Il lavoratore che impugna un licenziamento deducendo che esso si è realizzato senza il rispetto della forma prescritta

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 16 maggio 2019, n. 13195.

La massima estrapolata:

Il lavoratore che impugna un licenziamento deducendo che esso si è realizzato senza il rispetto della forma prescritta, ha l’onere di provare, oltre la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il fatto costitutivo della sua domanda rappresentato dalla manifestazione di detta volontà datoriale, anche se realizzata con comportamenti concludenti.

Sentenza 16 maggio 2019, n. 13195

Data udienza 22 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 3516-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 964/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/11/2016 R.G.N. 1067/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Sig.ra (OMISSIS) convenne innanzi al Tribunale di Bologna la (OMISSIS) Srl per sentir dichiarare l’inefficacia del licenziamento orale intimatole il 24 novembre 2009, a seguito di un acceso diverbio con il legale rappresentante della societa’, con condanna al pagamento di retribuzioni maturate quantificate in Euro 847.020,47.
Instaurato il contraddittorio, la (OMISSIS) srl si costitui’ deducendo che nessun licenziamento orale vi era stato e che il rapporto di lavoro si era estinto il 17 dicembre successivo allorquando la lavoratrice aveva manifestato verbalmente l’intenzione di dimettersi.
Il Tribunale adito dichiaro’ nullo il licenziamento intimato senza l’osservanza della forma prescritta.
2. In seguito a reclamo della societa’, la Corte distrettuale, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande della (OMISSIS), compensando le spese.
La Corte, esaminando il materiale istruttorio, ha ritenuto indimostrato “l’avvenuto licenziamento della lavoratrice il 24.11.2009”, per cui ha considerato non determinante la mancata prova delle dimissioni dedotte da parte datoriale come avvenute il 17.12.2009. “Ne’ appare ostativo alla soluzione adottata – secondo la Corte bolognese – il dato, pacifico per entrambe le parti, della cessazione in fatto del rapporto di lavoro prima della fine del 2009, potendosi logicamente ricondurre tale conseguenza ad una risoluzione per fatti concludenti”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice soccombente con 7 motivi; la societa’ ha resistito con controricorso.
4. In prossimita’ della prefissata camera di consiglio presso la Sesta sezione civile entrambe le parti hanno depositato memorie.
La (OMISSIS) Srl ha, tra l’altro, preliminarmente eccepito la “inammissibilita’ e improcedibilita’ del ricorso ex articolo 369 c.p.c.”, per essere stata depositata la decisione impugnata con la relazione di notificazione effettuata a mezzo pec senza autenticazione di conformita’ ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 9, comma 1 ter.
Con ordinanza interlocutoria n. 8219 del 2018, il Collegio della Sesta sezione ha rinviato la causa alla pubblica udienza della Quarta sezione non ravvisando “le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”, anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova nell’ipotesi di dedotto licenziamento orale cui venga opposta la cessazione del rapporto di lavoro per intervenute dimissioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di improcedibilita’ del ricorso per cassazione sollevata dalla societa’ controricorrente.
Invero la mancata produzione della relazione di notificazione della sentenza impugnata, alla quale e’ da assimilare l’ipotesi di relata di notificazione depositata senza autenticazione di conformita’ ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 9, comma 1 ter, costituisce motivo di improcedibilita’, a meno che risulti dal ricorso “che la sua notificazione si e’ perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiche’ il collegamento tra la data di pubblicazione (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestivita’ in relazione al termine di cui all’articolo 325 c.p.c., comma 2” (Cass. n. 17066 del 2013; conf. Cass. n. 18645 del 2015 e n. 16325 del 2018).
Orbene nella specie la sentenza impugnata risulta pubblicata in data 30 novembre 2016 ed il ricorso per cassazione proposto il 26 gennaio 2017 nel termine breve di sessanta giorni dalla pubblicazione.
2. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.
2.1 Con il primo motivo si denuncia “nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. (vizio di extrapetizione): la Corte di Appello – a fronte delle contrapposte domande delle parti in ordine all’accertamento della causa di risoluzione del rapporto di lavoro (licenziamento orale/dimissioni) – ha affermato che il rapporto di lavoro si sarebbe risolto “per fatti concludenti” cosi’ sostituendo l’azione proposta con una diversa e introducendo in causa circostanze di fatto nuove mai allegate dalle parti (ed anzi logicamente incompatibili con le deduzioni svolte dalle medesime in giudizio)”.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio non contestato tra le parti in ordine alla intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro su iniziativa unilaterale di una delle parti nonche’ sul fatto non contestato che dal (OMISSIS) la Sig.ra (OMISSIS) non e’ stata piu’ presente sul posto di lavoro”.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia, ancora ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “contraddittoria ed illogica motivazione circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, per il giudizio, in relazione alla estromissione della lavoratrice in ragione dell’omessa considerazione del fatto non contestato tra le parti circa la intervenuta cessazione del rapporto nonche’ dell’omessa valutazione dei documenti prodotti e della contraddittoria ed illogica valutazione delle prove testimoniali”.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione laddove ha ritenuto la testimonianza del Sig. Tozzi prova non sufficiente del licenziamento orale avendola confrontata solo con una frase estrapolata dalla lettera del 8.2.2012, che la stessa Corte (contraddittoriamente) ritiene – in altro capo della pronuncia – inidonea a provare le dimissioni della lavoratrice, e senza aver considerato la conformita’ della deposizione all’intero materiale probatorio acquisito al processo nonche’ agli ulteriori paragrafi della lettera in questione”.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia, ancora una volta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla omessa valutazione del doc. 10 (contenente la scheda persona completa estratta dalla camera di commercio) da cui emerge che nel 2010 la (OMISSIS) aveva rassegnato esclusivamente le dimissioni da amministratore di societa’.
2.6. Con il sesto motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. per aver accollato al lavoratore, anziche’ al datore di lavoro, l’onere della prova del licenziamento orale”.
Si deduce che, incontestato il fatto materiale della cessazione del rapporto tra le parti, la Corte bolognese avrebbe erroneamente addossato alla lavoratrice “la prova (diabolica) dell’intento recessivo del datore di lavoro sotteso alla cessazione del rapporto e, quindi, sostanzialmente la prova del licenziamento”.
2.7. Con l’ultimo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “contraddittoria ed illogica motivazione sulla valutazione delle prove”.
3. In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilita’ del secondo, del terzo, del quarto, del quinto e del settimo motivo di ricorso in quanto denunciano vizi di motivazione, concernenti la ricostruzione della vicenda storica operata dalla Corte bolognese, nonostante la sentenza impugnata sia stata pubblicata nel vigore del punto n. 5) dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nella versione di testo introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, la quale consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite, v. sent. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimita’, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovra’ indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisivita’” del fatto stesso.
Poiche’ i motivi in esame risultano largamente irrispettosi di tali enunciati, anche riecheggiando la formulazione del previgente testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 essi si traducono, nella sostanza, in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio, per cui gli stessi sollecitano un sindacato non ammissibile innanzi ai giudici di legittimita’.
Non puo’ tacersi, in particolare, che con detti motivi si prospetta una molteplicita’ di fatti che sarebbero stati trascurati dalla Corte di Appello che, anche per la loro pluralita’, non hanno il necessario carattere della decisivita’, nel senso inteso da questa Corte secondo cui e’ fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’ (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015). Si e’ cosi’ sancita l’inammissibilita’ di censure innanzi a questa Corte che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte di Appello, ma in realta’ sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Cassazione, cosi’ chiedendo un nuovo giudizio di merito oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato, il vario insieme dei materiali di causa (Cass. n. 21439 del 2015).
4. Parimenti non puo’ trovare accoglimento il primo mezzo di gravame, con cui si lamenta un insussistente vizio di “extrapetizione”, atteso che l’unica domanda sulla quale si e’ pronunciata la Corte territoriale e’ quella volta alla declaratoria dell’inefficacia del preteso licenziamento orale, ritenuta indimostrata dalla Corte medesima, mentre l’affermazione circa la possibile risoluzione consensuale del rapporto non assume la valenza di una pronuncia su eccezione di parte ma solo argomento ad abundantiam volto a fornire una spiegazione ipotetica alternativa in ordine alla ricostruzione della vicenda storica una volta considerata insufficiente anche la prova delle dimissioni.
Peraltro secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte la risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volonta’ in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che puo’ essere accertato d’ufficio dal giudice pure in sede di legittimita’, ove non vi sia necessita’ di effettuare indagini di fatto (Cass. n. 1113 del 1971; Cass. n. 3502 del 1971; Cass. n. 2495 del 1973; Cass. n. 1939 del 1982; Cass. n. 7270 del 1997; Cass. n. 24802 del 2006; Cass. n. 10201 del 2012; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 6900 del 2016; Cass. n. 23596 del 2018).
5. Il sesto motivo, invece, pone la questione individuata dalla Sesta sezione di questa Corte circa la ripartizione degli oneri probatori in materia di licenziamento orale e che ha determinato la rimessione in pubblica udienza destinata, ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c., aggiunto dal Decreto Legge n. 168 del 2016, articolo 1 bis, comma 1, lettera a), n. 2, conv., con modificazioni, nella L. n. 197 del 2016, alla trattazione delle questioni di diritto di “particolare rilevanza”.
La sollecitazione coglie nella giurisprudenza di legittimita’ delle disarmonie che hanno dato luogo a letture talvolta non convergenti di vicende processuali contigue ed induce la Corte a ribadire ed ulteriormente definire i principi regolatori della materia, in continuita’ con Cass. n. 3822 del 2019, per scongiurare incertezze applicative.
5.1. Al fine di un ordinato iter motivazionale non si puo’ prescindere da un esame dei precedenti, avuto particolare riguardo alle sentenze che appaiono piu’ significative in ragione delle argomentazioni che le supportano e dell’influenza che hanno esercitato sugli orientamenti successivi.
5.2. Pacificamente viene riconosciuto che anche nel rapporto di lavoro subordinato, come in tutti i rapporti di durata, la parte che ne deduca l’estinzione e’ tenuta a dimostrare – in conformita’ al principio relativo alla ripartizione dell’onere probatorio dettato dall’articolo 2697 c.c. – la sussistenza di un fatto idoneo alla sua risoluzione.
Tuttavia, a partire da Cass. n. 2853 del 1995, si e’ evidenziato che nel sistema di regolazione dei licenziamenti individuali “il fatto costitutivo del diritto alla riassunzione e poi alla reintegrazione, secondo le variazioni della L. n. 300 del 1970, e’ un fatto – il licenziamento appunto – attribuibile alla sola iniziativa del datore di lavoro, alla quale non corrisponde una identica iniziativa del lavoratore”. Da tale rilievo ne e’ scaturito l’assunto, poi sintetizzato nella massima, secondo cui: “la prova gravante sul lavoratore che domandi la reintegrazione nel posto di lavoro e’ quella della estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione di un fatto che nega il licenziamento e collega la estromissione dal rapporto ad asserite dimissioni del lavoratore assume la valenza di una eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull’eccipiente ai sensi dell’articolo 2697 c.c., comma 2”.
Nella parte motiva della decisione si spiega come debba essere intesa l’asimmetria rilevata dalla Corte circa l’iniziativa del recesso che conduce al pur comune effetto della “estromissione” dal rapporto lavorativo e che si sviluppa sul piano della prova. Si sottolinea che “quando comunque il materiale probatorio sia stato raccolto, la valutazione dei possibili significati della prova deve essere compiuta quantomeno con specifica attenzione alla peculiarita’ delle facolta’ attribuite ai contraenti e ai poteri attribuiti al datore di lavoro”; “in special modo l’indagine del giudice del merito deve essere rigorosa, data la gravita’ delle relative conseguenze in relazione a beni giuridici che formano oggetto di tutela privilegiata da parte dell’ordinamento, quando si tratti di stabilire il significato di una dichiarazione o di un comportamento cui si assegni valore negoziale di recesso del lavoratore (cosiddette dimissioni), in tal caso dovendosi stabilire, attraverso l’interpretazione dell’atto di recesso e la valutazione dei comportamenti in concreto osservati dal lavoratore, che da parte sua sia stata manifestata in modo univoco l’incondizionata volonta’ di porre fine al rapporto e che tale volonta’ sia stata idoneamente comunicata alla controparte”.
5.3. Il principio tutto fondato sulla contrapposizione tra “prova della estromissione” gravante sul lavoratore e “prova delle dimissioni” quale eccezione in senso stretto di pertinenza datoriale e’ rifluito in numerose massime (tra le altre: Cass. n. 4717 del 2000; Cass. n. 14977 del 2000; Cass. n. 14082 del 2010; Cass. n. 21684 del 2011), senza che risulti sempre agevole decifrare a quale degli oneri probatori si debba dare priorita’ nella contesa processuale ovvero prevalenza in caso di incertezza (cio’ emergendo talvolta dall’esame delle fattispecie concrete, come accade, ad esempio, in Cass. n. 610 del 2015 o in Cass. n. 25847 del 2018, dalle quali risulta la soccombenza del lavoratore che non aveva fornito la prova del licenziamento orale).
5.4. Verso la meta’ del decennio scorso una serie di pronunce dall’impianto argomentativo sovrapponibile e’ giunta ad affermare che “la prova gravante sul lavoratore – che chieda giudizialmente la declaratoria di illegittimita’ dell’estinzione del rapporto – riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo cioe’ la estromissione del lavoratore dal luogo di lavoro”, atteso che il licenziamento “costituisce un atto unilaterale di recesso con cui una parte dichiara all’altra la sua volonta’ di estinguere il rapporto e che, quindi, non puo’ che essere comprovato da chi abbia manifestato tale volonta’ di recedere, non potendo la parte (la quale abbia subito il recesso) provare una circostanza attinente alla sfera volitiva del recedente”, per cui “deve confermarsi che l’onere della prova del licenziamento grava sul datore di lavoro” (in termini: Cass. n. 10651 del 2005, ma v. pure Cass. n. 7614 del 2005; Cass. n. 5918 del 2005; Cass. n. 22852 del 2004; Cass. n. 2414 del 2004).
All’orientamento che ritiene sufficiente per il lavoratore che impugna il licenziamento orale la prova della “cessazione” del rapporto lavorativo si sono adeguate successive decisioni (v. Cass. n. 18087 del 2007; Cass. n. 155 del 2009).
5.5. Esprimono, invece, un diverso avviso significativi precedenti di questa Corte.
Innanzitutto Cass. n. 12520 del 2000 secondo cui il termine “estromissione” vale quale “sinonimo” di quello di “espulsione” e, percio’, di “licenziamento”, non potendo quindi intendersi usato come “artificio verbale di chiamare estromissione ogni cessazione del rapporto di cui non sia chiara la genesi”. Per la sentenza citata “non e’ contestabile che la stessa esistenza del licenziamento deve configurarsi quale fatto costitutivo della domanda di impugnazione del licenziamento, conseguendone che, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., deve ritenersi gravante sul proponente dell’azione l’onere di fornire la prova dell’evento ‘licenziamento’, non potendo certamente ritenersi che, in materia, viga una regola di inversione dell’onere probatorio, secondo la quale il lavoratore possa limitarsi a una mera allegazione della circostanza, restando obbligato il datore di lavoro a fornire la dimostrazione che il recesso sia stato dovuto ad altra causa, essendo invece sufficiente che – ai sensi della disciplina dettata in via generale dal codice in tema di ripartizione dell’onere probatorio – il convenuto si limiti alla semplice negazione del fatto costitutivo del diritto esercitato dalla controparte. Evidentemente, nella ipotesi in cui esso convenuto abbia contrapposto una difesa che sia specificamente articolata su fatti diversi da quelli posti a base della domanda avversaria, sorgera’, in concreto, un onere probatorio a suo carico, circa le eccezioni proposte, nel momento in cui la controparte abbia fornito la prova del suo assunto”.
Nella medesima prospettiva si colloca Cass. n. 6727 del 2001 che prende esplicitamente atto come le pronunce della Corte “negli ultimi anni intervenute sull’argomento non sono tutte pienamente concordanti”. Giudica che “l’espressione estromissione dal rapporto di lavoro in realta’ appare equivoca”; considera poi che “se si intende alludere alla semplice constatazione della cessazione di fatto dell’attuazione del rapporto, si introdurrebbe, in assenza di una previsione di legge in tal senso, una sorta di esonero del lavoratore dall’onere della prova riguardo alla effettiva esistenza di un licenziamento” per cui “in tali sensi il principio enunciato non puo’ essere condiviso, dovendosi riaffermare invece… che il lavoratore, il quale invoca i rimedi contro il licenziamento illegittimo, ha l’onere di provare l’esistenza del licenziamento”. “Se invece si allude – continua la Corte – ad uno specifico comportamento del datore di lavoro, che a un certo punto abbia rifiutato le prestazioni offerte dal lavoratore la conclusione non puo’ cambiare, nel senso che in linea di principio le prove acquisite devono essere idonee a dimostrare o che nell’occasione specifica e’ intervenuto un licenziamento per fatti concludenti, oppure che tale comportamento rappresenta la conseguenza di un precedente licenziamento, di cui detto rifiuto delle prestazioni eventualmente costituisca un concorrente elemento di prova”.
5.6. E’ invece comune ad entrambi gli orientamenti ed e’ costante nella giurisprudenza di legittimita’ la cura di precisare, proprio sulla scorta di Cass. n. 2853/1995 cit., che, ove nel giudizio si contrappongano le tesi del licenziamento e delle dimissioni, l’indagine del giudice del merito deve essere particolarmente “rigorosa” nell’apprezzamento del materiale probatorio laddove si intenda dimostrare che il lavoratore abbia rinunciato al posto di lavoro quale bene giuridico primario (tra le altre cfr. Cass. n. 6900 del 2016; Cass. n. 15556 del 2016; Cass. n. 22901 del 2010; Cass. n. 7839 del 2000; Cass. n. 5427 del 1999).
Anche Cass. n. 6727/2001 cit. argomenta che, “in caso di cessazione dell’attuazione del rapporto di lavoro, caratterizzata dalla assenza di atti formali di licenziamento o di dimissioni, e di contrapposizione di tesi in giudizio circa la causale di detta cessazione, il giudice di merito, ai fini dell’accertamento del fatto, deve prestare particolare attenzione, indagando la rilevanza ai fini sostanziali o probatori nel caso concreto anche degli eventuali episodi consistenti nell’offerta delle prestazioni da parte del lavoratore e nel rifiuto o mancata accettazione delle stesse da parte del datore di lavoro”.
2.7. Per completezza si rileva che e’ estranea alla questione che ci occupa l’ipotesi in cui sia pacifico tra le parti il fatto dell’estinzione del rapporto di lavoro a seguito di un licenziamento, controvertendosi solo del quomodo della forma del licenziamento, per cui in questo caso e’ il datore di lavoro tenuto a dimostrare i requisiti di forma e di efficacia del licenziamento (cfr. Cass. n. 5061 del 2016).
Parimenti esercita solo indiretta influenza sulla descritta vicenda giurisprudenziale la legislazione che nel corso del tempo ha assoggettato ad una disciplina particolarmente rigorosa in termini di forma l’atto di manifestazione di volonta’ del lavoratore di risolvere il rapporto (v. Cass. n. 24750 del 2017).
6. Cosi’ delineato il quadro della giurisprudenza sul tema, questa Corte intende dare continuita’ al secondo degli indirizzi richiamati, ancora di recente ribadito affermando che, in punto di ripartizione dell’onere probatorio in caso di dedotto licenziamento orale, la prova gravante sul lavoratore circa la “estromissione” dal rapporto non coincide tout court con il fatto della “cessazione del rapporto di lavoro, ma con un atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore dal circuito produttivo” (Cass. n. 31501 del 2018).
6.1. Dal punto di vista strutturale il licenziamento e’ atto unilaterale con cui il datore di lavoro dichiara al lavoratore la volonta’ di estinguere il rapporto di lavoro, esercitando il potere di recesso.
Chi impugna un licenziamento deducendo che esso si e’ realizzato senza il rispetto della forma prescritta ha l’onere di provare, oltre la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il fatto costitutivo della sua domanda rappresentato dalla manifestazione di detta volonta’ datoriale, anche se realizzata con comportamenti concludenti.
Tale identificazione del fatto costitutivo della domanda del lavoratore prescinde dalle difese del convenuto datore di lavoro, anche perche’ questi puo’ risultare contumace, ed il conseguente onere probatorio e’ ripartito sulla base del fondamentale canone dettato dall’articolo 2697 c.c., comma 1, secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
Non ha riscontro normativo la tesi secondo la quale il lavoratore possa limitarsi a una mera allegazione della circostanza dell’intervenuto licenziamento, obbligando il datore di lavoro a fornire la dimostrazione che l’estinzione del rapporto di durata sia dovuta ad altra causa, perche’ in tal caso si realizzerebbe una inversione dell’onere probatorio non prevista dall’ordinamento.
Non prevista dalla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, che pone a carico del datore di lavoro l’onere di provare che il licenziamento sia giustificato (L. n. 604 del 1966, articolo 5), ma non anche che la risoluzione del rapporto sia ascrivibile ad una volonta’ datoriale. Inversione dell’onere probatorio non evincibile neanche in via sistematica perche’ sia la ricostruzione della volonta’ di licenziare, sia eventuali difficolta’ nel fornire la prova gravante sul lavoratore, trovano adeguato contrappeso in un utilizzo appropriato anche delle presunzioni affidato al prudente apprezzamento del giudice.
6.2. Cio’ posto, la mera cessazione definitiva nell’esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non e’ di per se’ sola idonea a fornire la prova del licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto puo’ costituire l’effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale.
Tale cessazione non equivale a “estromissione”, parola sovente utilizzata nei precedenti citati ma che non ha un immediato riscontro nel diritto positivo per cui alla stessa va attribuito un significato normativo, sussumendola nella nozione giuridica di “licenziamento”, e quindi nel senso di allontanamento dall’attivita’ lavorativa quale effetto di una volonta’ datoriale di esercitare il potere di recesso e risolvere il rapporto.
L’accertata cessazione nell’esecuzione delle prestazioni puo’ solo costituire circostanza fattuale in relazione alla quale, unitamente ad altri elementi, il giudice del merito possa radicare il convincimento, adeguatamente motivato, che il lavoratore abbia assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante circa l’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa datoriale.
6.3. In generale, ove il datore di lavoro deduca che un rapporto di lavoro si e’ estinto per le dimissioni del lavoratore, sia che lo faccia in via di azione che in via di eccezione, sul datore medesimo grava la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione.
In entrambi i casi tale prova avente ad oggetto la volonta’ dismissiva del lavoratore dovra’ essere vagliata con adeguato rigore, data la gravita’ delle conseguenze derivanti dall’incidenza su beni che formano oggetto di tutela privilegiata da parte dell’ordinamento.
Fermi gli eventuali vincoli di forma stabiliti per l’atto delle dimissioni dalla legislazione pro tempore vigente, l’accertamento del significato di una dichiarazione o di un comportamento del lavoratore cui si attribuisca la valenza di un recesso dovra’ essere condotto tenuto conto di tutte le circostanze in cui la risoluzione si e’ verificata, delle condizioni di interesse di ciascuna delle parti alla prosecuzione del rapporto ovvero alla sua estinzione, della diversita’ di poteri e di facolta’ attribuiti ai contraenti nel rapporto di lavoro.
6.4. In particolare, laddove il licenziamento sia impugnato come orale, nel caso in cui il datore di lavoro opponga invece che il rapporto si e’ estinto per le dimissioni del dipendente, tanto piu’ se presentate nello stesso contesto spazio temporale, il giudice sara’ chiamato a ricostruire i fatti con accurata indagine probatoria onde esprimere all’esito il proprio convincimento su come debbano essere giuridicamente qualificati detti fatti, e cioe’ se come licenziamento ovvero come dimissioni.
In siffatto accertamento, inoltre, il giudice del merito dovra’ osservare il criterio per cui costituisce carattere tipico del rito del lavoro il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verita’ materiale, di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove gia’ acquisite, non puo’ limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti (cfr. Cass. SS.UU. n. 11353 del 2004).
6.5. Nel caso residuale in cui perduri una non superabile incertezza probatoria, operera’ la regola dell’articolo 2697 c.c. in base alla quale il lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua domanda la vedra’ respinta, anche se non risultino provate neanche le dimissioni eccepite dal datore, in ossequio al risalente principio processuale secondo cui l’onere probatorio del convenuto in ordine alle eccezioni da lui proposte sorge in concreto solo quando l’attore abbia a sua volta fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, sicche’ l’insufficienza (o anche la mancanza) della prova sulle circostanze dedotte dal convenuto a confutazione dell’avversa pretesa non vale a dispensare la controparte dall’onere di dimostrare adeguatamente la fondatezza nel merito della pretesa stessa (cfr. Cass. n. 1522 del 1983; Cass. n. 3148 del 1985; Cass. n. 3099 del 1987; Cass. n. 2680 del 1993; Cass. n. 5192 del 1998; Cass. n. 8164 del 2000; Cass. n. 3642 del 2004; Cass. n. 13390 del 2007).
7. Alla stregua delle esposte considerazioni la sentenza impugnata non merita le censure che le sono mosse con il sesto mezzo di gravame, il quale si fonda sull’errato assunto che, a mente dell’articolo 2697 c.c., “l’onere della prova del licenziamento orale” graverebbe sul datore di lavoro.
Correttamente invece la Corte territoriale, una volta accertato che la (OMISSIS) non aveva fornito la prova del licenziamento orale asseritamente intimato in data 24 novembre 2009, ha ritenuto infondata la sua domanda, non essendo sufficiente l’incontestata cessazione delle prestazioni lavorative e non assumendo rilievo la mancata dimostrazione delle dimissioni eccepite dalla societa’ e rese in diverso contesto spazio-temporale, in ossequio al principio poc’anzi richiamato secondo cui l’onere probatorio del convenuto in ordine alle eccezioni da lui proposte sorge in concreto solo quando l’attore abbia a sua volta fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda.
8. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettarie al 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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