affermato in proposito che il pregiudizio al diritto alla difesa deve essere concreto ed occorre perciò che il pregiudizio determinato dal mancato rispetto dei termini a difesa sia dedotto in concreto e non in via astratta. Incombe sul dipendente che contesti la legittimità della sanzione l’onere di dimostrare di non aver potuto presenziare all’audizione a causa di una patologia così grave da risultare ostativa all’esercizio assoluto del diritto di difesa, dovendosi ritenere che altre malattie non precludono all’incolpato altre forme partecipative (Cass. n. 9313/2021). Nello specifico non è stato dedotto da parte del Gu.Pa. alcun pregiudizio derivante dal non essere stato ascoltato personalmente; egli si è difeso del tutto adeguatamente con le corpose memorie scritte, la SI. ha disposto diversi rinvii per consentire l’audizione orale, non risultava affatto che la patologia di cui soffriva fosse così grave da risultare ostativa all’esercizio assoluto del diritto di difesa anche mediante l’invio di ulteriori memorie esplicative o la delega difensiva ad un avvocato; tanto più quanto a quest’ultimo aspetto che l’interlocuzione con SI. nell’ambito del procedimento disciplinare era avvenuta anche per il tramite del suo difensore.

17.- Per il resto le censure sollevate nei predetti motivi di ricorso mirano al riesame della ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello non sindacabile in quanto riservata al giudice di merito e congruamente argomentata.

18.- I motivi quinto, sesto e settimo sono inammissibili perché non si confrontano con le varie rationes in materia di immediatezza della contestazione a cui la Corte dedica approfondite e coerenti spiegazioni, del tutto conformi ai principi reiteratamente affermati da questa Corte secondo cui l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 14726 del 27/05/2024). Esse si sottraggono pertanto a tutte le censure (di diritto, processuali e motivazionali) sollevate con i motivi in oggetto. La Corte d’Appello ha infatti osservato che relativamente alla contestazione disciplinare concernente l’utilizzo delle carte di credito non sussistesse la dedotta violazione del principio di immediatezza considerata la vicenda nel complesso, la tipologia degli illeciti, la struttura aziendale e le modalità con le quali erano stati commessi i fatti. Si trattava di illeciti commessi non da dipendenti qualsiasi ma dal direttore generale e dal presidente del CdA, cioè dagli organi vertici della Spa con la conseguenza che appariva del tutto verosimile che nessuno dei due avesse mai fatto in modo di fare emergere la condotta illecita; tanto che per l’accertamento della stessa era stato necessario un intervento della polizia giudiziaria. La Corte ha giustificato la propria tesi ricostruendo la complessità degli accadimenti richiamando il giudizio civile, penale e disciplinare nella loro sequenza temporale (da pag. 12 a pag. 15 della sentenza). Ha anche osservato la Corte che l’esigenza di tutela connessa al principio di immediatezza della contestazione doveva essere calata nella realtà dei fatti di causa, nella quale non si era in presenza di meri inadempimenti agli obblighi contrattuali ma di vertici aziendali che avevano compiuto reati in virtù della loro posizione; per cui rimaneva abbastanza inverosimile l’asserita difficoltà di difendersi per il tempo passato; tanto più che Gu.Pa. si era sempre difeso nel merito in ordine alla contestazione relativa alle carte di credito, non configurandosi affatto l’aspetto procedurale relativo al decorso del tempo. Ha rilevato che lo stesso processo civile, cui il Gu.Pa. riferiva la presunta discovery da parte della SI. Spa dell’uso fraudolento delle carte di credito aziendali, risaliva all’anno 2013 e la memoria SI. al mese di giugno del 2013; era pertanto evidente che solo nel corso del 2013 vi fosse stata una contezza qualificata dei fatti. Da giugno 2013 il tempo residuo prima di procedere alla contestazione disciplinare era giustificato dalla delicatezza della vicenda che coinvolgeva i vertici aziendali, dalla gravità degli addebiti e dalla necessità del subentrato commissario straordinario Dott. To. (nomina del settembre 2013), di acquisire informazioni anche direttamente dal dirigente dell’epoca onde eventualmente scongiurare l’addebito disciplinare.

19.- Alla stregua di tali coerenti affermazioni è pertanto insussistente il dedotto vizio di motivazione e non esiste alcuna violazione dell’articolo 112 c.p.c. nella parte in cui la sentenza ha escluso la violazione della tempestività della contestazione disciplinare e dell’art. 7 della legge n. 300/70.

20.- L’ottavo ed il nono motivo di ricorso concernono la nullità della clausola prevista al punto n. 10 del contratto di assunzione secondo cui “in ogni caso di risoluzione ad iniziativa della SI.” spettava al Gu.Pa. una “indennità supplementare pari a 48 mensilità dell’ultima retribuzione”.

21.- La Corte ha confermato il rigetto – già disposto dal Tribunale- della domanda di pagamento in favore del sig. Gu.Pa. degli importi dovuti a titolo di indennità convenzionale prevista in ogni caso di risoluzione del rapporto ad iniziativa della SI. Spa I due motivi di ricorso sono inammissibili perché non si confrontano con le varie rationes decidendi della sentenza non essendo stata ritualmente impugnata in cassazione; anzitutto l’autonoma ratio con cui la Corte di appello ha dichiarato inammissibile il motivo di appello sulla clausola n. 10 in quanto contraddittorio (dato che nella sua prima parte, preso atto della motivazione del Tribunale, si sosteneva l’erronea interpretazione del contratto da parte del giudice e si affermava che la clausola del punto 10 sarebbe stata valida se interpretata nel senso di escludere l’ipotesi di recesso per giusta causa; mentre nella seconda parte del motivo di appello si sosteneva che inequivocabilmente l’indennità di cui alla clausola punto 10 sarebbe dovuta anche in caso di licenziamento per giusta causa come si evincerebbe dall’interpretazione complessiva del testo contrattuale).

22.- I due motivi di ricorso mirano invece a ribaltare la decisione in relazione alla affermazione dell’invalidità della clausola n.10, riconosciuta dalla Corte in via principale ed anche ad abundantiam. Ma, come già detto, la Corte di appello prima di riconoscere l’invalidità della clausola nel merito ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale e tale autonoma statuizione processuale non è stata ritualmente censurata nel ricorso per Cassazione.

23.- Inoltre i medesimi motivi anche nel merito censurano la decisione solo relativamente alle ragioni di nullità individuate ad abundantiam dalla Corte di appello senza impugnare la statuizione con cui è stata confermata nel merito la fondatezza la nullità della clausola (posto che ad avviso della ricorrente l’indennità era dovuta anche nell’ipotesi di recesso per giusta causa).

I due motivi di ricorso denunciano infatti la violazione dell’art. 3 co. 7-bis D.L. 125/13 conv. in legge n. 101/2013 e 11, co. 10 D.Lgs. 175/2016, anche in relazione all’art. 11 preleggi, per illegittima applicazione retroattiva delle predette norme, pur essendovi l’autorizzazione di AGEA controllante SI. Spa, nonostante l’inesistenza del prospettato conflitto di interessi tra i due enti, avendo piuttosto una cointeressenza di natura istituzionale; ed inoltre deducono l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto discussione tra le parti, quale il conflitto di interessi tra i due enti suddetti, in realtà inesistente. Pertanto essi si dirigono contro un mero obiter dictum, ininfluente sul dispositivo della decisione, basato su varie rationes decidendi inconfutate (Cass. 30354/17; Cass. 7995/22).

Qualora la sentenza di merito impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione secondo l’iter logico-giuridico seguito sul punto in questione nella sentenza impugnata, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, di taluna (o anche di una soltanto) di tali ragioni determina l’inammissibilità del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulle “rationes decidendi” non censurate (o sulla “ratio decidendi” non censurata), con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe pur sempre fondata su di esse (tra le molte, v. Cass. 10420/05, cit.; 2273/05).

Licenziamento per giusta causa ed il pregiudizio al diritto di difesa

25.- Mentre le argomentazioni espresse ad abundantiam sono improduttive di effetti giuridici (Cass. n. 317/02) e non hanno lo scopo di sorreggere la decisione, già basate su altre decisive ragioni, non suscettibili, quindi, di censura in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8087/07; Cass. n. 10420/05).

26.- Sulla scorta di tali considerazioni il ricorso principale in oggetto deve essere nel suo complesso rigettato.

27.- Il ricorso incidentale condizionato rimane assorbito per il rigetto del ricorso principale.

28.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

29.- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R.115 del 2002 per il pagamento del raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente principale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 10.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte il ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1-bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 5 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2025.

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