Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 4 ottobre 2018, n. 44125.
La massima estrapolata:
Le relazioni del curatore sono prova documentale a prescindere dal loro contenuto.
Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’articolo 63 c.p.c., comma 2, che prevede l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese all’autorita’ giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attivita’ non e’ riconducibile alla previsione di cui all’articolo 220 disp. att. cod. proc. pen. che concerne le attivita’ ispettive e di vigilanza.
E’ utilizzabile, quale prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie rese con una missiva da un coimputato non comparso in dibattimento e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi della L.Fall. articolo 33
Sentenza 4 ottobre 2018, n. 44125
Data udienza 21 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICCOLI Grazia – Presidente
Dott. MORELLI Francesca – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/12/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MIGNOLO OLGA;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore;
SI DA’ PER FATTA LA RELAZIONE;
e’ presente per la p.c. l’avv. (OMISSIS) in sost. dell’avv. (OMISSIS);
LA DIFESA DI PARTE CIVILE CHIEDE IL RIGETTO DEL RICORSO E SI RIMETTE ALLA CORTE PER LA LIQUIDAZIONE DELLE SPESE.
E’ presente per gli imputati l’avv. (OMISSIS) in sost. dell’avv. (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 dicembre 2017 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado con cui (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), concorrenti extranei, sono stati condannati alla pena di giustizia per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il (OMISSIS) e’ stato altresi’ condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale e per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11.
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno separatamente proposto per ricorso per cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo rispettivo motivo tutti e tre gli imputati hanno dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 192, 220 e 234 c.p.p..
Lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale non ha esaminato la specifica censura dagli stessi svolta in appello relativa all’inutilizzabilita’ ed inammissibilita’ dell’introduzione del fascicolo del dibattimento della relazione del curatore fallimentare.
Espongono i ricorrenti che le funzioni svolte dal curatore fallimentare sono da ricondursi ad attivita’ ispettiva e di vigilanza e le dichiarazioni rese dal fallito allo stesso curatore sono da considerarsi soggette alla disciplina di cui all’articolo 63 c.p.p., comma 2, che prevede l’inutillizzabilita’ delle dichiarazioni fornite all’Autorita’ Giudiziaria o alla Polizia giudiziaria di chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito quale indagato, ed a quella dell’articolo 62 c.p.p., che preclude la testimonianza sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini, dovendosi le dichiarazioni destinate al curatore considerarsi rese anche in funzione del procedimento penale e nell’ambito di tale procedimento.
Infine, si lamenta che il curatore ha indebitamente reso testimonianza indiretta sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da soggetti terzi e dal medesimo trasfuse nella relazione alla L.Fall. ex articolo 33.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione di legge in relazione agli articoli 468 e 507 c.p.p. e vizio di motivazione.
Lamentano i ricorrenti di aver censurato nel proprio atto di appello il provvedimento con cui il giudice di primo grado aveva rigettato, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, la loro istanza di audizione del rag. (OMISSIS) in qualita’ di consulente, di produzione documentale della relazione da quest’ultimo redatta.
La sentenza impugnata non aveva affrontato la loro doglianza limitandosi all’aspetto relativo alla contestata violazione ex articolo 507 c.p.p..
Peraltro, l’avvenuta audizione del rag. (OMISSIS) quale teste aveva consentito l’emersione di dati e risultanze in contrasto con le conclusioni della relazione L.Fall. ex articolo 33 rendendo ancor piu’ fondata la richiesta ex articolo 507 c.p.p..
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente (OMISSIS) ha dedotto violazione di legge in relazione all’articolo 43 c.p. e alla L.Fall. articoli 216 e 223 e vizio di motivazione.
Con riferimento alla bancarotta documentale, lamenta il ricorrente che le manchevolezze nella tenuta della contabilita’ della fallita devono essere ricondotte nell’alveo della mera irregolarita’ ed incompletezza, in alcun modo preclusive della ricostruzione del patrimonio societario, con la conseguenza che avrebbero dovuto essere ricondotte ad un’ipotesi di bancarotta semplice, anche perche’ difettava il fine di recare pregiudizio ai creditori sociali. Espone il ricorrente di aver consegnato al curatore tutta la documentazione relativa alla contabilita’ per gli anni (OMISSIS) ed i mastrini dell’anno (OMISSIS) sino al fallimento mentre la documentazione contabile relativa ad anni precedenti non e’ mai stata richiesta dal curatore.
Contesta il ricorrente la mancata ricostruzione in modo attendibile dei rapporti economici intercorsi tra la fallita e le societa’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) S.r.l..
Contesta il ricorrente che l’erosione del capitale sociale si fosse verificata al (OMISSIS) allorche’ nel bilancio di quell’esercizio non fu creato un fondo di svalutazione crediti in relazione al credito di Euro 190.000,00 vantato nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., atteso che alla data di approvazione del bilancio (OMISSIS), avvenuta nel corso dell’assemblea del (OMISSIS), il ricorrente non poteva in alcun modo prevedere di dover svalutare il credito vantato nei confronti della (OMISSIS) s. r.l..
Il ricorrente non poteva prevedere l’ingente perdita della (OMISSIS) s.r.l. che avrebbe imposto la svalutazione del credito vantato dalla fallita nei suoi confronti.
La (OMISSIS) nel bilancio al (OMISSIS) evidenziava un patrimonio netto di oltre 1.390.000,00, di talche’ non era in alcun modo prevedibile che tale societa’ nell’anno successivo avrebbe riportato una perdita di oltre Euro 4.000.000,00.
La sentenza impugnata aveva incomprensibilmente accolto le conclusioni del curatore senza considerare la totale inaffidabilita’ della sua relazione.
Contesta, inoltre, il ricorrente di non aver aggiornato la contabilita’ allo scopo di non consentire la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti, atteso che anche in mancanza del deposito dei bilanci del triennio (OMISSIS) i documenti contabili di tale periodo esistevano ed erano stati prodotti in giudizio.
Con riferimento alla bancarotta distrattiva, il ricorrente contesta che vi sia stata una distrazione penalmente rilevante della “coclea al/150” e del carrello elevatore “jale nr. 8”, trattandosi di beni il cui valore, al momento del fallimento, doveva ritenersi nullo in relazione alla loro vetusta’ ed obsolescenza, essendo stati, peraltro, gia’ integralmente ammortizzati nell’anno (OMISSIS).
Tali beni, non essendo rivendibili, in quanto obsoleti, non avrebbero potuto assolvere la loro funzione di garanzia in favore dei creditori.
Peraltro, con riferimento al carrello elevatore, era stata segnalata al curatore l’ubicazione di tale bene, per il recupero del quale, come per il magazzino, il difensore non si era per nulla attivato e la motivazione della sentenza impugnata in ordine al dolo della bancarotta sono del tutto carenti.
La contestazione relativa alla distrazione di kg. 303201 di rimanenze di magazzino era priva di fondamento, avendo il curatore omesso di inventariare compiutamente la merce rinvenuta sulla base delle sue indicazioni, verosimilmente per l’assenza di valore economico della stessa per cattiva conservazione, di talche’ le dichiarazioni dello stesso curatore non erano idonee a suffragare la tesi accusatoria.
Il ricorrente, attraverso i documenti prodotti e l’audizione di testimoni, aveva dimostrato che il materiale plastico costituente il magazzino della (OMISSIS) s.r.l. si trovava per Euro 58.650 presso la (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) e per Euro 300.000 in deposito presso la (OMISSIS) s.a.s..
La circostanza che il predetto materiale plastico non fosse stato rinvenuto presso le societa’ suindicate era circostanza non imputabile al ricorrente, ne’ era provata la tesi dell’accusa della distrazione dell’intero magazzino per vendita in nero.
La sentenza impugnata non aveva, inoltre, considerato che tre assegni per l’importo complessivo di Euro 51.000,00 erano stati versati sul conto della societa’ fallita, ed erano stati registrati in contabilita’, di talche’ almeno per detto importo non era stata operata alcuna distrazione.
Peraltro, la tesi secondo cui l’importo di tali assegni costituirebbe il provento della vendita in nero del magazzino, oltre a porsi in contrasto con prove documentali, era smentita dalle dichiarazioni dall’amministratore di (OMISSIS) sig. (OMISSIS), il quale, nel descrivere le modalita’ di pagamento della merce asseritamente venduta in nero, aveva parlato esclusivamente di contanti o di assegni di importo inferiore ai 10.000,00 Euro.
Con riferimento agli altri assegni contestati al prevenuto, le date degli stessi si riferivano a periodi temporali lontani e di molto precedenti allo stato di insolvenza, di talche’ non era configurabile una distrazione dell’attivo societario.
2.4. Con il quarto motivo e’ stata dedotta dal (OMISSIS) violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11.
Sul punto il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non ha affrontato minimamente la specifica censura relativa all’altruita’ del debito tributario, con conseguente grave vizio motivazionale.
Nel caso di specie, il ricorrente nel costituire il fondo patrimoniale di cui all’imputazione, non aveva sottratto alle garanzie del credito erariale i beni del patrimonio aziendale, atteso che, da un lato, il debito tributario era riferibile alla societa’ fallita, mentre, dall’altro, il fondo patrimoniale era stato costituito su propri beni (o su beni cointestati con la moglie) e non su beni della societa’ che soli avrebbero potuto essere oggetto di una eventuale procedura esecutiva da parte dell’Erario.
La sentenza impugnata non aveva assolto all’onere motivazionale di dimostrare la strumentalita’ della costituzione del fondo patrimoniale allo scopo di evitare il pagamento del debito tributario.
Nessuna verifica era stata, inoltre, eseguita con riferimento al superamento della soglia di punibilita’ fissata dalla norma incriminatrice, avendo i giudici di merito recepito acriticamente le risultanze degli accertamenti eseguiti dall’Agenzia delle Entrate.
Non era stata determinata l’imposta effettivamente dovuta al fine di quantificare il debito tributario, accertamento rilevante incidendo sull’elemento costitutivo del reato.
La sentenza impugnata, era, inoltre, priva di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico.
2.5. Con il quinto motivo e’ stata, infine, dedotta dal (OMISSIS) violazione di legge in relazione agli articoli 133 e 133 bis c.p..
Lamenta il ricorrente l’omessa motivazione in ordine alle censure dallo stesso svolte in ordine all’entita’ ed alle modalita’ di determinazione della pena.
2.6. Con il terzo rispettivo motivo (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dedotto violazione di legge in relazione alla L.Fall. articoli 110, 216 e 223 nonche’ vizio di motivazione. Lamentano le ricorrenti che la sentenza impugnata non ha esaminato le specifiche censure dalle stesse formulate in appello.
Lamentano le ricorrenti che le condizioni rispettivamente di moglie e madre dell’imputato non possono costituire elementi sufficienti per fondare una condanna per concorso nel reato di bancarotta.
Nessuna prova era stata fornita in ordine alla volonta’ delle ricorrenti di concorrere con la propria condotta con l’intento delittuoso dell’intraneus. Essendo soggetti del tutto estranei alla (OMISSIS). S.r.l., ben potevano essere all’oscuro delle operazioni intercorse tra quest’ultima e (OMISSIS) s.r.l. e dell’omessa registrazione in contabilita’ di tali operazioni e comunque non erano a conoscenza dell’insolvenza della societa’ poi fallita e non erano consapevoli della valenza distrattiva legata all’incasso di detti assegni.
Ben potevano non essere a conoscenza che gli assegni incassati costituissero il provento della cessione in nero di materiale della (OMISSIS) S.r.l..
L’amministratore di (OMISSIS) sig. (OMISSIS), peraltro, nel descrivere le modalita’ di pagamento della merce asseritamente venduta in nero, aveva parlato esclusivamente di contanti o di assegni di importo inferiore ai 10.000,00 Euro, mentre gli assegni oggetto di contestazione riconducibili alle prevenute erano tutti di importo superiore.
In particolare, la ricorrente (OMISSIS) evidenzia che gli assegni incassati dalla (OMISSIS) s.n.c. in alcun modo possono far parte delle contestazioni di cui al presente giudizio, non avendo tale societa’ alcun rapporto con la fallita e non essendo state condotte indagini sui rapporti commerciali tra gli emittenti gli assegni contestati e la (OMISSIS) s.n.c., che ben avrebbero potuto giustificare l’incasso di dette somme.
2.7. Con il rispettivo quarto motivo le ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) deducono violazione di legge in relazione alla L.Fall. articolo 62, n. 4 e L.Fall. articolo 219, u.c., e vizio di motivazione. Lamentano le prevenute che la sentenza impugnata non ha affrontato la specifica doglianza sollevata in appello relativa alla applicabilita’, nel caso di specie, dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, ovvero di cui all’articolo 219 c.p.p., u.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di tutti e tre i ricorrenti e’ inammissibile in quanto manifestamente infondato.
E’ orientamento consolidato di questa Corte che le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’articolo 63 c.p.c., comma 2, che prevede l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese all’autorita’ giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attivita’ non e’ riconducibile alla previsione di cui all’articolo 220 disp. att. cod. proc. pen. che concerne le attivita’ ispettive e di vigilanza (vedi recentemente sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, Rv. 272664).
Peraltro, questa Corte, nella pronuncia sopra citata, ha chiarito che le relazioni del curatore costituiscono prova documentale, qualsiasi sia il loro contenuto, e possono quindi essere legittimamente inserite nel fascicolo processuale.
Infine, questa Corte ha, altresi’, affermato che e’ utilizzabile, quale prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie rese con una missiva da un coimputato non comparso in dibattimento e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi della L.Fall. articolo 33 (sez. 5, Sentenza n. 32388 del 03/03/2015, Rv. 264255).
2. Il secondo motivo dei ricorrenti e’ inammissibile.
Va osservato che i prevenuti, nel dolersi della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’audizione, in qualita’ di consulente, del rag. (OMISSIS), hanno implicitamente dedotto la violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera d) per mancata assunzione di una prova decisiva.
Tale richiesta, si appalesa, tuttavia, inammissibile, atteso che lo specifico vizio di mancata assunzione di una prova decisiva puo’ essere dedotto solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, e non allorquando il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (tra le ultime, Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013, Muraca, Rv. 254974; conf. Sez 5 n. 4672 del 24/11/2016, Rv. 269270).
Peraltro, le censure con cui i ricorrenti affermano che l’audizione del rag. (OMISSIS), quale teste, avrebbe consentito l’emersione di dati e risultanze in contrasto con le conclusioni della relazione L.Fall. articolo 33, rendendo cosi’ ancor piu’ fondata la loro richiesta ex articolo 507 c.p.p., si appalesano di mero fatto in quanto finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito.
3. Il terzo motivo del ricorrente (OMISSIS) e’ inammissibile.
Il prevenuto, con riferimento sia al delitto di bancarotta fraudolenta documentale sia al delitto di bancarotta patrimoniale, lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in gravi carenze motivazionali senza, tuttavia, indicarle specificamente, di talche’ le censure del prevenuto non “attaccano” il percorso argomentativo della sentenza impugnata, facendosi cura di indicarne, in concreto, le eventuali carenze, contraddittorieta’ o illogicita’, bensi’ si limitano a censurare la ricostruzione dei fatti accolta dalla sentenza impugnata ed esplicitata a pag. 14. Tali doglianze si appalesano inammissibili atteso che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
4. Il terzo motivo di (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ inammissibile.
Anche tali ricorrenti hanno reiterato le medesime doglianze gia’ svolte in appello, senza censurare specifici passaggi motivazionali della sentenza impugnata, limitandosi cosi’ a formulare doglianze di mero fatto, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda processuale. In particolare, le ricorrenti contestano che la loro consapevolezza di aver fornito con la propria condotta un apporto all’atto distrattivo dell’intraneus sia evincibile dai loro legami familiari con il (OMISSIS) – come ritenuto dalla sentenza impugnata – ma non censurano affatto l’illogicita’ di tale argomentazione utilizzata dalla Corte territoriale.
Non a caso, le ricorrenti affermano che la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla prova del dolo dell’extraneus non e’ “condivisibile” (censura non ammessa, potendosi invocare solo la eventuale contraddittorieta’ o manifesta illogicita’), sul rilievo che “sarebbe stato necessario dimostrare la precisa consapevolezza della finalita’ distrattiva”.
In sostanza, come gia’ evidenziato, le ricorrenti denunciano l’erronea ricostruzione della vicenda processuale da parte dei giudici di merito, doglianza inammissibile in sede di legittimita’.
5. Il quarto motivo del (OMISSIS) e’ inammissibile.
Va osservato che nei motivi d’appello il ricorrente aveva contestato la sentenza di primo gra’ esponendo genericamente che:
– non era in essere all’epoca dei fatti alcun provvedimento impositivo e nessuna procedura di riscossione era in fieri;
– che il debito tributario non era definitivo in quanto sub iudice ed ulteriormente impugnabile;
– che non era stata compiuta alcuna attivita’ di carattere fraudolento e non vi alcun collegamento automatico tra dette contestazioni e le vendite a (OMISSIS) s.r.l..
Il ricorrente aveva invocato altresi’ la carenza dell’elemento soggettivo, del dolo, sul rilievo che aveva compiuto gli atti dispositivi dei suoi beni “convinto” di non essere destinatario del debito contestato. Dunque, nell’atto di appello, il ricorrente non aveva in alcun modo invocato l’altruita’ del debito tributario.
Nel ricorso per cassazione, il ricorrente, modificando la propria impostazione difensiva, ha dedotto che nella sentenza impugnata difettava qualsivoglia riferimento alle ragioni in base alle quali lo stesso sarebbe chiamato a rispondere al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex art 11, per aver costituito un fondo patrimoniale sui beni propri e della propria famiglia a fronte dell’esistenza di un debito tributario che faceva capo, invece, alla societa’ di capitali.
Tale punto, tuttavia, come sopra anticipato, non aveva formato oggetto dei motivi di gravame. Ne consegue che le sopra enunciate censure – cosi’ come, del resto, quelle relative alla dedotta omessa verifica da parte della sentenza impugnata del superamento della soglia di punibilita’ fissata dalla norma incriminatrice – in quanto formulate per la prima volta nel ricorso per cassazione, non sono ammissibili in quanto non consentite a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 3.
6. Il quinto motivo del (OMISSIS) e’ inammissibile.
Va osservato che la censura di violazione di legge, per essere stato accertato il concorso tra il delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, ed il delitto di bancarotta per distrazione, oltre ad essere manifestamente infondata (sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Rv. 270810), e’ parimenti non consentita per tardivita’, essendo stata formulata per la prima volta in sede di legittimita’.
7. Il sesto motivo del (OMISSIS) e’ inammissibile.
Va osservato che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente nell’atto di appello, il giudice di primo grado aveva congruamente motivato il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e la contestata aggravante di cui alla L.Fall. articolo 219, comma 2, n. 1, evidenziando il ruolo di maggior rilievo rivestito dal (OMISSIS) nella odierna vicenda processuale, di talche’ le censure svolte nell’atto di appello si palesavano gia’ generiche, non confrontandosi con quanto argomentato dal giudice di primo grado.
Peraltro, l’aumento di pena (mesi 3 di reclusione) per la continuazione con il reato di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 11, era di entita’ assai ridotta, tale da non richiedere un eccessivo sforzo motivazionale.
Ne consegue che le censure svolte dal ricorrente in ordine ad una presunta insufficiente motivazione della sentenza di primo grado nella determinazione del trattamento sanzionai si appalesavano generiche e comunque manifestamente infondate.
In conclusione, il sesto motivo e’ inammissibile, avendo questa Corte gia’ affermato che ove dall’esame dei motivi di appello, risulti – come nel caso di specie – che questi erano privi del necessario carattere di specificita’, con conseguente venir meno del necessario presupposto di ammissibilita’ del gravame, l’eventuale difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici non puo’ formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiche’ i motivi generici restano viziati da inammissibilita’ originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione. (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014 – dep. 13/03/2015, Botta, Rv. 262700).
8. Il quarto motivo delle ricorrente (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ inammissibile.
Va osservato che le ricorrenti non si sono confrontate con la precisa argomentazione della sentenza impugnata, che ha escluso l’attenuante del danno di speciale tenuita’ avuto riguardo all’entita’ delle somme dalle stesse percepite, non certo risibili (rispettivamente Euro 95.940,00 ed Euro 12.000,00).
Inoltre, le stesse hanno svolto una deduzione – ovvero che le loro condotte si erano collocate in un periodo temporale in cui la societa’ non versava in stato di insolvenza e non avevano influito sulla crisi della stessa – che, oltre ad essere manifestamente infondata, e’ palesemente inconferente ai fini del riconoscimento della predetta attenuante.
Alla declaratoria d’inammissibilita’ dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.
Gli imputati vanno altresi’ condannati alla rifusione delle spese in favore della parte civile che si stima congruo liquidare in complessivi Euro 800,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 800,00, oltre accessori di legge.
Leave a Reply