Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 2153.
Conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18), l’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria, pure se esercitata dal curatore fallimentare ex art. 66 l. fall., è sempre ammissibile, anche in concorso con l’opposizione preventiva dei creditori sociali ex art. 2503 c.c., in quanto la prima mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto per renderlo inopponibile al creditore pregiudicato, mentre la seconda è finalizzata a farne valere l’invalidità.
Sentenza|29 gennaio 2021| n. 2153
Data udienza 16 novembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Fallimento – Società – Società di capitali in bonis – Scissione parziale – Cespite immobiliare – Responsabilità solidale della società scissa e di quella beneficiaria – Eventus damni – Nozione – Revocatoria fallimentare – Art. 66 LF – Mancata opposizione ex art. 2501 co.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16430-2018 proposto da:
(OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 81/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 27/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Trento, con sentenza in data 27.3.2018 n. 81, ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS), e confermato la sentenza del Tribunale di Trento n. 273/2017 che aveva dichiarato inefficace, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., nei confronti del Fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, l’atto di scissione parziale, depositato in data 15.10.2009, con il quale la societa’ di capitali “in bonis” aveva assegnato alla societa’ di persone “parte del proprio patrimonio” che includeva un cespite immobiliare indicato a “costo contabile” al valore di Euro 1.475.000,00 e stimato a “valore di mercato” in Euro 2.512.000,00.
Il Giudice di merito rilevava che sussistevano tutti gli elementi oggettivi e soggettivi per ravvisare il pregiudizio alle ragioni dei creditori concorsuali: determinando l’atto di scissione effetti dispositivi depauperativi della garanzia generale della societa’ scissa; non venendo meno l'”eventus damni” per il fatto che ai sensi dell’articolo 2506 quater c.c., comma 3, sussisteva la responsabilita’ solidale, della societa’ scissa e di quella beneficiaria, per i debiti insoddisfatti della prima, venendo soltanto ad aggiungersi la solidarieta’ al sistema di tutela revocatorio; dovendo ritenersi provata la “scientia damni” dell’atto compiuto posteriormente all’insorgere dei crediti, attesa la coincidenza soggettiva degli amministratori e soci di entrambe le societa’.
La sentenza di appello, notificata in data 4.4.2018, e’ stata ritualmente impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione.
Con ordinanza interlocutoria in data 27.1.2020 n. 1753 questa Corte, rilevato che la causa involgeva questioni di diritto, oggetto di rinvio pregiudiziale disposto da altro Ufficio giudiziario, ex articolo 267 TFUE, alla Corte di Giustizia UE, direttamente rilevanti ai fini della decisione della controversia ha rinviata la causa a nuovo ruolo.
La causa e’ quindi, in data odierna, pervenuta in discussione alla pubblica udienza.
Le parti hanno depositato memorie illustrative ex articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, con il quale si censura la sentenza di appello per avere ritenuto ammissibile la domanda revocatoria dell’atto di scissione societaria, la ricorrente deduce che il sistema di diritto societario che regola la scissione societaria e’ improntato alla tutela primaria della certezza e stabilita’ dei traffici economici, esigenza che verrebbe compromessa qualora si ammettesse di ridiscutere anche la sola efficacia della operazione negoziale, una volta definitivamente consolidatosi l'”atto di scissione” con la irretrattabilita’ di ogni questione afferente alla “validita’”, in assenza di opposizione dei creditori alle delibere di scissione delle societa’ che partecipano all’atto ex articolo 2503 c.c., comma 2, richiamato dall’articolo 2506 ter c.c., comma 5.
Il motivo e’ infondato.
Occorre premettere che la “scissione parziale” di una societa’, disciplinata dagli articoli 2506 ss. c.c., come modificati dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003, consistente nel trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o piu’ societa’, preesistenti o di nuova costituzione, e nell’assegnazione delle corrispondenti azioni o quote di queste ultime ai soci della societa’ scissa (divenendo quindi i soci della societa’ scissa – anche o solo – soci della o delle societa’ beneficiarie), e si traduce in una fattispecie con effetti traslativi, che comporta l’acquisizione in capo alla od alle societa’ beneficiarie di valori patrimoniali prima non presenti nel loro patrimonio, senza che cio’ determini necessariamente l’estinzione della societa’ scissa ed il subingresso di quella risultante dalla scissione nella totalita’ dei rapporti giuridici della prima (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 23225 del 15/11/2016; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 31313 del 04/12/2018).
Non pare dubbio, pertanto, che la fattispecie della scissione “parziale” (con esclusione della ipotesi – che non ricorre nel caso di specie – della assegnazione alla societa’ beneficiaria di una parte del patrimonio avente valore reale negativo; ipotesi peraltro ritenuta non consentita, non realizzando l’assegnazione di partecipazioni in capo ai soci: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 26043 del 20/11/2013) possa determinare una diminuzione della garanzia generica assicurata ai terzi creditori dal patrimonio netto della societa’ scissa, che viene ad essere anche se solo in parte scorporato, bene potendo configurarsi in astratto il presupposto oggettivo dell'”eventus damni” richiesto per l’esercizio della tutela revocatoria dall’articolo 66 L.F. e dall’articolo 2901 c.c., laddove nella parte di patrimonio della societa’ scissa, trasferito a quella beneficiaria, siano ricompresi – come nella specie – determinati beni immobili.
Non e’ ostativo, alla esperibilita’ della azione pauliana da parte del singolo creditore della societa’ scissa, il rilievo secondo cui non sarebbe configurabile, neppure astrattamente, un “eventus damni”,, in quanto il patrimonio scorporato viene ad essere destinato ad aumento di capitale sociale della societa’ beneficiaria e quindi (proporzionalmente o meno al valore della partecipazione originaria: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 26043 del 20/11/2013) attribuito, in forma di azioni o quote di partecipazione in detta societa’, ai soci della societa’ scissa (salvo conguaglio in denaro o, su consenso unanime, la possibilita’ di distribuzione ad alcuni soci, della azioni od obbligazioni della societa’ scissa: articolo 2506 c.c., comma 2), atteso che se, per un verso, l’assegnazione delle partecipazioni e’ effettuata a favore dei singoli soci della societa’ scissa e non anche a favore di quest’ultima, per altro verso e’ appena il caso di osservare che (indipendentemente dalla questione della ammissibilita’ o meno dello scorporo societario come fattispecie autonoma a quella della scissione), anche nel caso in cui la societa’ scissa risultasse assegnataria di partecipazioni nella societa’ beneficiaria, la eventuale trasformazione del valore immobiliare in valore mobiliare bene puo’ costituire “ex se” indice – da valutare nel merito in concreto – del presupposto del pregiudizio alle ragioni creditorie, legittimante l’esperimento dell'”actio pauliana”, essendo pacificamente riconosciuta, nella analoga vicenda, la possibilita’ di pronunciare la inefficacia relativa degli “atti di conferimento” di beni in natura o di crediti, quando realizzati dal socio in frode dei suoi creditori, trattandosi di atto idoneo a pregiudicare le ragioni del creditore di detto conferente, dato che il primo viene a sostituire, nel suo patrimonio, al bene ceduto alla societa’ un titolo di partecipazione al “capitale di rischio”, e, pertanto, nel concorso del requisito soggettivo di cui all’articolo 2901 c.c., l’atto di conferimento e’ impugnabile con azione revocatoria, tenendosi conto che questa non interferisce sulla validita’ del contratto costitutivo della societa’, e non arreca alcun “vulnus” al principio di separazione del patrimonio societario rispetto a quello dei soci non determinando l’esito favorevole della stessa alcun ritorno del bene nella disponibilita’ del debitore – fatta salva 1″esposizione ad eventuali azioni esecutive e conservative, ne’ si riverbera in danno degli altri creditori sociali, i quali sono tutelati dal citato articolo 2901 c.c., u.c., che fa salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 2817 del 11/03/1995; id. Sez. 1, Sentenza n. 10359 del 22/11/1996; id. Sez. 1, Sentenza n. 1804 del 18/02/2000; id. Sez. 1, Sentenza n. 23891 del 22/10/2013; id. Sez. 2, Sentenza n. 23685 del 06/11/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 2536 del 09/02/2016).
Neppure e’ dato intravedere un ostacolo alla esperibilita’ dell'”actio pauliana” avverso l’atto di scissione totale o parziale, sempre sotto il profilo della asserita inconfigurabilita’ di un “eventus damni”, nella norma di cui all’articolo 2506 quater c.c., comma 3, posta a tutela dei creditori dei debiti ceduti, che prevede la insorgenza di una responsabilita’ solidale “per i debiti della societa’ scissa” (non soddisfatti dalla societa’ partecipante alla scissione alla quale facevano carico) estesa a tutte le societa’ intervenute alla stipula dell’atto pubblico di scissione, responsabilita’, tuttavia, contenuta “nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa (id est: a ciascuna delle societa’ partecipanti ed alla societa’ scissa, rispettivamente) assegnato o rimasto”. La norma (analoga a quella dell’articolo 2506 bis c.c., comma 3), che trova applicazione nelle ipotesi di scissione mediante scorporo parziale del patrimonio (e di continuita’ operativa della societa’ scissa) e di scissione in senso stretto o totalitaria con pluralita’ di societa’ beneficiarie (con “estinzione-scioglimento” senza procedimento di liquidazione, della societa’ scissa), ripete la sua “ratio legis” nella esigenza di rafforzare la tutela dei creditori della societa’ scissa, proprio in considerazione del mutamento della consistenza della garanzia patrimoniale generica offerta dal debitore principale (societa’ scissa), che puo’ venirsi a determinare in conseguenza della scissione parziale, tanto nel caso in cui il debito permanga in quel patrimonio, quanto nel caso in cui, invece, tale posizione debitoria venga trasferita in capo a diverso soggetto societario (la societa’ o le societa’ “beneficiarie”).
Tale soluzione giuridica (coobbligazione solidale limitata) e’, infatti, mutuata – nelle sue linee generali – dalla disciplina codicistica, preesistente alla riforma societaria, della cessione di azienda (articolo 2560 c.c., commi 1 e 2), con la quale si tende a contemperare le esigenze connesse alla operazione di trasferimento in blocco dei rapporti attivi e passivi connessi all’esercizio dell’attivita’ commerciale, con la tutela dei preesistenti creditori del cedente, interessati a non vedere alterata la garanzia patrimoniale generica, quale risultante al momento della cessione, offerta dal loro debitore (cedente l’azienda), secondo uno schema proprio della disciplina generale delle obbligazioni, che rimette in via esclusiva al consenso del creditore la facolta’ di liberare l’originario debitore, accettando la sostituzione con altro debitore da quello indicato (articolo 1268 c.c., comma 1; articolo 1272 c.c., comma 1; articolo 1273 c.c., comma 2; articolo 1274 c.c., commi 2 e 3: fermo in ogni caso il limite della validita’ della nuova obbligazione, in difetto del quale la originaria obbligazione “rivive” ex articolo 1276 c.c.). In questi casi, infatti, in assenza del consenso del creditore, il cedente dei debiti trasferiti con l’azienda commerciale (articolo 2560 c.c., comma 1), il delegante, l’accollante, ossia rimangono comunque sempre obbligati verso il creditore, venendo ad aggiungersi alla obbligazione dei debitori originari secondo lo schema della solidarieta’ – la obbligazione del nuovo debitore (se pure tenuto con modalita’ diverse: nella vicenda della cessione d’azienda, il cedente – qualora non acconsenta il creditore – permane nella posizione di debitore principale, assumendo il cessionario, quale accollante ex lege, quella di coobbligato in via sussidiaria; Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 23780 del 22/12/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 20153 d’el 03/10/2011; modalita’ analoghe possono verificarsi anche nella delegazione e nell’accollo cumulativi).
La vicenda del cumulo “ex lege” delle societa’ beneficiarie coobbligate verso il creditore della societa’ scissa parzialmente, non diverge pertanto dalle ipotesi sopra indicate, non costituendo, il mero rafforzamento della tutela della posizione del creditore sociale, condizione di incompatibilita’ o di impedimento giuridico alla esperibilita’, da parte di quest’ultimo, dell’azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 c.c. (o da parte del curatore fallimentare dell’analoga azione ex articolo 66 L. Fall.) come peraltro e’ stato gia’ riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte che, in presenza di obbligazioni solidali, ha ritenuto ammissibile l'”actio pauliana” rivolta contro una soltanto dei debitori, anche se – in ipotesi – la complessiva garanzia patrimoniale offerta dai distinti patrimoni riferibili a ciascuno degli altri condebitori risultasse idonea ad assicurare la soddisfazione del credito (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2623 del 13/03/1987; id. Sez. 2, Sentenza n. 6486 del 22/03/2011; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 8315 del 31/03/2017). Si vuol dire che, se non e’ dubbio che la previsione dell’articolo 2506 quater c.c., comma 3, sia diretta a far convergere nella garanzia patrimoniale generica ex articolo 2740 c.c. offerta al creditore della societa’ scissa, il cumulo dei valori patrimoniali da questa parzialmente scorporati ed attribuiti alle singole societa’ partecipanti alla scissione sostanzialmente tendendosi a mantenere intatto il complessivo valore della garanzia che assisteva il credito, disperso con la scissione tra una pluralita’ di soggetti distinti -, cio’ nonostante non e’ dato ravvisare alcun elemento di specificita’ per cui, in relazione all’interesse del creditore ad agire ex articolo 2901 c.c., la situazione di coobbligazione (limitata al valore del patrimonio trasferito), prevista dalla disciplina normativa della scissione societaria, debba essere riguardata in modo differente dalla ordinaria situazione di coobbligazione solidale: in entrambi i casi, infatti, di fronte ad un atto depauperativo della garanzia patrimoniale della societa’ scissa – e sempre che ricorrano anche gli altri presupposti della fattispecie legale – lo specifico tipo di tutela revocatoria, apprestata dall’ordinamento a vantaggio del creditore, risulta funzionale ad ottenere (anche in presenza di altri soggetti coobbligati) la inefficacia relativa dell’atto dispositivo “pregiudizievole” alla soddisfazione del credito, tanto piu’ considerando che il cumulo di societa’ debitrici, realizzato dall’articolo 2506 quater c.c., comma 3, determinando un frazionamento del limite di responsabilita’ tra coobbligati (riferito per ciascun partecipante al solo “valore patrimoniale netto” trasferito con l’atto di scissione), comporta senza dubbio un pregiudizio – idoneo ad integrare il presupposto dell'”eventus damni” richiesto dall’articolo 2901 c.c. – per il creditore, tenuto, in caso di incapienza del limite di valore del singolo debitore, a dover moltiplicare le azioni dirette alla soddisfazione dell’intero importo del credito, rimanendo, peraltro, soggetto al rischio di insolvenza di ciascuna societa’ partecipante dipendente dalla differente situazione patrimoniale nella quale si inseriscono gli elementi attivi e passivi trasferiti con la scissione.
La incompatibilita’ dell’esercizio della tutela dell'”actio pauliana” da parte del creditore della societa’ scissa, sarebbe da individuarsi, secondo la tesi difensiva della societa’ ricorrente (allineata ad una parte rilevante della dottrina), nel combinato disposto dall’articolo 2506 quater, u.c., con l’articolo 2504 quater c.c. (richiamato per la scissione dall’articolo 2506 ter c.c., comma 5), secondo cui, una volta perfezionato il procedimento di scissione (con l’ultima iscrizione nel registro delle imprese dell'”atto pubblico di scissione”, eseguito dalle societa’ beneficiarie: articolo 2506 quater c.c., comma 1), “l’invalidita’ dell’atto….non puo’ essere pronunciata”, restando salvo soltanto il diritto al risarcimento del danno eventualmente subito dai soci o dai terzi. La tesi difensiva fa perno sul sistema chiuso che il Legislatore riformatore avrebbe delineato al fine di garantire la celerita’ delle operazioni straordinarie delle societa’ e la stabilita’ delle trasformazioni incidenti sugli assetti organizzativi, esigenza anteposta all’interesse del ceto creditorio cui viene assicurata – attraverso il rimedio della opposizione – una tutela anticipata endoprocedimentale inserita nelle fasi della formazione dell’atto di fusione o scissione. Da cio’ viene desunta, in mancanza di opposizione, la intangibilita’ del risultato complessivo della operazione straordinaria determinato dalla modifica, al tempo stresso, “organizzativa e patrimoniale” della societa’: non potendo piu’ essere invalidato l’atto pubblico di fusione o scissione, ne conseguirebbe che anche gli effetti patrimoniali incidenti sulle singole societa’ partecipanti risulterebbero irrevocabili.
La norma dell’articolo 2504 quater c.c., tuttavia, come rilevato dalla Corte di merito, e’ rivolta a prefigurare una sorta di sanatoria degli eventuali vizi formali o sostanziali del procedimento di scissione, tali da inficiare la validita’ dell'”atto finale di scissione”, ponendo un limite cronologico entro il quale puo’ essere esperita l’azione di accertamento delle nullita’, venendo, quindi, ad operare su un piano diverso da quello dell'”actio paPuliana” che incide, invece, sulla efficacia dell’atto, limitatamente a vantaggio del solo creditore che abbia agito in revocatoria, dovendo aggiungersi al riguardo, quanto al profilo funzionale, che non e’ dato ravvisare alcuna sovrapposizione della tutela revocatoria di cui all’articolo 2901 c.c. con la “opposizione” alla scissione cui e’ legittimato il creditore sociale, ai sensi dell’articolo 2503 c.c., comma 2, (richiamato per la scissione dall’articolo 2506 ter c.c., comma 5), atteso che:
la prima segue al perfezionamento dell'”atto dispositivo” pregiudizievole, presuppone la “scientia damni” od il “consilium fraudis” nel disponente e nell’acquirente; rende inopponibili gli effetti dell’atto negoziale soltanto al creditore – anteriore od anche successivo al compimento dell’atto dispositivo, se fraudolento – che agisce in revocatoria, ma non impedisce la efficacia reale dell’atto negoziale dispositivo, che si realizza non soltanto “inter partes”, ma anche verso i terzi acquirenti a titolo oneroso di buona fede, venendo in tal caso regolato il conflitto con il creditore revocante, in base al criterio della prevalenza determinata dalla anteriorita’ della trascrizione dell’atto o della domanda (articolo 2901 c.c., comma 4), la seconda (dovendo interpretarsi la disposizione dell’articolo 2503 c.c., comma 1: “La fusione (od anche la scissione: articolo 2506 ter c.c., u.c.) puo’ essere attuata solo dopo sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’articolo 2502 bis c.c…..”, nel senso che il termine perentorio assegnato all’opponente intercorre tra la “deliberazione di scissione”, assunta da ciascuna societa’ partecipante, e la stipula dell’atto pubblico di scissione, e dunque la opposizione del creditore interessato non potra’ che avere ad oggetto la “deliberazione di scissione” di cui all’articolo 2502 c.c., adottata dalla propria societa’ debitrice, da proporsi entro gg. 60 dalla iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’articolo 2502 bis c.c., dell’ultima delibera delle societa’ partecipanti) prescinde da specifici presupposti legali o dalla deduzione di motivi tassativi; rende, l’eventuale atto di scissione stipulato in pendenza di opposizione, inidoneo del tutto a spiegare efficacia reale e vincolante nei confronti delle societa’ partecipanti alla operazione; presclinde dal requisito dell’elemento soggettivo della condotta dei soggetti partecipanti; paralizza “erga omnes” la produzione degli effetti giuridici altrimenti riconducibili ad un atto che deve ritenersi perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi: l’inefficacia, in questo caso, non e’ soltanto relativa al creditore opponente, ma opera in via generale, “erga omnes”, impedendo temporaneamente – gli effetti traslativi dei beni in natura e dei crediti ricompresi nel patrimonio sociale della societa’ scissa, nonche’ gli altri effetti concernenti gli atti di attuazione delle modifiche incidenti sulla organizzazione societaria (operazioni connesse alla scissione: eventuali modifiche del capitale sociale; scioglimento senza liquidazione; appostazione in bilancio dei valori attribuiti alle attivita’ e passivita’ derivanti dalla scissione, ecc.).
Non pare dubbio che la distinzione funzionale tra l’azione revocatoria e lo strumento della “opposizione” del creditore non possa essere rinvenuta nella patologia, relativa ai vizi di invalidita’ dei diversi atti societari componenti la sequenza del procedimento di scissione, che il creditore opponente e’ legittimato a far valere, risultando, al contrario, dallo stesso disposto normativo, che il rimedio della opposizione non e’ predisposto esclusivamente in funzione dell’accertamento dei “vizi di invalidita’-nullita’” concernenti il procedimento di scissione (da intendersi quale fattispecie a formazione progressiva: predisposizione del progetto deliberazione della assemblea – stipula atto pubblico – attivita’ attuativa incidenti sulla organizzazione della societa’). Tanto emerge dalla stessa norma dell’articolo 2503 c.c. che legittima il creditore a proporre “opposizione”, indipendentemente da eventuali “vizi strutturali” dei singoli atti del procedimento, nel caso in cui:
1) non sia stato contestualmente disposto il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso alla scissione; 2) non sia stato perfezionato il deposito presso una banca – nelle forme dell’offerta reale – delle somme destinate al pagamento dei creditori che non hanno prestato il consenso alla scissione; 3) in assenza degli atti previsti ai precedenti punti 1) e 2), e su incarico di tutte le societa’ partecipanti alla scissione, non sia intervenuta l’asseverazione di una societa’ di revisione – la quale risponde dei danni: articolo 2501 sexies c.c., comma 6, – che “la situazione patrimoniale e finanziaria della societa’ partecipanti alla scissione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori”.
Tuttavia la “funzione conservativa” della garanzia patrimoniale del credito, che viene riconosciuta anche al rimedio della opposizione, ed e’ stata messa in risalto dalla dottrina per affermare una equivalenza tra i due mezzi di tutela, e che ha trovato riconoscimenti anche nella giurisprudenza di merito, non consente una assimilazione totale delle due azioni (la’ dove si ritenga che la opposizione debba essere esercitata esclusivamente in via giudiziale), tenuto conto che gli adempimenti di cui ai precedenti punti 1) e 2), richiesti alle societa’ partecipanti alla scissione, proprio al fine di prevenire oppure sbloccare la sospensione degli effetti dell’atto determinata dalla opposizione, risultano funzionali, piu’ che alla conservazione della garanzia in vista di una eventuale espropriazione, alla diretta soddisfazione del credito, mentre, l’asseverazione della societa’ di revisione, con assunzione di responsabilita’ per danni verso i terzi, viene ad aggiungere una tutela risarcitoria, successiva alla verificazione dell’evento dannoso (definitiva insolvenza della societa’ debitrice; perdita determinata dalla riscossione in moneta fallimentare), ma non assolve alla diversa utilita’ concessa, in via preventiva, al creditore dall’azione revocatoria, che e’ quella di recuperare alla garanzia patrimoniale generica del debitore, al fine di assoggettarlo alla esecuzione forzata, il bene determinato, che e’ stato oggetto dell’atto dispositivo.
Tale utilita’ viene riconosciuta indifferentemente alla azione revocatoria ordinaria ed a quella fallimentare (cfr. Corte cass. Corte cass. Sez. U -, Ordinanza n. 10233 del 26/04/2017: “sebbene l’azione ex articolo 66 L.F. sia pur sempre la medesima prevista dall’articolo 2901 c.c., la stessa presenta talune peculiarita’ che la differenziano da quest’ultima: giova a tutti i creditori, e non solo a colui che agisce, con effetto sostanzialmente recuperatorio; va proposta innanzi al tribunale fallimentare nel termine di decadenza triennale di cui all’articolo 69 bis L. Fall., oltre che a quello di prescrizione quinquennale; il suo esercizio impedisce analoghe iniziative degli altri creditori”), in quanto le due azioni “vengono ascritte ad una comune natura, conseguente alla circostanza che entrambe sono preordinate alla funzione di assicurare la tutela conservativa del diritto di credito e, quindi, della garanzia patrimoniale, che viene salvaguardata incidendo non sulla validita’ dell’atto ma sulla sua efficacia nei confronti del (o dei) creditore(i)…..” (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 30416 del 23/11/2018, in motivazione punto 5.1), dovendo, al proposito, ritenersi definitivamente acquisito il principio di diritto, cosi’ massimato dal CED di questa Corte, secondo cui “la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare, al di la’ delle differenze esistenti tra le due azioni ed in considerazione dell’elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, ha natura costitutiva in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano gia’ conseguito piena efficacia e determinando la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto dispositivo” (cfr. Corte cass. SS.UU. n. 30416/2018 cit.).
La “opposizione” del creditore sociale ex articolo 2503 c.c., a differenza dell’azione revocatoria ex articolo 2901 c.c., e’ una misura – riservata, peraltro, soltanto al creditore sociale che vanti un diritto insorto “anteriormente” alla deliberazione assembleare ed alla stipula dell’atto di scissione – avente natura preventiva, in quanto e’ diretta ad impedire – e non a revocare – la efficacia dell’atto di scissione, e si pone come rimedio interinale, venendo a “sospendere l’attuazione” della operazione fino alla decisione giudiziale (e salvo che il Giudice ritenga, in via cautelare, di delibare l’assenza di un pregiudizio arrecato al creditore: articolo 2445 c.c., comma 4), od al compimento degli atti idonei a salvaguardare il creditore, paralizzando qualsiasi effetto dell’atto di scissione, o, secondo altra tesi pure formulata in dottrina, della delibera assembleare di approvazione del progetto di scissione, senza tuttavia che la legge riconnetta altra conseguenza alla mancata proposizione della “opposizione” nel termine di decadenza previsto, se non quella del definitivo consolidamento della “validita’” dell’atto di scissione, lasciando, comunque, aperta la strada del successivo risarcimento del danno.
L’azione ex articolo 2901 c.c. ed ex articolo 66 L.F. svolge, invece, una funzione ripristinatoria della garanzia generica offerta dal patrimonio del debitore, di cui si puo’ avvalere non soltanto il creditore “anteriore” ma anche quello “successivo” al compimento dell’atto pregiudizievole, quando questo sia stato oggetto di accordo fraudolento, intervenendo ad atto dispositivo ormai compiuto – perfetto ed efficace -, e presuppone un comportamento illecito del debitore in quanto scientemente compiuto in pregiudizio delle ragioni creditorie, che puo’ realizzarsi mediante l’atto di scissione anche attraverso la scelta di criteri di valutazione – ritenuti non rispondenti a quelli reali – dei valori patrimoniali trasferiti (con riferimento alla analitica descrizione degli elementi attivi e passivi da assegnare, e dell’eventuale conguaglio in denaro: articolo 2506 bis c.c., comma 1), in quanto incidenti sulla effettiva consistenza della garanzia patrimoniale di ciascuna societa’.
Se allora non e’ dato ravvisare una assoluta e completa sovrapponibilita’ dei rimedi tale da considerare che l’azione revocatoria sia stata calata, attraverso il mezzo della opposizione, nel sistema del diritto societario; e se neppure e’ dato riconoscere (sia alla stregua della espressa disposizione normativa – che fa riferimento esclusivamente alla categoria giuridica della “invalidita’”-, sia in base a legittimi criteri che giustifichino un diverso trattamento riservato al creditore sociale rispetto al creditore ordinarlo, di fronte ad atti depauperativi della garanzia patrimoniale generica del debitore) una relazione di “species” ad “genus” tra i due rimedi, deve concludersi che il sistema della “opposizione” ex articolo 2503 c.c., in quanto correlato espressamente ed esclusivamente alla intangibilita’ della validita’ dell’atto di scissione una volta depositato per la iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese, con conseguente conversione dei vizi di invalidita’ nella responsabilita’ per danni eventualmente cagionati a terzi, non puo’, pertanto, considerarsi ne’ sostitutivo, ne’ preclusivo dell’esperimento degli altri mezzi di tutela e delle altre azioni apprestati dall’ordinamento a garanzia del creditore e quindi anche del creditore sociale.
Deve essere, in conseguenza, riconosciuta la concorrente ammissibilita’ della opposizione ex articolo 2503 c.c., e dell’azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 c.c. e di quella esperita dal curatore fallimentare ai sensi dell’articolo 66 L. Fall., non ostandovi ne’ il sistema endoprocediment:ale, che prevede la possibilita’ di opposizione preventiva alla efficacia dell’atto pubblico di scissione, ne’ la preclusione alle impugnazioni di invalidita’ dell’atto di scissione dopo che e’ stata eseguita l’ultima iscrizione nel registro delle imprese, ne’ la previsione di solidarieta’ limitata ai valori patrimoniali trasferiti disposta a favore del creditore.
Le conclusioni cosi’ raggiunte sono state ritenute compatibili con l’ordinamento comunitario, e specificamente con le norme della VI direttiva 82/891/CEE – vigente al tempo della vicenda in esame – che in relazione alle fattispecie delineate (articolo 2 paragr. 1 “si intende per scissione mediante incorporazione, l’operazione con la quale una societa’, tramite uno scioglimento senza liquidazione, trasferisce a piu’ societa’ l’intero patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione agli azionisti della societa’ scissa di azioni delle societa’ beneficiarie dei conferimenti risultanti dalla scissione…..”; articolo 21 paragr. 1: “si intende per scissione mediante costituzione di nuove societa’ l’operazione con la quale una societa’, tramite il suo scioglimento senza liquidazione, trasferisce a piu’ societa’ di nuova costituzione l’intero patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione agli azionisti della societa’ scissa di azioni delle societa’ beneficiarie…..”), demandavano agli Stati membri di apprestare un adeguato sistema di tutela degli interessi dei creditori delle societa’ partecipanti alla scissione “per i crediti che siano anteriori alla pubblicazione del progetto di scissione e che non siano ancora scaduti al momento della pubblicazione” (articolo 12, paragr. 1), prevedendo “quanto meno il diritto di ottenere adeguate garanzie, qualora le situazioni finanziarie della societa’ scissa e della societa’ e della societa’ cui sara’ trasferito l’obbligo conformemente al progetto di scissione, rendano necessaria tale tutela….” (articolo 12, paragr. 2), prescrivendo in ogni caso la solidarieta’ del debito tra tutte le societa’ partecipanti, in caso di insolvenza della societa’ alla quale era stato trasferito (articolo 12 paragr. 3), e la sottoposizione a termine di decadenza di sei mesi dell’azione di nullita’ dell’atto di scissione, definitivamente preclusa nel momento in cui la scissione deve considerarsi efficace – secondo la legislazione degli Stati membri -, salvo alcun casi tassativamente predeterminati (articolo 15 ed articolo 19 paragr.1, lettera b-c).
Pronunciando su questione oggetto di rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia UE, con sentenza 30 gennaio 2020, in causa C-394/18, IGI s.r.l. c/ Maria Grazia Cicenia ed altri, ha infatti statuito che non osta al sistema normativo sopra richiamato (volto a limitare i casi di nullita’ della scissione ad alcune sole ipotesi tassative incidenti sulle stesse “condizioni di formazione dell’atto”, e cio’ allo scopo di garantire la certezza del diritto nei rapporti sia tra le societa’ partecipanti alla scissione, sia tra queste ultime ed i terzi, nonche’ tra gli azionisti) che, “dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della societa’ scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiamo fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale in applicazione di detto articolo 12, possano intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla societa’ di nuova costituzione” (in motivazione, punto 75), atteso che tali azioni, diversamente da quelle di nullita’, non incidono sulla validita’ della scissione e non operano, pertanto, “erga omnes” (ibidem, punti 84-88).
Ed occorre rilevare come, in relazione alla pronuncia interpretativa del Giudice di Lussemburgo, questa Corte ha gia’ manifestato adesione, ritenendo concorrenti e non alternativi i rimedi della opposizione ex articolo 2503 c.c. e dell’azione revocatoria ex articolo 2901 c.c. (cfr. Corte cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 31654 del 04/12/2019).
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza di appello per “violazione falsa applicazione di legge in merito alla affermata sussistenza del requisito dell'”eventus damni”.
Il motivo e’ inammissibile in quanto:
a) non individua le norme di legge asseritamente violate
b) anche a ritenere censurata l’applicazione dell’articolo 2901 c.c., da parte del Giudice di appello, in quanto avrebbe ravvisato il “pregiudizio alle ragioni” del creditore per il solo fatto della stipula dell’atto di scissione, risulta evidente come l’intera esposizione del motivo sia incentrata sulla deduzione di un “errore di fatto” e non di diritto, venendo in questione il riesame della valutazione di merito computa dal Giudice di secondo grado in ordine alla rilevanza ed efficacia dimostrativa delle emergenze istruttorie.
Il motivo di ricorso, anche qualora esaminato sotto il profilo del vizio di omessa considerazione di un fatto determinante ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ comunque da ritenere infondato, in difetto di indicazione del fatto storico, assunto come “decisivo”, che il Giudice di merito avrebbe omesso di valutare.
La Corte territoriale ha motivato “per relationem” agli argomenti svolti nella decisione di prime cure del Tribunale che, tra l’altro, aveva “accertato la ricorrenza di tutti i presupposti della domanda e quindi l’anteriorita’ di molti dei crediti iscritti al passivo….la pesante decurtazione delle rimanenze…..” (sentenza appello in motiv., pag. 9). Dalla decisione di prime cure, interamente trascritta nel controricorso (pag. 20-23), risulta che il Fallimento aveva fornito, la prova di crediti, risultanti dallo stato passivo, per oltre Euro 1.647.000,00 e che la decurtazione dal patrimonio della societa’ – che aveva operato la scissione parziale – di un cespite del valore contabile di Euro 1475.000,00 (ma secondo stime di mercato del valore di Euro 2.512.000,00 come indicato nella relazione presentata dalla stessa (OMISSIS) s.r.l. per accedere al concordato preventivo), non soltanto palesava un pregiudizio sul piano qualitativo, venendo sottratto un bene che per sua natura risultava facilmente individuabile ed aggredibile mediante la procedura esecutiva, ai fini del realizzo, ma anche sul piano quantitativo, atteso che, la stessa consistenza residua del patrimonio sociale della societa’ scissa (individuata nelle voci di bilancio relative alle rimanenze di magazzino” alle disponibilita’ liquide ed alle immobilizzazioni immateriali), doveva ritenersi, comunque, insufficiente a garantire l’importo dei debiti sociali, per il complessivo ammontare di oltre cinque milioni di Euro, come risultante dal bilancio al 31.12.2009 (cfr. sentenza Tribunale Trento, riprodotta in controricorso, pag. 21-22).
Orbene tali argomentazioni, integralmente recepite dalla Corte d’appello e che esauriscono l’ambito probatorio demandato al Fallimento, essendo stato accertato, con valutazione di merito, l'”eventus damni” in relazione tanto alla entita’ dei crediti pregiudicati, quanto alla inconsistenza della garanzia patrimoniale della societa’ debitrice (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 9092 del 12/09/1998; id. Sez. 2, Sentenza n. 26331 del 31/10/2008; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 2336 del 31/01/2018 – avendo il Giudice di merito rilevato che la societa’ in bonis deteneva nel proprio patrimonio ” un unico importante cespite immobiliare”, e che mediante l’atto di scissione aveva trasferito a favore di una neocostituita societa’ tale unico cespite, mantenendo nell’originario patrimonio della societa’ scissa il debito, con conseguente palese pregiudizio del creditore sociale -), non vengono direttamente investite dalla societa’ ricorrente che, da un lato, afferma, infondatamente, che l’accertamento dei Giudice di merito sarebbe lacunoso, e, dall’altro, intende richiedere una inammissibile revisione del giudizio di rilevazione e selezione del materiale probatorio gia’ esaminato nei precedenti gradi di giudizio, attivita’ che rimane preclusa a questa Corte di legittimita’, cui non e’ demandato lo svolgimento di un terzo grado di giudizio.
Con il terzo motivo la ricorrente impugna la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione di legge per aver ritenuto sussistente il requisito del “consilium fraudis”.
La ricorrente sostiene che, una volta escluso il presupposto oggettivo dell'”eventus damni”, viene meno anche la necessita’ di accertare il presupposto soggettivo dell’azione revocatoria.
Il motivo, e’ privo dei requisiti minimi prescritti dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, ed esonera questa Corte dal procedere all’esame che rimane peraltro assorbito dalla infondatezza del precedente motivo.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Trattandosi di questione nuova ed essendo intervenuta la pronuncia della Corte di Giustizia UE nelle more del giudizio di legittimita’, puo’ disporsi la integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1 comma 17, la Corte da’ atto che il tenore del dispositivo e’ tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply