Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 27 febbraio 2020, n. 1430.
La massima estrapolata:
Le “prescrizioni di tutela indiretta” previste dall’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel quale è rifluita, con espressioni letterali largamente coincidenti, la fattispecie sostanziale disciplinata dapprima all’art. 21 della legge n. 1089 del 1939 e poi all’art. 49 del decreto legislativo n. 490 del 1999 ? hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo “diretto”).
Sentenza 27 febbraio 2020, n. 1430
Data udienza 30 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3251 del 2018, proposto da
DO. LE., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E PER IL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);
nei confronti
COMUNE DI (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia n. 1077 del 2017;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati An. Co. e Gi. Gr. dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Il signor Do. Le. è proprietario dell’unità immobiliare sita in (omissis) al Vico (omissis) (censita in catasto al foglio (omissis), particelle (omissis)), composta da tre vani con annesso terrazzo al piano secondo.
In riferimento a tale immobile, a seguito dei lavori di demolizione e ricostruzione dello stesso, in forza del nulla osta del 24 febbraio 1962, venne alla luce una piccola porzione di una torre cilindrica medievale, che risultava inglobata nel fabbricato confinante.
Il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, riconoscendo l’interesse storico della porzione del torrione affiorata, impose, con decreto ministeriale del 5 luglio 1962, un vincolo indiretto su tale area con la seguente prescrizione: “in caso di demolizione del fabbricato esistente, sull’area di risulta non potrà essere consentita alcuna ricostruzione, per il rispetto dovuto alla monumentale torre cilindrica facente parte delle antiche mura di cinta”.
In seguito, la Soprintendenza, con il nulla osta n. 1776 dell’8 aprile 1966, approvò la soluzione proposta dai proprietari di arretrare la linea del loro fabbricato rispetto alla strada pubblica, in modo da creare una colonna di aria libera che rendesse visibile la parte del torrione venuta alla luce.
1.1.- Molti anni dopo, l’odierno appellante otteneva, con riferimento ad un terrazzo ed ad una soffitta abusivamente realizzati, il permesso di costruire in sanatoria n. 429 del 26 febbraio 2008, recante l’assenso al cambio di destinazione d’uso da veranda ad abitazione.
In data 4 aprile 2013, lo stesso presentava una ulteriore domanda di permesso di costruire relativa: alla fusione immobiliare delle particelle (omissis), al completamento dei lavori e opere di finitura, alla realizzazione dei tramezzi interni, nonché alla chiusura a vetri del vano condonato con il predetto provvedimento n. 429 del 2008.
Sennonché, la Soprintendenza, interessata per il rilascio del parere di competenza, esprimeva, con nota n. 15879 del 14 novembre 2013, parere contrario a causa della sussistenza del vincolo indiretto (apposto con il citato D.M. 5 luglio 1962), il quale avrebbe impedito la creazione di ulteriori volumi oltre a quelli esistenti.
Con la nota n. 9295 del 7 luglio 2014, la Soprintendenza confermava il parere contrario, sollecitando altresì il Comune ad annullare in autotutela l’autorizzazione n. 429 del 2008, resa senza neppure interpellare la Sovrintendenza, nonostante il vincolo.
Il signor Le. riceveva, quindi, la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art 160, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, cui faceva seguito il Decreto n. 488 del 24 ottobre 2016 della Direzione Generale Archeologica Belle Arti e Paesaggio di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
2.- Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierno appellante ha impugnato il provvedimento sanzionatorio da ultimo citato, recante l’ordine della rimessione in pristino di un “manufatto con copertura in legno poggiato su muratura in tufo e pilastrini di mq. 48”, realizzato sul lastrico solare dell’anzidetto immobile di sua proprietà, con la motivazione che lo stesso “ha modificato la consistenza volumetrica dell’edificio costruito su di un’area sottoposta a vincolo diretto e indiretto in forza del D.M. Pubblica Istruzione del 5/7/62. La costruzione abusiva è stata costruita in aderenza al To. ci. me., facente parte delle antiche mura di cinta della città di (omissis)”.
A fondamento dell’impugnazione, l’istante ha sollevato le seguenti censure di:
i) violazione di legge ed eccesso di potere: il decreto ministeriale 5 luglio 1962 aveva sì imposto un divieto assoluto di costruire sull’area risultante dalla demolizione di un fabbricato pre-esistente (in seguito alla quale venne alla luce la torre cilindrica), finalizzato all’esproprio dell’area di risulta, ai sensi dell’art. 55 della legge n. 1089 del 1939; tuttavia, le prescrizioni di tale decreto sarebbero state superate dalla comunicazione dell’8 aprile 1966 con cui la locale Soprintendenza ai Monumenti aveva approvato il progetto di ricostruzione del fabbricato, prescrivendo che il torrione rimanesse a vista;
ii) difetto di istruttoria e violazione del principio di proporzionalità : il decreto ministeriale 5 luglio 1962 non avrebbe comunque potuto essere invocato per una fattispecie diversa da quella in esso prevista (ovvero, la ricostruzione del fabbricato); l’Amministrazione, inoltre, avrebbe dovuto salvaguardare l’interesse pubblico imponendo al privato il minor sacrificio possibile, anche tenuto conto dell’affidamento riposto nei vari atti di assenso succedutisi nel tempo; lo stesso Ministero avrebbe anche dovuto tenere in considerazione la circostanza che il fabbricato era arretrato rispetto alla torre e solo una piccola parte del manufatto sul terrazzo sporgeva sulla torre.
3.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con sentenza n. 1077 del 2017, ha rigettato il ricorso, rilevando quanto segue:
“[…] – “nel nostro ordinamento non esistono istituti come la revoca implicita o l’annullamento implicito di provvedimenti amministrativi, […] vigendo il principio della tipicità e nominatività degli atti amministrativi, che onera all’adozione di un atto contrario che contenga espressamente le ragioni per le quali esso sia divenuto incompatibile o sia stato incompatibile ab origine con le regole della materia” (T.A.R. Lazio, sez. III, 05/05/2016 n. 5276);
– il DM 5/7/62, dunque, è ancora l’unico parametro cui la Soprintendenza può e deve fare riferimento per valutare l’assentibilità dell’intervento;
– il Ministero non ha (ancora) trasfuso in un nuovo vincolo puntuale di tutela indiretta le indicazioni contenute nella nota del 2/4/65, nonostante la richiesta di rettifica del vincolo formulata dalla Soprintendenza (secondo quanto risulta dalla nota 8/4/66 a firma del Soprintendente);
[…] Vero è che il decreto ministeriale impugnato (non diversamente dalla richiesta di avvio del procedimento sanzionatorio) menziona ripetutamente il D.M. 5/7/62, ma tale richiamo – benché obiettivamente “improprio” nella misura in cui non tiene conto delle sopravvenienze di fatto – non è da solo idoneo ad inficiare la legittimità del provvedimento, dal momento che la parte motiva dell’atto dà conto di quella che è stata l’essenza della violazione “contestata” al ricorrente e, cioè : la modifica della consistenza volumetrica dell’edificio costruito sull’area vincolata […] la costruzione in aderenza al torrione […] l’alterazione della prospettiva e della luce del torrione (secondo quanto precisato nella comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio). Il tutto, senza la preventiva autorizzazione della Soprintendenza.
La sussistenza del vincolo, infatti, comporta l’applicazione dell’art. 21 d.lvo. n. 42/04, che subordina “l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali” al rilascio di specifica autorizzazione da parte del Soprintendente. Ne consegue che qualunque tipo di intervento sui beni vincolati, se non autorizzato previa presentazione di un dettagliato progetto, non può essere consentito e che in caso di sua abusiva realizzazione la Soprintendenza è tenuta ad ordinare la remissione in pristino (art. 160 cit.).
[…] Giova in ogni caso evidenziare che la realizzazione di opere in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 21 co. 4 del D.lgs. 42/2004 non necessita di motivazione in ordine alla compatibilità o meno dell’intervento con il regime di tutela paesaggistica della zona, configurandosi di per sé illecita ogni attività che incida sui beni tutelati senza il preventivo assenso dell’Amministrazione (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 2 maggio 2005, n. 2057; id. sez. V, 27 agosto 2012, n. 4610).
[…] Va altresì ricordato che l’art. 160 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non prevede l’emanazione dell’ordine di reintegrazione per qualsiasi intervento realizzato sui beni oggetto di vincolo, ma solo per quegli interventi a seguito dei quali il bene culturale subisca un danno.
[…] Il richiamo contenuto nell’atto all’abuso realizzato “in aderenza al torrione medievale” appare presupposto di fatto oggettivamente sufficiente per rendere comprensibile il danno inferto al patrimonio storico-artistico.
[…] In definitiva, ferma restando l’opportunità di un “riordino” del complessivo assetto provvedimentale relativo al vincolo de quo, l’obiettiva “incoerenza” degli atti susseguitisi nel tempo non autorizza a ritenere che qualunque intervento sia ormai possibile sull’immobile del ricorrente”.
4 – Avverso la predetta sentenza il signor Le. ha proposto appello, chiedendone l’integrale riforma. L’appellante ripropone sostanzialmente le censure già sollevate in primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazionale della sentenza appellata.
5.- Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, chiedendo il rigetto del ricorso. L’Amministrazione, in particolare, osserva che l’esattezza dei rilievi del giudice di prime cure sarebbe dimostrata dalle fotografie prodotte in giudizio comprovanti che la sopraelevazione è perfettamente visibile dalla strada. Aggiunge che la visuale tutelata dal vincolo non sarebbe solo quella dalla strada, ma anche quella che si ha da qualsiasi punto di osservazione compresi i piani più elevati degli edifici aderenti al torrione. Le fotografie dimostrerebbero come la sopraelevazione in questione insista in pratica, “guardandovi dentro”, sulla terrazza sommitale del torrione. L’incompatibilità dell’abuso con il vincolo indiretto sarebbe, quindi, palese, sia che ci si basi sul divieto assoluto di modifiche di cui al vincolo del 1962, sia che ci si basi sul parere del 1966.
6.- Con ordinanza del 14 gennaio 2019, n. 341, la Sezione, al fine di accertare la compatibilità dell’opera con il vincolo per cui è causa, ha disposto una verificazione, incaricando il Direttore della Direzione provinciale dell’Agenzia del Demanio territorialmente competente, con facoltà di delega, di rispondere al seguente quesito: “letti gli atti di causa ed effettuata ogni eventuale verifica in loco, descriva la situazione di fatto, precisando se la sopraelevazione di cui si assume l’abusività sia addossata al torrione, ovvero ne comprometta la visuale”.
7.- Depositata la relazione del verificatore, all’odierna udienza la causa è stata discussa e decisa.
DIRITTO
1.- L’appello è fondato. Sussiste, infatti, il censurato difetto di motivazione e di istruttoria.
2.- Come precisato nella premessa in fatto, l’ordine di rimessione in pristino si fonda sull’esistenza del vincolo apposto sull’immobile dell’odierno appellante, con decreto ministeriale 5 luglio 1962, emanato ai sensi dell’art. 21 della legge n. 1089 del 1939, stante la presenza di una torre cilindrica medievale “emersa” in seguito alla demolizione del pre-esistente pericolante fabbricato.
2.1.? È utile ricordare che i monumenti storici sono radicati nello specifico luogo in cui, nelle epoche passate, furono ideati e realizzati. Influendo la “cornice” ambientale sull’aspetto esteriore e sulla capacità di tramandare il “valore tipico” di cui è portatrice ogni testimonianza materiale avente valore di civiltà, l’intervento pubblico contempla uno specifico regime di salvaguardia territoriale delle zone circostanti e limitrofe.
Le “prescrizioni di tutela indiretta” ? previste dall’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel quale è rifluita, con espressioni letterali largamente coincidenti, la fattispecie sostanziale disciplinata dapprima all’art. 21 della legge n. 1089 del 1939 e poi all’art. 49 del decreto legislativo n. 490 del 1999 ? hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo “diretto”).
Tale tipologia di vincolo integra quindi un limite apponibile al diritto di proprietà sulla base di apprezzamenti rimessi all’autorità amministrativa competente, sia pure da contenersi secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità . L’amministrazione, in particolare, “ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro” (così il già citato art. 45 del d.lgs. 42 del 2004).
La soggezione di determinati beni a previsioni di tutela indiretta ben può fare insorgere, in capo ai loro titolari, vincoli e oneri conservativi della res, nella sua integrità e originalità, sia pure di intensità attenuata rispetto ai più gravosi obblighi “positivi” (come definiti agli artt. 30, 32, 33 e 34 del d.lgs. n. 42 del 2004) che ricadono sul proprietario del bene di “diretto” interesse culturale.
3.- Tornando al caso in esame, ritiene il Collegio che lo scrutinio dei mezzi di gravame deve prendere necessariamente le mosse dalla ricognizione dello stato dei luoghi operata dal verificatore, rappresentata in modo puntuale e documentato nella relazione depositata. Nel dettaglio, è emerso che:
– percorrendo Corso (omissis) è possibile scorgere la presenza della torre cilindrica medioevale, facente parte delle antiche mura di cinta della città di (omissis), che risulta inglobata nelle costruzioni di epoche successive che costituiscono la maglia del centro storico della città ;
– la torre, tuttavia, è visibile esclusivamente da Corso (omissis), ma solo se si è in prossimità della stessa e in posizione pressoché frontale;
– il reperto storico è : annesso (inglobato in parte) nel fabbricato con accesso al civico n. (omissis) di Corso (omissis); poggiato sull’edificio retrostante (arretrato rispetto alla strada) con accesso al civico n. (omissis) di Vico (omissis); distaccato (non aderente) rispetto al fabbricato con accesso al civico n. (omissis) di Corso (omissis);
– è presente, infatti, una sorta di colonna d’aria libera che permette la visibilità della porzione di torre affiorata;
– inoltre, la torre, come risulta dalla documentazione fotografica di seguito riportata, ha: pressoché la stessa altezza dell’edificio con accesso dal civico n. (omissis) di Corso (omissis); una altezza inferiore del retrostante edificio con accesso al civico n. (omissis) di Vico (omissis); una altezza inferiore rispetto al solaio del terzo piano del fabbricato con accesso al civico n. (omissis) di Corso (omissis);
– è stato rilevato, inoltre, che nell’elaborato grafico “Nuovo Prospetto su Piazza (omissis)” allegato al Nulla Osta per l’esecuzione dei Lavori Edili rilasciato dal Comune di (omissis), in data 26/06/1966, per la ricostruzione del fabbricato di proprietà dei coniugi Le., la torre è rappresentata con un’altezza inferiore all’erigendo fabbricato con accesso al civico n. (omissis) di Corso (omissis);
– sulla sommità della torre è presente un muro in pietra, non raffigurato nell’elaborato grafico di progetto sopra citato, e che, da un’analisi visiva, si presume sia stato verosimilmente eretto in epoca successiva quasi a delimitare proprietà confinanti;
– dalla strada (Corso (omissis)), inoltre, è visibile anche il manufatto realizzato in sopraelevazione sul lastrico solare dell’edificio retrostante con accesso al civico n. (omissis) di Vico (omissis);
– tale unità immobiliare al terzo piano dell’edificio (da Corso (omissis)) per la quale la Soprintendenza ha decretato la “rimozione” e la reintegrazione dello stato originario, è caratterizzata da copertura in legno, rivestita in tegole, poggiata su muratura in tufo e pilastrini in laterizio;
– tale manufatto di sopraelevazione si trova in una posizione più alta rispetto alla torre, pertanto, non compromette la visibilità del reperto storico da Corso (omissis);
– tra la torre e la sopraelevazione non vi sono punti di contatto;
– il muretto d’attico del terrazzo di copertura su cui insiste il manufatto in contestazione è, per una piccola porzione, a contatto (in aderenza) esclusivamente con il sopra citato muro in pietra eretto sulla torre ma non è accostato (in aderenza) al reperto storico;
– invece, osservando da Vico (omissis) la torre ed il manufatto di sopraelevazione non sono visibili;
– è presente, infatti, un vano in muratura da cui si accede alla porzione in argomento;
– pertanto, anche in assenza del manufatto di sopraelevazione la torre non sarebbe visibile da Vico (omissis);
– accedendo al piano secondo del fabbricato con ingresso al civico n. (omissis) di Vico (omissis), dopo aver attraversato il vano in muratura sopra citato, si rileva che su una porzione del lastrico solare è stato realizzato il manufatto di cui si assume l’abusività ;
– la restante parte del lastrico solare è costituta da un terrazzo praticabile delimitato da: una ringhiera metallica nella parte prospiciente Corso (omissis); un muretto d’attico (dell’altezza di circa 1 m) nella porzione che si affaccia sulla torre; un muro di confine, all’incirca della stessa altezza del manufatto, sulla parte restante;
– dal terrazzo di copertura del fabbricato con accesso al civico n. (omissis) di Vico (omissis) è possibile scorgere il reperto solo se ci si sporge verso il basso.
3.1.? In definitiva, le predette risultanze, ampiamente corroborate dal materiale grafico e fotografico allegato alla relazione, possono essere così sintetizzate: i) il manufatto di sopraelevazione posto sul terrazzo si trova in una posizione più alta rispetto alla torre; ii) tra la torre e la sopraelevazione non vi sono punti di contatto; iii) il muretto d’attico del terrazzo di copertura è, per una piccola porzione, a contatto (in aderenza) esclusivamente con il muro in pietra eretto sulla torre ma non è accostato (in aderenza) al reperto storico; iv) la sopraelevazione non è addossata al torrione; v) la torre è visibile esclusivamente da Corso (omissis) ma solo se si è in prossimità della stessa e in posizione pressoché frontale; vi) il reperto storico ha una altezza inferiore rispetto ai fabbricati che la contengono; vii) il manufatto di sopraelevazione è arretrato rispetto al Corso (omissis); viii) la sopraelevazione non sporge sul reperto storico; ix) la torre non è visibile da Vico (omissis); x) il reperto storico non sarebbe visibile da Vico (omissis) anche in assenza del manufatto di sopraelevazione in ragione anche della presenza del vano in muratura da cui si accede alla porzione in argomento.
Su queste basi, il verificatore ha potuto concludere nel senso che: “la sopraelevazione “di cui si assume l’abusività ” non compromett[e] la visuale del torrione”.
4.- Alla luce della istruttoria svolta e dei principi processuali in materia di prova, l’atto impugnato appare quindi irrimediabilmente affetto da difetto di istruttoria, in quanto la descrizione dei luoghi appena illustrata si pone in contraddizione con i fatti contestati, ovvero: la “costruzione in aderenza al torrione” e l'”alterazione della prospettiva e della luce del torrione”.
Risulta invece confermata al tesi dell’appellante secondo cui il manufatto ha lasciato del tutto invariato l’unico punto di visuale del reperto, ossia in prossimità dello stesso e da una posizione esclusivamente frontale.
4.1.? Una volta acclarato che l’intervento edilizio oggetto del provvedimento sanzionatorio è conforme ai limiti imposti con il nulla osta della Soprintendenza dell’8 aprile 1966 ? relativi al rispetto della visibilità della torre e dell’integrità della muratura in pietra ?, ritiene il Collegio che non possa invece opporsi all’istante il superamento dell’originario divieto di edificazione sull’area di sedime, contenuto nel decreto ministeriale del 5 luglio 1962. Tale conclusione si impone infatti alla luce del principio di tutela del legittimo affidamento.
4.2.? In termini generali, l’affermazione e il radicamento del principio di tutela dell’affidamento può contare su di una consolidata elaborazione giurisprudenziale, amministrativa e costituzionale, che ne attesta ? sia pure sulla scorta di percorsi ermeneutici differenti ? la sua compatibilità con i caratteri propri del diritto pubblico: le aspettative di chi, sulla base di precedenti scelte o comportamenti dei pubblici poteri, poteva ragionevolmente confidare nella prosecuzione della situazione per lui favorevole, devono trovato specifiche forme di tutela, sul presupposto che l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce “elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto” (ex plurimis: sentenze della Corte costituzionale n. 349 del 1985, n. 822 del 1988, n. 155 del 1990, n. 39 del 1993).
L’affidamento si atteggia tuttavia quale limite (generale ma) non incondizionato alla retroattività (propria e impropria) dell’atto dei pubblici poteri, potendo recedere al cospetto di altre esigenze inderogabili. Lo scrutinio dei limiti oltre il quale la pubblica amministrazione non può incidere sull’affidamento ingenerato può essere ricercato attraverso la verifica congiunta: – della sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale; – del grado di consolidamento dell’affidamento dei privati, avuto riguardo alla prevedibilità del mutamento, alla buona fede, al decorso del tempo; – del quomodo dell’immutazione giuridica, in quanto il peso imposto ai destinatari della disposizione retroattiva, oltre che diretto a perseguire un interesse pubblico, deve essere anche ragionevolmente proporzionato al fine che si intende realizzare.
4.3.? Nel caso di specie, risulta adeguatamente consolidata la ‘base affidantè del proprietario. Basti pensare che, alla data di apposizione del vincolo di tutela indiretta, il fabbricato del signor Le. era già stato demolito, e che la sua ricostruzione era stata assentita dalla Soprintendenza, con la più volte citata nota dell’8 aprile 1966. Quest’ultima aveva subordinato l’approvazione del progetto di ricostruzione alla condizione “che rimanga libera la visuale del torrione e siano evitati addossamenti anche alla porzione del torrione recentemente venuta in luce” (il nulla osta era stato preceduto da un articolato procedimento e analoga indicazione di lasciare la torre “a vista” figurava nella nota dalla Soprintendenza del 2 aprile 1965).
Agli occhi del cittadino, il nulla osta non poteva che postulare il “ritiro” del precedente divieto di costruire, giacché era stato concesso il diritto di edificare che prima era stato negato. In altre parole, non potendo le misure previste nel nulla osta coesistere con quella del precedente decreto, tenuto conto dell’inerzia ministeriale protrattasi per svariati decenni, l’istante era ragionevolmente autorizzato a fare affidamento sul fatto che il vincolo di tutela indiretta fosse oramai da ritenersi assoggettato a prescrizioni (segnatamente: ripristino della muratura in pietra e visibilità del reperto storico) differenti rispetto a quella di partenza.
5.- Le spese di lite del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, secondo la regola generale.
5.1.? In applicazione dei riferimenti normativi dettati per i compensi spettanti a periti e consulenti di cui al decreto ministeriale del 30 maggio 2002, e tenuto conto della natura della controversia, dell’impegno professionale richiesto e della complessità dell’incarico espletato (che consente di applicare l’art. 52 del d.P.R. n. 115 del 2002), risulta congruo liquidare in favore del verificatore la somma complessiva di 2.800,00, oltre accessori di legge, da cui vanno detratte le somme già liquidate a titolo di acconto (pari ad Euro 8.00,00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
– accoglie l’appello n. 3251 del 2018 e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla gli atti impugnati;
– condanna l’Amministrazione appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre IVA e CPA come per legge;
– le spese di verificazione, liquidate in Euro 2.800,00, sono poste anch’esse a carico dell’Amministrazione appellata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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